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![]() 54^mostra del Cinema di Venezia
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Un pubblico (tra il quale si annidavano parecchi vip, da Maurizio Nichetti a Mira Sorvino, da Vittorio Sgarbi a Giorgio Armani, interprete quest'ultimo di un gradevole siparietto con il pubblico, al quale ha firmato numerose magliette, e con Sly e Mira, con i quali ha intavolato un piccolo parlatoio in bilico sugli scalini tra la platea e la galleria) che ancora una volta non occupa interamente la Sala Grande (nonostante una certa coda in più del solito, ma assolutamente incomparabile con i tempi d'oro del Festival, quando all'arrivo dei divi e prima delle proiezioni la circolazione nel piazzale antistante il palazzo del cinema era praticamente impossibile...).
Delude non per l'interpretazione dei vari attori, tra i quali sono da ricordare - oltre ad uno Sly comunque credibile nella sua ciccia, nella sua faccia triste, nel suo essere spesso impacciato e nel suo handicap uditivo - un baffuto Robert De Niro, Harvey Keitel e Ray Liotta, ma per l'esasperante lentezza con la quale dall'inizio alla fine con monotonia ossessiva il regista James Mangold conduce la narrazione. Aveva invece in prima serata colpito l'intensità dell'interpretazione di un ottimo Jeremy Irons nella pellicola di Wayne Wang Chinese box, massiccio film - impreziosito dalla affascinante presenza della bella Gong Li - ambientato nell'epocale recentissima svolta dell'handover di Hong Kong, cioè della restituzione alla Cina popolare della ormai ex colonia britannica.
Ma Jeremy Irons ha saputo infiammare anche le spiagge del Lido, recandosi a passeggio quasi in incognito (inforcando scuri occhialoni da sole) fra le capanne del Des Bains, seguito da una troupe televisa.
Due paroline prima di chiudere sul "politicamente scorretto" Gummo, opera prima di un ragazzino sciroppato di ventitré anni dal nome improponibile: Harmony Korine, film che dimostra le indubbie doti e tutte le paranoie del giovane.
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