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il Quaderno del 20 luglio

Berlusconi: perché la Casa delle Libertà dice sì al rifinanziamento delle missioni

Questo l'intervento integrale del leader della Casa delle Libertà, on. Silvio Berlusconi, alla Camera dei Deputati in occasione del dibattito sul disegno di legge che rifinanzia le missioni militari all'estero, tra cui quella afgana e il ritiro dall'Iraq.

Signor Presidente, signori del Governo, signori deputati, purtroppo la drammatica realtà di queste ore è di nuovo la guerra in Medio Oriente. Israele esercita il suo diritto a difendersi, attaccando le infrastrutture del terrore che hanno portato morte e distruzione nella sua terra, nelle sue città e che minacciano la sua stessa esistenza.

La reazione di Israele è direttamente proporzionale alla provocazione che preme ai suoi confini con il metodo odioso della presa di ostaggi e del lancio di razzi sulle abitazioni civili. «Immaginatevi se piovessero missili, dall'Italia o dalla Svizzera, sulla terza città più importante della Francia», ha detto il senatore democratico di New York, Charles Schumer, in polemica con quegli europei che parlano di un uso sproporzionato della forza da parte di Israele.

Anche il Ministro degli esteri italiano, in questa Aula, ieri ha riconosciuto che l'iniziativa armata è partita dai radicali islamisti di hezbollah ed Hamas, incoraggiati, protetti, finanziati, armati dai regimi di Damasco e di Teheran. L'onorevole D'Alema, nonostante il suo curioso senso delle proporzioni, sa bene che ogni causa ha il suo effetto, e che la guerra di Israele al terrorismo islamista ha una ferrea base di legittimità, impossibile da disconoscere.

Dietro i razzi di Hamas e degli hezbollah c'è il regime cugino di Saddam Hussein a Damasco e uno Stato come quello iraniano, il cui capo nega le camere a gas di Auschwitz, predica la distruzione dello Stato di Israele, lavora per la sua cancellazione dalla carta geografica e si sottrae, nel contempo, al dovere di osservare il trattato di non proliferazione nucleare, raggirando da anni le diplomazie di tutto il mondo.

Una politica estera e di sicurezza seria misura su questi dati il suo senso delle proporzioni. Da qui si parte per esercitare le arti della diplomazia e della mediazione che fanno parte di una visione realistica della politica. Non si parte dalla negazione della realtà, o dalla sua edulcorazione.

Abbiamo sentito di molte telefonate partite da Palazzo Chigi in questi giorni verso il Medio Oriente, ma non abbiamo ascoltato una parola chiara di severità contro gli aggressori e di sincera solidarietà contro il paese, contro Israele nuovamente aggredito dal partito del terrore che si maschera dietro le insegne del "partito di Dio". (Applausi)

Come ha detto alla Knesset il premier israeliano, Ehud Olmert, nella vita di una Nazione ci sono momenti di purificazione, in cui le dispute politiche e partigiane che ci separano vanno sostituite da un senso di responsabilità comune. Questo deve valere anche per noi, dal momento che il voto sulla missione in Afghanistan dovrà essere la prova che la posizione dell'Italia nel mondo, la sua lealtà verso i propri compiti di grande Paese occidentale, la sua capacità di stare in campo per una pace duratura nella battaglia contro il terrorismo e contro l'offensiva fondamentalista non sono cose che cambiano ad ogni vento elettorale, ma sono radici profonde del nostro modo di essere e di agire nella comunità internazionale.

Voteremo, quindi, compatti, dal primo all'ultimo deputato e senatore dell'opposizione, a favore del rifinanziamento della nostra missione a Kabul.

Chi ha restituito agli afgani il diritto di vivere liberi dall'oppressione dei fanatici, chi ha smantellato le basi di Bin Laden e i suoi campi di addestramento, chi ha portato quel popolo consegnato da secoli al dominio dei "signori della guerra" ad eleggere democraticamente un proprio Parlamento ha il diritto di avere tutto l'appoggio che un Paese come l'Italia può dare, all'interno delle sue alleanze internazionali.

