In questa pagina sono riportate alcune informazioni sull' intolleranza
al glutine, meglio nota come CELIACHIA , raccolte dalle varie fonti di
informazione quali i siti di tutto il mondo che trattano questa "malattia".
Nessuna di queste informazioni deve considerarsi sostitutiva di
un giudizio medico.
Lista degli articoli:
- Morbo Celiaco -
Morbo Celiaco
Articolo tratto da:
“Medicina interna sistematica”
CLAUDIO RUGARLI
Professore Ordinario di Medicina
Interna
Università Vita-Salute
S. Raffaele – Milano
Edizioni MASSON 2000
La malattia celiaca (o sprue non
tropicale o sprue celiaca o enteropatia da glutine o steatorrea idiopatica)
è una malattia infiammatoria cronica della mucosa di tutto l’intestino
tenue, che determina malassorbimento globale per progressivo appiattimento
fino a completa scomparsa dei villi intestinali.
A. Epidemiologia. È
una malattia relativamente frequente, che viene diagnosticata soltanto
in una ridotta percentuale di casi rispetto a quelli realmente esistenti
essendo spesso non riconosciuta per l’esistenza di numerose forme paucisintomatiche
o anche del tutto clinicamente silenti (celiachia latente e celiachia silente).
La sua prevalenza nella popolazione
generale è compresa tra lo 0,3 ed il 3,3%; l’incidenza è
molto variabile nelle diverse aree geografiche, in genere più elevata
nei paesi anglosassoni (per es., i livelli più alti sono quelli
che si riscontrano nelle regioni occidentali dell’Irlanda dove l’incidenza
è di circa 1/300-400 abitanti; in Australia 1/500 abitanti; in Inghilterra
1-2 casi/3000 abitanti). Minore è l’incidenza nell’Europa centro
meridionale ed, ancor più, nei paesi mediterranei, come l’Italia,
ma i dati sono in costante aumento in rapporto alla maggiore diffusione,
in epoca recente, della biopsia digiunale e degli esami di laboratorio
in grado di permetterne il riconoscimento (attualmente in Italia si ritiene
che sia di 1 a 200 circa). La malattia è più frequente nella
donna che nell’uomo.
B. Anatomia patologica. Le
alterazioni anatomopa-tologiche della mucosa intestinale nella malattia
celiaca
possono essere distinte in fasi
successive:
•modificazione dell’epitelio di
superficie con alterazione delle cellule dell’orletto a spazzola e comparsa
di elementi pluristratificati ed affastellati;
•infiltrazione di linfociti nell’epitelio
intestinale;
•infiltrazione di linfociti e plasmacellule
nella tonaca propria della mucosa;
•aumento dei processi di mitosi
cellulare;
•aumento di spessore e profondità
delle cripte di Lieber-kuhn.
Il ritmo di esfoliazione degli
elementi è fortemente accelerato, così come è accelerata,
in un tentativo di compenso, la proliferazione di nuove cellule all’interno
delle cripte, le quali diventano, pertanto, ipertrofiche, allungate e più
profonde. Tuttavia, nonostante questa iperproduzione, il distacco delle
cellule alla superficie dei villi è così rapido per l’accelerato
turn-over, che si instaura una profonda alterazione di queste strutture,
la quale si traduce in un loro progressivo accorciamento ed appiattimento
fino, addirittura, alla completa scom-parsa (atrofia) dei villi stessi.
Nel corso del processo di guarigione,
nei pazienti in dieta aglutinata, la ricostruzione della mucosa, analizzata
alla microscopia elettronica, può essere sequenzialmente distinta
in quattro stadi:
•proliferazione degli enterociti
pericriptici;
•formazione di ponti intercriptici
e comparsa di mucosa di aspetto cerebriforme;
•presenza di convoluzioni basse
ed abbozzi di villi con base di impianto comune;
•comparsa di villi convoluti o
con morfologia normale o solo lievemente ipertrofici.
Il processo di riparazione della
mucosa è più rapido e più completo nelle porzioni
distali del tenue, in cui le alterazioni indotte dalla malattia celiaca
sono abitual-mente meno rilevanti che in quelle prossimali.
