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il Quaderno del 3 agosto

Realtà/Tutte le strade portano ad… Arcore

Sarà pure un segno di inguaribile ottimismo, ma quando la politica torna protagonista i problemi organizzativi - di partito e di coalizione - recuperano la giusta dimensione. I personalismi sfumano, la competizione tra capi e capetti si ridimensiona mentre riprendono vigore le proposte che rispondono alle vere esigenze dei cittadini.

Berlusconi riprende con la politica, e con il suo secondo intervento in aula dopo quello di impronta internazionale delle scorse settimane, del dialogo con il Paese che ne riconosce una sincerità e una schiettezza estranee agli altri protagonisti del "teatrino" mediatico-parlamentare.

Ieri il leader azzurro ha calcato l'accento sul Paese diviso in due: non più e non solo tra i moderati e la sinistra che ha prevalso per una manciata di consensi. No, in due mesi di governo Prodi la gente si è divisa in due fronti: da un lato i moderati che invocano di essere liberati al più presto da questo Esecutivo; dall'altro quelli che Prodi l'hanno votato e che sono spaventati dalla debolezza di un governo che ripropone continuamente la fiducia testimoniando l'inizio dell'agonia!

Su questa doppia fotografia Berlusconi ha lanciato il suo messaggio, quel "filo di dialogo" proposto alla maggioranza in affanno che può creare nuovi equilibri tra le esigenze del Paese e le risposte del Palazzo.

Andare per qualche settimana in vacanza predisponendo in vista della ripresa autunnale una serie di appuntamenti politici di rilievo (dal meeting di Rimini, alla riflessione di Gubbio passando per la festa della Margherita a Caorle) restituisce a Berlusconi quella centralità d'azione che alleati e avversari hanno provato senza fortuna ad oscurare.

La sua politica, quella ipotesi di dialogo verso i moderati di maggioranza e verso i riformisti tra i diesse, recupera Gianfranco Fini e offre alla Lega uno scenario aperto che meglio la coinvolge tenendola lontano da altre tentazioni. Berlusconi deve tenere alta la guardia nelle prossime settimane d'agosto, ribadendo come vorrà agli italiani sotto l'ombrellone, quale può essere il progetto, quale è la disponibilità e il ruolo che lui immagina e ritaglia per il più grande partito italiano e la coalizione che guida.

Perché oggi la partita si può vincere solo a patto che la maggioranza consumi le proprie contraddizioni. Berlusconi si è imposto come interlocutore delle varie anime della maggioranza, ma anche dei vertici istituzionali che più contano dal Presidente del Senato a quello della Repubblica. C'è, al fondo, un comune sentire sugli interessi del Paese che ridicolizza le aspirazioni di chi cerca una leadership di schieramento. In attesa che Casini si adegui, persino Prodi ha intuito la centralità di Berlusconi e ha lanciato qualche segnale di disponibilità. Segno che quell'invito di Rutelli, fortemente voluto da Marini, ha spaventato anche lui.

Loro/Mettono la patrimoniale secca

Per modernizzare il Paese, riaprire una società chiusa e rendere più competitivo il sistema Italia, occorre imboccare la via delle liberalizzazioni. E' una necessità, imposta dai tempi e dall'evoluzione del mercato globale, che però fatica a diventare una priorità della politica. Come sa bene Forza Italia, che in tutti questi anni si è dovuta scontrare con le resistenze stataliste e corporative della sinistra più conservatrice d'Europa, e anche di qualche alleato.

Una grande riforma liberale, però, non può essere fatta per decreto, ma deve partire dal basso, andando cioè dal livello locale (comunale, provinciale e regionale) a quello nazionale. Per smantellare intanto quell'inefficiente e costoso modello di "socialismo municipale", fondato su di una serie infinita di enti e società per azioni, a capitale in maggioranza pubblico, che sottraggono risorse allo sviluppo per alimentare le reti clientelari in mano soprattutto alla sinistra. Cominciando, ad esempio, a privatizzare tutte le società partecipate di Comuni, Province e Regioni; e liberalizzando settori come quello dell'acqua, dell'energia e dei trasporti.

Visto che proprio a livello locale è più forte la presa della mano pubblica, delle rendite di posizione, delle corporazioni, dei (piccoli) monopoli, e di quei particolari potentati che, controllando società sostanzialmente pubbliche ma formalmente private, tendono a sottrarsi a qualsiasi tipo di controllo, con grave danno per i contribuenti e per l'economia dei territori. Per giungere infine alla liberalizzazione delle grandi aziende di Stato, delle Banche, delle rappresentanze di interessi organizzati, del mercato del lavoro, del pubblico impiego, dei servizi di pubblica utilità, dell'università e delle attività professionali.