Nei cinque anni in cui ho presieduto il Governo ho sempre sollecitato, purtroppo invano, la formazione di maggioranze le più larghe possibili per sostenere le missioni militari di pace in cui ci siamo impegnati. Quando eravamo all'opposizione, ai tempi della guerra contro il nazionalcomunismo serbo che aggrediva le popolazioni albanesi e musulmane del Kossovo, ci comportammo alla stessa maniera.

Il senso del nostro voto non è, dunque, quello di una tattica parlamentare o, peggio, di una gherminella per scompaginare una maggioranza, di suo piuttosto fragile, sui temi decisivi della politica estera e delle alleanze dell'Italia.

Il senso del nostro voto, incondizionato e libero, è un altro. Crediamo che l'Italia non possa permettersi di tornare alla pratica del rovesciamento di fronte e del tradimento delle intese stipulate con il beneplacito e l'incoraggiamento delle Nazioni Unite e della Nato. (Applausi)

Siamo assolutamente sicuri che, in questo Parlamento, ci sarà sempre una maggioranza atlantica e occidentale capace di far fronte alla guerra contro il terrorismo e capace di operare per l'ampliamento della democrazia nei paesi arabo-islamici, che, poi, è l'unica ed effettiva premessa di una vera pace.

Noi siamo, oggi, l'opposizione costituzionale. Votiamo, di regola, contro le scelte della maggioranza, che abbiamo il mandato di controllare e di contrastare, proponendo soluzioni alternative che scaturiscono dal nostro programma e dalla fiducia che metà degli italiani ci hanno espresso con il proprio voto.

Sulle questioni che riguardano l'identità del paese e i suoi principi votiamo in coerenza con le nostre idee, sicuri del fatto che anche questo fa parte del mandato ricevuto dagli elettori.

La maggioranza, di regola, dovrebbe essere politicamente autosufficiente in entrambe le Camere, in particolare nell'ambito decisivo della politica estera e di sicurezza. Se questo non fosse, sarà vostra responsabilità, signori del Governo, indicare una strada seria per uscire dalla crisi.

Un paese privo di una maggioranza stabile in politica estera sarebbe uno strano animale mitologico, un ircocervo senza capo, né coda, che la comunità internazionale guarderebbe con un misto di compassione e di ilarità, un paese ridicolo che non possiamo permetterci. Vi ringrazio.

(Applausi)

Bonaiuti: Prodi non ci convince siamo con Israele, no ai terroristi

Agenzia di stampa Apcom del 19 luglio, ore 15.13

"La posizione di Romano Prodi non ci convince per nulla, Berlusconi l'ha giù spiegato nel suo messaggio alla comunità ebraica. Noi siamo per Israele, non siamo per i terroristi". Lo ha detto Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, nel corso di un'intervista a tutto campo rilasciata a Radiomontecarlo. Rispondendo a domande sull'atteggiamento del governo Prodi rispetto alle sfide di politica internazionale, Bonaiuti ha fatto accenno anche alla vicenda parlamentare sul decreto Afghanistan. "Si trovano sempre alle prese con qualche problema e quindi mettono sempre la fiducia - afferma il portavoce del Cavaliere riferendosi all'attuale maggioranza - ma attenzione noi non la appoggiamo minimamente, noi siamo l'opposizione e come tale contrastiamo tutti i provvedimenti dell'Unione perché rappresentiamo la metà degli italiani che ci hanno dato i loro voti in tal senso. Invece per quanto riguarda il rifinanziamento della missione si tratta di essere coerenti alle nostre idee - ha aggiunto - poiché fummo noi che finanziammo queste missioni. Ora votiamo a favore per salvare il buon nome dell'Italia". A proposito delle difficoltà che l'Unione potrebbe incontrare in Senato Bonaiuti ha rimarcato che "dipende dal voto dei senatori a vita e loro sanno bene di essere appesi a questo voto. Noi ci chiediamo come può una maggioranza ogni volta andare avanti chiedendosi, ce la faremo stavolta? Ecco questo ci sembra pazzesco - ha concluso - perché siamo appena a tre mesi dal voto".

