"Ma lo abbiamo sempre detto: faremo un'opposizione dura, implacabile, nelle aule parlamentari, e la faremo anche nel Paese". Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, sembra considerare del tutto superflue le sollecitazioni di questi giorni al leader di Forza Italia. Bonaiuti considera un'ovvieta' anche il motivo per cui finora la Cdl non ha chiamato la gente a protestare contro il governo. "Abbiamo chiaramente aspettato la ripresa dell'attivita', non si possono certo fare manifestazioni in pieno agosto", osserva il portavoce di Berlusconi. Facile per Bonaiuti ricordare che anche due legislature fa, quando il centrodestra era all'opposizione, vennero organizzate giornate di mobilitazione su questioni come il fisco, la scuola, la burocrazia.
E assicura che il progetto di Berlusconi di visitare due province ogni settimana e' sempre sul tappeto. Su questa determinazione a portare avanti in tutte le sedi l'opposizione al governo Prodi ci sarebbe pieno accordo con il leader della Lega, Umberto Bossi.
Il paradosso di Prodi: se migliorano le condizioni della finanza pubblica, aumentano i problemi per la sua maggioranza. Si fanno più alte le voci dell'estrema sinistra per un ammorbidimento della manovra. Al tempo stesso, si fanno più rigidi i richiami europei.
La Bce ricorda al governo che si aspetta un'importante azione di risanamento. E lo stesso ripete la Commissione europea.
Se, tecnicamente, sarebbe possibile una finanziaria più blanda per far scendere nel 2007 il deficit sotto il 3%, il Patto di Stabilità ricorda che i paesi con un alto debito pubblico devono fare correzioni più decise; soprattutto se il ciclo economico è positivo.
Insomma, all'Unione europea non basta che l'Italia scenda sotto il 3%, deve sfruttare il buon momento per dare una sterzata positiva alla finanza pubblica.
Ed è quel che Padoa Schioppa si sentirà ripetere a partire da domani ad Helsinki, all'Ecofin informale.
Ad essere onesti, queste cose Padoa Schioppa le conosce già. Il problema è che Prodi non riesce a far digerire alla sua maggioranza la necessità di una manovra da 30 miliardi, anche se è già vicino al 3% di deficit.
Per queste ragioni, il buon andamento dei conti pubblici viene taciuto, coperto, nascosto da Palazzo Chigi. In parte perché se i conti pubblici migliorano è merito delle misure adottate dal governo precedente; in parte, perché la variegata maggioranza di Prodi non riuscirebbe a digerire una manovra rigorosa, come chiede Bruxelles, per rispettare il Patto di Stabilità.
Prodi, insomma, si è infilato in un cul de sac. Per queste ragioni sta cercando di utilizzare tutte le leve che ha in mano per addolcire l'atteggiamento della Commissione Ue, non ultima quella di spedire Fassino a Strasburgo ad incontrare Almunia, in nome dell'Internazionale socialista.
A Bruxelles, però, l'aria che tira è che non sono previsti sconti all'Italia; anzi, verranno adottate misure che costringeranno il governo Prodi a fare chiarezza sui conti di quest'anno. E far uscire allo scoperto che le finanze pubbliche rispettano gli obbiettivi di rientro dal deficit, negoziati dal governo Berlusconi.
Mentre, ancora ieri sera, D'Alema ripeteva: Tremonti ci ha lasciato i conti allo sfascio. Il ministro degli Esteri dovrebbe conoscere i rapporti che quotidianamente gli invia la nostra Rappresentanza presso l'Unione europea. E quei rapporti sono di segno diametralmente opposto alle sue dichiarazioni.
Un consiglio per i patiti del Lotto: dodici, venticinque, trenta, trentacinque, quaterna secca da giocare sulla ruota di Roma, alla ricevitoria di Palazzo Chigi.
