ti trovi in: Motore Azzurro » il Quaderno » il Quaderno del 29 settembre

il Quaderno del 29 settembre

 Prodi/Una Finanziaria di tasse

Una finanziaria che metterà in ginocchio il Paese. Altro che "ammaccata", come dice Padoa Schioppa, o "poco sexy", come la definisce Prodi. Questa finanziaria metterà le mani nelle tasche dei contribuenti (e pesantemente) e rallenterà la crescita del Paese.

Con un pizzico di onestà intellettuale il governo lo dice apertamente: il pil del prossimo anno salirà dell'1,3%, contro l'1,6% di quest'anno. Un rallentamento determinato in massima parte da questa finanziaria. Altro che "manovra per lo sviluppo". Altro che "interventi per favorire la competitività".

Le misure contenute nella manovra sono all'insegna del più tradizionale, più bieco "lacrime e sangue". Con forme di accanimento per il ceto medio. E la valorizzazione del principio marxista della lotta di classe. Il governo introduce un "fisco di classe". Sposando in pieno le richieste di Prc e Comunisti italiani, aumenta la tassazione sopra i 70 mila euro. E riduce (a parole) quella applicata sui redditi fino a 40 mila euro. In realtà, il meccanismo di riduzione per i redditi più bassi avviene attraverso il sistema delle detrazioni; che, per le fasce meno fortunate della popolazione, si tradurrà in un assegno di sostegno vero e proprio. Il risultato è che a beneficiare di quest'operazione non saranno soltanto i veri "incapienti" (cioè chi ha redditi talmente bassi da sfuggire al fisco), ma anche i furbi. Cioè, tutte quelle categorie che riescono ad eludere le maglie del Fisco. Ed i risparmi di spesa? Non pervenuti. Saranno concentrati su due misure: taglio del 10% delle spese dei ministeri; riduzione dei trasferimenti agli enti locali. Il primo sarà per buona parte inapplicabile. Il secondo si tradurrà in un aumento delle tasse locali. I tagli ai ministeri sono pressoché impossibili. Il 90% della spesa della pubblica amministrazione è rappresentata da cifre fisse (stipendi, pensioni, consumi intermedi). Il resto è costituito dall'acquisto di beni e servizi.

Un comparto che permette miglioramenti di efficienza, ma non in maniera automatica. E, comunque, i risultati sono sempre aleatori. La riduzione dei trasferimenti agli enti locali si tradurrà, invece, in nuove tasse locali.

Aumenterà l'Ici per le aree di pregio o per quelle raggiunte dai servizi pubblici. Verranno introdotte addizionali Irpef per sistemare i bilanci delle Province e delle Regioni. E sempre all'addizionale Irpef potranno ricorrere le Regioni che sfondano i tetti di spesa sanitaria. E le pensioni? Ed il pubblico impiego? Tutto rinviato. La frammentazione della maggioranza, e la manciata di voti che separa l'Unione dalla Casa delle Libertà, ha fatto della regola economica dell'utilità marginale il principio base utilizzato dai cespugli dell'Ulivo per ricattare Prodi.

Così per sopravvivere, il presidente del Consiglio ed il suo ministro dell'economia, hanno preferito "aggiustare" i conti; nascondere la polvere sotto il tappeto. E sotto il tappeto sono finite anche le maggiori entrate, eredità del governo Berlusconi.

Quel maggior gettito non contabilizzato nei valori tendenziali della finanzia pubblica servirà per coprire la scarsa efficienza delle misure adottate. Una manovra sbilanciata a sinistra, che delude gli imprenditori (forse a Montezemolo torna in mente Vicenza), e che fiacca l'economia. Ma, soprattutto, che non rispetta l'impegno assunto con gli elettori. E forse a qualche contribuente torneranno in mente gli avvertimenti lanciati dalla Casa delle Libertà durante la campagna elettorale. Uno su tutti: quelli dell'Unione sanno solo mettere le tasse.

Così è stato con questa finanziaria!

Prodi/Un uomo senza qualità

Romano Prodi ieri alla Camera ha mentito, consapevolmente ha cercato di ingannare il Parlamento e il Paese. Le incalzanti requisitorie di Tremonti, Fini e Casini hanno chiarito - con ricchezza di articolazioni, riferimenti e citazioni - il contesto politico e le procedure oblique con i quali il neo-interventismo del Professore in economia si sarebbe dovuto realizzare. Alla puntuale messa in stato d'accusa, il presidente del Consiglio ha reagito con bugie, favole, ridicoli dinieghi.

