La ripresa dell'attività politica e prossimamente di quella parlamentare è caratterizzata da tre questioni principali: la politica estera, la finanziaria e il conflitto di interessi.
Sulla politica estera, considerato il terreno più scivoloso per questa maggioranza, il governo è riuscito a trovare una linea comune, sulla quale la sinistra estrema esprime non solo approvazione ma addirittura entusiasmo. Bisognerà vedere se questa linea regge sul campo, ma intanto il governo ha superato con successo una prova difficile. L'opposizione non potrà far mancare il suo voto favorevole, ma al tempo stesso dovrà marcare tutti i motivi di preoccupazione e tutti i rischi insiti in una missione di cui non sono chiare le motivazioni e le finalità.
Sulla finanziaria il governo lancia tanti segnali quante sono le posizioni presenti al proprio interno. Il prodotto finale è quello di un rumore assordante di temi e di proposte, contraddittorie e inconciliabili, simile ad una cacofonia. L'opinione pubblica, e probabilmente gli stessi elettori del centrosinistra, assistono a questo spettacolo senza capirne nulla, se non una babele di linguaggi e di proposte distanti e mutevoli. In questo quadro non è facile prevedere se e quale finanziaria ne verrà fuori. Se dipendesse dal governo, i provvedimenti sarebbero spalmati e diluiti nel tempo per trovare un compromesso fra le varie anime della coalizione. L'unico ostacolo è rappresentato dall'Europa accusata dal governo di fare ciò che ha sempre fatto, più o meno bene.
Sul conflitto di interessi il governo ha scelto tempi e modi sbagliati per riproporlo al centro dell'agenda politica e parlamentare. L'impressione è che finora abbia fatto due autogol: uno di fronte all'opinione pubblica, che non gradisce un accanimento ingiustificato nei confronti del leader dell'opposizione, e uno al proprio interno, visto che già si sono manifestate le prime crepe in seno alla maggioranza.
Su questo punto l'opposizione, e in particolare Forza Italia, deve essere capace di alimentare nell'opinione pubblica un sentimento di solidarietà nei confronti di Berlusconi, vittima di una politica vendicativa da parte della sinistra, e dall'altra parte giocare abilmente sui contrasti politici esistenti fra le forze politiche della maggioranza.
Il dibattito sul conflitto d'interessi sta lacerando la sinistra. Non appena è tornata di moda l'idea di modificare l'attuale legge, si è innescato un meccanismo perverso: il ddl parlamentare a firma Franceschini è stato subito affiancato da un progetto governativo, che vede in Chiti il suo maggior sponsor. C'è chi dice che questo sia avvenuto per evitare che il governo sia sostituito dal Parlamento, c'è chi dice che questo nuovo ddl serva a Prodi per scongiurare pulsioni eccessivamente anti-berlusconiane, c'è chi afferma che tutto questo serva solo ad inquinare le acque. Sta di fatto che l'impennata ha messo a disagio la stessa maggioranza, e probabilmente Prodi in persona, che da un lato vorrebbe liberarsi di Berlusconi e dall'altro punta ad un metodo molto meno visibile e sfacciato ed è infastidito da quanti si muovono con tanta rozzezza. Infatti, non appena si è cominciato a parlare di nuove norme sul conflitto d'interesse, che prevederebbero l'incompatibilità fra cariche di governo e ruoli attivi nelle imprese, si è scatenata una ben precisa fazione, capeggiata da Passigli, Bassanini e l'estrema sinistra insieme con Di Pietro, che invoca norme molto più ferree: l'ineleggibilità. Questo vorrebbe dire eliminare per legge Berlusconi, spazzare via dalla scena politica colui che è stato premier per cinque anni (più uno nel '94) e che nel restante tempo è stato l'incontrastato leader dell'opposizione. Farlo in modo impudente. Un colpo di Stato portato da una maggioranza che è minoranza nel Paese e che governa grazie ad un vantaggio elettorale (tuttora sub sudice) di neanche 25mila voti. Ciò è stato fatto notare anche da autorevoli, quanto inascoltati, rappresentanti della sinistra. Giorno dopo giorno, la maggioranza ha cominciato a dividersi fra chi vuole colpire Berlusconi nel modo più violento possibile e chi invece punta a metterlo in difficoltà in maniera più subdola e sottile. Detto questo, come ha sottolineato Bondi, nel caso la sinistra andasse avanti, com'è sua consuetudine, a spallate, la Cdl deve essere pronta a mobilitarsi e a manifestare attraverso «l'espressione e la testimonianza più alte e più nobili dei principi etici e dei valori ideali in cui crede tutto il popolo della libertà». Questo vorrebbe dire: manifestazioni, proteste, ma anche sciopero della fame e ogni altra espressione per denunciare il colpo di Stato strisciante. E' davvero singolare che una parte della maggioranza, chieda il dialogo con l'opposizione mentre l'altra parte cancelli nei comportamenti questa volontà di confronto e di civilizzazione dei rapporti, senza che Prodi dica una sola parola per farla tacere e ricondurla a comportamenti più civili. Non si fa la faccia buona quando si ha bisogno di aiuto, per poi usare il pugno di ferro in tutte le altre occasioni. A meno che Prodi e alcuni suoi scherani non abbiano capito che la perdita di consenso per governo e maggioranza è costante ed inesorabile e che il solo modo per evitare ulteriori guai sia eliminare l'unico credibile, autorevole, efficace leader politico in grado di sconfiggere la sinistra, come hanno dimostrato tutte le campagne elettorali, compresa l'ultima.