Senato/Persa un'occasione per battere il governo

Ieri, al Senato, è stata persa un'altra occasione per colpire la maggioranza e sconfiggerla in una votazione.

Sarebbe stata l'ottava volta in due mesi poiché il centrosinistra è stato già battuto sette volte. In poche settimane.

Ieri perdippiù si trattava di una mozione, presentata dall'Unione, sull'utilizzazione delle cellule staminali: argomento delicato e "di coscienza", ma anche di notevole valore politico perché il tema divide cattolici e laici.

La mozione della sinistra è stata approvata con soli 152 voti a favore, 150 contrari e 1 astenuto.

Tuttavia, tre senatori della Casa delle Libertà: Biondi e Sterpa (che hanno espresso con un intervento il loro dissenso dalla linea della CdL e sia da quella del governo) e Stracquadanio, non hanno partecipato al voto.

Questa decisione ha sottratto 3 voti alla maggioranza e ha consentito all'Unione di prevalere su una CdL colpevolmente divisa. In An si è registrata l'assenza del sen. Battaglia, assenza severamente censurata dal capogruppo Matteoli.

E' evidente che il voto contrario alla mozione sulle staminali presentata dal governo, sarebbe stato un forte segnale al mondo cattolico.

I tre senatori di Forza Italia con questa assenza, si sono quindi assunti una grave responsabilità nei confronti del partito e di tutta la Casa delle Libertà.

Noi/Perché Fini va incoraggiato

Forse sarà una esagerazione. O forse un'illusione ottica. Certamente però il discorso di Fini al consiglio nazionale del suo partito non può passare sotto silenzio e per certi versi rappresenta la giusta risposta alle sollecitazioni di Forza Italia per il futuro di un nuovo centro-destra. Alleanza Nazionale, colpita da scandali e scandaletti con la sindrome della percentuale fissa evocata spesso ultimamente, aveva bisogno di una sterzata radicale. E la sterzata, a leggere i resoconti, pare che sia arrivata e coinvolge indirettamente tutta l'area di centro-destra, determinando una svolta netta verso il partito unico dei moderati. Fini martedì, davanti ai suoi colonnelli, ha tracciato le linee guida di quello che sarà il futuro immediato del suo partito. Un partito che deve tenere al centro innanzitutto i valori morali e rinsaldare un'identità politica che si stava annacquando. Ma il Presidente di An, soprattutto, ha puntato sul partito unico dei moderati che dovrebbe nascere nel 2009. Non c'è dubbio che molte delle argomentazioni che l'ex vice-premier ha messo sul tavolo dei suoi dirigenti hanno più di una sintonia con quello che Berlusconi e Forza Italia da tempo sostengono.

La novità delle parole di Fini, per l'economia e il futuro del centro-destra, sta nella definitiva determinazione di arrivare come percorso conclusivo al partito unico, un obiettivo ormai irrinunciabile, che porterà il centro-destra verso quel rinnovamento e quelle nuove prospettive che Berlusconi aveva individuato e indicato già da almeno un anno. Non sfugge agli analisti che, a parte le nuove modulazioni e i nuovi obiettivi politici di Alleanza Nazionale, con il discorso Fini ha di fatto cementato una forte alleanza con Forza Italia, riconoscendo ancora una volta che l'unico leader della coalizione resta Silvio Berlusconi.

