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il Quaderno del 1° novembre

Loro/Può cambiare la "Biagi". Perché

Una sostanziale modifica della legge Biagi come merce di scambio di un ritocco alla previdenza: potrebbe essere questo l’ennesimo prezzo che Prodi e la cosiddetta ala riformista si preparano a pagare alla sinistra radicale, pur di tenere insieme la coalizione.

Mentre il decreto legge fiscale bussa alle porte del Senato e la legge finanziaria si prepara ad affrontare un iter parlamentare ricco di ostacoli, le diverse anime del governo sono già entrate in fibrillazione in vista dell’appuntamento di gennaio, quando con i sindacati dovrà essere affrontato il tema del riassetto del sistema pensionistico.

E’ iniziato il muro contro muro tra l’ala dei cosiddetti riformisti, forte nei numeri e debole nei fatti, e quella della sinistra radicale, più debole nei numeri ma più forte nei fatti, visto che con un pugno di voti tiene in ostaggio il premier. Di anticipare la discussione, neanche a parlarne. Peggio: Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi hanno già fatto sapere che le pensioni non si toccano. Epifani si dice contrario a ipotesi di innalzamento dell’età pensionabile, tanto che vien da chiedersi di cosa vada a discutere con il governo e perché mai abbia sottoscritto il memorandum d’intesa per la trattativa.

Il segretario della Cgil ha, in realtà, le sue belle gatte da pelare per tenere buona l’ala radicale della sua organizzazione.

Come testimoniato dalle diatribe aperte a seguito della manifestazione di sabato prossimo contro il precariato, ma anche contro Damiano e il governo. Ci sarà la Fiom, ci saranno Rifondazione e Comunisti italiani. Così Epifani, come un re travicello in balìa delle onde, attacca sul fronte delle pensioni e, contemporaneamente, sfodera la spada sul tema del precariato. Difficile pensare che l’apertura del dibattito sui due temi sia casuale. Lecito sospettare che, ove questo governo sia ancora in sella dopo Natale, ci si prepari fin da ora a una ennesimo quanto artificioso (si sa già chi comanda) braccio di ferro tra pseudo-riformisti ed estrema sinistra. Il cedimento dei primi su alcuni dei capisaldi della legge Biagi, che pure ha portato la disoccupazione ai minimi storici in questo Paese, costituirà buon alibi per la seconda nell’accettare qualche ritocco sul fronte delle pensioni. Prodi, con i suoi riformisti a parole, è più che disponibile ad affossare le buone riforme del governo Berlusconi. Che cosa non farebbe pur di restare in sella?

Loro/Bertinotti difende il programma. Perché

La sinistra radicale non perde occasione per alzare la voce e far capire chi comanda nel centrosinistra. E’ bastata un’intervista del ministro Chiti sulla distanza che corre tra il programma di governo e il Vangelo per scatenare le ire di Rifondazione, Verdi e Pdci. Ma il fatto nuovo è l’inaspettata - e puntigliosa - puntualizzazione del presidente della Cameera sul carattere vincolante del programma, in quanto oggetto del mandato conferito dagli elettori.

Detta in un altro momento, la frase sarebbe probabilmente stata interpretata come un monito della terza carica dello Stato a non tradire il bipolarismo, ma la maggioranza ha dato dell’intervento di Bertinotti una lettura esclusivamente politica. E infatti la stilettata era rivolta proprio al ministro delle riforme, il quale è stato costretto a fornire l’interpretazione autentica dell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, confermando però sostanzialmente la convinzione che il programma non sia una Carta intangibile, ma che possa essere cambiato a seconda delle situazioni che si presentano.

Siamo di fronte, insomma, al solito confronto serrato tra realisti e movimentisti, e il risultato sarà ancora una volta che la volontà dei secondi spegnerà sul nascere le istanze riformiste dei primi.

Intanto Dini, da quando il suo nome è stato inserito nella lista dei possibili premier di garanzia per l’eventuale dopo-Prodi, non perde occasione per attaccare la sinistra radicale. E ieri, non a caso, si è detto "sorpreso" dalle affermazioni del presidente della Camera. Al quale ha fatto notare che "se è vero che il programma imprime l’indirizzo generale dell’azione di governo, bisogna anche ricordare che è altrettanto vincolante il Documento di programmazione economica, che invece prevede la riforma delle pensioni".