L'obiettivo è quello di aumentare il tasso di competitività e di produttività, rimuovendo concorrenze sleali: quali quelle rappresentate da una parte del sistema cooperativo nel consumo e nell'edilizia. Per quale ragione infatti, in un mercato più aperto, le cooperative dovrebbero conservare un medievale privilegio fiscale? Perché le confederazioni sindacali non sono soggette a Iva o Ires? E perché lo Stato deve continuare a finanziare i loro Patronati? Insomma, una riforma liberale, per essere veramente tale, va pensata e perseguita a 360 gradi. Altrimenti è un'altra cosa: o una liberalizzazione asimmetrica o una falsa liberalizzazione o un intervento punitivo nei confronti di alcune categorie, una "vendetta sociale", come l'ha giustamente definita Berlusconi. considerate deboli per la loro scarsa consistenza numerica. Il decreto Bersani, dunque, non ha nulla a che vedere con una riforma liberale.

E' solo il prodotto di una pericolosa mistificazione intellettuale che vuol farci scambiare la vittoria delle corporazioni maggiori per una sconfitta del corporativismo; e che punta a ricomporre gli interessi economici e finanziari del Paese attorno al blocco sociale del centrosinistra. Una cinica operazione di potere messa in atto con l'arroganza di chi si sente padrone del Paese, di un esecutivo che reclamizza la maschera liberale di Bersani per coprire il volto statalista di Visco. Perché con il decreto, firmato da Padoa Schioppa ma voluto da Visco, ogni banca o intermediario finanziario dovrà rendicontare elettronicamente all'Anagrafe tributaria ogni nostro minimo movimento di denari. Tutto, tranne i bollettini postali inferiori a 1500 euro.

E' il Grande Fratello fiscale, che precede la patrimoniale secca. Perché quando si obbligano Banche, Poste e Sim a fornire periodicamente, con la scusa della lotta all'evasione, l'elenco dei risparmiatori, che altro si vuol conoscere se non la consistenza dei patrimoni? E a cosa serve conoscerli se non a tassarli? Senza contare che il Grande Fratello fiscale potrà disporre, oltre che dei controlli informatici (tramite banche e finanziarie), anche dei controlli telefonici o, per dirla più prosaicamente, delle intercettazioni.

E' una intimidazione nei confronti delle attività professionali e di impresa, è un'ingerenza nella sfera privata di ogni cittadino, è un appesantimento della burocrazia statale, è un terrore giacobino al servizio del Grande Fratello fiscale.

Loro/Ricevono il miracolo di San Petronio

Saremo anche degli ostinati, inguaribili uomini del retropensiero ma la compostezza con cui, ieri a Bologna, è stata ricordata la strage terroristica della Stazione la dice lunga sull'uso strumentale che la sinistra italiana fa delle piazze.

Sarà stato un caso, ma dopo cinque anni di tumultuosi anniversari e di contestazioni, il popolo dei fischi e delle grida e degli insulti è miracolosamente scomparso per lasciare spazio ai liberi applausi, alle lacrime, alle parole di cordoglio e di circostanza.

Dove sono finiti i contestatori con la bandiera rossa, i professionisti del dolore e degli scontri, i fischiatori, i picchiatori, le tute nere, gli sbandieratori della pace? E' vero che siamo in piena estate, tutti pensano soltanto alle vacanze estive e anche i contestatori in servizio permanente effettivo guardano più al mare e alla montagna che alle lapidi commemorative. Ma anche l'anno scorso era estate e lo era - estate - negli ultimi cinque anni quando i rappresentanti del Governo - dell'odiato Governo Berlusconi - venivano insultati, infamati, sommersi di grida e di fischi.

Ieri a Bologna si è ripetuto il "miracolo di San Petronio": la cerimonia è filata via liscia come l'olio, non un grido, non una parola fuori posto. Eppure nulla è cambiato se non il presidente del Consiglio, quello stesso Romano Prodi, che nel 1980 faceva parte del Governo Andreotti quando le mani insanguinate del terrorismo facevano brillare la micidiale bomba alla Stazione.