La prova della menzogna è nei fatti, dal piano Rovati alla documentazione opposta nel consiglio d'amministrazione di Telecom, allo sfrontato tentativo del Professore di sottrarsi al dibattito parlamentare. La controprova delle bugie prodiane è, invece, nella freddezza con cui i suoi alleati hanno accolto il suo intervento. Nell'imbarazzante solitudine del premier dimezzato sta la condanna per aver mentito e per avere giocato una partita sporca che avrebbe potuto danneggiare anche i suoi compagni.

Quanto pesa la menzogna nel sistema italiano? Le bugie dei governanti, quasi per una tacita estensione della "ragion di Stato", nel passato sono state tollerate e in qualche caso giustificate. Ma la democrazia moderna impone livelli crescenti di trasparenza: un governante può anche sbagliare, ma non può e non deve mentire. Negli Stati Uniti l'aver mentito è considerato un peccato politico capitale, quasi una forma di alto tradimento.

Se l'ansia del Professore di voler migliorare la democrazia italiana non fosse un'altra colossale menzogna, dovrebbe egli stesso dare l'esempio dimettendosi. Non lo farà, perché rappresenta il peggio della tradizione italiana di governo.

Non siamo in America, ma l'opinione pubblica non dimentica. E nemmeno gli alleati di Prodi, così freddi, sospettosi e avari d'applausi.

Prodi/Un uomo senza verità

Usare la politica per gli affari e favorire gli affari per rafforzarsi in politica. E' l'accusa più grave e dirompente per la dignità di un Presidente del Consiglio: un'accusa che ieri è risuonata in Parlamento e ha incrinato l'immagine di Prodi come mai era accaduto in passato per un capo del governo italiano.

Un'accusa che è stata provata dagli interventi circostanziati e puntuali di tutti i rappresentanti dell'opposizione e che ha influito sulla difesa, scontata ma obiettivamente tiepida ed imbarazzata, da parte della maggioranza.

Prodi reticente, Prodi che non dice (tutta) la verità, Prodi che scarica i suoi più fedeli collaboratori (Rovati) dopo averli usati, Prodi che interviene a Borse aperte rilevando dettagli sulle trattative riservate della più grande azienda privata del Paese, Prodi "cinese" che ridicolizza il Parlamento solo perché gli chiede - e di fatto gli imporrà - di riferire in Aula sull'affaire Telecom, Prodi che prova a trasformare il "processo" subìto ieri in una generica conferenza sul ruolo delle Telecomunicazioni…

Forse non è liberale attizzare nel Paese e nella pubblica opinione il sospetto che a Palazzo Chigi sieda appunto una persona che sa usare la politica per orientare i grandi affari e sa favorire questi affari affinché politicamente lo consolidino. E tuttavia nelle prossime settimane, favoriti da una Finanziaria che metterà mano alle tasche di decine di milioni di italiani che noi avevamo avvertito, dobbiamo insistere. Anche perché le accuse espresse ieri in Parlamento non sono state lanciate a cuor leggero e vanno ribadite mostrando quanto e perché ci crediamo.

Bisogna far capire che il match Prodi-Tronchetti non è una gara di vip per stabilire chi mente: c'è quel comunicato di Palazzo Chigi dell'8 settembre, che troppi italiani non conoscono, in cui Prodi nega di opporsi alla eventualità della vendita di Tim. Prodi ne parla e ne scrive prima dell'11 settembre di Marco Tronchetti.

Dunque sapeva e non poteva non sapere, come quella nota ufficiale dimostra inequivocabilmente. Ed è lì, anzi è da lì, che è iniziata la sua penosa retromarcia che ha lasciato a terra Rovati ma che ha incrinato definitivamente l'immagine del Premier. Dunque chi è il bugiardo?

Prodi/Un uomo in bilico

Sembra proprio che per Prodi il Fattore "C" si sia bruciato in quattro mesi e tanti errori, di cui l'ultimo è rappresentato da una finanziaria che, paradossalmente, riesce a scontentare tutti, dai sindacati agli imprenditori, ai ministri. Sei di loro si sono ammutinati per tentare di dare un'anima più "sociale" alla prima finanziaria dell'Unione, il ministro "maximo" D'Alema ha manifestato con i gesti più che con le parole il suo dissenso e Mastella affida ad un suo fedele il ruolo di Cassandra: "… dopo la stagione dei congressi, tra maggio e giugno, Prodi andrà a casa. Questo è sicuro. Non vedete i movimenti che ci sono in giro?".

