Cinque mesi alla grotta del Formale (parte I)
cronaca di una esplorazione
di Emanuele Cappa
Premessa
La storia moderna delle esplorazioni nel Formale comincia nel 1971, quando gli speleosub dell’Associazione Speleologica Romana superano il secondo sifone e si fermano all’inizio del terzo, non immaginando i chilometri di gallerie, percorribili senza il respiratore, che si trovano pochi metri più avanti. Lo sviluppo della grotta da loro rilevata è comunque di 245 metri mentre la profondità raggiunge i 15 metri (fondo del secondo sifone).
Negli anni successivi mia madre, Alberta Felici, che da un decennio si dedica allo studio sistematico del carsismo nel comune di Carpineto Romano, constata che dal Formale, durante le piene, escono foglie di faggio, un’essenza che si trova solo a quote superiori. Ipotizza, quindi, un collegamento con l’Inghiottitoio di Pozzo Comune, il cui ingresso si apre 450 metri più in alto e a 6 km di distanza in linea d'aria, presso l'orlo inferiore della conca carsica del Piano delle Faggeta.
Essendo tutti convinti che la grotta prosegua come un lunghissimo sifone, nessuno si cura di tentare altre immersioni finché, nel 1990, Massimo Bollati del GSCAI Foligno, dopo aver letto il libro sulle grotte di Carpineto Romano pubblicato da mia madre, decide di immergersi in solitaria nelle acque del Formale. Superato con facilità il terzo sifone, percorre un’ampia galleria e si ferma davanti a un pozzetto a ben 517 metri di distanza dall’ingresso!
Tornato una seconda volta, sempre in solitaria, Bollati arma il pozzetto, lo discende e percorre altri 190 metri di galleria arrivando all’imbocco di due pozzi paralleli che gli sbarrano il passaggio. Successivamente, aiutato da altri speleosub del gruppo di Foligno, rileva tutto il ramo principale ed esplora per brevi tratti alcune diramazioni laterali.
Il lavoro però comincia a farsi psicologicamente pesante: tutti gli ambienti conosciuti si trovano più in basso rispetto alla quota dell'ingresso dal quale, in caso di forti piogge, a volte in Inverno esce un fiume d'acqua! Se arrivasse una piena improvvisa gli esploratori non avrebbero il tempo necessario per raggiungere gli autorespiratori, indossare le bombole e tornare fuori attraverso i sifoni. La prospettiva di fare la morte del topo raffredda un po' gli animi e le esplorazioni proseguono a rilento.
Nel Gennaio del 1995 Bollati scopre uno scomodo cunicolo che drena l'acqua di uno dei laghi che si trovano prima di arrivare al pozzo. Poco più avanti il cunicolo sbuca in una galleria secondaria posta ad una quota inferiore rispetto al ramo principale. Qualche giorno più tardi Bollati telefona a mia madre e la informa della scoperta. Tra le altre cose le dice che, visto l'andamento della cavità, sta diventando troppo pericoloso portare avanti l'esplorazione, dato che nessuno sa che cosa succeda all'interno della grotta dopo un temporale violento. Certo, se non ci fossero quei sifoni sarebbe tutta un'altra cosa...
Mia madre capisce che è finalmente giunto il momento di svuotarli.
Inizia l'avventura
.I.
Giovedì 9 Maggio 1996
Partecipanti: Vincenzo Battisti, Geminiano Montecchi, Franco Principi.
Franco Principi, un pompista di Colleferro contattato da Geminiano Montecchi, nostro amico e geologo di Carpineto Romano, porta con un camion il gruppo elettrogeno, diversi rotoli di tubi in polietilene Geberit ad alta densità, alcune pompe dalla portata di 4 l/s e deposita il tutto davanti all’ingresso del Formale. Collegando un’idrovora da 4 l/s ad alcune manichette di tela (quelle che normalmente usano i Vigili del fuoco) viene svuotato il Primo Sifone e il laghetto successivo. Il tempo non promette nulla di buono anche se il Sole fa capolino tra spesse nuvole.
