Prima parte
La fine
L'intervento di Falcone
La minoranza che lotta
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Le posizioni
Chiaromonte
Crisi di governo: il comunicato Fiat
Il PCI esulta
La questione del potere
L'inizio della fine
La solidarietà
Lo sciopero del 10 ottobre
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I 35 giorni alla Fiat: un altro modo per leggere i documenti
Cominciamo dalla fine, dall'assemblea del 15 ottobre 1980 al Cinema Smeraldo, in cui i dirigenti confederali sono venuti a fare puro atto di formalità, non avendo alcuna intenzione nè di ascoltare nè, tantomeno, di tornare indietro.
Un intervento per tutti. Quello di Giovanni Falcone, delegato delle carrozzerie, meridionale, entrato in Fiat nel maggio 1968. Il suo intervento è un capitolo di storia operaia e militante, che inizia con l'arrivo in fabbrica di un giovane "senza politica" e che finisce con la cacciata di un uomo, militante, che ha scoperto in quella fabbrica il significato dell'agire collettivo e della solidarietà di classe.
Falcone sa bene che non rientrerà più in fabbrica, che nulla sarà più come prima.
"Un compagno prima mi diceva: "questo è un fatto storico, un altro compagno come noi aveva parlato nel '69, oggi parli tu e si chiude un epoca". Allora si apriva, ora si chiude. Per me questi 12 anni di lotte sono stati una lunga esperienza politica. Lo è stata per tutti noi. Ci pensate? Un emigrante che viene su, dalla campagna, come tanti altri. Non sapevo dire una parola, tanta timidezza, e poi... mettersi a fare dei discorsi politici... Voi pensate che la Fiat possa ancora tenere uno come me nella fabbrica? Possa ancora richiamarlo in officina?
La Fiat ha fatto un'operazione chirurgica. Ha deciso chi può star dentro e chi deve star fuori. In sostanza sbatte fuori gente che, per diversi motivi, non è più in grado di dominare e sfruttare al cento per cento. In primo luogo gli invalidi, che per ragioni fisiche non potranno reggere i ritmi che l'azienda imporrà da domani. Poi le donne, perchè in questi anni sono cambiate, dicono la loro, hanno imposto l'assunzione attraverso il collocamento. E le donne in fabbrica - con i loro problemi diversi dagli uomini, con i loro tempi che mal si adattano a quelli della produzione intensiva - non sono mai piaciuti al padrone. Infine, la terza componente da cacciare, quella più importante per la Fiat, gli operai che hanno fatto le lotte, i delegati che all'interno del Consiglione non hanno mai accettato la logica del produttivismo del padrone. Quest'operazione è già iniziata l'anno scorso con il licenziamento dei 61 che ci ha trovato divisi. Quella è stata la prima vittoria della Fiat e oggi mettono fuori dalla fabbrica quei delegati e quegli operai che non piegano la testa e non stanno zitti, che dicono ogni giorno cosa pensano del modello di produttività che viene loro richiesto. Ancora una volta vogliono dividerci, mandando le lettere ad alcuni e a altri no. Ma fino a ieri quest'operazione di divisione dei delegati non gli è riuscita, ci ha creato delle difficoltà, ma non è passata".
E così si rivolge ai dirigenti sindacali, che hanno svenduto la lotta.
"E' vero che abbiamo avuto momenti difficili ai cancelli e tra i lavoratori. Ma, cari compagni, abbiamo dodici anni di esperienza di lotta. Ve la ricordate Mirafiori? C'erano dei momenti in cui era su, dei momenti in cui calava, degli altri momenti in cui risaliva di nuovo. La lotta non è una cosa stabile, che viaggia lineare come una catena di montaggio, sempre uguale a se stessa. Ci sono, a volte, delle difficoltà. Sta al gruppo dirigente analizzare perchè la lotta cala, al gruppo dirigente di fabbrica in primo luogo. E allora bisogna trovare le forme di lotta adatte per ritornare su. Noi alcune volte lo abbiamo saputo fare, altre volte no, perchè il padrone si è saputo incuneare al nostro interno, ha creato delle divisioni e continua a crearle.