Ma, oltre che per i veti alla revisione del sistema previdenziale, Rifondazione è finita nel mirino di Ds e Margherita anche per l’annunciata partecipazione alla manifestazione di sabato sulla precarietà, in perfetto stile "partito di lotta e di governo".

La determinazione con la quale il presidente della Camera si inserisce - anche in veste di leader di partito - nel dibattito politico dell’Unione svela i timori di Rifondazione, che da tempo lancia avvertimenti contro le manovre dei "poteri forti" (vedi Confindustria) per condizionare il governo. In questa chiave viene letta anche la proposta di Berlusconi sulle larghe intese, che secondo il Prc sarebbe stata lanciata apposta per far fare a questo esecutivo una politica propria di un governo unità nazionale.

Da qui il duro avvenimento di Bertinotti: "L’Unione si tiene solo con un consenso sociale, e senza il programma dell’Unione questo consenso sociale sarebbe totalmente cancellato". Il Santo Graal massimalista, insomma, non si tocca.

Loro/La strategia giudiziaria

Appena qualche giorno fa Berlusconi definì la procura di Milano come "la propaggine più preziosa per il centrosinistra". Già, perché i magistrati protagonisti della lunga e nefasta stagione di Mani Pulite si erano premurati, questa volta, di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla odiata Finanziaria ordinando un centinaio di perquisizioni nei confronti degli "spioni fiscali", apponendo a Prodi e consorte l’aureola delle vittime. Quanto quel blitz sia stato gonfiato e strumentale lo si è scoperto in un brevissimo lasso di tempo, ma un risultato parziale lo ha sicuramente ottenuto: dare modo al premier di respirare politicamente e ai Fassino di turno di scagliare le loro intemerate contro i presunti complottisti.

Una pantomima squallida e concertata che però era solo l’antipasto della pietanza avvelenata fornita dagli chef della Procura milanese sul tavolo della politica: un nuovo rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi, l’ennesimo da quel primo avviso di garanzia che nel 1994 colpì l’allora presidente del consiglio mentre presiedeva il vertice mondiale sulla sicurezza.

Ma questa volta c’è una duplice aggravante, una sinistra coincidenza di tempi che vede Mediaset nel giro di poche settimane subire un doppio attacco, legislativo con il disegno di legge Gentiloni, e giudiziario con l’inizio del processo per l’affare Mills fissato per il 13 marzo. Due vicende che non potranno che finire con il condizionarsi reciprocamente, come ha rimarcato il prodiano Franco Monaco quando ha riesumato una frase che non si sentiva da un po’ di tempo, il "partito azienda".

Ancora una volta, siamo di fronte a un attacco concentrico della sinistra - che ora è maggioranza di governo - e della magistratura nei confronti del capo dell’opposizione. Chi pensava che il ddl Gentiloni fosse solo una spada di Damocle sulla testa del Cavaliere destinata a non essere mai usata, ora si deve ricredere: questa volta Prodi è intenzionato a portare avanti la "soluzione finale" nei confronti di Berlusconi, e per farlo non esiterà a colpire il suo principale rivale nella politica e nei beni di famiglia.

Qualcosa di simile avvenne già nel 1997, dopo la vittoria dell’Ulivo, con le inchieste Sme e Imi-Sir.

Ma ora, con Prodi già in difficoltà dopo pochi mesi di governo, il grado di pericolosità dell’offensiva è assai più alto, perché siamo di fronte a una battaglia per la sopravvivenza politica. E proprio sulla strategia politica del centrodestra questa doppia offensiva non potrà non avere ripercussioni.

Bonaiuti: a Prodi oscar per governo peggiore

Agenzia Ansa del 1 novembre h. 12,01

"Dopo la stangata sul bollo che colpisce tre milioni di automobilisti, dopo aver tassato o sul punto di tassare ferocemente il ceto medio e le categorie produttive, i negozianti e i tassisti, i farmacisti e gli avvocati, i giovani impegnati nella scuola e nel lavoro e perfino i pensionati, la sinistra è riuscita in cinque mesi a battere ogni record negativo. Complimenti: oggi gli italiani hanno assegnato a Prodi l’Oscar per il governo peggiore dal dopoguerra". Lo afferma Paolo Bonaiuti portavoce del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi.

