Alla scoperta di un nuovo mondo
di Arturo Torrice
Caldo, grande e rassicurante utero, lo Speleo Club ha rappresentato per molti che, come me nei primi anni settanta avevano vent'anni o giù di lì, un grande porto tranquillo dal quale salpare alla scoperta del nuovo mondo. Un viaggio per molti di scoperta, che aveva come prima meta l'autonomia individuale.
Per il sottoscritto si trattò di un viaggio iniziato con la decisione, appena diplomato, di rompere definitivamente con il passato e trovare nuovi interessi e, principalmente, nuovi rapporti.
La memoria è un po’ come il bicarbonato di calcio, stratifica i ricordi cementandoli, riportare alla luce quelli più antichi non è pertanto cosa semplice; ciononostante proverò a calarmi lungo i pozzi del passato per tentare di raggiungere quota 1970, anno di iscrizione del sottoscritto allo Speleo.
Via Catullo, gli Scopini
In un'epoca in cui la polpetta si chiamava ancora polpetta e non hamburger, gli Scopini, ovvero la mitica birreria di via Catullo, rappresentò il punto di riferimento dei soci che qui si trovavano per discutere, organizzare uscite, smistare posta ed annegare pane burro e alici in litri di birra.
Condividevamo la "sede" con gli anziani del quartiere che aprivano sui piccoli tavoli quadrati i loro cartocci, custodi di spuntini e cene.
Il nostro tavolo, o meglio l'insieme dei nostri tavoli, volgeva all'esterno della seconda saletta, di modo che ci si potesse vedere dalla strada e che la stessa rimanesse sotto il nostro controllo.
In quest'atmosfera tra il bohémien ed il naif si consumavano direttivi, si distribuivano incarichi, si sognava una "vera" sede tutta per noi, sino a quella sera in cui Maurizio entrò trionfante sventolandoci sotto il naso il tanto atteso contratto d'affitto.
Una casa tutta per noi
Ricordo ancora oggi l'eccitazione nell'attraversare il cortile di via Andrea Doria e la discesa sino a quella che sarebbe stata finalmente la nostra sede!
Tre enormi stanzoni lunghi diverse decine di metri in uno stato che dire di abbandono significherebbe usare un eufemismo. Non esistevano infatti i pavimenti e dal muro emergevano motti del ventennio del tipo "silenzio il nemico ti ascolta!": la nostra sede era infatti stata un ricovero antiaereo scarsamente utilizzato dopo la guerra.
Ci rimboccammo immediatamente le maniche lavorando generalmente la sera ed il sabato, rinunciando talvolta anche alla sacra uscita domenicale.
Non ho mai capito come fecero impiegati di banca, statali, studenti universitari ad altri non addetti ai lavori ad inventarsi: imbianchini, muratori, idraulici e quant'altro.
Fatto sta che in un paio di mesi la sede ebbe finalmente un volto.
Il sardo
Le fatiche dei nostri manovali venivano ricompensate dalla calda ed ospitale accoglienza offertaci dal mitico "sardo".
In realtà non ho mai saputo quale fosse il reale nome del ristorante che ancor oggi affaccia sul mercato rionale di via Andrea Doria, per noi era semplicemente il sardo!
Per anni sono stati i "vecchi", quelli che lavoravano, a garantire gnocchetti e polpettine innaffiati da Giogantinu a noi giovani studenti squattrinati.
Franco e Peppe in particolare, elargivano prestiti al sottoscritto, Sandro, Nino cui raramente si faceva onore.
Il sardo aveva una sola regola "dopo le nove non si mangia, il pupo doveva andare a letto!".
Ancor oggi se si entra dopo la fatidica ora padre e figlio, ormai trentenne, vi guardano in cagnesco, la regola è rimasta la stessa.
I vecchi ed il nuovo che avanza
Quando entrammo nello Speleo era da poco avvenuta una piccola rivoluzione. Il sessantotto non aveva infatti risparmiato neppure il carbonato di calcio; un gruppo di giovani, appena entrati, aveva messo in discussione autorità consolidate determinando una piccola diaspora.
