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Con la Messa di requiem Verdi aveva inteso realizzare il duplice obiettivo di superare qualitativamente le sue creazioni musicali precedenti e di dimostrare inequivocabilmente come egli fosse il vero continuatore dei grandi maestri che nei secoli passati avevano decretato il primato della scuola polifonica italiana in Europa. Inoltre, come si è precedentemente accennato, in Italia si stava diffondendo e riscuoteva sempre più ampi consensi la musica sinfonica e da camera; alcuni intellettuali, fautori di una nuova estetica musicale, che privilegiava più potenti ed efficaci impasti armonici, tendevano a denigrare o a "snobbare" la produzione lirica italiana, rappresentata sostanzialmente da Giuseppe Verdi: con il Requiem il musicista intese quindi anche smentire i suoi detrattori, coloro cioè che riconoscevano in lui esclusivamente un "musicista di teatro", dando al termine un significato spregiativo. Alla contessa Maffei, che lo incitò costantemente a dedicarsi alla creazione di una nuova opera, Verdi rispose: [...] Per qual motivo scriverei? a cosa riescirei? e cosa ci guadagnerei io? Il risultato sarebbe ben meschino. Sentirei da capo dirmi che non ho saputo scrivere e che son diventato un seguace di Wagner. Bella gloria! Dopo quasi quarant’anni di carriera finire imitatore!Verdi visse quegli "anni di silenzio" in agiatezza, ostentando anche un certo lusso; a Sant’Agata si dedicò alle proprie terre, mettendole a frutto, acquistando tutto quanto vi era di più avanzato in fatto di macchine agricole, occupandosi del bestiame e delle colture. Scrisse all’amico Opprandino Arrivabene: [...] Tu dirai cosa diavolo vado a fare in campagna? Ma tu sai [...] che sono in fabbriche, che l’anno passato ho fabbricato una cascina, quest’anno due ancor più grosse: e che sono là circa un duecento operai che hanno lavorato fino ad oggi, ed ai quali ho dovuto dare disposizioni per lavorar in avvenire appena il gelo lo permetterà. Sono lavori inutili per me perché queste fabbriche non faranno che i fondi mi diano un centesimo più di rendita: ma tanto tanto, la gente guadagna, e nel mio villaggio la gente non emigra [...].Su Verdi tanto dedito a gestire la tenuta di campagna, Antonio Ghislanzoni, che durante il periodo di lavoro sul libretto di Aida aveva avuto molte occasioni di incontrarsi con il musicista a Sant’Agata, scrisse tra l’altro: [...] Lo spirito osservatore del Verdi ha raccolto per versarli su questo campo tutti i progressi della scienza agricola inglese e francese. Mentre i salici del giardino, e i folti alberi, e i chioschi opachi, e il laghetto tortuoso e melanconico, ritraggono l’indole appassionata dell’artista, la coltura di queste ampie campagne sembra invece riflettere la mente ordinata dell’uomo, quel criterio pratico e positivo che nel Verdi, caso piuttosto unico che raro, si trova accoppiato ad una fantasia esuberante, ad un temperamento vivace ed irritabile [...].Durante le stagioni invernali Verdi si trasferiva a Genova, dove occupava con la moglie e la numerosa servitù un intero piano di Palazzo Doria. Condusse in questo periodo una vita agiata, curandosi del proprio abbigliamento, della buona tavola, e circondandosi di tutto quanto potesse garantirgli un’esistenza il più possibile confortevole. A parte qualche breve parentesi – compose un Pater noster e un’Ave Maria su testi tratti da Dante Alighieri, brani che vennero eseguiti nel 1880 – rifiutò costantemente di rimetter mano alla composizione di un’opera.
Contribuì infine a determinare questa lunga pausa il fatto che, affermato con grande risonanza il suo primario e incontrastato ruolo nel panorama del melodramma italiano, egli ne sentisse anche tutto il peso e temesse di compromettere in qualche modo il prestigio acquisito fornendo, con una nuova opera, un prodotto ipoteticamente inferiore a ciò che da lui ci si sarebbe potuto attendere.
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