Qui non ci sono delegati che sono stati o sono per principio contro il sindacato. Ci sono invece dei delegati che vogliono il massimo quando il livello di lotta esprime il massimo. Questa è la differenza che c'è tra noi, perchè c'è qui chi viene a farsi scudo delle difficoltà e del corteo dei capi per giustificare un accordo che a noi ci fa fare dei passi indietro. Ci sono degli accordi che non ci fanno fare dei passi avanti, che magari ti fermano sulle posizioni che hai acquisito. Dopo le difficoltà riprendi il cammino. Ma questo è sicuramente un accordo che ci fa fare molti passi indietro, bastava guardare le facce da funerale dei compagni stamattina ai cancelli, quando è arrivata la notizia dalla radio. Ed è inutile che ci vengano a dire che quest'accordo ci salva dai licenziamenti. Non è vero".
Falcone non si nasconde nulla: "Io credo che questo accordo lo firmeranno comunque, anche se noi siamo contrari. [...] E un punto di debolezza c'è stato, perchè alla lotta non hanno partecipato tutti, ma solo una minoranza, quella di sempre. [...] Qui giochiamo a carte scoperte, senza barare. E' una minoranza, sicuramente, che ha gestito questi giorni, che ha fatto le cose, la minoranza degli operai. Ma è la minoranza che ha sempre contato. Noi sappiamo che in un paese come l'Italia non possiamo avere la partecipazione fisica di tutti gli operai, perchè tra gli operai ci sono tanti interessi diversi. Ma se gli operai della Fiat non erano consenzienti alla lotta che abbiamo fatto per più di trenta giorni, voi credete che saremmo riusciti a tenerli fuori dai cancelli?
E non erano i capi - che volevano entrare - a farci paura, anche quando eravamo in pochi, perchè eravamo tranquilli se gli operai non venivano lì a dirci "ritorniamo al lavoro". Per noi era una sicurezza che prima o poi li avremmo avuti, come sempre, dalla nostra parte. L'importante era dimostrare che noi eravamo tutti uniti, che i vertici del sindacato - le confederazioni in questo caso - mettevano in campo tutta la forza del movimento per respingere l'attacco antidemocratico che la Fiat stava portando avanti. Io credo che in queste condizioni si potesse ottenere di più: abbiamo strappato alla Fiat che dopo due anni e mezzo mi deve riprendere in fabbrica? Oh, non mi pare che abbiamo strappato molto, perchè se i rapporti di forza saranno quelli che avremo da domani, allora la Fiat se ne sbatterà le palle di quello che ieri ha detto e ha dichiarato al mondo intero. Ti dirà che il mercato dell'auto non tira, "stattene fuori, non tira", stattene fuori e buona notte. Così francamente, io ai compagni che sono fuori insieme a me non me la sento di garantirgli che tra due anni e mezzo ritorneremo in fabbrica; gli dirò che rientreranno oppure no a seconda dei rapporti di forza che ci saranno tra due anni e mezzo in Fiat. Ma nonostante questo credo anche che, ora, quest'accordo passerà tra la maggioranza dei lavoratori, non per quello che dice ma perchè fa riprendere il lavoro di fronte a un nostro sfaldamento visibile a tutti. Ci sarà una grossa minoranza che dirà no. E per me è quella che conta, quella con cui mi schiero, al di là di ciò che si decide in questa sala, al di là dei tentativi di volerci convincere. Perchè noi possiamo anche uscire stasera tutti d'accordo a votare sì alle assemblee. Ma non cambierebbe assolutamente niente. Perchè quando domani si verifica che i compagni di lavoro che hanno sempre lottato non rientreranno più, le difficoltà che ci saranno per organizzare qualsiasi vertenza saranno enormi".
"Passeranno anni prima che la lotta alla Fiat torni ad essere possibile".
In questo intervento si esprime una fortissima coscienza di classe e del compito dell'avanguardia, quella grande minoranza cui Falcone rivendica l'appartenenza. Marinetti, seduto alla presidenza, si lamenta della lunghezza dell'intervento di Falcone e lo inviata a chiudere. Falcone risponde: "Non ti preoccupare compagno, ne ho anche il diritto. Dopo dodici anni mi cacciano fuori, concedetemi almeno di parlare. Perchè io credo che questa possibilità come delegato Fiat, come operaio Fiat, non ce l'avrò mai più. Almeno ho la soddisfazione di aver chiuso in bellezza e sono contento di tutte le lotte che ho fatto, al di là che il padrone non mi riprende più" .
Carniti prende la parola per concludere, ma nessuno ascolta più, lo fischia, lo insulta, lo schernisce. |