Cosa sarà e come sarà il partito dei moderati? Non è discussione da rinviare a lungo. A questo punto la simmetria con il centro-sinistra impegnato in un difficile dibattito sulla creazione del partito democratico viene meno. Il centro-destra va per la sua strada, consapevole che l'unico sbocco possibile dell'evoluzione dell'attuale bipolarismo sia il partito unico. Formato da quelle componenti moderate, liberali e moderne che in questi anni al Governo, nonostante mille difficoltà, hanno dato una svolta decisiva alla struttura del Paese con riforme profonde e radicali che in sessanta anni di Repubblica non si erano mai fatte. Il nuovo partito dovrà essere e sarà finalmente il partito dei liberali e dei moderati: sarà liberale nelle scelte economiche e conservatore nella difesa dei valori.

Le parole di Fini, che seguono a ruota quelle di Forza Italia, sono una specie di avvertimento a pezzi dell'Udc nell'eventualità che si prestassero a fare la stampella permanente ad un Governo debole e mediocre. La via verso il partito unico impone una coerenza che deve permeare tutte le componenti.

Noi/Perché abbiamo fatto 3 gol

La giornata di ieri alla Camera ha visto l'opposizione segnare tre risultati positivi.

Innanzitutto il discorso di Berlusconi, tanto atteso dopo giorni di silenzio quanto ascoltato con rispetto da tutto il Parlamento. E' stato un discorso da statista ha parlato a nome dell'Italia e a nome di un Parlamento in cui - come ha detto in uno dei passaggi più significativi - esisterà sempre una maggioranza atlantica e occidentale a favore della libertà e della democrazia ovunque sia calpestata nel mondo.

A fronte del discorso di Berlusconi, dell'unità e del senso di responsabilità dell'opposizione, la maggioranza di governo è apparsa ancora una volta divisa e percorsa dalle posizioni più estremiste e ideologiche.

Dal gruppo di Rifondazione Comunista hanno preso la parola in successione numerosi deputati, i quali hanno manifestato dissenso dalla linea del governo o ripetuto posizioni antagoniste rispetto a quelle del governo. Al punto che il deputato di Rifondazione Comunista Cacciari ha annunciato le proprie dimissioni per non venire meno ai propri convincimenti e alla propria coscienza.

A questo punto - ed ecco il secondo risultato positivo della giornata - il coordinatore di Forza Italia ha preso la parola per mettere in luce un dato politico essenziale, e cioè il fatto che il dibattito mostrava un governo diviso e unito apparentemente dietro modalità parlamentari non dignitose, sottolineando che tutto ciò intaccava la credibilità politica del governo e segnatamente quella del ministro degli esteri, costretto a farsi portavoce e interprete di una linea dettata dalla sinistra radicale.

E D'Alema, punto sul vivo ha perso le staffe!

Il terzo risultato positivo della giornata è stato il discorso pronunciato da Raffaele Fitto sulla richiesta di arresto avanzata dai magistrati di Bari. L'ex governatore della Regione Puglia ha pronunciato un discorso nobile e vibrante.

Loro/Perché hanno fatto 2 autogol

Il segnale arrivato ieri sera dal Senato, dove a voto segreto sono state respinte le dimissioni dell'esponente di Rifondazione Malabarba, preoccupa non poco Prodi. Malabarba è uno degli otto "dissidenti" che hanno annunciato il loro voto contrario alla missione in Afghanistan, e ha presentato le dimissioni per far subentrare Haidi Giuliani, la madre del no global ucciso al G8 di Genova mentre dava l'assalto ad una camionetta dei carabinieri. E sarà un voto in meno per il centrosinistra se le dimissioni non verrano accolte.

A preoccupare la maggioranza è il fatto che ieri si era stabilito un accordo tacito tra i gruppi per approvarle al primo colpo, a dispetto della regola di cortesia che imporrebbe di respingerle.

