Sommario

La Risveglia


n° 1 Maggio - Agosto 1999
quadrimestrale di varia umanità

Antonio Gamberi

Il poeta sovversivo

"Persona ho giusta, occhi castagni, attenti
naso aquilino, scarno e lungo viso,
bruno e rozzo color, languido riso,
capo chino, bei cigli e guasti denti.

Barba sterile e rada, e baffi stenti,
mento ristretto; e porto il crin reciso;
serio d'aspetto son, di sguardo fiso:
vesto al costume delle basse genti.

Ho pronta lingua. Or mesto, or son contento,
secondo i casi, ora cattivo, or buono,
pronto all'ira, all'errore, al pentimento.

Amo l'umanità rejetta e trista.
Cotai vizi e virtù possiedo. E sono
ateo convinto e fermo e socialista".


Questi versi (intitolati: "Il mio ritratto") vennero scritti al principio del secolo da Antonio Gamberi, un uomo che, per un trentennio, godette di notevole popolarità fra i lavoratori maremmani per il suo impegno in favore degli sfruttati, per le sue doti di oratore e polemista e per le sue qualità di poeta.
"Segaligno, vestito di scuro, con un cappello tondo in capo, parlava bene - in questo modo lo ricordava un concittadino - e girava nei paesi per vendere i libri, che teneva in una musiera". "Io ho sentito un suo comizio in piazza Sivieri - ci ha detto un altro follonichese - dopo la prima guerra mondiale, Gamberi tenne un discorso agli operai delle fonderie, insieme a Gino Spagnesi. Aveva la voce tonante, suscitava interesse..."

Neanche il fascismo ( gli squadristi di Roccastrada gli augurarono, nel '28, la ghigliottina, o dieci pallottole nella schiena dalle colonne della "Maremma", il foglio fascista grossetano, che dal '38 al '44 condusse una vergognosa campagna antisemita ) (1) riuscì a cancellare la sua memoria fra i sovversivi della nostra zona: "Quando, prima del Quaranta, incontravo in campagna "Baldoria" o Adamo, - ci ha raccontato uno di loro - lontano dai fascisti e dalle loro spie, rammentavamo qualche volta il Gamberi e le sue poesie contro gli interventisti, e ci domandavamo se era ancora vivo, perché, dopo il fatto del prete, non s'era saputo più nulla né di lui né di Meo" (2).
Ma chi era Antonio Gamberi?

Nato a Grosseto il 16 maggio 1864, segue la famiglia a Tatti, dove la morte del padre lascia lui e la madre ( che fa la lavandaia ) nella miseria più desolante, costringendolo ad abbandonare, ad otto anni, la scuola per sostenere il magro bilancio familiare con le mercedi, che si guadagna nella campagna e nei pozzi minerari. Ma la sete di sapere, che è in lui fortissima, lo riconduce allo studio e "un servo di Dio", dal quale riceve - con indubbio profitto - 65 lezioni di lingua italiana, lo aiuta ad affinare le sue capacità espressive.
Non sappiamo se Gamberi entri, in questi anni, in contatto con gli internazionalisti, che sono ancora presenti a Massa Marittima; è legato, in ogni modo, - come il Cinci e il Dei - ai repubblicani locali e influenzato dalle tradizioni risorgimentali che sono ancora vivissime nella zona e in special modo nel capoluogo municipale. Il suo distacco dai democratici e l'approdo al socialismo si verificano un po' più tardi e lo portano nel 1894 a fondare a Tatti una delle prime sezioni socialiste della provincia di Grosseto. Quantunque intransigente e "massimalista", Gamberi si dichiara favorevole nel 1895 alla conferma dell'on. Ettore Socci alla Camera, perché - replica ai suoi critici - l'antico garibaldino si è sempre battuto contro Crispi e merita la fiducia dei sovversivi. Nel frattempo denuncia, dalle pagine della "Martinella", la politica antioperaia delle Società minerarie e dei loro tecnici ed ingegneri, che fanno il bello e il cattivo tempo a Casteani, a Boccheggiano e a Massa, ai danni dei lavoratori, e si schiera apertamente - insieme a Quintilio Pericci e a Patrizio Biancani - al fianco del dottor Goffredo Iermini nella lunga e difficile battaglia, che il medico ha intrapreso per la difesa dei diritti di legnatico dei tatterini, negati e minacciati dalle pretese di un latifondista senese. Ce n'è d'avanzo perché la magistratura del tempo lo assegni, il 12 novembre 1895, al domicilio coatto per la durata di tre anni.

