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La famiglia degli strumenti elettronici

L'idea di usare dispositivi elettrici per produrre suoni (elettrofoni) non è recente. I primi esperimenti iniziarono con il Dynamophone di Thaddeus Cahill, all'inizio del XX secolo: si trattava di diversi generatori (di qualche quintale di peso ciascuno!) che producevano correnti alternate a diverse frequenze, quindi suoni diversi: ovviamente questa strada per distribuire musica "via cavo" si riverlò immediatamente impraticabile.
I progetti che partirono da quest'idea fino al Moog (vedi sotto) furono molti, ma nessuno aveva il supporto tecnologico necessario. Solo nel 1964, appunto R. A. Moog realizzò il sintetizzatore che ne prende il nome, che usa il principio dell'oscillatore controllato in tensione (VCO). Il dispositivo era modulare, così da potervi aggiungere elementi secondo necessità.
Nel 1958 vennero prodotti i sintetizzatori ARP, e successivamente gli EMS: questi apparecchi erano tutti di tipo analogico (la corrente variava in maniera continua nel tempo), mentre poco dopo entrarono in uso i controlli digitali. Solo in un secondo tempo si assisté all'utilizzo dell'elettronica digitale nella sintesi sonora.

La famiglia degli strumenti elettronici si può classificare solo in base al fatto che, per produrre il suono, vengono impiegate tecnologie elettroniche ed elettro-meccaniche. Il nome corretto di questi strumenti è elettrofoni. Questi strumenti, prima di uso estremamente limitato, si sono fatti strada principalmente nella musica leggera, grazie alle sonorità che li contraddistinguono.

La chitarra elettrica è senza dubbio la regina tra gli elettrofoni detti semi-elettronici. Il nome deriva dal fatto che il suono è prodotto come nelle normali chitarre, ma anziché essere amplificato dalla cassa armonica, viene trasformato in segnali elettrici tramite testine elettromagnetiche, dette pickup. Il segnale può poi essere mandato direttamente ad un amplificatore, oppure a dispositivi che lo possono filtrare, distorcere, aggiungere un'enorme quantità di effetti (eco, riverbero, wah-wah...).
basso elettricoSenza dubbio, dopo la chitarra viene il basso elettrico, da quattro a sei corde, con caratteristiche simili e molte variazioni sia strutturali (con o senza tasti), sia di esecuzione (pizzicato, con plettro, picchiettato o slap,...).
Altri strumenti elettronici sono gli elettrofoni elettromeccanici, ormai sostituiti da strumenti esclusivamente elettronici. Tra questi sicuramente il rappresentante è l'organo Hammond: questo funziona tramite appositi dischi, dotati di un numero di punte variabile, che inducono una corrente in un circuito elettromagnetico. Questa corrente ha ampiezza variabile a seconda del numero di punte di ogni disco: i dischi vengono selezionati dai tasti dello strumento, e la corrente genera il suono.

Sintetizzatore Moog L'ultima classe, che ha avuto enorme sviluppo grazie all'elettronica a stato solido, è quella degli elettrofoni ad oscillatori, dei quali il capostipite è il sintetizzatore moog che vedete in questa immagine.
I sintetizzatori producono direttamente segnali elettrici, tramite opportuni generatori di forme d'onda o oscillatori: questi, in numero generalmente superiore ad 8, producono un segnale elettrico i cui parametri possono essere regolati in maniera più o meno libera dall'esecutore, permettendo così di programmare lo strumento.
Nel campo della musica elettronica non possono essere però citati solo gli strumenti per la produzione del suono, ma anche quelli che ne permettono l'elaborazione.
I campionatori sono strumenti che permettono di memorizzare un suono in forma digitale, permettendone così l'elaborazione in tempo reale: è possibile variarne la frequenza o il volume, ciclare lungo tutto il campione così ottenuto in modo da prolungarne la durata, modificarne le caratteristiche timbriche (lo spettro) ed unirlo ad altri suoni, in modo da ottenere una vasta gamma di timbri non ottenibili in natura.

I Processori di segnale (SP - Signal Processors) vengono usati per ottenere parecchi effetti ottenibili in natura (e molti non ottenibili): questi dispositivi trattano il segnale elettronicamente direttamente o previo campionamento (e in questo caso parliamo di DSP - Digital Signal Processors), permettendo di ottenere effetti di eco e riverbero tipici di ambienti diversi (stanze, spazi aperti, chiese...), ritardi di propagazione del suono, ma anche effetti spettrali: variando le frequenze delle componenti del segnale o delle loro ampiezze è possibile ottenere i più disparati effetti sonori.

I Sequencers sono invece dispositivi atti a memorizzare e riprodurre interi brani musicali. Di tecnologia esclusivamente digitale, questi non immagazzinano i suoni come i campionatori, ma le caratteristiche di un brano musicale: un sequencer comanda uno o più sintetizzatori, che provvedono ad eseguire il brano. Con i sequencer è possibile modificare la struttura del pezzo nota per nota, variarne il tempo, la tonalità e volendo anche il modo; con i dispositivi più evoluti è possibile anche uscire dal temperamento equabile. I sequencer usano di norma il protocollo MIDI (Musical Instrument Data Interchange) per comunicare con sintetizzatori, processori di effetti, campionatori, mixer ed altri dispositivi (batterie elettroniche...).