Qualcosa però non ha funzionato: ovviamente la Cdl ha votato contro, per mettere in difficoltà il centrosinistra, ma anche un nutrito gruppo di senatori dell'Unione si è ribellato. E a questo punto, anche se le dimissioni di Malabarba torneranno al voto la prossima settimana, c'è grande pessimismo sul fatto che si riesca a farle passare. Il voto di ieri viene considerato un segnale allarmante per l'appuntamento di martedì prossimo, quando a Palazzo Madama si dovrà votare il ddl sulle missioni passato alla Camera: in un clima di grande tensione e a questo punto i "no" di almeno cinque senatori (quattro di Rifondazione più il verde Bulgarelli) non rientreranno. E il governo rischia di non avere l'autosufficienza sulla politica estera, e di dover dipendere dai voti della Cdl. Certo, Prodi non cadrebbe automaticamente, ma il governo entrerebbe in una fase preagonica, con scenari terribili per la Finanziaria autunnale.

Il fatto che probabilmente Prodi non porrà la questione di fiducia è un altro segnale di allarme: il premier non si fida infatti di quanto potrebbe accadere al Senato, dove la maggioranza è in piena fibrillazione. Rifondazione comunista ha lanciato un durissimo attacco al dipietrista Sergio De Gregorio, presidente della commissione Difesa, definendolo "un problema per l'Unione", per aver votato - assieme all'opposizione - il parere contrario al Dpef. Il risultato della votazione è stato di tredici a undici: lo stesso di quando De Gregorio è stato eletto presidente della commissione proprio con l′appoggio dell'opposizione contro la candidata di Rifondazione comunista, Lidia Menapace. Questa volta la maggioranza non ce l'ha fatta. E le preoccupazioni aumentano.

Loro/Perché cadranno nella ragnatela

Quello che fino a ieri era un auspicio, sta diventando realtà: la maggioranza è frantumata in politica estera, ha clamorosamente toppato la prima uscita sulle liberalizzazioni e comprende di non poter superare la finanziaria con questo effetto pre-comatoso. Ci sono problemi di numeri - che al Senato tra pochi giorni metteranno Prodi in affanno anche in caso di fiducia - ma ci sono soprattutto problemi politici perché il mastice dell'antiberlusconismo non garantisce l'equilibrio di nessuna maggioranza.

Anche se i diesse lo negano a fasi alterne (le aperture della Finocchiaro capogruppo dalemiana a Palazzo Madama sull'ampiamento della maggioranza sono state il segnale più evidente) e Franco Marini si adopera per evitare il mercato dei voti con transfughi del centrodestra, le parti più sensibili dell'Unione stanno cercando le contromisure perché Prodi non faccia la fine del '98.

A ben vedere sono proprio coloro che lavorano per cambiare la maggioranza temendo la finanziaria d'autunno, a nascondersi dietro il voto di fiducia per il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Sul campo moderato la sobrietà del discorso berlusconiano ha trasformato lo stile dell'intervento in un messaggio politico. Non una richiesta di larghe intese ma un'offerta concreta e seria per "uscire dalla crisi" se l'Unione in Senato non avrà la forza per onorare gli impegni internazionali. Chi ha orecchie ha inteso. Semmai a sinistra e a destra sono diversi gli interlocutori e gli interessi rispetto a questa disponibilità del leader azzurro.

Prodi, che aveva già fatto muovere Enrico Letta, non vuole essere tagliato fuori da eventuali trattative con il centrodestra. Se dipendesse da lui il meglio sarebbe acquisire qualche pietoso voto centrista senza pagare nessun prezzo politico in Senato al suo asse preferenziale con Rifondazione.

Follini e Tabacci vorrebbero accelerare la scissione con Casini ma non possono saltare sul carro della sinistra senza perdere la faccia e il loro peso politico moderato: da attori diventerebbero semplici pedine rosse!

C'è anche una terza ipotesi che l'impianto del discorso del leader moderato tenuto alla Camera ha alimentato. Bastava osservare la tensione e il silenzio con cui è stato seguito più a sinistra che nel centrodestra. Perché, se si prende atto che il berlusconismo non è finito e che le ipotesi di successione nella Casa delle Libertà non sono di attualità, è con Berlusconi che va trovata la strada per procedere nella garanzia di una più efficace governabilità del Paese.