Caduto Crispi e revocata la misura, Gamberi si prodiga, dal 1896 al 1898, per lo sviluppo della Camera del lavoro di Massa, insieme a Gaetano Poli, a Varese Parrini, a Leopoldo Gasperi e a Narciso Fedeli, poi, superata senza troppi danni la fase della "reazione pelluxiana", riprende l'attività politica e giornalistica, attirando di nuovo su di sé l'attenzione della Prefettura maremmana, che, il diciotto luglio 1900, lo scheda. Nel modello A le autorità grossetane scrivono, tratteggiandone il "profilo" politico, che egli si comporta bene verso la madre, che è "ascritto" al partito socialista e ha molta influenza a Tatti, che scrive per l'"Etruria nuova" e la "Martinella" e svolge "assidua e ininterrotta propaganda" fra la classe operaia, che è capace di tenere conferenze e ne ha tenute "diverse nel suo paese, ma in case private".

Trasferitosi nel 1904 a Roccatederighi, Gamberi comincia a collaborare regolarmente con l'"Etruria nuova", l'organo provinciale del partito repubblicano, al quale invia settimanalmente i suoi "pezzi" fino al 1907 ( eccezion fatta per il breve periodo, in cui sostiene, alle "politiche", il candidato socialista Romolo Sabatini invece del deputato uscente Ettore Socci ). Degli articoli, da lui scritti in quel quadriennio - e firmati spesso con gli pseudonimi di "Rinio" o di "Nagario" -, meritano una menzione quelli sui preti ( don Terzani ed altri ), sui flagellanti e sui brogli elettorali. "Ateo convinto", Gamberi esprime sugli "incappati" di Roccatederighi (3) giudizi non diversi da quelli di altri socialisti e anarchici ( come Pietro Ravagli e Florindo Andreini ), che quelle forme di religiosità popolare condannano senza appello. "Il venerdì santo - leggiamo in una sua corrispondenza - a Roccatederighi, fu giornata di teppa clericale. Dalla processione di mezzogiorno a quella serale fu tutto un cimentare, un provocare, specialmente la gioventù, da parte di una banda di incappati, gente settaria, intollerante e brutale; spurgo, il peggiore, della tradizionale e famosa disciplina; avanzo di gabbacristi che sorge dai fondacci di sacrestia per ammorbare l'ossigeno pubblico e turbare la pace dei liberi cittadini, con parole ingiuriose, con invettive da truogolo..."

In più di un'occasione Gamberi mette la sua penna al servizio di altri sovversivi, ingiustamente perseguitati, e nel 1907 difende Elia Baldanzi, un anarchico roccastradino, già condannato nel 1900 per aver così commentato l'uccisione di Umberto IIº: "Hanno ammazzato l'orso" e ora accusato da alcuni rocchigiani, che si celano dietro l'anonimato, di essere il mandante di omicidi e attentati immaginari.
La denuncia di alcune irregolarità, registratesi a Tatti durante un'elezione amministrativa, gli costa una condanna a 16 mesi di reclusione (4), che lo costringe ad emigrare clandestinamente in Francia, per evitare la carcerazione. E sulla sua partenza dall'Italia egli scrive nel 1908 una lirica, "La mia fuga", che appare su "La Blouse", la "rivista di letteratura operaia, compilata esclusivamente con scritti originali dei lavoratori del braccio" e diretta da Lorenzo Cenni, alla quale collaborava dal 1906.

Oltr'Alpe Gamberi trova rifugio a Joeuf, dove dimora per quasi 7 anni, continuando a collaborare ai giornali e alle riviste socialiste e sindacaliste italiane con articoli e poesie. Per vivere fa il manovale e il minatore, ma la gracile fibra lo obbliga spesso a ripiegare sulla meno faticosa - anche se più incerta - vendita di libri e giornali politici fra gli italiani emigrati. Non troppo lontano da Joeuf, a Auboué, è attiva una piccola "colonia" di tatterini e roccastradini, che si aiutano vicendevolmente e lo soccorrono, quando ne ha bisogno. E di alcuni di loro (l'anarchico Leopoldo Baldanzi, il sovversivo Giocondo Tognoni, il socialista Giuseppe Faelli, ucciso a 57 anni dal crollo di un masso nella miniera di Auboué) Gamberi stila necrologi commossi per i fogli maremmani, perché i compagni sappiano.