C. Eziopatogenesi. La malattia
celiaca è dovuta ad intolleranza al glutine, che è la porzione
idrosolubile della farina che si ottiene da diversi cereali, grano, orzo,
segale ed avena; in realtà l’intolleranza non è tanto nei
confronti del glutine, ma piuttosto di una sua frazione proteica chiamata
gliadina. Quest’ultima è una proteina formata da una catena polipeptidica
con peso molecolare di 30.000-75.000 daltons; essa sembra esistere in almeno
40 frazioni proteiche che abitualmente vengono distinte in quattro gruppi
principali: a, b, g e w.
La gliadina A è la componente
più importante della gliadina (la cui sintesi è codificata
dal cromosoma 6) e sembra essere la frazione più direttamente responsabile
dell’insorgenza della enteropatia da glutine.
Esistono differenti ipotesi patogenetiche
relative a questa intolleranza; di queste le più importanti sono
le seguenti.
1. Teoria enzimatica. Il glutine
non verrebbe completamente idrolizzato per l’assenza nelle cellule della
mucosa intestinale di un enzima (una peptidasi), normalmente responsabile
della sua degradazione. Il glutine come tale o suoi derivati non completamente
idrolizzati sarebbero responsabili di una lesione diretta a carico della
parete del tenue cui conseguirebbe l’alterazione flogistica caratteristica
di questa patologia.
Questa ipotesi pare proprio non
attendibile: infatti il patrimonio enzimatico delle cellule dell’orletto
a spazzola è sì alterato in questi pazienti (diminuzione
di disaccaridasi, di peptidasi, di esterasi, di fosfatasi alcalina e, soprattutto,
di diamino-ossidasi), ma si tratta verosimilmente di un fenomeno secondario
il quale, di fatto, è del tutto reversibile nei soggetti che rispondono
alla dieta priva di glutine.
Inoltre, è vero che alcune
frazioni della gliadina (purché formate da almeno 8 aminoacidi),
come la frazione 9, possiedono una certa tossicità nei confronti
della mucosa enterica nei pazienti con malattia celiaca, ma di fatto nel
lume intestinale di questi soggetti non si riscontrano peptidi anomali
e nessun difetto enzimatico primitivo è mai stato dimostrato in
questa malattia (la gliadina è formata da 266 aminoacidi e la sua
porzione “tossica” è un peptide costituito dalla sequenza di ami-noacidi
31-49).
2. Teoria delle lectine. Le lectine
sono glicoproteine di origine vegetale che si legano a glicoproteine incomplete
della membrana delle cellule della mucosa intestinale; se però il
legame è massivo, questo processo determina lisi e necrosi cellulare.
Secondo questa ipotesi esisterebbero
cellule intesti-nali geneticamente alterate con glicoproteine superficiali
incomplete; il glutine si comporterebbe da lectina legandosi in maniera
massiva a queste glicoproteine e dando avvio al processo di danneggiamento
della mu-cosa.
3. Teoria infettiva. Esiste una
sequenza di aminoacidi omologa tra la gliadina A, componente principale
della gliadina, e proteine codificate dagli adenovirus 12 isolati abitualmente
nell’intestino. Molti pazienti con malattia celiaca risultano portatori
di adenovirus 12, per cui è stato supposto che l’organismo produca
degli anticorpi diretti contro proteine di origine virale (per una infezione
virale a livello intestinale), i quali per reazione crociata sono attivi
anche verso la gliadina A, ma poiché questa, a sua volta, ha sequenze
di aminoacidi in comune soprattutto con la gliadina beta e
gamma, la reazione coinvolgerebbe
anche questi tipi di gliadina (e, in pratica, il glutine in quanto tale).
4. Teoria immunitaria. In questi
soggetti si verifica una reazione immunitaria nei confronti della gliadina
sia di tipo cellulare sia con la formazione di anticorpi circolanti.
Da questa reazione, che avviene
a livello della parete intestinale, deriverebbe l’alterazione infiammatoria
propria della malattia celiaca.