Mentre Vincenzo, Geminiano e il pompista Franco lavorano in grotta, io vado con i miei genitori a ordinare una muta su misura, che sarà necessaria per l'esplorazione, in un posto sperduto nella campagna a Sud di Roma. Si tratta di un piccolo agglomerato di containers adibiti a uffici e piccole officine artigianali, il tutto recintato da ondulit. Non ricordo chi sia stato a fornirci questo recapito. Il tizio prende le nostre misure (a me e mio padre) con un centimetro da sarto e ci dice di tornare tra una settimana. Abbiamo scelto un modello di muta in due pezzi (salopette più giacchetta) dello spessore di 5mm; sarà un po' di impiccio in grotta ma almeno ci terrà caldi. Fatto questo, andiamo a casa di Antonella Santini a ritirare il trapano a batteria, un Bosch modificato per grotta. In pratica è lo stesso modello che viene usato da chi opera nel Soccorso Speleologico Nazionale.
.II.
Venerdì 10 Maggio 1996
V. Battisti, Giulio Cappa, Tullio Dobosz, Alberta Felici, G. Montecchi, F. Principi, Raffaele Principi.
Alle sette in punto il gruppo elettrogeno è nuovamente acceso dal mattiniero Franco Principi. Con la solita idrovora da 4 l/s, questa volta collegata ai tubi di plastica nera, si comincia a svuotare il meandro successivo al Primo Sifone, al di là del laghetto prosciugato il giorno prima. Nel frattempo mio padre e Tullio Dobosz rilevano ex-novo la grotta partendo dall'ingresso e fermandosi dopo una cinquantina di metri. Nel pomeriggio l'idrovora viene finalmente spostata al Secondo Sifone. Il tempo peggiora e comincia a piovere.
.III.
Sabato 11 Maggio 1996
V. Battisti, Emanuele Cappa, G. Cappa, Annarita De Angelis, Federico Donati, A. Felici, G. Montecchi, F. Principi, R. Principi, Stefano, Maura e Luca.
Arriviamo la mattina presto sotto una pioggia lieve ma costante che non fa sperare nulla di buono. Fiduciosi, continuiamo il lavoro di svuotamento, anche se qualcuno dice che rischiamo di prenderci una piena. Tuttavia, non essendoci testimonianze storiche che il Formale abbia mai emesso acqua dall'ingresso nel mese di Maggio, proseguiamo i lavori con relativa tranquillità.
![]() Il trasporto della pompa |
Certo, trovarsi dentro una risorgenza mentre fuori piove provoca qualche brivido. Infatti io e Federico Donati entriamo, con molta circospezione, a rilevare altri cinquanta metri di galleria e scattare qualche foto con la mia Minolta WeatherMatic 35DL. Ovviamente sobbalziamo ad ogni rumore che somigli anche solo vagamente al gorgoglio di acqua che risale... e di rumori strani se ne sentono molti quando le pompe sono in funzione! Il nostro pensiero va spesso anche ai grossi cavi elettrici da 380 Volt che corrono sopra le nostre teste, ancorati agli spunzoni di roccia, o sotto i nostri piedi, sommersi nelle pozze l'acqua; benché Franco ci abbia assicurato che sono stagni, ci sentiamo un po' agitati. Il sordo rumore delle pompe e il fruscio dell'acqua che scorre dentro i tubi neri di plastica ci accompagnano per tutto il tempo che rimaniamo dentro.
Nel pomeriggio, vista la lentezza con cui l'idrovora sta abbassando il livello del Secondo Sifone, decidiamo di usare la pompa da 15 l/s che Franco ha portato stamani: un siluro di metallo lucido, lungo quasi un metro e mezzo, pesante più di 100 Kg. Il trasporto lungo la galleria è assai difficile. Franco ha legato due sbarre di metallo alla pompa usando dei pezzi di manichetta; reggendo tali sbarre, Raffaele, Geminiano, Franco, Stefano e Luca compiono delle vere e proprie acrobazie lungo tutto il meandro, che non sempre è percorribile sul fondo. Mentre il Sole tramonta viene riattaccata la corrente. Lo svuotamento continua fino alle nove di sera.
