American Beauty

 

Gli americani evidentemente non sono abituati a lavare i panni sporchi in famiglia; lo fanno in pubblico, sul grande schermo, demolendo ogni record di incasso. American Beauty è uno dei migliori film che mi siano mai passati sotto gli occhi; non merita un Oscar, ma due, tre, quattro, cinque. E sono sicuro che li porterà a casa, senza che nessuno abbia niente da obiettare. Il regista Sam Mendes è un esordiente, ma tutto sembra meno che uno studente di cinema; approfondisce ogni personaggio, ha delle trovate semplicemente geniali (non un paio, almeno una decina), non si fa assolutamente intimidire da mostri sacri come l'attore Kevin Spacey, già Oscar per I soliti sospetti.

Sostanzialmente, quando vedi un film di pomeriggio e ci pensi tutta la sera e parte della notte, allora è davvero un capolavoro: mi è capitato finora solo la prima volta che assistei allo Psycho di Hitchcock, poi con Forrest Gump, Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme e La vita è bella di Benigni. Domenica scorsa, lo stesso è avvenuto con il sublime American Beauty, film formalmente perfetto, cattivissimo e originale, disinvolto e coinvolgente. Fantastico.

Sam Mendes rivolta il sogno americano, trasformandolo in un terribile incubo, dove le persone si odiano a vicenda, sono chiuse nel loro menefreghismo o perbenismo o conformismo (a scelta), sono assillate dall'ossessione di essere "uno qualunque". Nella famiglia-tipo il padre, preso a calci in culo dalla vita, si arrapa con le amiche della figlia diciassettenne, la figlia stessa vorrebbe la morte del genitore, la moglie è una nevrotica che sceglie come idolo un vile impresario il quale, al contrario suo, ha avuto successo (e i due finiscono a letto insieme). Poi ci sono i vicini di casa: il padre è un nazista che odia gli omosessuali, la moglie è catatonica per scelta, il figlio esplora il mondo tramite una telecamera, e non appena si toglie la maschera da bravo ragazzo, spaccia ogni tipo di droga. Poi c'è Angela, la conturbante e magnifica Mena Suvari, che dopo la ridicola corrida sessuale di American Pie finalmente arriva ai livelli che le competono; attira le fantasie sessuali del padre di famiglia, si finge disinibita e si atteggia a troietta, mentre in realtà è tutt'altro.

L'America di Mendes è feroce, grottesca, appagata solamente all'apparenza, dove per nuotare devi ingoiare; così come il protagonista del film Lester, uno straordinario Spacey, affiancato dalla grande Annette Bening, nella parte della moglie che coltiva le rose "American Beauty", letteralmente "bellezza americana". Ma la bellezza si ferma alla fiancata esteriore, vista da fuori; quando arrivi al dunque il mito degli Stati Uniti è in realtà solo un involucro, che sventola i suoi ideali di latta, e come Lester è costretto a masturbarsi per essere felice. La via per ammirare la Bellezza, quella vera, non è un percorso isterico e labirintico; basta osservare un sacchetto di carta che danza nel vento per "stare da Dio". Lester ci riesce, ma poi fa una pessima fine; allo stesso tempo la sua morte annunciata diffonde un'ala di amarezza e malinconia alla pellicola, ma rende il film unico, pronto a collezionare riconoscimenti a Hollywood.

Trasmettere tutto questo attraverso una telecamera era un'impresa stratosferica, eroica; non trovo la definizione, ma American Beauty non è soltanto cinema. I tre Golden Globe già ricevuti sono stati soltanto l'inizio; e tutto quello che verrà non sarà mai abbastanza.

Voto: 10

Film

Pazzi in Alabama

Haunting - Presenze

The Sixth Sense

Essere John Malkovich

American Beauty

Torna a Cinema