''C'e' una grande confusione all' interno della maggioranza'': lo ha detto l'on. Paolo Bonaiuti, intervistato stamani dalla emittente Tv Italia 7 Gold. Rispondendo ad una domanda sulla attuale situazione politica Bonaiuti ha spiegato: ''Tre sono i punti abbastanza chiari: un aumento o comunque una maggiorazione dei ticket sanitari; un aggravamento delle tasse sugli autonomi e infine saranno toccate le pensioni che la sinistra ha sempre detto di non voler toccare''.
Con un governo che prepara la missione in Libano come se fosse lo sbarco in Normandia, che lancia la Finanziaria in un balletto di cifre che cambiano di ora in ora incassando gli schiaffi di Bruxelles, con Prodi che si appresta a toccare le pensioni senza sapere né come né quanto risvegliando dal letargo un sindacato acquiescente… Insomma con questo autunno alle porte disquisire sul futuro di Forza Italia e del centrodestra non può essere la nostra priorità.
Sia chiaro: qualunque riflessione per rendere più forte e riconoscibile l'opposizione è sacrosanta. Ma prendere a pretesto il compleanno del nostro leader per disegnare la rivoluzione azzurra è eccessivo. Oggi è più urgente dare risposte politiche ad un governo i cui errori sono colossali. Errori di metodo, apparentemente meno gravi e già pesantemente criticati da quei grandi giornali che ad aprile si sono schierati con la sinistra, ed errori di merito. Questi ultimi assai pericolosi per il futuro del nostro Paese.
Parliamo della politica estera che il governo aveva frettolosamente la necessità di cambiare dando l'impressione - ma solo questa - che l'Italia facesse un salto di qualità strizzando l'occhio all'Europa e lasciando da parte l'amico americano. Un pericoloso salto mortale all'indietro che le vicende del Libano avranno purtroppo il compito di sconfessare.
E sulla politica economica - pensioni incluse - dove la confusione tra il radicalismo della sinistra estrema e il pragmatismo del povero Padoa Schioppa finirà per allarmare quei milioni di lavoratori onesti disposti a prolungare il loro impegno quotidiano ma spaventati dal clima del "si salvi chi può"!
Quando Berlusconi direttamente, seguito dalla classe dirigente di Forza Italia, deciderà di mettere il dito sulle piaghe del Prodi-2, gli effetti mediatici e di consenso saranno tali da rilanciare di per sé il ruolo di una opposizione credibile e vigorosa.
Quelli che oggi stanno nelle stanze dei bottoni - a Palazzo Chigi, alla Rai o nei colossi editoriali nazionali e non - lo sanno talmente bene che si stanno muovendo per tempo per ridisegnare la mappa dell'informazione radio-televisiva pubblica in attesa di metter mano - per legge - a quella privata.
O vogliamo illuderci che le scaramuccie sul conflitto di interessi e le promesse di interventi non punitivi sulle aziende dell'ex premier siano fuochi fatui per le feste di partito dell'estate che muore?