.IV.
Domenica 12 Maggio 1996
V. Battisti, Massimo Bollati e Orietta, E. Cappa, G. Cappa, Massimiliano Cignitti, A. De Angelis, T. Dobosz, F. Donati, A. Felici, Elia Mariano, F. Principi, R. Principi, Angelo "Nerone" Procaccianti.
La galleria del Secondo Sifone scende con una pendenza di venti gradi, quindi per poterla svuotare è necessario spostare in avanti la pompa ogni paio d'ore o anche meno. Angelo, Tullio, Elia e Massimiliano, avendo già una muta, si offrono volontari per svolgere questo gravoso compito nell'arco dell'intera giornata. L'operazione si effettua nel modo seguente: mentre due persone con la muta si immergono nell'acqua fino al petto, afferrano l'anello di corda legato alla pompa e la tirano avanti, le rimanenti, tra cui a volte anche il sottoscritto, accompagnano il grosso tubo di plastica impedendo che si stacchi dall'innesto. Il tutto richiede una buona coordinazione dei movimenti. Una volta posizionata la pompa usciamo tutti dalla grotta per essere accolti da una fastidiosa pioggerellina che non dà tregua. Franco attacca nuovamente l'interruttore del gruppo elettrogeno e noi ci riposiamo un po'. Quando vediamo diminuire la quantità d'acqua che fuoriesce dal tubo, il quale scarica direttamente nel torrente al di là della strada, vuol dire che il pelo dell'acqua ha quasi raggiunto la pompa, quindi Franco la spegne e noi rientriamo per spostarla un poco più avanti. Un paio di volte invece capita che ci distraiamo, così la pompa finisce completamente fuori dall'acqua e il gruppo elettrogeno sale su di giri. Franco corre subito a staccare la spina prima che la pompa si danneggi per surriscaldamento.
La pioggia continua a cadere incessante: chi esce con la muta bagnata non ha nemmeno la possibilità di asciugarsi in modo decente, mentre chi resta fuori è costretto a chiudersi in macchina o a rifugiarsi sotto l'ombrello. Per combattere la noia, Federico decide di entrare in grotta e armare un corrimano nei passaggi più disagevoli del meandro tra il Primo e il Secondo Sifone.
"Si sta più asciutti dentro: almeno lì non piove" è il suo commento quando, tre ore dopo, esce. "Ed è anche più silenzioso" aggiunge urlando per sovrastare il POT! POT! POT! del gruppo elettrogeno: un grosso motore diesel, vecchio di trent'anni, con la marmitta sfondata.
Nel primo pomeriggio vengono a farci visita Massimo Bollati e la ragazza. Entrano in grotta e si godono i primi 100 metri "liberati dalle acque". Secondo Massimo è molto meno faticoso percorrerli quando sono allagati. Come dargli torto? In fondo è più facile nuotare che fare le spaccate per evitare di bagnarsi. Chi ha la muta, invece, può camminare sul fondo, anche se in molti passaggi il grosso tubo nero crea qualche impiccio.
.V.
Lunedì 13 Maggio 1996
V. Battisti, E. Cappa, A. Felici, G. Montecchi, F. Principi, Luca.
Lo svuotamento del Secondo Sifone prosegue per il terzo giorno consecutivo. Anche oggi, intorno alle sette, il pompista arriva davanti alla grotta e accende il gruppo elettrogeno. Vincenzo e Geminiano aiutano Franco a spostare in avanti la pompa come hanno fatto ieri Nerone e gli altri.
Verso le quattro del pomeriggio arriviamo io e mia madre per vedere come stanno andando le cose. Spessi nuvoloni continuano ad oscurare il cielo. Un paio d'ore più tardi, quando la pompa finisce nuovamente all'asciutto, indosso una vecchia muta ed entro a dare una mano. Con noi c'è anche un ragazzo di nome Luca. Il Secondo Sifone si presenta come un tunnel, a sezione rotondeggiante, che scende con una pendenza di venti gradi. Essendo la roccia liscia e scivolosa, è stata messa una corda di sicurezza. Circa a metà della discesa la galleria è parzialmente riempita di ghiaia fine e pulita. Prima di arrivare al fondo il sifone fa una curva a destra, poi subito una a sinistra. Qui il fango prende il posto della ghiaia. In mezzo all'acqua, un metro più avanti, spunta la sagoma lunga e affusolata della pompa. Tra la superficie dell'acqua e la volta della galleria c'è abbastanza spazio per passare. Al di là della pompa vediamo una seconda curva a destra, e dal buio oltre la curva sentiamo venire un rumore di cascata.
