AL SETTIMO PIANO E
MEZZO DI UN GRATTACIELO C'E' UNA PORTICINA: ENTRATE, E
PREPARATEVI A
ESSERE JOHN
MALKOVICH
Voglio esagerare: esco dalla sala
convinto di aver assistito ad una straordinaria
manifestazione artistica. In altre parole un capolavoro.
Essere John Malkovich è uno spettacolo
partorito con arguzia, intelligenza, inventiva e talento da
Adam Spiegel, che in arte si fa chiamare Spike Jonze. E' la
sua prima esperienza dietro ad una telecamera, dopo aver
fatto l'attore in Three kings di David
O'Russel.
Il personaggio è molto
particolare, quasi come il suo film; la pellicola è
praticamente impossibile da catalogare, con una definizione
forzata verrebbe da dire un incrocio tra commedia e filone
fantascientifico. Ma questo film è molto di
più. La vicenda ruota attorno a Craig, interpretato
da un sorprendente John Cusack; Craig è un
burattinaio disoccupato, ha una moglie maniaca degli animali
con cui convive in una sorta di tacita indifferenza,
lasciando che lo scimpanzé di casa gli salti addosso
o che il pappagallo lo svegli sbraitandogli contro ogni
mattina. Uno sfigato, insomma. Ma un giorno
un giorno
trova lavoro in una ditta, situata nell'irreale settimo
piano e mezzo di un grattacielo, dove i soffitti sono
incredibilmente bassi. Lì scopre una porticina, che
introduce nella testa del celebre attore John Malkovich, ma
solo per un quarto d'ora. Subito l'ingenuo Craig mette in
piedi un business, insieme ad una collega bella e stronza di
cui è innamorato. Purtroppo per loro, Malkovich non
è stupido, ed inizia presto ad intuire che qualcosa
non va
Basta così, anche
perché la trama si sviluppa poi in maniera talmente
contorta e originale, in un miscuglio di sentimenti, doppie
identità, assurdità e paradossi che svelarla
sarebbe una fatica, oltre che un peccato.
Nel primo tempo l'impronta della
commedia è evidente, e Jonze è capace di far
ridere o sorridere con un'eleganza ed una raffinatezza tale
da far trasparire grande signorilità e rispetto per
lo spettatore, elementi questi praticamente impossibili da
riscontrare nella consueta ammucchiata filmica
natalizia.
Nella seconda frazione, dopo
l'intervallo, davanti ai nostri occhi si presenta uno
spettacolo drammatico, con una notevole potenza metaforica,
ma sempre scrupolosamente studiato: Jonze conosce e plasma i
toni e i registri da usare secondo le varie situazioni,
studia profondamente ambienti, attori, personaggi, insomma
non sbaglia un colpo. Tra le intuizioni più riuscite
c'è la metamorfosi di Cameron Diaz: la ragazza
bionda, spigliata e rubacuori di Tutti pazzi per Maty
è una casalinga bruttina e disillusa, tradita dal
marito, che scopre addirittura di essere lesbica.
Esssere John Malkovich non ha
sbancato il botteghino, e non lo sbancherà, ma
finalmente mostra cosa significa fare Cinema, e si distacca
da ogni sorta di americanata, forse anche per
l'umiltà e l'impegno meticoloso di un regista al suo
primo lavoro. Dalle parti di Hollywood gira addirittura la
voce che George Lucas sia rimasto favorevolmente
impressionato dal film, e che stia pensando di affidare a
Jonze la sceneggiatura del prossimo Star Wars. Non so
se questo accadrà veramente; però sono certo
che lo spettacolo a cui ho assistito confluisce egregiamente
sul grande schermo la labirintica originalità della
mente del suo creatore, scavalcando con inaspettata
disinvoltura ogni canone cinematografico.
Bello davvero.
Voto: 8
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