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il Quaderno del 21 luglio

Prodi/Parla ma non dice niente

Se un prodotto "non vende" necessita di un supporto promozionale e se il prodotto è anche scadente lo "spot" deve essere autorevole, nel "vettore" e nella firma. Solo in questa logica trovano giustificazione le pagine, la 2 e la 3, che il Corriere della Sera offre a Prodi con un'intervista firmata da Gianni Riotta, uno dei vicedirettori del quotidiano di via Solferino.

Gli ingredienti per un'operazione di successo c'erano tutti, e invece il premier riesce a trasformare la conversazione in un pendolo che oscilla tra l'ovvietà e il nulla. E la menzogna.

A tre mesi dall'insediamento del governo, Prodi ha posto per ben quattro volte la fiducia e, molto probabilmente, con il voto sulla missione in Afghanistan segnerà la quinta, ma lui minimizza. Respinge l'idea che nella maggioranza ci siano "scricchiolii o rotture" e rimprovera all'opposizione un ostruzionismo che "noi non abbiamo mai fatto". Non gli è stato ricordato quante volte la maggioranza è andata "sotto" e su quante materie è spaccata, più che scricchiolante: dalla politica estera, al Mose, alla Tav, al decreto Bersani che – è bene ricordare - non ha avuto il voto del ministro Ferrero. Anzi, al Senato, non ci sarebbero i numeri senza i senatori a vita e qualche "piccolo folle", ma anche in questo caso il professore la butta a ridere: "avessimo vinto con più agio sarebbe stato più facile, ma così è più sexy!". L'avesse detto Berlusconi…

Si passa alla politica estera: settanta righe e nemmeno un progetto, tante parole per nascondere il vuoto, qualche aneddoto per mostrarsi importante, qualche escamotage per affermare le buone relazioni internazionali ("l'amministrazione Bush 2006 non è quella del 2001", "nemmeno il gol di Grosso ha rovinato i rapporti con la Merkel"). E quando tocca l'argomento Israele-Libano, smentisce quanto detto dieci giorni fa: oggi Prodi sostiene che siriani e iraniani sostengono Hezbollah con finanziamenti e forniture di armi, ieri avanzava l'ipotesi di dare ad Ahmadinejad l'incarico di "paciere".

Sulla politica interna, Prodi si fa autore di un vero zibaldone di "chiacchiere" difficile da seguire con un filo di logica:

Con qualche altra quisquilia, lo spot finisce qui e nonostante la bella presentazione, il prodotto rimane scadente. Facciamo in modo che… scada!

Prodi/Spera ma si illude e illude

L'intervistona di Prodi al Corriere prende a modello i soliloqui dell'Enrico IV di Pirandello. Come quell'imperatore per burla, il presidente del Consiglio si difende dalla vita reale trincerandosi in un'esistenza favolosa, dove ogni problema ha la sua soluzione. Campata in aria. Prodi fa male a illudersi di poter perdere tutto senza rimetterci niente. Quando il suo governo perderà (perché non c'è dubbio che perderà), lui verrà giù con tutto il resto. Rifondazione comunista, che con Bertinotti è il principale puntello del governo Prodi, si sta sfasciando. La proliferazione dei casi di coscienza alla Camera sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan diffonde il contagio nell'imminenza del voto del Senato. Si vuole forzare Prodi a mettere la questione di fiducia per consentire alla frangia determinante in dissenso dalla sua politica estera, di continuare a essere contro senza assumersi la responsabilità della crisi subito. Esempio da manuale del detto "di fiducia si muore".

Non sarà consentito a Prodi di reggersi in bilico sugli smottamenti della sua maggioranza. La pratica delle maggioranze variabili, per cui a scelte diverse corrisponde la ricerca di base di sostegno fuori dal recinto della maggioranza, gli è preclusa dall'animosità della sinistra fanatizzata che sente il richiamo della foresta dell'opposizione. Se poi la forza delle cose volgesse verso l'approdo a una grande coalizione alla tedesca, nessuno lo accetterebbe truccato da Angela Merkel. Non basta atteggiarsi a uomo per tutte le stagioni, per essere accettato.

Il peccato capitale che condanna questa esperienza di governo, è quello di aver accozzato una specie di Invincibile Armata buona per vincere le elezioni, ma pessima per governare. Come il suo collega libanese, l'infelice Fuad Sinora, Prodi paga per il vizio congenito di un governo che senza Hezbollah ministri non può nascere e con ministri Hezbollah non può vivere. Tanto meno può vivere realizzando un qualsiasi progetto di riforma che incida sugli assetti sociali esistenti.