Il Secondo Sifone è aperto!
Scavalchiamo d'impeto la pompa ed entriamo in acqua bagnandoci fin sopra allo stomaco. Superata la curva, che corrisponde al punto più basso dell'invaso, ci troviamo finalmente dall'altra parte. La volta si alza e, invece di una galleria, vediamo un ambiente largo dai tre ai quattro metri che sale su a gradoni. Il pavimento della salita è coperto da uno spesso strato di fango che nasconde una scura colata di concrezione a vello di pecora. Il rumore di cascata è provocato da un rivolo d'acqua, della portata di circa 3 l/s, che scende dall'alto dei gradoni. Il rivolo ha già inciso un solco nel fango profondo alcuni centimetri. Evidentemente questa è l'acqua del terzo sifone che sta tracimando nel secondo! Spostiamo la pompa nel punto più basso del pavimento e usciamo fuori velocemente. Io e mia madre torniamo subito a casa mentre gli altri rimangono davanti all'ingresso della grotta fino a che la pompa non smette di pescare.
.VI.
Martedì 14 Maggio 1996
V. Battisti, G. Montecchi, F. Principi e altri.
Per evitare di portare un'altra pompa e stendere un secondo cavo elettrico fino al Terzo Sifone, Franco prova ad abbassare la soglia di quest'ultimo a picconate ma rinuncia subito perché il calcare non è certo una roccia morbida. Dopo alcuni tentativi, andati a vuoto, di innescare un tubo che ne travasi l'acqua sfruttando il "principio del sifone", Franco si rassegna a portare in fondo alla grotta una idrovora da 4 l/s e i relativi cavi elettrici. Alla fine lo svuotamento procede in questa maniera: si tiene accesa per un certo lasso di tempo l'idrovora del Terzo Sifone che, con uno spezzone di tubo Geberit, scarica l'acqua nel Secondo Sifone; si attacca poi la spina della pompa da 15 l/s e finalmente il liquido esce fuori dalla grotta. Ovviamente anche nel Terzo Sifone, mano a mano che viene svuotato, è necessario spostare in avanti la pompa con i relativi tubi ed i cavi elettrici. Il lavoro procede senza ulteriori problemi fino a sera inoltrata.
.VII.
Mercoledì 15 Maggio 1996
V. Battisti, G. Montecchi, F. Principi e altri.
Continua lo svuotamento del Terzo Sifone. Come temevamo, il suo bacino deve comprendere anche il lungo meandro allagato che si trova subito oltre. Il livello dell'acqua, infatti, si abbassa con estrema lentezza. Cominciamo a temere che questo invaso ci darà del filo da torcere.
.VIII.
Giovedì 16 Maggio 1996
V. Battisti, E. Cappa, G. Cappa, A. De Angelis, T. Dobosz, A. Felici, G. Montecchi, F. Principi, R. Principi, Fernanda Vittori.
L'acqua accumulata nel terreno in seguito alle piogge dei giorni scorsi ci rende la vita difficile. Infatti, nonostante il tempo sia diventato bello già da ieri, per evitare di bagnarci sopra l'inguine siamo costretti ad accendere, oltre a quella del Secondo Sifone, sia la pompa del Primo Sifone che l'idrovora posta nel meandro successivo. Solamente dopo un'ora riusciamo a raggiungere il terzo invaso senza indossare la muta. Mentre continua lo svuotamento del Terzo Sifone proseguo il rilievo della galleria aiutato da Fernanda e Annarita. Parto dal punto dove lo avevo interrotto Sabato scorso e mi fermo al fondo del Secondo Sifone.