E alcuni segnali sono arrivati anche all'opposizione: Fini e Tremonti confermano che, dentro la maggioranza, c'è chi incita ad andare giù pesanti con il capo del governo.

Anche la stampa "amica" non può tacere le difficoltà in cui versa il governo e la solitudine del premier. Curzio Maltese, giornalista di fede, su Repubblica, scrive: "… un film già visto dieci anni fa. Il secondo Prodi era partito bene, all'insegna della novità con le liberalizzazioni e la mediazione in Libano. Ma al primo inciampo è tornato indietro di dieci anni".

Un pensiero confermato da un recente e autorevole sondaggio che, in un titolo, potrebbe dire "Prodi ha le ore contate".

Infatti, il "winner sentiment" che emerge dà il centrodestra al 38%, il centrosinistra al 34 mentre gli indecisi arrivano al 28%.

Dopo una breve luna di miele durata appena venti giorni (dal 7 al 28 giugno) il governo ha perso 14 punti in meno di tre mesi, agosto compreso.

Dati che confermano la diffidenza, la delusione di un elettorato che si è già pentito di aver dato fiducia all'Unione. La mancanza di ottimismo e la difficoltà a leggere il futuro in termini positivi sono i sentimenti che più governano a sinistra e che gli ultimi accadimenti - finanziaria compresa - hanno confermato.

In effetti, gli unici interventi del governo condivisi da una maggioranza comprensiva anche di elettorato del centrodestra, sono stati il Decreto Bersani e la missione in Libano. Tutti gli altri hanno segnato un crescendo di diffidenza, di preoccupazione e di delusione.

Il provvedimento dell'indulto non ha trovato consenso, la gente ha visto messa a rischio la sua sicurezza anche in conseguenza di una pessima applicazione della legge da parte di alcuni magistrati. Negativo.

La promessa di cittadinanza agli extracomunitari soltanto dopo cinque anni di residenza in Italia ha minato il legittimo desiderio di vivere sereni e sicuri in casa propria: l'aumento degli sbarchi di clandestini e l'aumento dei reati ha violato quel sentimento. Molto negativo.

La volontà espressa da autorevoli esponenti del governo di mettere mano alle pensioni ha dato un altro segno meno rispetto alle aspettative deluse. Le crepe di questa maggioranza cominciano ad essere evidenti. Catastrofico.

La finanziaria, le riduzioni di uomini e mezzi previste nella scuola, l'aumento delle tasse e una grande confusione sull'idea di ricchezza, ha risvegliato tutto il ceto medio, anche quello più sonnolente, perché - come dicono in casa Margherita - "lo stiamo ammazzando". E' il crollo.

Prodi/Gli attacchi della stampa

Il Sole 24Ore di oggi dedica ovviamente molto spazio alla Finanziaria; in particolare con due articoli critica fortemente le misure del governo.

Nel primo, dal titolo "Tasse palesi e tasse occulte" si legge: "Scrivere una Finanziaria non è un'impresa facile, sia per la fatica di far quadrare i conti sia per il rischio di contraddire i programmi presentati alle elezioni. Quando l'Unione, in primavera, promise agli italiani che le tasse non sarebbero aumentate venne presa sul serio e così pure quando parlò di concentrare l'attenzione della politica fiscale sulla lotta all'evasione.

Adesso stiamo, invece, assistendo al più grande concentrato di inasprimenti sul prelievo, fra tasse dichiarate, camuffate, occulte e probabili.

In Finanziaria troveremo il rincaro delle aliquote Irpef sui redditi medio-alti; c'è la minaccia di destinare obbligatoriamente il Tfr alle casse dell'Inps. La delega per il riordino della tassazione delle rendite finanziarie potrebbe mettere a rischio anche i guadagni non ancora incassati, mentre per compensare i tagli agli enti locali i governatori e i sindaci avranno mano libera per muovere le leve delle addizionali Irpef e Irap, delle rendite catastali e dell'Ici. Tutto legittimo, per carità; ma il governo trovi almeno il coraggio di ammettere che, in ogni caso, di tasse si tratta. E che a pagarle non saranno affatto chiamati gli evasori ma piuttosto solo quanti già lo fanno, a cominciare dalle piccole imprese".

Sempre in prima pagina il quotidiano della Confindustria titola: "Governo prigioniero e miope".

Tra l'altro si legge:

"…La prima Finanziaria del nuovo governo…caratterizza inevitabilmente la politica economica del prossimo quinquennio.

