Capitolo 2 - Le prime esperienze musicali - 4/4

Torniamo ora alla prima esperienza operistica del giovane Verdi e alle caratteristiche salienti di Oberto conte di San Bonifacio. Nell’opera si riconoscono, anche se solo parzialmente, alcuni elementi sia melodici sia ritmici che distingueranno il successivo stile di Verdi: anche se si tratta inequivocabilmente del lavoro di un esordiente, del quale rivela tutti i limiti - e anche i difetti di cui il compositore avrà qualche difficoltà a liberarsi, quale una certa strumentazione pesante, rumorosa - vi si trovano, in germe, talune caratteristiche del Verdi più maturo, quello che sarà in possesso di un certo "mestiere", quali la tendenza a far aderire la musica alla parola, o quell’istintivo senso di teatralità che risalta già nettamente in alcune scene dell’Oberto.

L’esito dell’opera dovette comunque essere apprezzato da Merelli, se questi propose subito a Verdi un contratto per tre nuovi lavori, il primo dei quali avrebbe dovuto essere un’opera buffa. Le condizioni economiche proposte da Merelli furono allettanti per il musicista, che attraversava con la moglie Margherita, prostrata come e più di lui moralmente e fisicamente dopo la morte del piccolo Icilio, un momento difficilissimo.

Verdi stesso scelse il libretto, un infelice testo intitolato Il finto Stanislao, già musicato vent’anni prima con modesto esito da un compositore boemo, Adalbert Gyrowetz. Narra lo stesso Verdi:

Merelli mi diede a leggere vari libretti di Romani che, o per cattivi successi, o per altri motivi, giacevano dimenticati. Lessi e rilessi, nessuno mi piaceva [...] prescelsi quello che mi parve meno male, e fu Il finto Stanislao, battezzato poi Un giorno di regno. L’opera avrebbe dovuto andare in scena nel mese di settembre 1840: in giugno, come si è fatto cenno, Margherita morì. La sua fine decretava di fatto per Verdi l’annullamento completo e definitivo della sua realtà famigliare. Non è difficile immaginare con quale animo il musicista continuasse a lavorare su un testo grottesco e comico - tale era Un giorno di regno - del quale probabilmente egli, immerso in quel dolore che l’aveva colpito ancora una volta tanto crudelmente, coglieva in pieno tutta l’assurdità. 

Aveva comunque preso un impegno con l’impresario della Scala, aveva sottoscritto un contratto: doveva quindi rispettarlo. Un giorno di regno andò in scena il 5 settembre 1840 al Teatro alla Scala e segnò un clamoroso insuccesso, al punto che l’opera, dopo la prima rappresentazione, fu tolta dal cartellone e dal repertorio del Teatro. Il pubblico non risparmiò rumorosi dissensi che piovvero come fulmini sul capo del compositore. La critica non fu da meno: alle stroncature si alternarono feroci commenti ironici. L’opera, come si è detto, non ebbe alcuna replica e, ancor peggio, la ripresa di Oberto, che venne programmata subito dopo, sia a Milano sia in altre città italiane, ebbe accoglienze distratte e tiepide.

In Un giorno di regno pare di riascoltare brani già noti, pessime imitazioni di Rossini e di Cimarosa, e scarse sono le pagine che contengono spunti interessanti o piacevoli.

Il "fiasco" costituì per Verdi una vera doccia fredda, tale da procurargli un periodo di acutissima crisi e dal dissuaderlo totalmente dal comporre altre opere buffe, decisione che il musicista mantenne valida almeno fino agli ultimi anni della sua lunga vita, allorché, forte della grande esperienza, della fama e del prestigio acquisiti e ormai incontestabili, riprenderà il genere buffo, trattandolo con grande spirito e senso dell’ironia in quello che sarà il suo ultimo capolavoro, Falstaff.
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