Verso sera il Terzo Sifone, contrariamente alle aspettative, è aperto. Il livello dell'acqua però è ancora alto. Se ne accorgono Tullio e Raffaele che, tornati dentro con la muta addosso, lo attraversano bagnandosi rispettivamente fino al petto e fino al collo. Dopo aver percorso il nuovo meandro, ancora parzialmente allagato, e aver attraversato alcuni laghi con l'acqua alla gola, arrivano al primo pozzo della grotta, da noi doverosamente battezzato Pozzo dei Folignati. Lungo il meandro che lo precede trovano la scaletta di alluminio e la corda degli speleosub di Foligno aggrovigliate dalla furiosa piena di Gennaio. Tullio controlla che lo spit a cui sono ancorate corda e scalette sia a posto, quindi scende su queste ultime fino alla cengia di metà pozzo dalla quale, affacciandosi, vede il fondo. La galleria prosegue asciutta.
Io, che sono senza muta, aspetto il ritorno dei due seduto in una nicchia vicina al Terzo Sifone. A un certo punto noto che la grotta è percorsa da una debole corrente d'aria diretta verso l'uscita. Questa corrente, nel giro di un paio di giorni, diventerà abbastanza forte da piegare la fiamma delle lampade a carburo nei passaggi più stretti, e da raggiungere i tubi di cemento che passano sotto la strada, distante ben 15 metri dall'ingresso del Formale!
.IX.
Sabato 18 Maggio 1996
V. Battisti, E. Cappa, G. Cappa, A. De Angelis, F. Donati, A. Felici, G. Montecchi, F. Principi, R. Principi, A. Procaccianti, Luca.
L'inizio del meandro dopo il Terzo Sifone
Mentre Franco e gli altri continuano ad armeggiare con le pompe per abbassare nuovamente il livello dell'acqua dei sifoni, io, Nerone, Federico e Luca ci incamminiamo verso il Pozzo dei Folignati. Ci sentiamo molto emozionati mentre percorriamo quella che da ora in poi chiameremo Galleria Principale. Superato il Terzo Sifone ci troviamo in un meandro parzialmente allagato largo meno di un metro. Le pareti sono interamente coperte da una patina nera di ossido di manganese. Nei pochi posti dove l'ossido è stato asportato dallo stillicidio sembra di vedere delle colate bianche di concrezione, ma non sono altro che roccia pulita. Percorriamo il meandro camminando un po' sul fondo, dove questo è asciutto, e un po' facendo delle spaccate pazzesche per evitare le pozze profonde. A un certo punto il meandro fa una secca curva a destra e pochi metri più avanti le pareti si allargano. Raggiungiamo una spiaggetta di ghiaia scendendo un breve scivolo di roccia liscia con una stretta spaccatura in mezzo. Voltandomi indietro mi accorgo che il meandro da cui veniamo ha in cima una condotta forzata larga circa un metro, e tale condotta è la prosecuzione dello scivolo da cui siamo scesi. Con la spiaggetta di ghiaia il meandro scompare e la galleria si presenta come una condotta forzata di sezione ellittica larga quasi tre metri, allagata per circa metà. Le pareti fuori dall'acqua sono sempre coperte dalla patina nera, quelle sommerse invece sono bianche.
Dopo aver superato tre laghi non molto profondi, bagnandoci fino al collo, ci troviamo davanti a un bivio: la galleria, ora larga quattro metri, si biforca a Y! Per fortuna ho portato con me la fotocopia del rilievo dei Folignati, così la tiro fuori dal barattolo stagno e scopro che dobbiamo girare a sinistra. Pochi metri più avanti la galleria comincia a salire con una serie di gradini alti tra uno e due metri, e va restringendosi fino al diametro massimo di un paio di metri. La spaccatura in mezzo ai gradini si rivela essere un meandro largo in media quaranta centimetri e molto serpeggiante. Qualcuno decide di percorrere la condotta forzata, altri si infilano nel meandro sottostante e dopo una ventina di metri arriviamo tutti alla partenza del pozzo.