Nella provincia di Grosseto, intanto, ci si sforza di trovare il modo per farlo rientrare in Italia, evitandogli la prigione, e le elezioni politiche del 1909 paiono fornire l'attesa occasione. Con 15 voti su 27 la Federazione socialista di Grosseto decide di contrapporlo, alle "politiche", al deputato uscente, l'avv. Pio Viazzi, subentrato nel 1905 al defunto Socci, ma la scelta viene ribaltata nelle settimane seguenti in favore del prof. Giovanni Merloni. Per protestare contro quella disinvolta operazione e le bassezze che l'hanno contornata ( il segretario del PSI di Grosseto ha avuto l'improntitudine di chiedere al Gamberi di iscriversi al partito, pur sapendo che aveva fondato la sezione di Tatti e che era membro di quella di Lugano ), il socialista tatterino Cerfolli denuncia da Auboué, su un foglio sindacalista, la "boieria" compiuta il 15 agosto 1908 "a danno del nostro compagno carissimo Antonio Gamberi" dai "riformicoloni" dell'apparato maremmano, che gli hanno preferito il prof. Merloni, non piacendogli "il nome di un operaio".

Rimasto forzatamente in Francia, Gamberi può comunque far stampare a Firenze, grazie alla "cura" di Lorenzo Cenni, il suo primo opuscolo poetico: "Il conciliabolo, il prete: versi per Antonio Gamberi (minatore)", quindici pagine, che vennero "tirate" dall'officina tipografica A. Vallecchi. Nella prefazione il Cenni dice: "A questi ultimi versi martelliani inediti - Il conciliabolo - aggiungo per desiderio di moltissimi amici, la poesia Il prete, già inserita nella rivista La blouse e giudicata benevolmente da dei veri intellettuali..." Sempre a Firenze appare nel 1913 la prima corposa raccolta delle sue poesie, un volume di 223 pagine, dove propone le liriche, scritte nell'esilio dal 1908 al 1911, fra cui "L'assassinio di Francisco Ferrer...", "Maria Spiridonova", "In morte di Andrea Costa" e "Al compagno Santi Cigni". A Joeuf Gamberi vive sino al 1914, quando, sospesa la pena, può rientrare in Italia. Il conflitto mondiale è già scoppiato e il poeta si schiera subito a fianco dei "pacifisti", partecipando, a Roccastrada e a Roccatederighi, ad accese manifestazioni antibelliche, che si concludono con la sua denuncia e con quelle di molti suoi compagni. A guerra finita, Gamberi conferma le sue scelte massimaliste (è "serratiano") e tiene alcuni vivaci comizi a Tatti, a Boccheggiano, a Follonica e a Scarlino...

Nel 1920 appare a Firenze un altro suo poderoso tomo di poesie, intitolato "Battaglie sovversive". Le pagine sono 304, la tipografia è quella - famosa - del Polli. Dedicato: "Alla sacra memoria di Rapisardi...", il volume contiene una breve avvertenza dell'autore. I temi sono in prevalenza politici, le poesie sono state scritte in Francia e in Italia dal '14 al '19. Nei suoi versi ci sono gli emigranti, il Giusti, il Carducci, il poetastro di Scarlino, i compagni caduti nell'immane macello (Basilio Ferrari, Ranieri Santoni, Eufemio Bucci), Fritz Adler, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Dopo la scissione di Livorno, Gamberi rimane nel PSI e agli attacchi dei comunisti replica con ironia nel maggio del '21: "L'ultima volta che ho parlato a Boccheggiano e Tatti, povero me! sono stato sfortunato, poiché - ingenuo che sono! - ho avuto il torto di esporre ciò che penso io, anziché quello che pensano i "puri". O che sapevo io se la sincerità offende le pudibonde orecchie dei rossi passati all'altra riva? Secondo il corrispondente dell'"Idea comunista" cominciai bene e finii male perché criticai - nulla importa se obiettivamente e serenamente - il distacco dei "puri" dal Partito Socialista. Ma i "puri" scherzan poco e mi han rimbeccato a dovere. Confesso che hanno fatto bene. Così imparerò che il diritto di critica, quasi sempre di diatriba, compete solo a loro. Noi che, secondo i "puri", siamo pompieri della rivoluzione, socialdemocratici, traditori del proletariato e... chi più ne ha più ne metta, noi abbiamo l'obbligo di tacere e di prendere musulmanamente ciò che ci scaraventano addosso..."