Le bugie, anche quelle sui conti pubblici, hanno sempre le gambe corte. I conti pubblici sono alla rovina. Siamo come, anzi peggio del 1992. Il ritornello della sinistra, urlato durante la campagna elettorale (ed anche dopo), è un falso. Non solo. Se oggi Prodi può presentare finanze pubbliche non troppo distanti dagli obbiettivi europei, è proprio merito delle finanziarie di Berlusconi.
Il precedente governo ha annullato la lotta all'evasione seguendo la politica dei condoni, ha detto il premier.
Le entrate stanno crescendo oltre i tetti previsti per due motivi: l'allargamento della base imponibile è derivata dalla politica dei condoni; grazie alla revisione degli studi di settore ha aumentato il gettito versato da commercianti ed artigiani: categorie a rischio di evasione.
Ora, grazie alle maggiori entrate, il governo Prodi riduce l'entità della finanziaria del 2007. Queste maggiori entrate erano state previste dal precedente governo, tant'è che il deficit di quest'anno arriverà - o forse sarà addirittura inferiore - a quello previsto dalla finanziaria di Berlusconi-Tremonti: il 3,8%.
Allora perché la sinistra ha urlato allo "sfascio" dei conti pubblici?
Perché, in assenza di proprie idee, ha bisogno di un nemico da demonizzare per trovare consenso. Ed ora che lo spauracchio dei conti-allo-sfascio viene meno, rischia di sgretolarsi l'impianto di politica economica tratteggiata da Prodi in campagna lettorale. Insomma, stanno facendo una finanziaria "contro" qualcuno, non "a favore" del Paese.
Per chi vuole approfondire il tema:
Ecco perché i conti pubblici lasciati da Berlusconi erano tecnicamente in ordine.
Come è noto, il presidente Giorgio Napolitano ha inviato un videomessaggio ai partecipanti al workshop Ambrosetti, articolato su due punti principali: maggioranza e opposizione riprendano insieme il percorso delle riforme istituzionali; maggioranza e opposizione collaborino sulla definizione della politica economica, ma restino distinte.
Invitare adesso destra e sinistra a mettere mano, insieme, alla riforma della Costituzione, quando all'ordine del giorno ci sono: la Finanziaria, la spaccatura tra le forze di governo sulla quantità e sulla qualità della manovra, i richiami dell'Europa e del Fmi sui conti pubblici, significa una sola cosa: distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli spinosi temi dell'economia e attirarla su questioni che sono sempre fumose e comunque implicano tempi lunghi.
E' vero che questo invito era contenuto nel messaggio di insediamento, ma la scelta del momento per rilanciarlo insospettisce.
Mentre il Governo devia l'attenzione dalla Finanziaria e dalla manovra per non mostrare le proprie divisioni, enfatizzando la missione in Libano, e quindi la politica estera, Napolitano contribuisce indicando come prioritaria la riforma della Costituzione.
Ma più curioso è il suo invito a collaborare sui temi di politica economica - che poi sono Finanziaria e manovra e altre riforme come quella previdenziale - pur lasciando ciascuna parte alle proprie responsabilità.
Ovvero: discutete in modo da trovare una intesa (cioè: che l'opposizione non faccia un'opposizione dura e di principio); poi solo la maggioranza incasserà.
Tutto ciò fa tornare alla mente il vecchio principio comunista del centralismo democratico, assai più del compromesso storico evocato da Giulio Tremonti, subito bacchettato dal Quirinale, in barba al principio che i commenti sono liberi.
In base al centralismo democratico, nei partiti comunisti, che fossero o non al governo, era ammessa una discussione, prudentemente libera, ma la decisione finale era unanimistica ed era annunziata a tutti dal Segretario del partito.
Sembra evidente che il Capo dello Stato teme che il governo Prodi perda la maggioranza su questo o quel provvedimento di natura economica, anche se il Governo fa pendere su Berlusconi la spada di Damocle di una nuova legge sul conflitto d'interessi (però Mastella ha detto: "Lasciamo perdere"), per cui invita l'opposizione a un ruolo morbido e collaborativo: una opposizione addomesticata, di facciata, che non metta in pericolo la maggioranza.
Una variante mediatica del centralismo democratico.