Stacchiamo la scaletta di alluminio e la corda di Massimo Bollati poi Angelo e Luca tornano fuori portandole con sé (Luca non ha la muta e sta morendo di freddo). Rimaniamo in due. Federico controlla lo stato dello spit piantato da Bollati e decide che è ancora utilizzabile. Doppia l'armo con un ancoraggio naturale a clessidra, poi attacca la corda nuova ai moschettoni e scende. La corda tocca parecchio sul bordo della cengia a metà pozzo ma per oggi chiudiamo un occhio. Scendo anch'io. Il salto è profondo sette metri e per la prima metà consiste in uno scivolo concoide. Alla base del Pozzo dei Folignati la Galleria Principale si presenta come una condotta forzata del diametro di un paio di metri, riempita per metà da grandi sassi arrotondati e perfettamente levigati come quelli di un torrente. Le pareti ed i sassi sono coperti dalla solita immancabile patina nera, qui particolarmente scura tanto che sembra di stare in una miniera di carbone. Le pietre viscide del pavimento, smosse dai nostri passi incerti, urtandosi tra loro producono un rimbombo cupo che mette un po' in soggezione. Siamo costretti a procedere chinati con gli zaini in mano. Le nostre lampade a carburo faticano a bucare l'oscurità. La galleria prosegue in leggera discesa per una quarantina di metri e io non riesco a levarmi dalla testa il pensiero che da un momento all'altro potrebbe arrivare un fiume d'acqua e sommergerci. Superate un paio di pozze non più fonde di metà coscia, la Galleria Principale svolta secca a destra e riprende a salire. Le pareti si allargano e il soffitto scompare verso l'alto. Ci troviamo in una specie di forra nera con il pavimento che sale su a gradoni coperti di concrezione marroncina a mammellone e a vaschette. Alcune stalattiti e concrezioni a velo pendono dalle pareti e dal soffitto che, usando una potente torcia elettrica, riesco a scorgere sei o sette metri sopra le nostre teste.
Giunti in cima alla salita, la forra si trasforma nuovamente in una condotta forzata larga due o tre metri. La galleria si biforca ad Y e per la seconda volta sono costretto a consultare il rilievo di Bollati per decidere dove andare. Imboccata l'apertura a sinistra, la Galleria Principale prosegue orizzontale. Il pavimento è nuovamente ingombro di grosse pietre lisce e arrotondate. La condotta forzata va restringendosi e a un certo punto ci troviamo davanti una frana che quasi la occlude. Imbocchiamo un'apertura sulla sinistra con la speranza di bypassarla ma sbuchiamo in un salone con il pavimento a forma di imbuto. Da un letto di strato, che costituisce parte del soffitto, pendono numerose stalattiti tubolari, comunemente chiamate spaghetti. Una seconda apertura del salone ci riporta indietro sulla Galleria Principale pochi metri prima della frana. Non resta che infilarci tra il poco spazio che c'è tra i grossi massi neri e il soffitto della galleria sperando che sia quella la direzione giusta. Dall'altra parte la frana termina contro un lago profondo un paio di metri. Il soffitto si alza repentino e la galleria assume nuovamente l'aspetto di una forra. Le pareti laterali si gettano verticalmente nel lago, di cui non vediamo la sponda opposta, nascosta dietro una curva secca a sinistra. Vado avanti immerso fino al petto, aggrappandomi con le mani alla roccia nera e poggiando le punte degli stivali sulle cime dei sassi più alti. Nonostante proceda con estrema cautela, a un certo punto perdo un appiglio e mi ritrovo a nuotare. Lo zaino tubolare arancione galleggia di fianco a me come un salvagente. Un rivolo di acqua gelida mi entra dal colletto della muta e io rabbrividisco.
