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"[...] l’ho fatto eseguire una sera a casa mia senza dargli la minima importanza e senza fare invito di sorta [...]",scrisse Verdi all’amico Arrivabene. (38) Il Quartetto venne in seguito pubblicato, dopo un’esecuzione avvenuta nel 1876 in una sala da concerto parigina. La composizione del Quartetto rappresenta in un certo senso una "anomalia", non solo all’interno del panorama complessivo delle creazioni artistiche del maestro, ma anche e soprattutto rispetto alla stessa "filosofia" espressa dal musicista in svariate occasioni, a proposito della musica strumentale in generale. Verdi aveva sempre duramente criticato la tendenza che si stava generalizzando in Italia di "importare" musica strumentale dalla Germania. Si moltiplicavano, infatti, le associazioni concertistiche, nei programmi delle quali avevano sempre più rilievo le esecuzioni di musica da camera e sinfonica di compositori quali Beethoven, Haydn, Mozart, Mendelssohn, Brahms. Verdi definì tale tendenza "rinuncia alla nostra nazionalità musicale", soggiungendo: ancora un passo e saremo germanizzati in questo come in altre cose. (39)Si trattava, nel caso di Verdi, di una avversione ben singolare, se si considera, per altro verso, il rispetto con il quale il musicista si riferisse in talune circostanze a ciò che aveva rappresentato per l’evoluzione dell’arte musicale il fiorire in Italia della polifonia, per impegno, soprattutto, dei maestri del passato quali Marcello, Palestrina, Vivaldi. Nel 1878, per esempio, in un abbozzo di lettera, Verdi espresse in tal modo il proprio pensiero: [...] Non dovremmo scrivere come i Tedeschi, né i Tedeschi come noi. Che i Tedeschi si appropriino le nostre qualità come fecero ai loro tempi Haydn, Mozart, restando, però, sempre quartettisti; [...] ma che si rinunci per moda, per smania di novità, per affettazione, e si rinneghi l’arte nostra, il nostro istinto, quel nostro fare sicuro, spontaneo, naturale, sensibile, abbagliante di luce, è assurdo e stupido.Se ciò non fosse riportato dalla ricchissima documentazione che si riferisce a tutto quanto detto e scritto da Giuseppe Verdi, ci parrebbe del tutto inverosimile che un musicista della statura e del prestigio di ![]() La rappresentazione e il progressivo affermarsi sulle scene dei teatri lirici italiani delle opere di Wagner, nelle quali l’aspetto orchestrale, "sinfonico", insieme con la ricerca di nuove e complesse architetture armoniche ricche anche di elementi dissonanti, era predominante, significò evidentemente per Verdi una totale radicalizzazione di una avversione ormai incontenibile che provava nei confronti di generi musicali che egli dovette considerare poco meno che "barbari". Oppure, più verosimilmente, Verdi intravide nel fatto che quei generi musicali prendessero piede anche in Italia, l’inevitabile declino del melodramma, così come era stato concepito nel nostro Paese da oltre un cinquantennio e al quale indiscutibilmente lui stesso aveva fornito un contributo di primo piano. Verdi intuiva che a tale declino avrebbe fatto seguito un rarefarsi delle "voci" in grado di interpretare, in un futuro che egli vedeva sempre più approssimarsi, le opere del teatro lirico italiano – del "suo" teatro lirico – e quindi la compromissione e, più in generale, la decadenza del modello di teatro in musica che egli aveva così efficacemente contribuito a creare. ____________________
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