Nessuno, ripetiamo nessuno ha ricordato questo particolare, perché la sinistra italiana ha la memoria corta quando le fa comodo. Attacca Belzebù Andreotti, ma assolve Prodi. Fischia Berlusconi che a quell'epoca manco pensava di scendere in politica, ma applaude al ministro Santagata, sodale di vecchia data del Professore. Che strana sinistra! Dimentica che il suo premier partecipò alla seduta spiritica per ritrovare Aldo Moro, finge di non ricordare le tante, troppe malefatte dell'allora presidente dell'Iri. E a Prodi risparmia la gogna della piazza, quasi che quella di Bologna, con Prodi presidente del Consiglio, sia un po' meno strage.

Ma dove sono finiti i no global, gli autonomi, tutte quelle frange della violenza di piazza? Non si sono visti neppure durante il vertice tenuto alla Farnesina per il nuovo conflitto in Libano. Spariti, svaniti nel nulla. Non una bandiera, non uno striscione, non un insulto, non un grido per il segretario di Stato, Condoleeza Rice. Che gli americani siano diventati improvvisamente buoni amici? Che la bandiera a stelle e strisce si sia trasformata nel vessillo della pace, dell'Arcobaleno?

Non scherziamo, la verità è che la sinistra è al potere. Bertinotti siede sul terzo scranno della Repubblica e non ha dovuto neppure indossare il doppiopetto di almirantiana memoria, tanto lui si è sempre vestito di cachemire. I verdi fanno parte del Governo e con loro Rifondazione e Comunisti Italiani. I cattocomunisti sono nella stanze dei bottoni. I sindacati sono organici a Prodi. La piazza non serve, non serve più. Anzi: sarebbe un errore agitarla. Così la strage di Bologna diventa una commemorazione vera e non l'occasione per dare addosso al Governo di centrodestra, e il viaggio in Italia della Rice un appuntamento quasi mondano durante il quale D'Alema può mettersi in mostra e biascicare uno stentato, scolastico inglese che appare una specie di dialetto tra il gallipolese e il pisano.

Buone vacanze, miei prodi contestatori a corrente alternata!

Noi/Alziamo la bandiera della libertà

Cita Dostoevskij ed il suo Grande Inquisitore. Continua con Foucault ed il suo "Sorvegliare e Punire". Ed inoltre suggestiona i cattolici, evocando Vanoni e la sua riforma tributaria, vero modello di collaborazione tra lo stato e i cittadini.

La performance di ieri pomeriggio alla Camera non è servita solo a farci capire che Berlusconi è sempre il leader del centrodestra, che i suoi interventi lasciano il segno e che anche la maggioranza si rende conto che qualsiasi apertura seria all'opposizione non può non passare dall'ex premier. Ma il discorso di ieri è stato anche e soprattutto un'analisi e un contromanifesto. E' servito ad illustrare quanto lontane siano le due politiche, centrosinistra e centrodestra, quanto opposti siano gli obiettivi e, soprattutto, quanto sarebbe stata diversa l'Italia se avesse vinto la Casa delle Libertà.

E' stata davvero un'arringa a difesa della libertà e del cittadino quella di Berlusconi. Premiata con più di tre minuti di applausi ininterrotti alla fine. Non solo un riconoscimento, ma anche un tributo. Berlusconi ha parlato della politica fiscale del governo Prodi, criticandola aspramente e definendo l'Italia attuale uno "stato di polizia fiscale". Questo è il punto più importante. Lo spartiacque. La divisione profonda che già alla vigilia del 9 aprile qualcuno prevedeva. Dallo Stato che aiuta il suo cittadino, lo alleggerisce di pesi eccessivi, di lacci e laccioli e, soprattutto di tasse, ad uno stato che, invece, fa della politica fiscale, non solo un'oppressione odiosa, ma anche "uno strumento di vendetta sociale". E fa senso sentire nei tg di ieri sera il ministro Bersani, padre assieme a Visco del decreto votato con la fiducia, affermare che il centrodestra fa l'apologia dell'evasione! Perché, al di là di ogni interpretazione contingente e tattica del discorso di Berlusconi di ieri, c'è un dato di fondo che mette in evidenza concezioni opposte della politica, in particolare del ruolo dello Stato. I veri liberali cominciano ad essere preoccupati. I primi passi del governo vanno davvero verso un accanimento insopportabile verso i cittadini e verso i ceti produttivi.