Il caso dei tassisti è emblematico. Alla rivolta della categoria, il governo ha risposto con un compromesso che scarica sulle amministrazioni comunali la responsabilità di realizzare i cambiamenti possibili. Nella logica dello scaricabarile, si pretende dai sindaci quelle prestazioni muscolari nei confronti della categoria, che il governo non si sente di fornire. Il finale è già scritto. Non solo per i tassisti, ma per tutte le categorie in lotta per le rispettive rendite di posizione. Abituate, dalla lunga pratica della solidarietà offerta dalla sinistra a ogni forma di ribellismo sociale, a spostare la prova di forza sul terreno dell'ordine pubblico, dove il governo non osa seguirle. E come potrebbe? Da Bertinotti a Pecoraro, da Diliberto alla sinistra diessina, tutti i partiti che hanno gareggiato per bloccare le riforme del centrodestra, nel dare dignità e rappresentanza politica ai "movimenti" sono al governo.

Sono i nostri hezbollah: non "partito di Dio", ma partiti di tutte le proteste e di tutte le corporazioni. Pretendere di cambiare le cose insieme con i custodi del disordine, è come affidare a Dracula il compito di garantire il livello delle scorte di sangue. La demagogia ha introdotto l'imbroglio nel patto con gli elettori. Il demagogo che vince le elezioni si condanna a perdere alla prova del governo. Prodi ci sta riuscendo benissimo.

Prodi/Fa il gradasso ma ricorre alla "fiducia"

Prodi fa il gradasso e afferma che è più sexy governare con una maggioranza risicata, aggiungendo che lo scoglio (superato) delle staminali era più temibile del rifinanziamento alla missione in Afghanistan. Ma il nuovo ricorso al voto di fiducia, chiesto a gran voce dallo stato maggiore di Rifondazione per mettere i dissidenti con le spalle al muro, è l'indice di una situazione che non potrà durare a lungo, tanto che il venticello della Grande Intesa sembra spirare sempre più forte nei Palazzi romani. Secondo taluni, ad esempio, l'aspettativa di vita del governo Prodi non supera i sei mesi, massimo otto. Dopodiché, gli scenari sarebbero due: o un'alleanza trasversale tra Rutelli, Veltroni e Casini "per mandare a casa i vecchi", attuando una rivoluzione generazionale senza precedenti in Italia; o il dialogo che D'Alema starebbe provando a ristabilire con Berlusconi, magari per diventare una sorta di mediatore tra lui e Prodi.

In entrambi i casi, comunque, lo sbocco sarebbe quello di un nuovo governo senza la sinistra estrema. Una soluzione che sta bene sia alla Confindustria di Montezemolo, che si è spesa per il successo del centrosinistra ma ora è fortemente preoccupata dal peso spropositato della sinistra radicale, sia alle gerarchie vaticane, sia all'ambasciata americana. Al lavoro per la Grosse Koalition ci sarebbe, prima di tutto, l'Aspen Institute Italia, il pensatoio bipartisan presieduto da Tremonti di cui uno dei vicepresidenti è, guarda caso, il sottosegretario Enrico Letta, il quale all'assemblea federale della Margherita, lunedì scorso, ha segnalato l'esigenza di "allargare la maggioranza", vista l'impossibilità di governare per cinque anni contando a Palazzo Madama sui senatori a vita.

Ma anche Giorgio Napolitano fa parte dell'Aspen Institute, e ha puntato l'inizio del suo Settennato sulla storica impresa di portare tutta la sinistra sulla sponda occidentale. A costo di rompere con Rifondazione e Pdci, definiti dal presidente "gruppi anacronisticamente antiatlantici". E' convinzione diffusa che se Prodi non ce la facesse, il Quirinale non sarebbe sordo alle sirene della Grande Coalizione.

In questa situazione, la Cdl ha deciso compatta di votare il rifinanziamento alla missione in Afghanistan fornendo così una bombola supplementare di ossigeno a Prodi.

Prodi/In economia solo annunci

Sotto il vestito, niente. E' questa la politica economica del governo Prodi. Tante chiacchiere, annunci, proclami, ma se vai a grattare non c'è nulla. Dal decreto sui tassisti in avanti, l'intero atteggiamento del governo in materia economica è contraddistinto da un passo avanti e due indietro.

