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![]() Dopo il trionfo di Un ballo in maschera, Verdi e Giuseppina Strepponi tornarono nella tenuta di Sant’Agata per un periodo di riposo. Per il musicista erano definitivamente superati gli "anni di galera": l’ampio prestigio acquisito gli permetteva di scegliere tra le numerose proposte che gli venivano sottoposte e di dedicare minori energie ai pressanti impegni che, per un lungo periodo, avevano quasi assunto i caratteri di lavoro coatto. Nel 1859 Verdi e la Strepponi decisero di regolarizzare l’unione che li legava da oltre dieci anni: il 29 agosto si sposarono infatti, in gran segreto, nella chiesetta di Collonges-sous-Salève, in Savoia. Il rito fu celebrato dall’abate Mermillod, rettore della chiesa di Notre Dame di Ginevra, testimoni il sagrestano e il cocchiere. Frattanto, gli ultimi eventi che decreteranno la realizzazione dell’Unità d’Italia si svolgevano con estrema rapidità. Del 23 aprile era la dichiarazione di guerra tra Piemonte e Austria e il giorno 26 dello stesso mese le truppe austriache invadevano il Piemonte di Vittorio Emanuele II, al quale forniva appoggio Napoleone III. Dopo le battaglie di Montebello e di Magenta, la disfatta austriaca si consumò a Solferino e il 26 giugno venne sottoscritto con l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe l’armistizio di Villafranca. Verdi fu tanto entusiasta dell’aiuto dei francesi quanto deluso dell’armistizio, che sanciva la cessione di Venezia all’Austria.
Verdi venne presentato in questa occasione a Vittorio Emanuele II e incontrò a Leri, la residenza di campagna dello statista, Cavour, per il quale il musicista nutriva stima e ammirazione ; accolse infine l’invito dello stesso Cavour a far parte del primo parlamento nazionale che si insedierà a Torino, a Palazzo Carignano, il 15 marzo 1861. Pur ritenendo in seguito assai noiose e inconcludenti le sedute del parlamento, Verdi mantenne la carica di deputato fino all’agosto 1865, quando al suo posto subentrò il concittadino e amico Giuseppe Piroli. Dopo i colloqui con Cavour tra il 15 e il 18 settembre 1859, Verdi scrisse allo statista: Che l’Eccellenza vostra voglia scusare l’ardire e la noja che forse le reco con queste poche linee. Io desiderava da molto tempo conoscere il Prometeo della nostra nazionalità; né disperava trovare occasione per soddisfare questo mio vivo desiderio. Quanto però non avrei osato sperare è la franca e benigna accoglienza con la quale l’E.V. degnossi onorarmi. Io ne partii commosso! Non iscorderò mai quel suo Leri, dov’io ebbi l’onore di stringere la mano al grand’Uomo di stato, al sommo cittadino, a Colui che ogni italiano dovrà giustamente chiamare Padre della Patria [...].
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