Perchè sulle tasse c'è un'Italia che crede sia ingiusto lavorare metà anno per sé e gli altri sei mesi per lo stato, contrapposta a un'Italia, quella dei Visco, dei Bersani e dei Prodi, che vuol tassare ancora di più i ricchi perché convinta che la povertà si sconfigga combattendo la ricchezza, non favorendola. E, non contenta di ciò, questa Italia inquadra nel mirino quel ceto medio costretto a lavorare in nero non perché mascalzone, ma a causa dell'eccessiva tassazione. Tassazione che, per vendetta, viene ancor di più aggravata. L'ex premier non ha fatto altro che evidenziarlo. Ecco perché il discorso di ieri, oltre ad essere un intervento parlamentare, è stato un manifesto.

Noi/Liberiamoci dagli abbracci mortali

Concordi e pieni di valutazioni positive nei confronti di Silvio Berlusconi i commenti de Il Sole 24 Ore (Stefano Folli) e del Corriere della Sera (Massimo Franco) nel sostenere che, dietro le parole da scontro duro dell'ex premier, c'è l'obiettivo del dialogo.

Mentre Folli riconosce a Berlusconi il fatto di essersi confermato il leader dell'opposizione, il Corriere è più sfumato e induce a immaginare future e più gravi tensioni all'interno della Casa delle Libertà.

La linea che emerge da queste analisi è che Berlusconi punterebbe in prima battuta al governo istituzionale delle grandi intese - Grande coalizione - che implicherebbe il sacrificio di Prodi, ma con queste alternative:

- accordo preferenziale tra Forza Italia e Margherita;

- accordo preferenziale tra Forza Italia e Ds.

In altre parole, Berlusconi vedrebbe nella caduta di Prodi l'unica possibile rivincita sul voto del 9-10 aprile, ma allo stesso tempo penserebbe a Forza Italia come la sola componente del centrodestra in grado di raggiungere un'intesa con Ds e Margherita, mettendo fuori gioco l'ala sinistra dell'Unione e il resto del centrodestra: sarebbe un centrosinistra più forte al centro (FI + Margherita) che a sinistra (i soli Ds, forse smagriti per la perdita del Correntone).

Ma non viene esclusa una strada del tutto diversa: un'intesa Berlusconi-Prodi per andare ad elezioni anticipate eventualmente nella primavera del 2008.

I riconoscimenti al "politico" Berlusconi nascondono però un obiettivo: la disgregazione della Casa delle Libertà poiché accreditare Berlusconi dell'intenzione di svincolare Forza Italia, con il suo 24% di voti, dal resto della Casa delle Libertà significa isolare del tutto la Lega (che viene equiparata nell'estremismo all'estremismo della sinistra dell'Unione: e ciò è falso), spingere nel limbo Alleanza Nazionale e costringere Casini a posizionarsi come ruota di scorta a Berlusconi (ciò che Casini non vuole) oppure ad anticipare tutti e portare soccorso all'Unione a basso prezzo.

Ciò implica anche l'abbandono del bipolarismo e quindi i progetti di due grossi partiti unitari a destra e a sinistra.

Da un lato Berlusconi viene accreditato come deus ex machina, ma dall'altro viene solleticato a interpretare questo ruolo prestigioso rinviando l'incasso dei dividendi, cioè posizionandolo in un ruolo di opposizione dorata, rispettata ma inconcludente e alla fine destinata a logorarsi.

Barzelletta/Visco diventa un bonus

Lo chiamano "bonus Visco". Si tratta delle maggiori entrate che stanno affluendo nel bilancio dello Stato. Sarebbe bene chiamarlo, però, "bonus Berlusconi" o "bonus Tremonti". Il maggior gettito infatti, è determinato dalla legge finanziaria per il 2006 che, com'è noto, è stata elaborata dal precedente governo; non dall'attuale.

E sono proprio queste maggiori entrate, legate a varie ragioni, a consentire un miglioramento del fabbisogno; e, quindi, ad un possibile depotenziamento della prossima legge finanziaria.

Ma perché aumentano le entrate?

Per due ragioni, soprattutto: una crescita più sostenuta da quella fotografata con la Trimestrale di cassa e con il Dpef; una sottovalutazione (effettuata dai tecnici del precedente governo) del gettito delle diverse misure fiscali.

Non sarebbe la prima volta che i tecnici delle Finanze sbagliano le previsioni di gettito o le relazioni tecniche che accompagnano la finanziaria. Avvenne anche per il calcolo degli effetti prodotti dal secondo modulo della riforma fiscale.

Una cosa è certa: il flusso di maggior gettito che sta entrando nelle casse dello Stato si può chiamare in ogni modo, ma certo non lo si può definire "bonus Visco".

   

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