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il Quaderno del 18 luglio

Berlusconi: no all'equidistanza con Israele sì al suo diritto di esistere e di difendersi

Questo è il messaggio inviato dal Presidente Berlusconi alla Comunità ebraica romana

Condivido l'ansia e il dolore della Vostra comunità per le notizie di distruzione, e per i fuochi di guerra che vengono dalla terra d'Israele, colpita da un'aggressione proditoria, programmata e freddamente portata a termine dal confine nord con il Libano, e da Sud, da Gaza. La violenta offensiva è partita da territori, il sud del Libano e la striscia di Gaza, che il governo di Gerusalemme ha volontariamente abbandonato in nome di quella parola d'ordine, "pace contro territori", con la quale Israele testimoniò in tempi diversi la volontà di aprire un percorso di pacificazione con i suoi vicini.

Nella recente riunione del G8 di San Pietroburgo è stato giustamente confermato il diritto di Israele di difendersi contro attacchi gravissimi, perché portati nel suo territorio con l'assassinio e il rapimento di suoi soldati e suoi cittadini.

Dinanzi a un'aggressione preordinata e concentrica, contro l'unica democrazia del Medio Oriente, coordinata e sostenuta da Paesi autoritari o teocratici che ne predicano la distruzione, non è possibile invocare alcuna posizione di "equidistanza" o alcun irrealizzabile tentativo di mediazione. E' una scelta che non ha nulla a che vedere con la dottrina, che condividiamo tutti, dei "due popoli e due Stati". La scelta oggi è tra terrorismo e democrazia: noi, a differenza dei sedicenti pacifisti nostrani, non abbiamo dubbi nello schierarci dalla parte di Israele e del suo diritto a esistere.

Per questi motivi rinnovo i sentimenti di amicizia che legano me, la mia parte politica e la stragrande maggioranza degli italiani al popolo e al governo israeliano, e avverto la necessità di mobilitare l'opinione pubblica italiana e internazionale, europea in particolare, in difesa d'Israele. L'attacco al popolo e allo Stato democratico d'Israele è parte dell'offensiva che il terrorismo ha scatenato contro il mondo libero.

Loro/"Allarghiamoci", come e con chi

Può apparire una semplice coincidenza ma non lo è. O almeno non è solo questo. L'allarme, a suo modo coraggioso, che Enrico Letta, fedelissimo di Prodi, ha lanciato con la necessità di allargare la maggioranza e la circostanziata intervista di Giulio Tremonti che ripropone la Grande Coalizione sul modello tedesco, fotografano un malessere reale.

La maggioranza così com'è e il governo che esprime rischiano di non andare lontano per due ordini di motivi arcinoti: la patente conflittualità tra le due sinistre che hanno messo Prodi in sella e i numeri risicati che obbligano il Senato a restare appeso al volontarismo dei senatori a vita… Il segnale del sottosegretario a Palazzo Chigi non è clamoroso per ciò che dice ma perché lo dice e rompe un tabù. E' ancor più importante che sia stato seguito dal plauso di una diessina doc, la senatrice Anna Finocchiaro con ottime referenze nel mondo dalemiano e in quelle della magistratura militante. Enrico Letta è preparato sulle due materie incandescenti di questa fase parlamentare: le mine della politica estera e della politica economica, che possono scardinare fino a far esplodere un governo nato e tenuto insieme più dall'antiberlusconismo che da un progetto condiviso.

Chi a suo tempo aveva apprezzato, come Tremonti, la lettera di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera all'indomani del voto politico che indicava l'ipotesi di Larga Coalizione, non si è meravigliato. Se c'è una maniera per stroncare sul nascere ogni tentativo trasformista di allargare la maggioranza con una compravendita di detriti centristi, è riprendere lo spirito e la sostanza di quella proposta originaria. Con Prodi che esce acciaccato dalla prima fase di rodaggio del suo Gabinetto non è difficile prevedere sulla manovra finanziaria d'autunno la sua prova del fuoco.

Letta e la Finocchiaro hanno, a loro modo, lanciato un allarme provando anche a circoscrivere i pericoli richiamando all'ordine la sinistra verde e più radicale perché eviti di tirare una corda che finirebbe per strozzare Prodi stesso.

Forza Italia ha messo il veto su operazioni trasformistiche di piccolo cabotaggio che possono attirare le velleità di quei centristi (Follini? Tabacci?) pronti a vendersi l'anima pur di perdere la nomea di antichi sodali di Berlusconi.