Sono i numeri del balletto di cifre che anche ieri sono state allegramente snocciolate dalla sinistra di lotta e di governo, da ministri, sottosegretari e sindacalisti. Numeri in libertà, buttati lì a caso, sui conti dello Stato e sulla manovra finanziaria.
La medaglia d'oro di questa gara a chi assesta lo schiaffone più sonoro al superministro dell'economia va assegnata a Ferrero, il titolare del Dicastero della Solidarietà Sociale.
Il re degli effetti speciali con i quali il governo ha deciso di stupire tutti gli italiani, non ha dubbi: "L'entità della manovra ammonta a 12 miliardi di euro".
Un terzo di quella originariamente prevista da Padoa Schioppa, meno delle metà della linea Maginot (30 miliardi) immaginata da Prodi, Fassino e D'Alema.
Ferrero fa di più. Prende a pugni anche Almunia, che da Bruxelles ammonisce a non annacquare la manovra: "Le pressioni sono francamente insopportabili, sarebbe opportuno un po' più di rispetto per l'Italia, che continua a essere un Paese sovrano". Silenzio dei media (e di Prodi) sul "rispetto" che dovrebbe essere riservato al commissario europeo da un ministro della Repubblica italiana.
Il numero 25 è uscito sulla ruota di Pecoraro Scanio. L'ineffabile ministro dell'Ambiente ieri era scatenato: ha intimato alla Sicilia di bloccare la costruzione di quattro termovalorizzatori, ha ribadito che i lavori del Mose vanno fermati e, dulcis in fundo, ha dichiarato (alla Stampa): "La manovra per rientrare nei parametro di Bruxelles è di 14/15 miliardi, dieci miliardi in più servono per il rilancio del Paese, dunque l'Europa sarà più che soddisfatta anche di una manovra complessiva di 25 miliardi".
Non manca di inviare un messaggio anche a Confindustria: "Il taglio del cuneo fiscale si può spalmare su due anni".
Con tanti saluti all'unico impegno chiaro e inequivocabile manifestato da Prodi in campagna elettorale: cinque punti di taglio, tutti e subito.
Chiudiamo la carrellata con i ds: la sinistra del partito marca la distanza dalla segreteria con Mussi, secondo il quale "i 30 miliardi non sono un Moloch". Vorremmo che fosse più preciso: 27 o 28? Per giocarci la cinquina, non per altro.
La sinistra ci ha abituati nel corso dei decenni a contorsionismi morali e politici e a menzogne innumerevoli dei quali è impossibile stilare un elenco completo. A seconda delle situazioni e delle strumentali necessità, soprattutto i compagni che si riconoscono nelle mutazioni Pci-Pds-Ds si sono esibiti in voltafaccia rapidi e talvolta rabbiosi. I sinistri di ogni gradazione, compresi i pacifisti apparentemente intransigenti, si sono convertiti all'interventismo militare da quando Massimo D'Alema, in perenne e malcelata competizione con Romano Prodi, ha deciso di giocare al piccolo Metternich.
I compagni difendono, quindi, con le unghie e con i denti la missione in Libano, la cui improvvisata progettazione ha determinato nel governo del Professore una delle più ridicole crisi di autocompiacimento e di sgangherata vanagloria mai registrata, crisi che osservatori pur non ostili alla sinistra hanno rilevato e criticato.
La posizione della Casa della libertà sulla questione è nota e limpida. L'Italia deve fare la sua parte per la promozione e la salvaguardia della pace nel contesto dei suoi impegni internazionali e quindi il centrodestra voterà la missione. La voterà perché c'è un filo di continuità - nel segno della pace, della democrazia, della lotta al terrorismo - fra gli interventi in Irak e in Aghanistan e la missione in Libano. Ma la maggioranza attuale dovrebbe riconoscere questa continuità, ammettendo, in omaggio alla verità storica, che il governo Berlusconi ha agito nell'interesse della collaborazione internazionale e ridando al Paese una politica estera autorevole e apprezzata, quella politica estera alla quale da decenni si era rinunciato.