Frattanto nella provincia maremmana monta la furia fascista, a fine giugno i seguaci di Mussolini distruggono la Camera del lavoro di Grosseto, il Circolo dei ferrovieri e la sede del foglio socialista "Il risveglio" e uccidono Giuseppe Savelli e Ancario Diani, poi, in luglio, gli "schiavisti" trucidano - nella strage tremenda di Roccastrada - Vincenzo Tacconi, Luigi Nativi (5) ed altre otto persone, mentre le autorità stanno inerti a guardare. Meno di un anno dopo, il 13 maggio 1922, uno degli "italianissimi", lo squadrista Soldatini, bastona selvaggiamente il poeta a Roccatederighi, lasciandolo ferito in un campo. Gamberi non denuncia l'aggressore e trova di nuovo riparo a Joeuf, in Francia.
A quasi 60 anni è di nuovo in esilio: solo, in cattive condizioni di salute, in un paese, che non è tenero con gli stranieri, che "fanno politica". Per qualche anno lavora come manovale per una Società mineraria, poi torna a vendere gli opuscoli e i giornali antifascisti e nel '26 è colpito, inevitabilmente, da una misura di espulsione, che viene sospesa in seguito alle proteste di alcuni deputati comunisti e socialisti francesi. Lo stesso anno riesce a dare alle stampe a Parigi, per i tipi di A. R. Morelli, un altro grosso tomo di poesie: "Battaglie antifasciste", che raccoglie, in 264 pagine, i versi, che ha composto dal 1921 al 1925. Fra i personaggi, che affollano il volume, non mancano Costantino Lazzari, Giacinto Menotti Serrati, Giacomo Matteotti e Roberto Marvasi. E ci sono pure molti rinnegati, come Francesco Giunta e Edmondo Rossoni:


"Sindacalista rosso, un tempo attese
il regno a rovesciar del capitale,
e il verbo a propagar dell'ideale,
nel nuovo mondo, tanta forza spese.
Ma quando il fuoco bellico s'accese,
parteggiò per la guerra universale,
indi, per conseguenza naturale
ai gradi primi del fascismo ascese.
delle corporazioni, oggi, alla testa,
l'acqua col fuoco a conciliar si prova,
la notte e il dì, la calma e la tempesta.
Ma per quanto almanacchi, mai non trova
l'utopistica meta, che molesta
l'arrivato campio dell'era nuova".


L'8 agosto 1926 Gamberi viene sorpreso dai gendarmi francesi alla frontiera del Lussemburgo con un certo numero di copie di "Battaglie antifasciste" ed è respinto nel paese confinante. Rientrato a Joeuf, viene arrestato nel 1928 con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio di un prete della Bonomelli, strettamente legato ai fascisti, e forse loro spia, che è stato ucciso a pistolate dall'anarchico scarlinese Angiolino Bartolommei. Riconosciuto estraneo al delitto e rilasciato, malgrado le pressioni del regime italiano, il poeta deve peregrinare negli anni seguenti fra il Belgio, il Lussemburgo, la Catalogna e la Francia, dove, nel 1932, vede la luce il suo quinto volume di poesie, "Rime sparse", dal contenuto violentemente antimussoliniano.

Ancora membro del troncone massimalista del P.S.I., che nel 1930 ha espulso Nenni e altri riformisti, Gamberi deplora sull'"Avanti!" di Parigi la scelta del glottologo Zingarelli, che ha dedicato il suo celebre dizionario al duce del fascismo. Lontano e ostile agli stalinisti, il poeta conduce una vita stentata, nonostante l'aiuto, che riceve da Silvio Barberini ("Sidney"), Alfredo Barbati (poeta anche lui), Adolfo Catoni, Giuseppe Fusero (più tardi miliziano nella "Lenin" del POUM) e Gaetano Capitani, quasi tutti massimalisti. Ed è Barberini a far stampare, nel 1937, il suo ultimo opuscolo, "Epopea spagnuola", 16 pagine in ottava rima, "edito a cura di Sidney pro Spagna rivoluzionaria. Per le ordinazioni - si legge sulla copertina - scrivere al Partito socialista italiano (massimalista) boite postale 28, Paris XII".

Nonostante l'età avanzata, Gamberi non ha abbandonato la politica e si interessa dell'arruolamento dei volontari antifascisti per la Spagna, continuando perciò ad essere incluso nella lista degli attentatori maremmani, insieme agli anarchici Settimio Soldi, Picche Cignoni, Angiolino Bartolommei, Pilade Grassini e Ruggero Gonnelli (6) e ai comunisti Giuseppe Maggiori e Domenico Marchettini ("il ricciolo"). L'impegno politico si esprime anche attraverso i versi (7), con i quali commenta, fino al 1939, la tragica corsa dell'Europa verso la catastrofe. La morte lo coglie a Joeuf nel 1944, a 80 anni, e la notizia della sua scomparsa viene portata l'anno seguente a Tatti, al nipote prediletto Duilio Fiacchi (8), da Zeffiro Bertini e Dino Cillerai, due compaesani tornati in Italia dopo 20 anni d'esilio.