Sul tema delle pensioni il governo Prodi riesce - fra risse interne, smentite e retromarce - a dare il peggio di sé. Lo sgangherato dibattito apertosi nella maggioranza ha avuto il solo merito di provocare un forte allarme sociale, diffondendo un clima di incertezza e di precarietà fra i lavoratori che, sulla base della legislazione vigente, avevano programmato l'uscita dal lavoro. Moltissimi hanno già capito che l'esecutivo nel quale galleggia il Professore metterà le mani nelle tasche dei cittadini e non avrà nessuno scrupolo a colpire chi legittimamente considerava un diritto andare in pensione avendo assolto agli obblighi contributivi, e con i requisiti anagrafici, previsti dall'ultima riforma Tremonti-Maroni. Il primo effetto di questa bagarre è la corsa alla pensione: nel timore che nuove norme possano peggiorare il quadro normativo a migliaia i lavoratori che hanno diritto al trattamento di anzianità - e che magari erano intenzionati a non lasciare subito l'attività - hanno chiesto il pensionamento.
Con l'impennata degli ultimi mesi, le richieste presentate nel 2006 sono già 66 mila in più rispetto al 2005. Per i bilanci della previdenza si profila un imprevisto buco nero. E a questo punto Prodi è pronto a togliersi la maschera: la riforma delle pensioni andrà avanti, dice, e i suoi "esperti" hanno pensato a un decreto che, con la Finanziaria, porterebbe subito l'età minima per la pensione di anzianità da 57 a 58 anni, bloccando cioè con effetto immediato una o due "finestre" per l'ottenimento del trattamento di quiescenza. E i lavoratori sono serviti: il governo delle sinistre fara subito le prove tecniche di "macelleria sociale" che accompagneranno la sua azione ispirata a statalismo e dirigismo, sulla maggior presa, cioè, della mano pubblica sulla vita dei cittadini.
Per i lavoratori minacciati sarà vano probabilmente sperare nella resistenza della sinistra radicale: pur di evitare i tagli alla spesa pubblica che comprometterebbero la macchina del consenso (pubblico impiego, apparati clientelari cooperativi e no, allegra finanza locale) i compagni duri e puri preferiranno colpire coloro che stanno per uscire dal mondo del lavoro, considerandoli ormai socialmente e politicamente marginali. E in questa prospettiva sono di fatto in linea con i falsi riformisti e rigoristi dell'Unione. Un governo impotente si piega ai forti e incrudelisce sui deboli.
L'aver riaperto il capitolo pensioni è politicamente un delitto e soprattutto un errore. La riforma realizzata dal centrodestra ha avuto il plauso dell'Europa perché con lo "scalone" dei 60 anni in vigore dal primo gennaio 2008 risponde concretamente all'esigenza di adeguare l'età pensionabile alla più lunga aspettativa di vita media. Ma lo fa con una gradualità rispettosa per diritti e degli interessi legittimi di chi ha lavorato e versato i contributi. Quando la Casa delle Libertà tratteggiò la sua riforma, l'opposizione di ieri - l'Unione di oggi - sostenne che andava difeso fino all'ultimo il sistema allora vigente. Oggi, arrivata al governo grazie a una manciata di voti, la stessa Unione scopre di colpo che la vita media si è allungata. Fa marcia indietro spudoratamente, col solo intento di smantellare una riforma del centrodestra.
L'aspetto paradossale della questione è che, in nome del rigore, la modifica della Tremonti-Maroni creerebbe nelle casse della previdenza, per il 2007, un buco stimato in circa 2 miliardi di euro. Senza contare che sarebbe annullato il risparmio che la riforma del centrodestra ha programmato per il 2008, valutato in 4 miliardi.
Ma non basta. Il governo, specificamente il ministro del Lavoro Cesare Damiano, sta anche studiando un meccanismo per il progressivo innalzamento dell'età lavorativa, con un sistema di incentivi-disincentivi. Né il decreto sul minimo dei 58 anni d'età, né il giochino a punti di Damiano piacciono ai sindacati, che minacciano un'aspra battaglia. Sarà vera resistenza verso un governo "amico"? Resta da vedere qual è la reale autonomia dei sindacati. Resta da capire se le grandi centrali confederali non abbandoneranno i "pensionandi" per aver un occhio di riguardi nei confronti delle corporazioni di lavoratori "fissi" sui quali si basa il loro potere.
Un'ultima notazione: il decreto che chiude la "finestra" colpirebbe soprattutto lavoratori dipendenti nati nel 1950 e residenti soprattutto nel Nord, quel Nord che è stato così avaro di consensi per centrosinistra e sinistre. E' soltanto un caso, oppure si sviluppa la politica delle "punizioni" fiscali ed economiche agli incorreggibili?