"…La manovra che oggi viene approvata dal Consiglio dei ministri, a meno di colpi d'ala, si presenta povera di qualità e tradisce, nei fatti, sia le promesse elettorali sia l'impianto che ha ispirato il Dpef approvato dal Parlamento"

"…Le tracce di quelle riforme strutturali necessarie per modernizzare il Paese…sono deboli e troppo diluite nel tempo"

"…la Finanziaria è sbilanciata verso la tutela (di breve periodo) di alcune categorie sociali, con una precisa appartenenza partitica. Peggio, viene preventivamente issata a nuovo vessillo di lotta di classe…".

Il giornale della Margherita, Europa, anche oggi non lesina critiche all'impostazione della finanziaria.

Ecco uno stralcio dell'articolo in prima pagina a firma di Paolo Natale ("Delusi al Nord, di centrosinistra"): "…Ora, con la nuova Finanziaria alle porte, lo spauracchio dei tagli ai servizi e alle pensioni accanto all'ipotesi di nuove tasse, non può che aumentare i rischi, per il governo, di una nuova ondata di insoddisfazione da parte degli elettori settentrionali. E le indagini effettuate in queste ultime settimane confermano come il nord del paese sia sempre più insofferente della politica economica e finanziaria della maggioranza.

Sono in particolare gli abitanti del nord-ovest, gli autonomi ed i liberi professionisti, i diplomati e le classi di età centrali (tra i 45 e i 60 anni) che si dichiarano maggiormente delusi dall'attività di governo. E tra loro vi sono anche una parte di elettori di centrosinistra, oggi poco propensi a ribadire il proprio precedente voto.

Ma contemporaneamente, anche significative aree di elettorato meridionale, che aveva scelto l'Unione (saltando la barricata) con l'evidente speranza di una maggiore protezione da parte dello stato centrale, paiono molto scontente: le aspettative erano quelle di rapidi e decisi interventi da parte del governo, che facessero mutare velocemente le condizioni del disagio meridionale, almeno con chiari segnali in questa direzione. Il comportamento dell'esecutivo non è sembrato in linea con tali aspettative, e gli elettori tendono a tornare sui propri passi, rilanciando la propria precedente adesione al centrodestra…E la famosa lotta all'evasione, ci si chiede, a che punto sta?"

Rutelli/Un cattolico separato in casa

La questione cattolica sta diventando l'ostacolo principale sulla via della costituzione del Partito Democratico. L'iniziativa presa dai Teo-dem di riunirsi a Orvieto (Binetti-Bobba-Carra) e dagli ex Ppi di riunirsi a Chianciano (Bindi e altri), segnala una grave sofferenza dei cattolici all'interno della Margherita e più ancora all'interno del sinistra-centro.

Rutelli per primo ha dato voce al disagio dei cattolici all'interno di questa maggioranza di governo, dominata dalle posizioni più estreme della sinistra, la quale - diversamente dalla sinistra comunista del passato - è contraddistinta da un laicismo esasperato che, in alcune sue punte, giunge perfino a negare il ruolo sociale e politico della fede religiosa. Il leader della Margherita ha dovuto addirittura rivolgere l'invito all'Unione di non dimenticare la lezione di Togliatti (sic) riguardo al rapporto con il mondo cattolico.

Un altro esponente autorevole del cattolicesimo democratico di sinistra, padre Enzo Bianchi, ha messo in luce il rischio e le implicazioni negative di una cultura prevalente nella sinistra italiana fondata su un individualismo libertario che è la negazione di tutta la tradizione del cattolicesimo democratico e liberale, nonché dell'esperienza originale del comunismo italiano, da Gramsci a Berlinguer.

Il nuovo orientamento impresso alla Chiesa da Papa Benedetto XVI e le nuove questioni che interpellano la coscienza dei cristiani (bioetica, eutanasia, famiglia, coppie omosessuali) pongono questioni serie ai cattolici che hanno scelto di sostenere l'attuale maggioranza di governo e in particolare quelli che propugnano la nascita del nuovo Partito Democratico.

Che spazio avranno in questo nuovo partito i valori cattolici? Dalla risposta a questa domanda sapremo se la prospettiva del nuovo Partito democratico farà dei passi in avanti oppure si arresterà definitivamente.

Sinistra/I vecchi vizi contro il capitalismo

E' vecchia di almeno mezzo secolo la tesi della separazione tra management e proprietà della (grande) impresa: un varco nella lunga lotta - della sinistra e della tecnocrazia "illuminata" - contro il principio della proprietà privata che pone un limite all'espansione indefinita dei poteri dello Stato e garantisce in concreto i diritti individuali, che sono alla base di ogni sistema liberal-democratico.