Rimanevano ai loro posti di combattimento: Maurizio, Alberta, Andrea, Pierluigi, Stefano, Renato e altri "vecchi", di cui mi si perdonerà l'oblio, a far diga ai "ragazzi del 69 e 70": Nino, Bacco, Cristina, Raffaele, Sandro, Franco, Peppe, Massimo, Dario, Anna, Luisa e tanti altri che scalpitavano.
Maurizio era allora il presidente, magro come un chiodo aveva la fama del viveur e scavezzacollo, ebbe pure il merito di non far pesar mai la sua esperienza, trattando noi giovani alla pari, cercando anzi di darci subito delle responsabilità.
Di Andrea ricordo principalmente le litigate feroci su temi politici, ma poi mi pagava la cena.
Alberta ci incuteva una certa soggezione, al corpo minuto, apparentemente fragile corrispondeva un piglio da generale, una grinta esercitata per sopravvivere in un mondo all'epoca decisamente maschile, la chiamavamo la donna fessura, se non passava lei era inutile tentare.
Ricordo ancora quando riuscì a passare attraverso le sbarre che chiudevano le finestre della sede!
Renato, ovvero il "capitano" alto, pizzo alla Italo Balbo fu il mio primo istruttore, ricordo che rimasi con lui alla base del pozzo di Creta Rossa ad aspettare che tutti salissero i 55 metri di scale, persi la cognizione del tempo, erano trascorse tre ore e mi sembrava fossero solo pochi minuti!
Il "nuovo" era rappresentato dal gruppo di San Paolo con Peppe e Franco a far da balie ai pischelli: Nino, l'orso Yoghi del gruppo per la quantità di peli (barba e capelli) da cui spuntava a mala pena il naso e due lenti, Cristina, tosta e decisa come un maschiaccio, Raffaele e Bacco ovvero l'altezza e la larghezza.
A questo gruppo si unirono nel 1970 il sottoscritto, Dario taciturno e riservato quanto chiacchierona ed estroversa era Luisa sua futura moglie, il mite Massimo, primo tra noi ad aver intrapreso l'ultima discesa, Anna che sarebbe diventata mia moglie e Sandro per anni più che un amico.
Carpineto
Se è vero che "uno non è romano se non ha salito i gradini di Regina Coeli" così si può dire che non si è speleologi a Roma se non s'è andati in grotta nel carpinetano.
Carpineto è stata per me una seconda casa, il mercoledì quando c'erano le coppe europee di calcio si partiva con Franco per vedere la partita al bar centrale con Raffaele e gli altri amici del paese.
La "sora" Nanna meriterebbe un intero capitolo di questo immodesto racconto. Nanna è stata per noi speleologi una vera mamma nutrendoci a tagliatelle per un decennio.
Quando tornavi fradicio da pozzo Comune si metteva vicino al camino ad asciugarti i capelli offrendoti le castagnole che non dava agli altri clienti.
Ricordo di una sera quando rimanemmo in grotta sino a mezzanotte: Nanna partì da casa con una teglia di lasagne ed apparecchiò in trattoria all'una di notte. A riguardo va esposto a pubblico ludibrio l'ignobile atteggiamento di Claudio Giudici: denuncio infatti che il panzone ebbe il coraggio di innaffiare quel ben di Dio amorosamente offertoci da Nanna con l'aranciata!
Concludendo
Passano gli anni, da quasi venti non scendo né per pozzi e neppure per le scale di via Andrea Doria.
Ho scelto di vivere di montagna scrivendone o accompagnandoci gente con o senza sci.
Eppure probabilmente questa scelta non sarebbe stata tale senza quella magnifica esperienza che ha segnato la mia vita tra gli anni settanta ed ottanta.
E se ancor oggi, passando per piazzale degli Eroi, sento qualche cosa dentro, vuol proprio dire che quel passato qualche cosa conta, per fortuna!
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