Note
(1)Con linguaggio menzognero e violento, i fascisti di Roccatederighi scrissero sulla "Maremma" di essere rimasti "oltremodo sorpresi e sdegnati" del rilascio di Antonio Gamberi, "salito ai fastigi della delinquenza internazionale come mandante dell'assassinio di don Caravadossi... E' un delinquente nato che è vissuto e vive in un ambiente putrido e infetto e che ha volta la mente sempre al male. Era degno della ghigliottina: la sua fine sarà quella dei rinnegati e degli assassini. Una benda agli occhi e 10 pallottole nella schiena, ecco il nostro augurio e le nostre speranze".
(2)"Baldoria" era Domenico Cignoni, Adamo era Adamo Petrai, "Meo" era Angiolino Bartolommei. Tutti e tre avevano fatto parte, insieme a Beroldo e a Liberato Bianchi, a Marx e a Francesco Portanti, a Pinamonte Barborini, a Picche Cignoni, a Corrado e a Narciso Portanti, a Biagio Cavalli, a Riccardo Gaggioli, a Baldo Bixio Cavalli, a Settimio, a Severino e a Stenello Soldi (e a "Belluria", al "Ministro" e a "Ciccale", "che prima della capriola aveva scritto dei bei versi") della Federazione anarchica maremmana e tutti - meno il gavorranese Barborini - erano stati membri del Gruppo scarlinese, uno dei nuclei libertari più importanti e combattivi della provincia.
(3)Sugli "incappati" rimandiamo alle acute pagine, che Roberto Parrini ha premesso al poema di Pietro Ravagli, "I flagellanti di Roccatederighi", Reperti, Grosseto, n.1, giugno 1977, p.1-4.
(4)Il gerente dell'"Etruria nuova", Giuseppe Carlo Benci, fu condannato a dodici mesi di carcere.
(5)Sulla strage si rinvia alla testimonianza del figlio di Luigi Nativi, Venanzio, raccolta da Rodolfo Bugiani a Roccastrada il 29 dicembre 1996.
(6)L'anarchico Ruggero Gonnelli - uno di "quelli del passo avanti" - è stato brevemente ricordato da Aristeo Banchi nelle sue memorie.
(7)Quei versi formano due grossi volumi, ancora inediti.
(8)Duilio Fiacchi e suo fratello Emidio erano soprannominati "i fratelli Bandiera", in ricordo dei martiri del Vallone di Rovito di Cosenza.


Alcune delle poesie inedite di Antonio Gamberi


L'assassinio di Francisco Ferrer

il martire catalano

Altra vittima, ancora, altro delitto
perpetrato dal torbido Loyola.
Il martire Ferrer cade trafitto
dal piombo della reggia e della stola.
Rivive Torquemada contro il dritto
di pensiero, di vita e di parola,
e il Sant'Uffizio peggiorato, a prova,
egli sinistramente, oggi, rinnova.

Eppure pareano tramontati i tempi
della barbara e truce Inquisizione;
ma, purtroppo, tremendi e spessi esempi
ci provano l'inganno e l'illusione.
Inaudite torture, orridi scempi,
strazi e massacri, senza paragone,
raffinati supplizi di spavento,
riportano la Spagna al cinquecento...


(Da "Ultime battaglie", 1913)


Epopea spagnola

Trascorron gli anni e se ne va la vita
verso la sera, menomata e stanca.
Fra scarso udito e vista indebolita,
la forza del pensiero vacilla e manca.
Ma nella confusion vasta, infinita,
di cui tripudia Creso e si rinfranca,
serbo la fede e il desiderio interno
di stampar la Cronistoria ed il Quaderno.

All'occidente là, frattanto io scerno
Rabbia che infuria in civil guerra enorme,
ove l'infamia del fascismo odierno
si manifesta in centomila forme.
E la democrazia d'obbrobrio eterno
si macchia, mentre temporeggia, o dorme,
o propugna evirato neutralismo
che la strada facilita al fascismo...


(Da "Epopea spagnola", 1937)


La Risveglia nuova serie on-line del giornale fondato nel 1872