Bonaiuti: la controinformazione è a sinistra

"Ma quale campagna di controinformazione? Gli italiani non credono più a Prodi perchè ha fatto esattamente il contrario di quanto aveva promesso in campagna elettorale: la vera controinformazione è venuta da sinistra". Così Paolo Bonaiuti, portavoce del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, ha replicato alle parole di del premier Romano Prodi che ha parlato di "controinformazione" sulla manovra finanziaria.

Financial Times stila la pagella dei ministri finanziari: Padoa Schioppa ultimo

Il Financial Times fa una pagella dei 12 ministri finanziari dell'Eurozona e colloca il responsabile del dicastero di via XX Settembre, Tommaso Padoa Schioppa all'ultimo posto tra i "fairest", ovvero i migliori.

Primo in graduatoria, l'austriaco Karl-Heinz Grasser, seguito dal collega lussemburghese Jean-Claude Juncker e, al terzo posto, dal belga Didier Reynders. A tutti e tre i ministri, il Financial Times ha assegnato tre stelle. Padoa Schioppa, unico tra i 12 ministri delle Finanze, a vedersi assegnata una sola stella, secondo il giornale londinese, "ha trovato più difficoltà a praticare le virtù della disciplina fiscale, rispetto a quella che predicava quando era membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea".

Superbollo: stangata sugli automobilisti

Da Il Sole 24 Ore di oggi, prima pagina.

Per quanto discutibile, la tassa sui Suv aveva una "ratio verde", uno dei tanti colori di cui si compone la bandiera della coalizione arcobaleno.

Ma la scelta di ritirarla e di sostituirla con un superbollo auto con potenza superiore ai 136 cavalli, vetture di uso ben più comune dei gipponi, ha tolto ogni patina ambientalista alla scelta di Governo.

È un’altra rasoiata al ceto medio, equivocato come classe agiata, un altro colpo al bersaglio più facile perché è visibile e sta fermo (non evade, non fugge o muta la sa condizione di contribuente).

Un altro colpo d’impopolarità o, peggio, di vendetta sociale come l’aliquota al 43% oltre i 70mila euro (già varata) o come quella al 45% sopra i 150mila, finora respinta a fatica.

Un cammino fiscale irrazionale che ha già così impressionato le categorie produttive e gran parte dello stesso ceto elettorale del centro-sinistra.

Sensazioni irrazionali? Non sembra. L’ultimo sondaggio chiesto da Palazzo Chigi sugli indici di fiducia segnala il "sorpasso" di Berlusconi su Prodi.

Per recuperare, forse, c’è ancora tempo. Superbolli permettendo.

Consensi/Il governo perde 20 punti a sinistra

Secondo un sondaggio riservato di un istituto molto autorevole, in quasi cinque mesi il governo Prodi ha registrato un crollo del gradimento dal 56 al 36%, ma non su base nazionale, bensì solo con riferimento all’elettorato dell’Unione.

Al momento della formazione del governo, il tasso di gradimento si situava al 56%, che aumentava di 2 punti all’epoca delle "liberalizzazioni" del ministro Bersani, ma successivamente perdeva 5 punti a causa dell’approvazione dell’indulto per cui a giugno-luglio si stabilizzava sul 51%.

Il 6 settembre il gradimento scendeva al di sotto de 50%, ma il 20 settembre, grazie alle dichiarazioni sulla lotta all’evasione fiscale, tornava a salire.

Poi la caduta verticale:

Dal 56% iniziale all’attuale 36% ci sono quindi 20 punti perduti, e questo solo nell’ambito dell’elettorato dell’Unione.

In particolare, di questi 20 punti perduti, 5 sono da addebitare all’indulto e 15 alla Finanziaria, che si rivela il punto debole del Governo.

Questi dati spiegano diversi comportamenti dei leader della sinistra:

Sembra logico, in questa situazione, che il centrodestra offra la carota delle larghe intese sapendo che è già stata rifiutata da tutta la sinistra e tenga in mano il bastone della spallata e del ritorno al voto.

Napolitano non vorrebbe un ritorno alle urne in tempi stretti, cioè a primavera, ma il no alle larghe intese e il no diffuso anche ad un governo tecnico gli lasciano poche scelte.

Di fronte a questa situazione aggravata anche dall’aumento dei consensi a favore di Berlusconi, un aiuto provvidenziale, per la sinistra, arriva dalla procura di Milano e dal rinvio a giudizio del Cavaliere.