Grazie a questa vecchia tesi, la sinistra ha indebolito in Italia, nel secondo dopoguerra, lo spirito del capitalismo, passando però attraverso un'idea ancora più vecchia, quella della proprietà pubblica: modello Iri.

Il fallimento di questo sistema è stato mascherato con l'ondata di privatizzazioni a favore di capitalisti senza capitali, cioè a favore di chi deteneva i capitali (o meglio li gestiva, poiché erano di altri), cioè le banche.

Da qui è nata la nuova strategia della sinistra: quella di gestire in modo indiretto, senza la proprietà formale, l'economia, ovvero attraverso le "regole" e le "autorità" cosiddette indipendenti, ma di fatto di nomina politica.

Ieri, Prodi nel suo intervento su Telecom, ha reso esplicito questo programma, dopo avere criticato in modo feroce il capitalismo italiano: "L'interesse pubblico sarà assicurato non dalla proprietà ma da un insieme certo di regole chiare e trasparenti".

In altre parole, il controllo dello Stato sull'economia e sulla società resta l'obiettivo e la sinistra si candida a gestirlo: a livello locale, attraverso le municipalizzate; a livello centrale, mediante le regole e le authorities.

Il Corriere della Sera, commentando oggi il discorso di Prodi in Parlamento, ha scritto: "L'idea che un esecutivo, anche se guidato da uno stimato economista industriale, debba sostituirsi ai capitalisti nelle scelte produttive delle loro aziende è perniciosa".

Ma a questa affermazione condivisibile, anche se espressa in modo debole, ha fatto seguire una conclusione di tutt'altro segno, di piena adesione al progetto prodiano: "Molto meglio lavorare sulle regole, rafforzare l'autonomia del sistema delle authorities, garantire la concorrenza in tutti i mercati. Compreso quello dei capitali".

E' ben difficile garantire la concorrenza, compresa quella nel mercato dei capitali, se agli imprenditori viene tolta - proprio con le regole e le authorities - la libertà di fare le scelte imprenditoriaali.

La lotta contro la libertà economica è condotta su due fronti: contro i capitalisti, nei modi detti, e contro i consumatori, poiché questi sono controllati dallo Stato attraverso il fisco.

Se si toglie dal lato degli imprenditori la legge dell'offerta e dal lato dei consumatori la legge della domanda, salta semplicemente l'economia di mercato.

Rai/Addio panino, Tg1 scandaloso

Gianni Riotta sperava di bypassare la politica interna.

Via il panino mimuniano, il neo direttore del Tg1 pensava di cavarsela con un pastoncino di antica fattura, magari affidato al più sfigato dei redattori politici.

Ieri, giornata clou per il Governo e per il Presidente del Consiglio, ha scoperto e forse ha capito che la Rai è un'altra cosa: la Rai è il braccio armato della politica, l'orologio della Rai scandisce le ore della politica.

Riotta credeva di farla franca affidando il resoconto della giornata politica - la più infuocata da quando la sinistra per un pugno di voti ha vinto le elezioni - a Ida Peritore e, soprattutto, sperava chee quelle immagini, tutte zucchero e miele, a corredo del dibattito parlamentare su Telecom che tutto era stato anziché zucchero e miele, passassero inosservate. Per Riotta è stata la prima grana, il primo incidente, la prima buccia di banana.

Forza Italia, giustamente, ha rimarcato con una dichiarazione di Giorgio Lainati lo scandaloso servizio andato in onda sul telegiornale più visto in Italia, quello delle 20 e 30: "Se un telespettatore avesse seguito la diretta delle 15, interrotta a lungo, proprio per il clima infuocato dell'Aula e avesse poi visto i servizi del Tg1 - ha spiegato Lainati - avrebbe pensato di aver visto due film completamente diversi".

Un bruttissimo esordio per un direttore che aveva proclamato solennemente la sua autonomia politica, un esempio di giornalismo fazioso e irresponsabile, un episodio di malcostume giornalistico che dovrà essere portato all'attenzione della Commissione parlamentare di Vigilanza.

Riotta con quel servizio mandato in onda ha dimostrato - è solo una conferma! - di essere succube della sinistra: se questo è il Tg che l'ex vicedirettore del Corriere vuole propinare agli italiani, non c'è da stare molto tranquilli!

   

« numero precedente