E' presto per dire se il fascino della grande coalizione alla tedesca contagierà l'Italia, tuttavia sono queste le settimane di rodaggio di una simile ipotesi. Che avrà, sul cammino accidentato della finanziaria, più sponsor di quanti si credano e si vedano oggi. Nelle forze politiche certo, ma anche tra quei poteri forti che prenderanno atto dei limiti oggettivi dell'attuale maggioranza e del suo premier. Corriere della Sera e persino la Repubblica sono già al lavoro…

Noi/Perché li mettiamo in fuori gioco

Dopo alcune sconfitte subite ad opera di Annibale, i Romani cambiarono tattica e dallo scontro frontale passarono alla guerriglia: incursioni rapide per infliggere danni dal nemico e logorarlo progressivamente.

L'attuale situazione politica italiana assomiglia a quella di Roma. Il centrodestra, come i Romani, ha subito una serie di sconfitte - elezioni politiche, elezioni regionali, referendum, elezione delle alte cariche dello Stato - e il centrosinistra cerca di portarne via dei pezzi.

Ne seguono tre linee operative:

- la prima è che il centrodestra deve restarre unito e non deve perdere pezzi;

- la seconda è che il centrodestra non è proonto per una nuova battaglia campale e quindi deve limitarsi a una serie di incursioni che logoreranno il centrosinistra;

- la terza è che un tentativo prematuro di sscontro compatta il centrosinistra.

Una incursione ben riuscita è stata l'annunzio preventivo di Berlusconi che la Casa delle Libertà avrebbe votato a favore del rifinanziamento delle missioni italiane, cui è già seguito il voto alla Camera.

Una seconda incursione ben riuscita è la tesi di Giulio Tremonti che il governo non cadrà sulla politica estera ma sulla politica economica: nella "foresta" della Finanziaria sono possibili infiniti agguati che metteranno in difficoltà la maggioranza.

Una terza incursione ben riuscita è stata l'intervista di Fini sulla prospettiva di ingresso di An nel Ppe come passaggio facilitante per la costruzione di un partito unico dei moderati, che mette in evidenza le difficoltà della sinistra a mettere in piedi il Partito democratico.

Bisogna quindi evitare di fare annunci prematuri anche perché la sinistra deve compiere ancora molti errori prima di alienarsi una parte significativa del proprio elettorato.

Bisogna approfittare dei varchi che offre la sinistra per fare delle proposte popolari. Ad esempio, fonti governative hanno criticato le manifestazioni dei tassisti per i disagi che hanno creato alle vita normale delle città. Sarebbe utile sfruttare l'argomento e proporre una disciplina ai sindacati che proclamano gli scioperi e indicono manifestazioni che creano disagi nelle città: non si vede perché ai tassisti si rimprovera lo sconvolgimento del traffico e non ai sindacati.

Altro aspetto fondamentale nella tattica temporeggiatrice è quello di non impiegare troppe forze: questo si traduce in una autolimitazione degli interventi pubblici - discorsi, iniziative varie - e se questo lascia un po' troppo spazio sul palcoscenico alla sinistra, la espone alla "saturazione da politica" e soprattutto la costringe a manifestare le proprie divisioni interne.

Più sono rarefatti e sobri gli interventi dei leader del centrodestra, più la sinistra ha meno argomenti per attaccarli e quindi è obbligata a parlare di sé: bisogna fare come il pugile sul ring che balza da un punto all'altro ed evita i colpi dell'avversario.

Buone dosi di silenzio disorientano la sinistra, generalmente più abile nella dialettica. E poi, tacendo, non si svelano né in modo diretto né in modo indiretto i propri obiettivi.

"Wait and see" - aspetta e osserva - deve essere la tattica attuale del centrodestra.

   

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