Non a caso, infatti, è stato fissato per il 13 marzo l’inizio del processo a Berlusconi: in caso di elezioni, il leader di centrodestra si troverebbe sotto processo e in campagna elettorale per cui gli sarebbe difficile presentarsi come candidato-premier.

Governo/Sondaggio Ipsos-Ballarò: scontento il 58% degli italiani

Il 58% degli italiani giudica "molto o abbastanza negativa" l'azione del governo Prodi, contro il 39% che esprime un giudizio "molto o abbastanza positivo"; per quanto riguarda la finanziaria, il 42% ritiene che dopo l'approvazione della legge le cose "peggioreranno", il 38% pensa che "non cambieranno", il 12% si dice sicuro che "miglioreranno".

Sono questi alcuni dati di un sondaggio commissionato dalla trasmissione televisiva Ballarò alla società di ricerca Ipsos e condotto lunedì 30 ottobre su un campione di mille persone rappresentativo della popolazione italiana adulta.

Riforma Tv/Titolo de Il Sole 24 Ore: una legge vessatoria per la sola Mediaset

Il Sole24Ore, quotidiano della Confindustria, martedì 31 ottobre sotto il titolo "Una legge vessatoria per la sola Mediaset" ha pubblicato questo articolo, a firma dell’ex senatore diesse, Franco Debenedetti.

Gli obiettivi sono giusti, ma le norme che dovrebbero raggiungerli producono risultati opposti: che cosa è all’origine di questa contraddizioni? È possibile evitarle?

Il ddl Gentiloni di riforma del sistema televisivo dispone che la "migrazione" alla tecnologica digitale sia, per una rete Rai e una Mediaset, anticipata di un anno, ma per la totalità del sistema sia posticipato di cinque; dispone inoltre che Mediaset riduca i propri ricavi al di sotto del 45% del totale dei ricavi pubblicitari televisivi. Ma ciò produrrà risultati in contraddizione con gli obbiettivi: si vuole più pluralismo, e lo si frena, più concorrenza, e la si riduce: «Una legge che ritarda il futuro» (come scrivevo sul Sole 24 ore del 21 Ottobre).

Il presupposto da cui parte il progetto Gentiloni è che il sistema televisivo italiano rappresenti un’anomalia, e che, senza un intervento preventivo sugli assetti della attuale televisione analogica, questa anomalia ce la ritroveremo anche quando le trasmissioni saranno tutte in tecnologia digitale. Domanda: in che consiste questa anomalia? Per la letteratura economica, quello in cui opera l’impresa televisiva è un tipico esempio di "mercato a due versanti", in questo caso il versante dei telespettatori e il versante degli inserzionisti pubblicitari. Chi di loro si lamenta? Non i telespettatori, stando ai livelli di audience. La qualità, mediocre secondo alcuni, è senza rapporto con la struttura del settore: semmai, per chi crede alla popperiana "televisione cattiva maestra" sarebbe la conseguenza di una forte concorrenza. Il ministro Gentiloni, quest’estate è stato contestato da villeggianti cortinesi che si lamentavano perché la Rai non trasmette film d’autore: ma possono vederli dal satellite. Non si lamentano le imprese, che hanno un’offerta abbondante, a un prezzo per punto di ascolto che è il più basso d’Europa. Si lamentano, eccome, gli editori della carta stampata, e molte delle 700 televisioni locali: ma non vogliono più concorrenza, vogliono tetti. Mentre le Antitrust proteggono la concorrenza, non i concorrenti.

Potrebbero avere di che lamentarsi gli operatori che volessero entrare in un mercato e che ora ne sono ostacolati da una norma della legge Gasparri. Questa favorisce indebitamente chi già oggi possiede una rete analogica nazionale (tecnicamente: è titolare di un’autorizzazione generale) e non consente a chi non ce l’ha di iniziare un’attività nella tv digitale. È su questo punto che l’Unione Europea (il 19 Luglio!) ha messo in mora l’Italia. Il Governo potrebbe ancora modificare l’articolo 23 della Gasparri, con un emendamento alla Finanziaria, risparmiando soldi e brutte figure...

