Nell'arco teso di un respiro

Prefazione di Lisa Rizzoli

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Nell'arco teso di un respiro

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È opinione comune che la preparazione di una raccolta poetica richieda un lavoro di anni, occupati però non solo dalla scrittura, ma da molte altre incombenze attinenti alla pubblicazione. Nell’arco teso di un respiro esce in edizione fuori commercio a distanza di alcuni anni dalla prima raccolta Condensations, pubblicata nel 1993 dall’Università di Salisburgo in versione bilingue.

In primis tre strofe in corsivo, vera e propria dichiarazione d’intenti e di ragioni etiche che oppongono Pier-Franco Donovan a uno stuolo di poeti, o presunti tali, che non rendono un buon servizio alla poesia preoccupandosi più di soddisfare le proprie vanità. Di contro l’autore afferma "a me il silenzio della parola / distesa su un foglio bianco / basta" (p. 7). Un proposito, questo, che lo stesso Donovan non rispetta, un impegno disatteso, poiché la parola, se genuinamente poetica, ha l’urgenza di liberarsi dal suo supporto inanimato per entrare prepotentemente nella mente, nella psiche e nel cuore del lettore al quale comunica conoscenza, un mondo di suoni, colori, sensazioni ed emozioni che, appunto, parlano.

Nelle composizioni che seguono, il lettore trova una coerente e complessa trama di immagini e di significati oltre la varietà delle forme che mantengono, tuttavia, un tono scorrevole e fresco dell’espressione mai artificiosa.

Già il titolo suscita un universo di idee: la parola "arco" fa pensare ad un ponte, a una parabola o a una volta di sostegno che poggia su due punti-forza e, contemporaneamente, fa pensare all’arco "teso" nel momento di scoccare la freccia. Il vettore è diretto ad una meta, al centro del bersaglio che può essere, a sua volta, ombelico, cioè comunicazione col punto d’origine coincidente con quella zona misteriosa a cui dobbiamo far ritorno. Non meno polisenso è il termine "respiro" che evoca un andamento ciclico. Il ripetersi altalenante dei fenomeni è un tema centrale della raccolta. Lo ritroviamo sotto diversi aspetti: può essere l’andirivieni del sole; la scansione temporale della clessidra; le due spirali ascendente e discendente del Pozzo di San Patrizio della poesia "Il tempo affretta la sua caduta" (p. 29); l’avvicendarsi fra luce e tenebra che permette un "nuovo inizio", in un gioco di rimandi che si coagulano intorno all’effige della luna.

Un’atmosfera di magica sapienza pervade le prime poesie, soprattutto "Cresce giorno dopo giorno" (p. 10) e "Gli alberi si inchinano al suo passaggio" (p. 12), dedicate alla luce lunare della Musa ispiratrice del mito poetico che, per Robert Graves, scrittore caro a Donovan, si identifica con la Dea Bianca.

La "voce del silenzio" è colei che induce la creazione e lo sviluppo di tutte le cose e ne detta il codice espressivo. Tale figurazione primordiale, comune a tutte le mitologie europee e poi conservatasi maggiormente nell’Irlanda e nel Galles, ha informato di sé il linguaggio rituale e, in seguito, quello poetico, l’unico che a tutt’oggi ne rechi testimonianza. Il linguaggio druidico, in particolare, si avvaleva dell’alfabeto ogamico e arboreo, dove ogni lettera era l’iniziale del nome di un albero o di un arbusto sacri alla Dea Bianca, componendo un calendario di magia arborea stagionale.

Dall’immersione nelle origini antropologiche e culturali, attraverso una serie di poesie in cui si realizza il disincanto di un contatto più diretto con la realtà quotidiana, goduta e sofferta con spontaneità, Donovan "comincia così questo viaggio" (p. 28) alla ricerca delle proprie radici biologiche, con una poesia che ricalca le cadenze delle favole. Si fa evidente il "filo" che lega gli eventi decisivi di una vita. Tutti insieme segnano la storia personale di un uomo, il compimento di un destino che prelude a una rinascita. Il viaggio in Irlanda, terra degli avi, diviene il referente poetico dell’autore, il luogo concreto e ideale in cui si può realizzare la coincidenza tra significanti e significati nel nodo dell’identità ritrovata, del compimento dell’io e del suo percorso. La personale cosmogonia del poeta, che già aveva attinto alla mitologia celtica, s’incontra con la memoria storica della propria stirpe. Donovan avverte, quasi in ogni fibra, il fremito della necessità di ricercare la verità dei propri morti per riconoscerla e rendere loro giustizia. Il primo momento di questo processo a ritroso non può che essere quello di una riconsiderazione della figura del padre. Nell’accettazione della contraddizione che distingue la personalità paterna, che è poi una proiezione delle proprie contraddizioni, si fondono gli opposti, assumono un senso gli ossimori, si compongono le fratture, si ricongiungono le alterità. La figura paterna diviene perciò l’emblema della condizione umana, della continua sofferenza per lo strappo che è emancipazione e al contempo perdita. Siamo ciò che siamo in virtù della vita e poi della morte di chi ci ha preceduto: il nostro futuro è segnato dalla "eredità del nome" che identifica la storia personale e la collega a un destino comune.

Lisa Rizzoli

 

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