Raggiungo tremando la spiaggetta all'estremità opposta del lago. Federico, che pur non avendo la muta ha deciso di seguirmi, continua a gridare qualche improperio per scaldarsi. Gli dico che il lago finisce subito dopo la curva. Magra consolazione. Ci troviamo adesso in una spaccatura leggermente inclinata, alta più di dieci metri. Le pareti sono di roccia cataclasata (poggiandoci la mano sopra si staccano delle schegge grandi alcuni centimetri). Evidentemente deve esserci una faglia qui vicino. Superiamo un restringimento dovuto alla concrezione e avanziamo ancora per una ventina di metri poi, in corrispondenza di una curva secca a sinistra, ci fermiamo davanti l'imbocco di un saltino. Un paio di metri più avanti, sulla destra, occhieggia un grande finestrone. In questo posto la roccia è ancora più cataclasata di prima, così Federico è costretto a fare una lunga ricerca prima di trovare un posto dove piantare un paio di spit a mano. Essendo io il peso piuma della spedizione, tocca a me scendere (Federico rinvia la corda sulla sua imbracatura per sicurezza). Quattro metri più in basso mi fermo in spaccata sopra una pozza d'acqua, operazione di per sé inutile dato che sono completamente bagnato. Mi stacco dalla corda e scendo un ulteriore gradino che mi porta in una condotta forzata orizzontale dal diametro inferiore al metro, parzialmente allagata. La roccia qui è buona. Camminando carponi dentro l'acqua raggiungo un altro salto di quattro metri. Torno indietro a prendere la corda avanzata dal salto precedente (è una venti metri) e con questa mi calo giù. Dopo altri trenta metri di condotta percorribile in piedi, arrivo davanti lo specchio d'acqua di un piccolo sifone che battezzo Il Sifonetto. Fine dell'esplorazione. Questo posto ha tutta l'aria di essere un ramo secondario. La prosecuzione della Galleria Principale non può che essere al di là del finestrone in cima al primo salto. Risalendo su, dunque, mi aggrappo alla sella con le mani e scopro due cose: primo la sella è larga non più di quaranta centimetri, secondo c'è un pozzo parallelo molto ampio, profondo almeno il doppio del salto in cui mi trovo. Le pareti sono talmente scure che la carburo non riesce a illuminare l'ambiente, ma guardando in basso noto il tipico riflesso dei cristalli di calcite di una concrezione marroncina. Chissà cosa c'è poco più in là...
.X.
Domenica 19 Maggio 1996
V. Battisti, M. Bollati, E. Cappa, G. Cappa, A. De Angelis, T. Dobosz, F. Donati, A. Felici, Giuseppe "Pippo" Gambelli, Marcello Panzica La Manna, F. Principi, Antonella "Papera" Santini, Stefano Soro, F. Vittori e altri.
La prima squadra entra in grotta intorno alle nove di mattina: siamo io, Stefano Soro e Papera. Il nostro compito è armare il secondo dei Pozzi Gemelli (così abbiamo battezzato i due pozzi paralleli di ieri) e vedere cosa c'è oltre. Portiamo con noi il trapano, qualche fix e una buona scorta di corde. Andando avanti per primo, una volta sceso il Pozzo dei Folignati, invece di aspettare Papera e Stefano seduto su un sasso, mi infilo per curiosare in una piccola condotta forzata che inghiotte lo stillicidio del pozzo appena sceso. La condotta, costituita dall'anastomosi di due condotte minori sovrapposte, del diametro di mezzo metro ciascuna, è tortuosa quanto può esserlo un intestino, e infatti in meno di cinquanta metri sale e scende, gira e rigira un'infinità di volte. Alla fine sbuco a metà parete di un meandro largo un metro e alto sei. Il meandro scende dritto per dritto verso chissà dove... Torno indietro urlando dalla gioia e dico a Papera e Stefano che dobbiamo assolutamente darci un'occhiata. Lasciamo gli zaini alla base del Pozzo dei Folignati e cominciamo una frenetica discesa che ci porterà a percorrere oltre 500 metri di meandro tortuoso, ricco di bivi, passaggi bassi, contropendenze e pure un passaggio quasi sifonante. Arrivati davanti all'ennesimo bivio, sudati non poco a causa delle mute e privi del carburo di scorta, decidiamo di tornare indietro.
Mentre siamo seduti sul pavimento a riprendere fiato, dico ad alta voce: "Ma dove cavolo siamo finiti? Qualcuno sa dirmi che strada è questa?"