L’anomalia, posto che non sta in nessuno dei due versanti del mercato che la tv mette in relazione, non sta nella concorrenza. Sta allora nel pluralismo? Sta lì la malattia genetica che si trasmetterebbe al futuro mondo digitale? Ma con 100 canali a disposizione, problemi di pluralismo sono impossibili; e che una rete Rai e una Mediaset siano entrate in quel mondo 3 o 4 anni prima degli altri non fa nessuna differenza.

L’anomalia è tre reti ciascuno a Rai e Mediaset? In nessun altro Paese europeo c’è una tv pubblica generalista, con tre reti, col canone, che raccoglie il 30% circa della pubblicità televisiva, e così può fare il 45% circa degli ascolti. Se questa è l’anomalia, il progetto Gentiloni non la elimina, tre reti sono, tre reti resteranno. Entreranno altre tv generaliste? Quanto si dovrebbe investire e per quanti anni di fila per arrivare anche solo al 10% di share? Provate a chiedere a La7. È probabile che in un Paese delle dimensioni del nostro con due gruppi con tre reti ciascuno più il satellite non ci sia spazio per un terzo gruppo grande. La risorsa scarsa non sono (mai state) le frequenze, bensì i contenuti.

Andiamo al dunque: si dice anomalia e si pensa terzo polo. Ma questo non corrisponde a un’esigenza delle imprese inserzioniste, è sempre meno (con satellite e digitale) un’esigenza degli spettatori, forse neppure dei potenziali concorrenti, che solo nel gran mondo del digitale hanno la possibilità di inventarsi modelli di business diversi da quello di combattere a testa bassa contro due colossi. Il terzo polo è un’ideologia, che come tale non è né giusta né sbagliata: ma è certo sbagliato chiamare anomala una realtà che non si conforma a un modello ideologico. Tutta la storia economica sta lì a dimostrare che è la tecnologia a modificare le strutture dei mercati: invece ci sono ancora Governi che vogliono farlo con politiche costruttiviste. Il modello è pronto, togliere una rete a testa a Rai e a Mediaset, al tempo del Governo dell’Ulivo si chiamava "disarmo bilanciato". Conviene ancora oggi? Conviene a questa esile maggioranza mettersi contro il partito Rai? Conviene offrire all’avversario l’argomento dell’esproprio proletario? E, per dirla tutta, la scelta del titolare di questo terzo polo non provocherà tensioni laceranti proprio all’interno del futuro Partito Democratico? Nei tagli si perde molto sangue, ancor più quando i rami sono fortemente imbricati; la successiva fusione è ad alto rischio, ancor più quando le culture sono diverse e i business sovrapposti. Bertelsmann è tre volte Mediaset o Rai: conviene ridurle quando ci si lamenta del nanismo delle nostre imprese?

Il ddl Gentiloni pensa di evitare almeno i rischi politici di quel modello. Lo fa in modo strabico, lasciando indenne la Rai e imponendo alla sola Mediaset di fare spazio; lo fa in modo subdolo, non imponendo il taglio di una rete, ma mettendo un tetto ai ricavi. Una legge dell’Ulivo, la Maccanico, aveva chiarito che "risorse" sono tutti i proventi afferenti a un’impresa, da pubblicità, canone, abbonamenti. Il ddl Gentiloni deve per forza ignorare i modelli economici dei "mercati a due versanti", e considerare Rai e Mediaset come due agenzie di pubblicità, a cui imporre un rozzo limite. Amputare a uno dei due concorrenti, proprio a quello privato ed efficiente, un quarto del suo fatturato, è un intervento inaudito in una economia di mercato, desterebbe scandalo perfino nella Russia di Putin. Farlo in nome della concorrenza aggiunge al sopruso l’ipocrisia. Consola la persuasione che ci sia un giudice a Berlino e che un’operazione così vessatoria venga impedita.

Le considerazioni svolte in questo e nel precedente articolo attengono al funzionamento delle aziende e dei mercati, e prescindono dall’indubbia anomalia del proprietario di Mediaset che entra in politica e conquista il governo del Paese. Ma volerla risolvere in modo indiretto, è un atto politicamente sbagliato. Farlo agendo su un mercato a cui partecipano tutti gli italiani come spettatori e larga parte dell’industria italiana come inserzionisti, è un atto politicamente autolesionistico. Dimostra a tutti che il conflitto di interessi è un’idra a molte teste.

   

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