Seconda parte

Le posizioni
Chiaromonte
Crisi di governo: il comunicato Fiat
Il PCI esulta

La fine
L'intervento di Falcone
La minoranza che lotta

La questione del potere

 


L'inizio della fine
La solidarietà
Lo sciopero del 10 ottobre

Le posizioni e le valutazioni

E' necessario riportare alcune "perle" di quanti furono protagonisti della campagna padronale che portò alla sconfitta dei lavoratori Fiat dell'80, in particolare di quanti si definivano "rappresentanti" dei lavoratori: esponenti del sindacato, del PCI. E anche di coloro che rappresentavano la borghesia, sui giornali o nelle anticamere dei palazzi.

Dalla parte dei lavoratori...?

La trattativa si svolgeva a Roma, ignorando così una chiara richiesta dei lavoratori in lotta di spostarla a Torino, in modo che la delegazione trattante fosse sempre a contatto, sotto controllo, degli scioperanti.
Gli esponenti del PCI, come quelli sindacali, si alternavano nel mostrare chi fosse più realista del re e chi più combattivo. In alcuni casi, le opinioni espresse ebbero senso non solo in quel contesto, ma rivelarono una tendenza che poi sarebbe continuata in tutti gli anni '80, e infine consolidata nelle forze politiche de/generate dalla fine del PCI.
Gerardo Chiaromonte, allora responsabile economico del PCI dichiara a Repubblica che "la mobilità è uno strumento essenziale di una moderna politica di riconversione e di sviluppo industriale: per questo non siamo contrari". Ma alla mobilità erano invece assolutamente contrari gli operai della Fiat, che Chiaromonte intendeva almeno in parte rappresentare.
Una giovane operaia indirettamente risponde a questa posizione del PCI (e anche di parte dei confederali): "Dicono che non vogliamo la mobilità esterna, ma è tutta la vita che siamo in mobilità, dal meridione al nord, fino in Germania".

Ora, è bene chiarire che già allora - non è quindi una valutazione storica - si capiva benissimo che la mossa della Fiat di proporre i licenziamenti nascondeva la necessità di raggiungere un altro obiettivo, tra l'altro meno costoso e nello stesso tempo "meno impopolare", nella misura in cui anche un Chiaromonte si mostrava incline a richiederlo (di badi, non solo ad accettarlo): la mobilità o, in altra forma, la cassintegrazione.
La crisi di governo del 27 settembre da alla Fiat l'opportunità di fare la mossa generosa: ritirare i 14mila licenziamenti. Ecco uno stringato comunicato: "La Fiat ha appreso con grande preoccupazione la notizia delle dimissioni del governo che oltre a produrre un inevitabile accentuarsi delle difficoltà che il paese attraversa, rendono obiettivamente insostenibili nuovi e ulteriori di grave tensione sociale. [...]La Fiat decide pertanto di sospendere fino alla fine dell'anno l'attuazione dei licenziamenti collettivi[...] L'azienda provvederà ad attuare solo gli interventi e i provvedimenti già discussi e su cui esiste un generale consenso: cassa integrazione speciale per 24.000 lavoratori, blocco del turn-over e prepensionamenti".
Si fa a gara ad avere atteggiamenti responsabili: CGIL-CISL-UIL revocano lo sciopero generale del 2 ottobre.
Il PCI esulta: "Vittoria operaia. Caduto il governo. Ritirati i licenziamenti". La Federazione torinese del partito emette un comunicato con cui invita l'
FLM e i lavoratori "a cessare il blocco degli ingressi, rientrare negli stabilimenti e attenuare gli scioperi".
Per questi presunti dirigenti del movimento operaio la lotta sarebbe non solo già finita ma persino vinta!