L’ipotesi di una patogenesi immunitaria
trova conferma in numerose considerazioni.
a) Presenza di un infiltrato intraepiteliale
di linfociti e di linfociti e plasmacellule nella tonaca propria della
mucosa.
b) Modificazioni dell’immunità
umorale: anticorpi antigliadina (AGA) di classe IgA e IgG e anticorpi antiendomici
si riscontrano nella grande maggioranza dei pazienti celiaci in fase florida.
Gli AGA di classe IgA sarebbero
molto specifici, essendo di regola assenti nei controlli sani (ma anch’essi
possono essere presenti in soggetti con altra patologia che non sia la
celiachia).
Gli AGA IgG, invece, mostrano una
elevata sensibilità, ma più scarsa specificità, essendo
più frequentemente rilevabili in soggetti sani o con altra patologia
del tratto gastroenterico.
Di recente, particolare interesse
è stato rivolto agli anticorpi antiendomisio, diretti contro l’enzima
transglutaminasi:
infatti, se è vero, come
s’è detto, che gli AGA IgA o IgG sono presenti nella maggior parte,
ma non nella totalità, dei pazienti con malattia celiaca, gli anticorpi
antiendomisio hanno nei riguardi di questa patologia una specificità
ed una sensibilità di quasi il 100%.
Tale dato suggerisce che questi
anticorpi (di cui, per altro, non è noto se vengano prodotto nell’intestino
tenue o in altra sede) o gli antigeni verso i quali sono diretti possono
svolgere un ruolo centrale nella patogenesi della celiachia piuttosto
che rappresentare un evento secondario nell’ambito delle manifestazioni
ad essa correlate.
Gli anticorpi antiendomisio, normalmente
IgA, vengono sintetizzati molto precocemente dopo l’introduzione del glutine
nella dieta e sono già presenti nelle fasi più precoci della
malattia.
L’ipotesi patogenetica più
verosimile è che il glutine (o, meglio, la gliadina) determini,
come s’è già ricordato, una alterazione infiammatoria della
mucosa intestinale che renda evidenti antigeni del “self ” normalmente
mascherati e non riconoscibili da parte del sistema immunitario, permettendo
in tal modo il riconoscimento di epitopi “criptici” con la formazione degli
anticorpi antiendomisio (fenomeno che si verifica preferibilmente in soggetti
con una particolare predisposizione genetica documentata dalla frequente
correlazione con alcuni antigeni di istocompatibilità).
Attualmente la ricerca degli anticorpi
antiendomisio (insieme, ma ancor più che quelli antigliadina IgA)
viene considerata come il test di laboratorio ottimale per lo screening
dei pazienti con sintomi e/o segni di malassorbimento
quando sussista il sospetto diagnostico
di enteropatia da glutine e, più in generale, nelle popolazioni
a maggior rischio per questa malattia, aprendo nuove interessanti prospettive
non solo in senso diagno-stico, ma anche epidemiologico (tale approccio
ha già consentito di modificare i livelli di prevalenza e di incidenza
della celiachia in diversi paesi i cui valori sono variamente aumentati
nel corso degli ultimi anni).
Meno rilevanti sul piano clinico
e meno frequenti sono altri anticorpi riscontrabili in questa malattia
come, per esempio, quelli antiagglutinina di germe di grano o quelli antinucleo,
antimuscolo liscio, anticellule parietali gastriche (possibile l’associazione
con la gastrite cronica atrofica di tipo A), antitiroide (possibile, 5-10%
dei casi, l’associazione con l’ipotiroidismo autoimmune); positiva, infine,
la ricerca di immunocomplessi circolanti nel 10-15% di questi pazienti.
c) Modificazioni dell’immunità
cellulare: in questi pazienti si riscontra un incremento dei linfociti
T helper e, soprattutto, dei linfociti T citotossici, mentre sarebbe presente
un deficit dei T suppressor con conseguente squilibrio della immunoregolazione
a vantaggio in particolare della attività linfocitotossica.