Prima commissiona a Riccardo Faini una verifica sui conti pubblici. Quest'analisi si conclude con una previsione di deficit di quest'anno del 4,1-4,6%, contro il 3,8% previsto dal governo Berlusconi. Grandi annunci di manovre correttive da parte di Padoa Schioppa, e sul Dpef appare la previsione di un deficit di quest'anno al 4,0%, dopo una micro manovra correttiva da 0,1%.

Poi arriva il momento delle liberalizzazioni. Liberalizzate le licenze dei taxi, dei farmacisti, dei notai ed avvocati. Ora, dopo gli scioperi delle categorie interessate, il governo fa marcia indietro su tutto o quasi.

E non poteva essere altrimenti. Temi di questa natura non vengono modificati con decreti legge. Si tratta di interventi ordinamentali, la cui natura presuppone un dibattito parlamentare; in più, non hanno il requisito d'urgenza attribuito al decreto. Ne consegue che se il governo ha "forzato la mano" è stato solo per "coprire" la scarsità nei contenuti di correzione della finanza pubblica.

Quest'operazione esclusivamente fondata sulla comunicazione sta mostrando la corda e si sta trasformando in un boomerang.

Noi/Un passo avanti, se come e quando

Da tempo tutti i grandi quotidiani si esercitano nel tiro incrociato contro Forza Italia: partito di plastica, partito del nulla, partito disorganizzato, partito senza classe dirigente, partito destinato a non sopravvivere senza la leadership di Berlusconi.

Purtroppo questo cliché ormai imperante sulla stampa ha finito per oscurare le novità positive di Forza Italia, i passi avanti realizzati nonostante le difficoltà, grazie ad un lavoro meticoloso e paziente che in questi anni è stato compiuto da tutti. E nonostante che tutti gli studiosi di scienza della politica italiana e straniera parlino di Forza Italia come di un partito nuovo, a cui molti cercano di assomigliare.

Purtroppo, il battage dei giornali contro Forza Italia e contro Berlusconi è alimentato spesso dall'interno del partito, sia per scarso senso di responsabilità sia per la assoluta mancanza di coscienza politica e di senso di appartenenza politica.

Anche questa mattina il quotidiano La Repubblica pubblica informazioni sulla situazione interna di Forza Italia che non corrispondono alla verità. Soprattutto per quanta riguarda la sfera organizzativa.

Ad oggi, infatti, i coordinamenti provinciali commissariati sono 53, pari al 43 per cento del totale. Tutti, senza alcuna eccezione, i provvedimenti di nomina di commissari provinciali sono stati assunti per diretta ed esplicita richiesta dei Coordinatori regionali.

Il coordinamento nazionale non ha effettuato nessun commissariamento locale che non sia stato richiesto direttamente dai coordinatori regionali, a riprova del massimo rispetto per lo Statuto e per l'autonomia del partito a livello locale, nonché per il rapporto di fiducia intercorrente con la quasi totalità dei coordinatori regionali.

Questa situazione, del tutto sotto controllo e meno anomala di quella di altri partiti della coalizione e dei partiti della sinistra, richiede, come da tempo il partito sta discutendo, una nuova stagione congressuale, ma con regole nuove e trasparenti che impediscano di cadere dalla padella alla brace di un tesseramento che ucciderebbe la novità rappresentata da Forza Italia nella politica italiana.

Loro/Fassino, un passo avanti e due indietro

Sul partito unico dei riformisti, Fassino ha messo le carte in tavola, ed è bufera. In una sorta di forum sul Riformista, ove il segretario dei Ds si considera di casa dopo la sostituzione di Antonio Polito con Paolo Franchi, Fassino ha detto quel che non doveva proprio dire. C'è chi parla di gaffe, ma c'è nella Margherita chi azzarda che Fassino abbia voluto tirare il freno a mano sul Partito Democratico perché preoccupato delle ventate scissionistiche minacciate da Mussi col "correntone", dei dubbi di autorevoli personaggi come i senatori Salvi, Villone, Gavino Angius, molto legato a D'Alema.

