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Dal Notiziario n. 2

Segni della memoria:
il racconto delle pietre

di
Angela Donati
Docente di Epigrafia Romana
Università di Bologna

Quasi tutte le civiltà, antiche o più recenti che siano, hanno lasciato testimonianza di sé utilizzando la scrittura; il mondo greco e soprattutto quello romano hanno sfruttato al massimo questo straordinario mezzo ed hanno pertanto attribuito alle pietre iscritte (ma anche al bronzo) un ruolo infinitamente più importante di quanto siamo abituati a pensare oggi, in un mondo nel quale le notizie vengono trasmesse in un numero incalcolabile di copie per mezzo della più raffinata tecnologia (sms, spot televisivi, etc.) e della stampa.
A cosa è riservata oggi la scritta su pietra (o, più raramente, su metallo)? Fondamentalmente ad un ruolo commemorativo, si tratti del ricordo di un evento storico, di quello di un caro defunto o dell’ossequio religioso; a tutte queste, principali, funzioni nell’antichità se ne aggiungevano altre, prima fra tutte quella di affidare all’iscrizione il ruolo di strumento principe della comuni-cazione, anche spicciola, come la segnalazione di uno spettacolo o di una bottega dove aveva sede una determinata attività economica, o quella di un percorso stradale, o, naturalmente, del pensiero e della volontà politica del regime dominante.
Documenti quasi sempre redatti in una sola copia, le iscrizioni diventavano anche, all’interno della gens, la famiglia dei Romani, lo strumento per far conoscere la sequenza delle generazioni, l’ascesa sociale delle persone, l’intreccio fra le famiglie, con tutte le conseguenze che questo ha comportato nell’evoluzione della storia politica della Grecia e di Roma.
Sono molte centinaia di migliaia le storie pubbliche e private degli antichi che ci sono note dalle pietre, in gran parte conservate ma anche viste, registrate, disegnata da studiosi in particolare dopo la riscoperta dell’importanza della cultura antica, nell’Umanesimo e nel Rinascimento quando si imitano non solo le strutture architettoniche della classicità ma anche la forma delle lettere e la tecnica dell’incisione (un esempio significativo è costituito dal Tempio Malatestiano di Rimini) e si arriva a ricopiare iscrizioni antiche inserendole non solo nelle proprie opere manoscritte, ma anche in affreschi e tavole dipinte, come fa Mantegna nella padovana Cappella Ovetari.
Molte iscrizioni sono ancora collocate nel proprio contesto antico, ma un fenomeno frequente è costituito dal reimpiego, già in uso almeno nella tarda antichità, quando in emergenza si dovettero costruire mura di difesa dai nemici, o dighe per arginare eventi naturali: un caso eccezionale è costituito dal cosiddetto “muro del Reno” che ha tenuto celate per ben più di un millennio circa 200 pietre iscritte della necropoli occidentale di Bologna. Anche la diffusione del cristianesimo, segnata dall’esigenza di organizzare in forma capillare pievi e altri luoghi di culto, ha portato spesso al reimpiego di parti di monumenti antichi, anche iscritti, che ancora si conservano nei muri delle chiese, non solo di quelle più isolate: il Duomo di Pisa, la Cattedrale di Siviglia, in Spagna, la bolognese Basilica di Santo Stefano ne registrano la presenza, ma uno dei casi più maestosi è costi-tuito dal portale della Basilica di San Giusto, a Trieste; curiosità, ornamento o semplice mate-riale da costruzione disponibile in loco e quindi poco costoso? I Lapidari sono i luoghi privilegiati per la conservazione di queste memorie, ma anche le città di fondazione antica consen-tono spesso di riscoprire per questa via le radici più genuine della loro esistenza e di ripercorrerne almeno in parte la storia e la cultura, dall’antichità ad oggi.

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