È stata anche dimostrata
la produzione di diverse linfochine da parte di frammenti di mucosa intestinale
incubati in presenza di glutine in soggetti portatori di malattie celiaca
in fase attiva.
L’importanza dei fenomeni immunitari
nella patoge-nesi di questa affezione è confermata anche dal fatto
che molti pazienti traggono vantaggio dall’impiego terapeutico dei corticosteroidi
e che l’enteropatia da glutine può associarsi ad altre malattie
a patogenesi immunologica come, per esempio, il diabete mellito, l’ipotiroidismo
e l’artrite reumatoide.
5. Teoria genetica. L’interpretazione
patogenetica oggi più accreditata è quella che prevede l’intervento
sia di fattori immunitari sia di fattori genetici. È noto per esempio,
che esiste una familiarità di questa malattia, come dimostra il
atto che la sua incidenza è molto superiore nelle famiglie in cui
ci sono soggetti colpiti dal morbo celiaco rispetto a quanto ci si attenderebbe
in base ad una semplice distribuzione casuale. Infatti, la prevalenza nei
parenti di primo grado è del 5-20% (rispetto allo 0,3-3,3% della
popolazione generale), più elevata nei fratelli e nei figli che
nei genitori (15-20%
contro il 10% circa).
La malattia sarebbe ereditaria
e trasmessa come carattere autosomico dominante a penetranza incompleta
(nei gemelli monovulari la concordanza è intorno al 70%).
Inoltre, nei pazienti affetti da
questa malattia, è stata riscontrata una significativa correlazione
con alcuni antigeni
di istocompatibilità, soprattutto
HLA-DR3 (presente nel 95% circa dei casi rispetto al 20-30% della popolazione
generale) e HLA-B8 (80% circa dei casi rispetto al 20-30% della popolazione
generale); i pazienti che non hanno HLA-DR3, in genere, sono eterozigoti
per l’aplotipo HLA-DR7/HLA-DR5.
Più di recente è
stata evidenziata la correlazione tra la malattia celiaca e HLA-DQw2 (o
HLA-DC3), marker estremamente sensibile in questa patologia, in quanto
presente nella quasi totalità dei casi (come e più ancora
che l’HLA-DR3), anche se non altamente specifico perché abbastanza
ben rappresentato nella popolazione generale (circa nel 30% dei casi).
I soggetti che non hanno DR3 né
DQw2 né DR5/DR7 di solito risultano positivi per HLA-DR4.
Si può concludere, quindi,
che la malattia celiaca ha una patogenesi di tipo misto, nel senso che
coinvolge sia un meccanismo di tipo immunitario sia un meccanismo di carattere
genetico.
6. Associazione con la dermatite
erpetiforme.A completamento di questo capitolo sulla eziopatogenesi, si
può ricordare un altro aspetto interessante della enteropatia da
glutine e cioè l’associazione, con una certa frequenza, di questa
affezione con una particolare malattia dermatologica chiamata dermatite
erpetiforme di Duhring, che è caratterizzata dalla comparsa di piccole
vescicole o papule molto pruriginose, localizzate soprattutto sulla superficie
estensoria degli arti inferiori e da depositi cutanei di IgA e completamento.
I pazienti con dermatite erpetiforme
di Duhring, in una percentuale variabile di casi (almeno il 75%), presentano
alterazioni della mucosa enterica
sovrapponibili a quelle della malattia celiaca, anche se in genere a distribuzione
segmentaria (non diffusa) e di entità minore.
In questa patologia il riscontro
di AGA è meno frequente che nella celiachia (in genere si tratta
di AGA-IgG), ma è interessante notare che nei soggetti in cui la
dermatite erpetiforme si associa a sindrome da malassorbimento, si riscontrano,
con elevata incidenza, gli stessi antigeni di istocompatibilità
che si correlano alla enteropatia da glutine ed, inoltre, le manifestazioni
del malassorbimento tendono a migliorare con l’abolizione del glutine dalla
dieta (anche senza miglioramento delle lesioni cutanee), tanto da far supporre
che que-sti pazienti siano portatori di una forma latente di celiachia.