Sulla pelle dei soldati - E' chiaro a tutti che in questa materia la Cdl ha tenuto una linea coerente. E' stata la sinistra a fare il voltafaccia, mutando l'avversione per gli interventi in Irak e Afghanistan nell'entusiasmo strumentale per la missione in Libano. Ad Antonio Padellaro e agli altri cervelloni della propaganda si sinistra non va di riconoscere la verità, sarebbe troppo duro rimangiarsi le bugie e le speculazioni imbastite sulla missione a Nassirya. E allora si ricorre alla menzogna. Oggi Padellaro si è avventurato in un editoriale scivoloso nel quale accusa il centrodestra di speculare sulla pelle dei nostri militari; per il direttore dell'Unità la legittima richiesta di chiarificazione politica avanzata dalla Cdl - segnatamente di Fini e di Cicchitto - diventa la proposta di un "baratto&qquot;.
E' commovente scoprire che adesso Padellaro e compagni si preoccupano tanto dell'incolumità dei nostri "ragazzi", ai quali non hanno mai negato sospetti e avversione. Ma in questo ruolo di ultimi difensori delle forze armate i riservisti dell'Unità e delle sinistre non sono credibili e fanno autogol. Sono loro ad avere voluto, fortissimamente voluto, una missione molto rischiosa, soprattutto per le ambiguità della risoluzione dell'Onu che la sollecita e la legittima. E per l'ambiguità della posizione del nostro ministro degli Esteri, che si è mostrato più vicino di quanto prudenza e pudore consigliassero a quegli Hezbollah che sono, insieme, partito politico fanatico e armato e centrale terroristica.
I recenti interventi di Walter Veltroni sul Partito democratico e sul proprio impegno politico futuro se cambierà il quadro politico-istituzionale, avevano messo in luce una certa assenza dei Ds nel dibattito politico, polarizzato da Prodi e Padoa Schioppa e dall'ala sinistra dell'Unione.
D'Alema, infatti, ha giocato in proprio, e non come partito, nella politica estera e anche se è tornato sul tema del Partito democratico, dichiarandosi favorevole, si coglie la sua preoccupazione di capire dove si collocherà il baricentro della nuova formazione.
Dire che l'alternativa è tra Ds e Margherita è un po' poco:
Prodi coglie questa indecisione dei Ds e forza le tappe per arrivare al Partito democratico, cioè a una formazione che lo riconosca come leader e si opponga ad eventuali manovre per sostituirlo come accadde nel 1998.
Benché Fassino abbia ricordato che i Ds sono la forza più consistente della maggioranza di governo, di fatto i suoi rappresentanti, eccetto Visco e Bersani che sono però un po' emarginati in seno al partito, non fanno notizia e la battuta di D'Alema - "aberrante lasciare il lavoro a 57 anni" - non si traduce in una linea politica.
Prevale nei Ds l'antiberlusconismo: D'Alema interviene sulla Rai, diversi esponenti del partito sollecitano una nuova legge sul conflitto d'interessi, ma sui contenuti sono assai più attivi Rifondazione e Comunisti italiani.
Se il governo è sotto ricatto dei sindacati, il ricatto è ancora più forte nei confronti dei Ds, la cui forza elettorale e organizzativa è scivolata in gran parte nelle mani della Cgil: non è bastato esiliare Cofferati a Bologna.
Per cui i Ds hanno attualmente una serie di personaggi autonomi - come i presidenti di regione tipo Bassolino o i sindaci tipo Veltroni - che hanno un potere che non risponde al partito e non ne dipende, e una struttura centrale sempre più debole che non è in grado di prendere decisioni importanti senza il sostegno del sindacato, cioè della Cgil.
Fassino ha convocato ministri e viceministri Ds per sollecitarli ad evitare polemiche (sulla manovra, ecc.), affiancandosi a Prodi nel sostenere una manovra severa per non lasciar credere che sulla politica economica i Ds siano emarginati.