Tremonti ha rilanciato l'esempio della Germania, descrivendo la necessità – se Prodi venisse meno magari sulla legge finanziaria – di una Grande Coalizione. Una combinazione a tempo che non elimina i partiti ricomponendoli in una alleanza mirata su pochi obiettivi fondamentali nell'interesse del Paese. Non un accordo di vertice dunque, o un inciucio tra questo o quel leader di partiti o di coalizioni, ma un modo europeo di affrontare problemi più grandi della coalizione e degli interessi che questo governo e la sua risicata maggioranza esprimono e rappresentano.

Loro/"Allarghiamoci", le tentazioni di chi

Lentamente si fa strada nella maggioranza di governo la consapevolezza che la situazione politica scaturita dal voto di aprile non può essere affrontata a colpi di mano istituzionali e politici, a continui ricorsi a voti di fiducia. Si fa strada insomma, sia pure timidamente e contraddittoriamente, l'inizio di una riflessione politica che potrebbe condurre a nuovi equilibri politici.

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha esplicitamente evocato la necessità di allargare la maggioranza, ammessa l'impossibilità di governare contando sui voti di qualche senatore a vita. Bene ha fatto Forza Italia a chiedere se questa dichiarazione significasse la formazione di una nuova maggioranza politica oppure se si trattasse dell'inizio di una nuova fase di compravendita di parlamentari dell'opposizione.

La successiva precisazione dello stesso Letta e soprattutto della Finocchiaro hanno messo in evidenza un vero e proprio travaglio all'interno della maggioranza di governo, almeno da parte dei Ds e della Margherita, che prende le mosse dal riconoscimento della realtà politica del Paese.

Anna Finocchiaro è stata più esplicita e più chiara, sostenendo che il problema non è lo spostamento di pezzi della maggioranza, ma l'apertura di un confronto con l'opposizione. A partire dal riconoscimento che ci sono alcune questioni che riguardano settori strategici per il Paese, come il mercato del lavoro, la scuola e la politica estera, che non possono soffrire del cambio ad ogni alternanza di governo.

Il Corriere della Sera indaga sui retroscena di queste mosse, intravvedendo la possibilità di allargare la maggioranza di governo per ora al gruppo di Follini e in prospettiva all'intera Udc, per sostituire l'estrema sinistra.

Se l'attuale governo entra in crisi, c'è solo l'ipotesi di un nuovo governo di unità nazionale con l'obiettivo di portare il Paese a nuove elezioni sulla base di un programma limitato e a termine. Ma questo accordo non lo può fare solo l'Udc, ma il partito di maggioranza relativa, cioè Forza Italia.

Noi/Allarghiamoci, con Fini

La riforma elettorale in senso proporzionale, voluta fortemente dall'Udc, ha interrotto la "volata" finale verso il Partito delle Libertà.

Di contro, tra gli alleati della casa delle Libertà, Fini crede ancora nel partito unitario e ritenta la strada del suo raggiungimento: un soggetto che punti a rilanciare con forza i temi della democrazia economica, della partecipazione e della sussidiarietà "quali punti di convergenza tra cultura nazionale cattolica e socialismo riformista". Questo il progetto che il presidente di An porta oggi all'esecutivo del suo partito e che diventa essenziale per una strategia futura, per vincere le prossime elezioni e per conquistare quelle fasce di elettori, soprattutto i giovani, sui quali il centrodestra ha "perso la capacità di rappresentanza".

Un progetto che Fini delinea oggi in un'intervista sul Corriere della Sera e sul quale Forza Italia non può rimanere spettatore, per convenienza e per convinzione.

Sandro Bondi condivide le parole del presidente di An:

La nuova rivoluzione può essere quella di rinunciare al centro, senza equivoci e sfumature. Di passare da Forza Italia a Forza Nazionale per vincere il prossimo "campionato".

Prodi & Kabul/Tutte le speranze inutili dell'Unione

L'attivismo di Romano Prodi appare del tutto sconclusionato sul piano mondiale. Offrire a Kofi Annan i soldati italiani per una "forza di interposizione in Libano" è uno sforzo minimo che trova la contraddittorietà di Israele. E in Libano una forza dell'Onu è possibile soltanto dopo la sconfitta militare degli hezbollah.