D. Clinica. La malattia
può insorgere in qualsiasi periodo della vita; molto spesso si manifesta
tra il sesto e il dodicesimo mese, all’epoca cioè dello svezzamento,
quando il bambino passa da una alimentazione esclusivamente lattea ad una
alimentazione includente cibi che contengono il glutine. Generalmente l’esordio
clinico segue di alcune settimane o anche di qualche mese la prima assunzione
di alimenti glutinati ed è caratteristico di questa forma infantile
della malattia che essa si attenui nel corso degli anni per scomparire
del tutto nel secondo decennio di vita (dai 10 ai 20 anni) per poi riprendere
nel terzo decennio.
Come già detto, la malattia
può insorgere anche più tardi e sebbene sia più frequente
che i soggetti adulti colpiti abbiano già avuto il morbo celiaco
durante l’infanzia, questo può trasformarsi senza alcun precedente
anamnestico tra il terzo ed il sesto decennio di vita con massima incidenza
nel quarto.
L’esordio della malattia è
più severo e acuto quando si verifica durante l’infanzia: il quadro
clinico è caratterizzato
dalla comparsa di diarrea, con
un numero di scariche giornaliere in genere piuttosto elevato, molto spesso
con i caratteri di franca steatorrea (feci chiare, abbondanti, fetide,
untuose, schiumose); la diarrea si accompagna a vomito, spesso abbondante
ed incoercibile, con precoce insorgenza di grave disidratazione e acidosi.
Si instaura progressiva, ma rapida, perdita di peso fino a vera e propria
cachessia; comune è l’arresto dell’accrescimento, lo sviluppo di
rachitismo, con a volte alterazioni ossee permanenti, e ritardo della comparsa
dei caratteri sessuali secondari.
Nell’adulto la sintomatologia è
simile, ma meno grave, con esordio più graduale ed insidioso, per
cui la diagnosi viene posta spesso con ritardo.
Nel morbo celiaco sono spesso presenti
manifestazioni extraddominali che devono essere considerate secondarie
al grave stato carenziale: questi soggetti hanno di frequente un’anemia
che può essere quella delle malattie croniche, normocitica e normocromica
(con sideremia e transferrinemia basse), ma che più spesso è
sideropenica, come conseguenza di un difettoso assorbimento del ferro,
oppure anche megaloblastica per un’insufficiente captazione di folati e,
nei casi più se-veri, con importante interessamento ileale, anche
per compromissione dell’assorbimento della vitamina B 12 .
L’anemia è spesso aggravata
dalla tendenza al sanguinamento, secondaria al malassorbimento di vitamina
K e al deficit di protrombina e degli altri fattori della coagulazione
vitamina K-dipendenti.
In questi pazienti è frequente
la comparsa di edemi declivi e palpebrali conseguenti alla presenza di
ipoalbuminemia
da difettoso assorbimento di aminoacidi
e da enteropatia protidodisperdente fino, nelle forme più gravi,
all’insorgenza di ascite. Dolori ossei sono l’effetto del malassorbimento
di calcio e vitamina D e sono correlati nell’adulto alla presenza di osteoporosi
ed osteomalacia e nel bambino di rachitismo e ritardo dell’accrescimento;
in rapporto alla ipocalcemia si può instaurare un iperparatiroidismo
secondario di natura compensatoria.
Non raramente compaiono sintomi
e segni di insufficienza surrenale cronica, anche se la relazione tra morbo
celiaco e corticosurrene non è del tutto chiara: ipotensione, pigmentazione
cutanea e delle mucose, amenorrea, diminuzione della libido.
Si possono avere debolezza muscolare
ed alterazioni elettrocardiografiche riferibili ad ipotassiemia e neuropatia
periferica da deficit combinato
di vitamina B 1 , B 6 e B 12 , con conseguente demielinizzazione delle
fibre nervose.
Obiettivamente i pazienti con morbo
celiaco appaiono pallidi, magri; la cute è secca, disidratata, poco
elastica,
di colore “cera vecchia” (la diarrea
fa perdere acqua e sali), talora ipercheratosica per perdita di vitamina
A; spesso è presente glossite; l’addome si presenta disteso, a volte
globoso e batraciano; frequente è anche il riscontro di dita a bacchetta
di tamburo.