Subito Stefano risponde: "Siamo a via Condotti!" e ride.
Il nome di questo ramo dunque sarà Via Condotti.
Torniamo lentamente sui nostri passi realizzando quanta strada abbiamo fatto. Via Condotti sembra non finire mai. A un certo punto sentiamo delle voci provenire dal meandro davanti a noi. Qualche curva più in su incontriamo, con grande sorpresa reciproca, la squadra dei folignati composta da Massimo Bollati, Giuseppe Gambelli e un altro ragazzo. E' ovvio che per prima cosa ci domandiamo: "Ma voi cosa ci fate qui?". Con mia madre infatti eravamo rimasi d'accordo che noi tre saremmo andati ai Pozzi Gemelli e loro avrebbero proseguito l'esplorazione della famosa galleria inferiore scoperta da Bollati l'anno scorso. Quando Massimo ci dice che è questa la galleria inferiore rimaniamo di stucco. Nessuno di noi tre aveva notato la scritta lasciata da lui sul fango in corrispondenza del primo abbassamento della volta. Andavamo troppo di fretta! Anche Bollati rimane sorpreso quando gli spieghiamo che strada abbiamo fatto per arrivare qui, inoltre gli diciamo che questo meandro sembra non avere fine.
Decidiamo di unire le due squadre e andare a esplorare una delle tante diramazioni laterali che abbiamo incontrato. La diramazione, che in seguito chiameremo Ramo D, sale dolcemente per una cinquantina di metri, poi sbuca in un salone alto dieci e largo cinque. Illuminando il soffitto con le torce elettriche scopriamo che in cima alle pareti arrivano due condotte. Stefano prova a raggiungerne una arrampicandosi sulla roccia, poi rinuncia dicendo che sarebbe meglio piantare qualche chiodo. Al di là del salone la diramazione continua a salire con piccoli saltini e vaschette piene d'acqua. Capendo che qui rischiamo di andare avanti a esplorare tutto il giorno, decidiamo di tornare fuori e organizzare a tavolino le future spedizioni. I folignati sono curiosi di vedere il meandrino tortuoso che porta al pozzo in loro onore, così noi tre facciamo strada. Mentre risaliamo Via Condotti decidiamo di battezzare il budello da me scoperto con il nome di Vermiciattolo, mentre al meandro scoperto da Bollati, essendo segnato sul loro rilievo con la scritta "perdita", diamo il nome di La Perdita.
Giunti sotto il Pozzo dei Folignati, mentre Bollati e Gambelli si incamminano verso i Pozzi Gemelli per dare un'occhiata a una diramazione lasciata in sospeso l'anno scorso, io, Papera e Stefano mangiamo qualcosa e rimettiamo in sesto le nostre lampade a carburo. Stefano risale il pozzo per primo, seguito da Papera. Sento che si sono messi a parlare con qualcuno. Quando arriva il mio turno alzo gli occhi e vedo i due folignati in cima al pozzo.
"Ma non eravate andati verso il fondo?" chiedo un po' sorpreso.
"Si", mi rispondono mentre scendono per recuperare i loro zaini. Una volta atterrati mi raccontano: "La seconda diramazione di destra è in realtà un by-pass che riporta al terzo lago prima del pozzo, lo stesso lago dal quale parte il meandro che abbiamo chiamato La Perdita. Il Formale è un labirinto!".
Torniamo fuori storditi dalla scoperta
Durante la giornata sono intanto continuate le operazioni per prosciugare il meandro al di là del Terzo Sifone e rendere la progressione più veloce. Tornando fuori, infatti, notiamo che il livello dell'acqua è stato abbassato di alcuni centimetri, quanto basta per fare qualche spaccata in meno. Nel primo pomeriggio inoltre mio padre e Tullio hanno accompagnato Marcello Panzica La Manna, arrivato ieri da Palermo per motivi di lavoro, fino al Terzo Sifone per una visita turistica (e una doccia con l'acqua del Formale).
Copyright © 1996, 2002 by Emanuele Cappa.
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