Sullo scenario italiano, Prodi ha messo in imbarazzo i rosso-verdi dell'Unione. Come faranno i pacifisti senza se e senza ma a fare le bizze sull'Afghanistan e ad approvare l'invio di contingenti in Libano ed anche a Gaza come propone D'Alema?

Prodi può soltanto sperare che la sinistra dell'Unione, sballottata da tante contraddizioni, non insista nella sua telenovela sull'Afghanistan quando, fra pochi giorni, si tratterà di decidere nel voto sulle missioni militari all'estero. Ma non è guardando gli astri che si conquista un serio e credibile ruolo internazionale.

Prodi & Stampa/Tutte le verità nascoste

Una telefonata allunga la vita, come dice lo spot, ma cancella l'Italia. Prodi invece di farsi immortalare nel gruppo dei grandi (per la foto di gruppo) ha preferito impiegare il tempo per una conversazione telefonica magari con i suoi capetti indisciplinati in patria. E le grandi firme del giornalismo italiano che fanno? Restano in un assoluto silenzio, un silenzio assordante, se soltanto proviamo ad immaginare quanti boxini o gramellini sarebbero stati dedicati a Berlusconi per l'assenza dalla "foto di classe".

Ma non basta. La situazione in Medioriente è in ebollizione ma l'Italia di Prodi non trova di meglio che avanzare la proposta di chiedere all'Iran un ruolo di mediazione. L'Iran è quello Stato che tutti, tranne il professore (?) di Bologna, sanno essere il fornitore di missili agli hezbollah. Allora, a carico di qualsiasi premier (soprattutto per Berlusconi) sarebbe scattata la mannaia del pubblico ludibrio. La stampa nostrana (campione di provincialismo), invece, indulge fino a tal punto da assicurare a Prodi la smentita prima che monti un caso internazionale ("E' un'idiozia la storia dell'Iran").

Su questo possiamo essere d'accordo con l'ex-presidente dell'Iri, a patto che lui riconosca che anche le idiozie hanno un padre. Un padre che, per la circostanza, alberga nell'entourage di Prodi…

Queste ricostruzioni-verità non interessano ai molti inviati al seguito di Prodi, presi dal proprio ruolo di scrittori del principe. Anche quando il G8 chiede all'Onu di inviare una forza di interposizione nel Libano di chi è il merito per la Stampa? Di Prodi. Infatti a pag. 3 il quotidiano di Torino scrive: "Annan segue Blair e Prodi". Incredibile ma vero!

Nel frattempo la doppia gaffe prodiana resta lettera morta nel segno dell'autocensura tanto cara alla sinistra.

Vendetta/I tassisti tolgono la licenza a Bersani

Chiamiamolo con il suo nome: non più "decreto Bersani", ma "decreto Frankenstein". Errori di forma e di contenuto, profili di illegittimità, svarioni sui conti, mancata concertazione, pressioni delle categorie interessate: dal lettino della sala operatoria degli apprendisti chirurghi-stregoni (di sinistra) delle liberalizzazioni si alza un corpaccione irriconoscibile e traballante, destinato a nuovi e complicati trapianti nelle aule parlamentari.

All'indomani dell'accordo raggiunto con i tassisti, perfino il primario Bersani non se la sente di parlare di vittoria: "E' stato un pareggio".

Insomma, l'intervento è riuscito e il paziente è morto. Perché in realtà si è trattato di una sconfitta bruciante: dal decreto sono stati di fatto cancellati i punti più qualificanti (per la sinistra) e tutto resta più o meno come prima. No al cumulo delle licenze e alla doppia targa, no all'asta delle licenze. Dalla svolta "radicale" si è approdati a un provvedimento "utile affinché le cose comincino a cambiare" (Bersani). Come dire, tutto e niente. La palla della contrattazione passa ai sindaci, che dovranno vedersela di volta in volta con una categoria fra le meno arrendevoli.

Quello dei tassisti è soltanto l'ultimo incidente di percorso del decreto Bersani. In sintesi:

Naturalmente non è finita qui. Il passaggio parlamentare si presenta difficoltoso. Sono 1.100 gli emendamenti presentati. "Su pressione delle lobby", precisa l'Unità. Ma, guarda caso, la bellezza di 550 richieste di modifica provengono dalla maggioranza di governo. "Se necessario porremo la fiducia senza battere ciglio", dichiara Chiti. E' la prassi di questo governo, come dubitarne?

   

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