E. Diagnosi. La diagnosi
è fondata sulla biopsia della mucosa digiunale (o anche duodenale),
il cui esa-me istologico evidenzierà le tipiche alterazioni di que-sta
malattia con appiattimento fino a completa atrofia dei villi (atrofia di
I grado: altezza media dei villi > 300 micron; II grado: altezza media
tra 150 e 300 mi-cron; atrofia di III grado: altezza media dei villi <
150 micron).
Secondo uno schema classico, alla
prima biopsia do-vrebbe far seguito una seconda dopo 12 mesi di dieta priva
di glutine, con riscontro di completa reversibilità delle alterazioni
istologiche.
Infine una terza biopsia andrebbe
eseguita dopo 3 mesi di “challenge” con dieta glutinata, in maniera da
verificare nuovamente la comparsa delle modificazioni della mucosa caratteristiche
di questa patologia.
In verità, attualmente,
si rinuncia praticamente sempre alla terza biopsia (quella dopo “challenge”)
e, talvolta, anche alla seconda se il quadro clinico è del tutto
normale e se la ricerca di anticorpi antiendomisio risulta negativa (e
quella di AGA IgA dà valori nei limiti di norma).
Senz’altro più utile, invece,
la ripetizione della biopsia digiunale nei casi in cui la risposta clinica
è incompleta
o assente, soprattutto per la identificazione
di eventuali complicanze della malattia ed, in particolare, di quelle di
carattere neoplastico (si veda oltre).
F. Esami di laboratorio.
Tutti i test per lo studio dell’assorbimento intestinale risultano alterati.
L’emocromocitometrico può
evidenziare, oltre ad anemia con le caratteristiche già ricordate,
una trombocitosi,
verosimilmente correlata ad ipoatrofia
splenica spesso presente in questa malattia, con conseguente di-minuzione
dell’emocateresi (oppure legata
all’esistenza di un processo infiammatorio cronico: infatti il numero delle
piastrine aumenta in molte malattie infiammatorie croniche).
Piuttosto frequente è anche
il riscontro di incremento delle transaminasi, che può essere interpretato
come espressione di coinvolgimento epatico della malattia (epatite autoimmune)
o come conseguenza del malassorbimento stesso (epatopatia carenziale) o
anche come espressione di epatite virale (specie da HCV) che sembra ricorrere
con maggiore frequenza, per ragioni non chiare, in questi pazienti che
non nella popolazione ge-nerale.
Ancora si può ricordare
che nella enteropatia da glutine è relativamente frequente l’alterazione
del metabolismo
glucidico per la eventuale coesistenza
di dia-bete mellito (è nota la associazione di queste malattie,
forse in relazione al sovrapponibile meccanismo patogenetico).
È inoltre possibile rilevare
modificazioni dei livelli sierici di diversi ormoni gastrointestinali,
soprattutto quelli del tratto prossimale del tenue che è il più
colpi-to in questa malattia, modificazioni che sono verosimilmente correlate
proprio alle alterazioni della mucosa specialmente a livello duodenodigiunale.
Tra gli ormoni la cui secrezione è diminuita nel morbo celiaco sono
da ricordare in particolare la secretina (prodotta dalle cellule S) e la
colecistochinina-pancreozimina (que-st’ultima prodotta dalle cellule I,
che potrebbero spiegare l’insufficienza pancreatica esocrina e l’ipocinesia
della colecisti spesso riscontrate in questi casi) ed il GIP (prodotto
dalle cellule K), ormone insulinotropo (si veda oltre), la cui carenza
giustificherebbe la diminuita tolleranza al glucosio che si riscontra talvolta
in questi pazienti.