In pratica Fassino ha detto: se Fini non essendo mai stato democristiano chiede di entrare nel Ppe, non si vede perché voi non potete entrare nel Pse. Ma la ragione vera della reazione è che Fassino, concretizza i sospetti peggiori che agitano la Margherita, che cioè i Ds tendono, nella unità da costruire, ad assorbire i Dl nella loro storia, che è anche - sebbene incompiuta - quella del socialismo europeo di questi decenni che ha visto entrare nel Pse partiti dell'est europeo i quali, come i diessini di oggi, hanno le stigmate di un post-comunismo non digerito. Per questo la sollevazione anti-Fassino è stata unanime: Rutelli fa sapere di essere stupito, più chiaro parlano gli uomini dello stato maggiore della Margherita, da Soro a Parisi, a Pistelli, a Castagnetti a Rosi Bindi, a Polito.

Il quadro, restando alla provocazione di Fassino e alle reazioni, è abbastanza chiaro. A cercare di renderlo ambiguo ha contribuito Prodi il quale, nella sua intervista sul Corriere della Sera di oggi ad una domanda sulla polemica ha dato una risposta assai diversa da quella della Margherita. Prodi sostiene che la storia dei partiti europei è molto mutata, nel Ppe sono stati accettati partiti che forse non dovevano esserlo, e lo stesso Pse sta cambiando. Può chiamarsi ormai partito socialdemocratico, può ospitare chiunque. Il problema è che la Margherita non pone il problema del suo accoglimento nel Pse, ma del suo rifiuto a finire in un calderone come è il socialismo europeo oggi. Per Rutelli, ad esempio, il punto di riferimento, o "di interlocuzione", come ama dire è anche, se non soprattutto, il Partito Democratico americano.

Stampa/Lo sciopero non è uguale per tutti

Pietro Ichino è un autorevole giuslavorista con un passato di parlamentare del Pci e di dirigente della Cgil. E' balzato agli onori della cronaca lo scorso anno, con un libro ("A che cosa serve il sindacato?) che ha lucidamente messo a nudo le colpe dei massimalisti della Cgil nell'arretratezza del sistema delle relazioni industriali in Italia. Apriti cielo.

Oggi, fresco editorialista del Corriere della Sera sotto il regno del governo della sinistra, sembra anche lui colto dalla sindrome conformista che invita a non disturbare il manovratore. Così il fondo di oggi sul quotidiano di via Solferino esprime un concetto condivisibile sugli "scioperi senza regola", ma evita di portare a compimento il suo ragionamento. Scrive un libro giallo, ma non ci dice chi è l'assassino.

Lo spunto è quello della protesta dei tassisti, la conclusione è che nelle vertenze sindacali "alla Repubblica Italiana oggi è inibito di scegliere sovranamente la soluzione più ragionevole per ragioni di ordine pubblico". Si ricordano correttamente anche gli scioperi dell'Alitalia, i tranvieri, i metalmeccanici, le proteste contro gli inceneritori e le nuove opere.

Quel che Ichino evita accuratamente di annotare è che a tenere alto il vessillo di queste proteste senza regole e, spesso, degenerate nella violenza (tale è anche un blocco stradale) c'è sempre stata la sinistra. I Cobas dei trasporti, la Fiom-Cgil dei metalmeccanici, i no-Tav, i no-Mose, i sindaci "rossi" e "verdi" contro rigassificatori e discariche.

E' vero, come dice Ichino, che "sembra essersi diffusa l'idea secondo cui, quando una vertenza collettiva non si sblocca con le buone, è ‘inevitabile' fare ricorso alle maniere forti: dalla violazione della legge sugli scioperi pubblici ai blocchi stradali e ferroviari, fino alla violenza fisica sulle persone". Ma allora si abbia il coraggio di ricordare che, in queste occasioni, a sventolare sono sempre le bandiere rosse.

Se la Fiom-Cgil si schiera con i teppisti di Milano contro la magistratura; se una delegazione di parlamentari di Rifondazione intende attribuire un incarico di consulenza sull'emergenza abitativa a Nunzio D'Erme, al solo fine di strapparlo agli arresti domiciliari; se verdi e no-global vanno in barca all'arrembaggio dei lavori del Mose; se accade tutto questo impunemente, troppo facile prendersela con i tassisti, che si inseriscono in una deriva di decine di "cattivi esempi" sostenuti con compiacenza dalla sinistra durante tutta la legislatura del governo Berlusconi.

Ichino, un po' di coraggio, un passo in più. Ci dica: chi è l'assassino?

   

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