G. Decorso, prognosi e terapia.
La malattia ha decorso cronico e la sua prognosi è buona. Il quadro
clinico viene rapidamente migliorato dalla abolizione del glutine dalla
dieta, che talvolta deve essere mantenuta per tutta la vita, ma certamente,
nella forma infantile, almeno fino ai 10-11 anni, quando le manifestazioni
cliniche tendono spontaneamente ad attenuarsi (al posto del glutine potrà
essere assunta una dieta ricca di riso e priva di tutti gli altri cereali,
nel complesso ipercalorica almeno per il tempo necessario a correggere
lo stato carenziale).
Normalmente le manifestazioni a
carico dell’apparato digerente regrediscono entro il primo mese dalla abolizione
del glutine, mentre le alterazioni anatomopatologiche tendono a scomparire
nel giro di 6 mesi 1 anno.
È preferibile in questi
pazienti evitare il latte per la possibile coesistenza di deficit di disaccaridasi
(lattasi).
Circa l’80% dei casi risponde alla
dieta aglutinata (a volte anche tardivamente) purché seguita rigorosamente;
il 50% dei pazienti che non beneficiano della sola dieta, rispondono, di
solito, ai corticosteroidi, mentre è piuttosto raro che sia necessario
l’impiego di altri immunosoppressori come l’azatioprina e la circlofosfamide
(in tali casi sembra più verosimile che la compliance del paziente
nei riguardi della dieta non sia ottimale o che si tratti di altra patologia
diversa dalla celiachia).
In una certa percentuale dei casi
la malattia celiaca può andare incontro ad una evoluzione meno favorevole
con l’insorgenza, soprattutto nelle forme ad esordio più tardivo
o in quelle non correttamente trattate o resistenti alla terapia, di alcune
importanti complicanze.
1. Sprue collagenosica. Può
essere considerata, in realtà, come uno stadio molto avanzato della
malattia piuttosto che come una complicanza vera e propria della stessa.
In questi casi si riscontra la deposizione di abbondanti quantità
di collagene in corrispondenza della membrana basale dell’epitelio intestinale
e questo, di solito, condiziona una scarsa risposta al trattamento con
dieta aglutinata ed un quadro clinico più grave con sindrome da
malassorbimento globale di carattere irreversibile ed ingravescente.
2. L’intestino, sottoposto ad un
processo infiammatorio cronico, può andare incontro nel tempo ad
un quadro di ileodigiunite o anche ad ulcerazioni del digiuno e/o dell’ileo
con possibile insorgenza di perforazione intestinale.
3. In una certa percentuale di
casi, tanto più elevata quanto più tardiva è la diagnosi
di celiachia o quanto più resistente essa si dimostra alla terapia,
questa malattia può evolvere verso l’insorgenza di neoplasie (in
circa il 15% delle forme dell’adulto e dell’anziano).
Nel 10% circa di questi casi si
tratta di linfomi (per l’80-90% linfomi istiocitici secondo la classificazione
di Rappaport), localizzati soprattutto all’intestino tenue e assai più
di rado in altre sedi del tratto gastroenterico o anche in organi al di
fuori di questo apparato. Molto più infrequente è l’insorgenza
di neoplasie epiteliali come adenocarcinomi del tenue, adenocarcinomi o
carcinomi epidermoidi dell’esofago o carcinomi epidermoidi della cute.
La causa dell’insorgenza di neoplasie nella malattia celiaca non è
conosciuta: alcuni ritengono che sia una conseguenza della reazione infiammatoria
cronica a carico della mucosa intestinale, come avviene nella colite ulcerosa;
altri dell’abnorme assorbimento di sostanze potenzialmente cancerogene
presenti nella dieta o prodotte da una popolazione batterica proliferata
abnormemente; altri ancora che sia l’effetto delle alterazioni immunitarie
caratteristiche di questa malattia
che potrebbero compromettere i
normali meccanismi di “sorveglianza immunologica”.
4. Soltanto nelle forme di celiachia
ad esordio in età avanzata è possibile il riscontro di iposplenismo
e di ipoatrofia splenica, la cui causa è sconosciuta e che po-trebbe
concorrere a determinare non solamente la trombocitosi (che si può
riscontrare in questi pazienti), ma anche le modificazioni dell’attività
del sistema immunitario tanto da facilitare, forse, lo sviluppo di neoplasie.
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