Varie
IDB
In questa pagina sono riportate alcune informazioni
mediche sulle malattie, novità terapeutiche, stralci di conferenze
o dibattiti, tratte da opuscoli prodotti dalle varie sezioni regionali/nazionali
dell'A.M.I.C.I., raccolte dalle varie fonti di informazione quali i siti
di associazioni di tutto il mondo per la lotta a queste malattie, o dai
siti che trattano in maniera specifica la ricerca medica in Gastroenterologia.
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Lista degli articoli:
- Il trattamento del Morbo di Crohn in età
pediatrica: ruolo dell´alimentazione enterale; nuove conclusioni
dai recenti studi pediatrici - Terapia chirurgica
nel MORBO DI CROHN - Etiopatogenesi e terapia medica delle malattie infiammatorie
intestinali (morbo di Crohn, Colite ulcerosa: presente e futuro) - La terapia
immunosoppressiva può aumentare il rischio di Linfoma non-Hodgkin
nei pazienti con malattia infiammatoria intestinale - Malattia di Crohn
nei pazienti pediatrici - Malattia di Crohn: il ruolo delle citochine pro-infiammatorie
- E' lui o non è lui? Aggiornamento sui test diagnostici - Il trapianto
dell'intestino: nuove speranze per i malati di Crohn - Gli INDICI DI ATTIVITA
delle MICI: misurare la malattia o valutare il malato - Measles (morbillo),
Mumps (parotite), Rubella (rosolia) and Other Measles/Containing Vaccines
Do Not Increase the Risk for Inflammatory Bowel Disease: A Case/Control
Study From the Vaccine Safety Datalink Project - Debate about MMR vaccination
and IDB continues -
Il trattamento del Morbo di Crohn al passaggio del secolo - AUTOVACCINI
e NUOVI metodi di diagnosi MICROBIOLOGICA INTESTINALE: una nuova proposta
diagnostica e terapeutica -
Il trattamento del Morbo di
Crohn in età pediatrica: ruolo dell´alimentazione enterale
Nuove conclusioni dai recenti studi pediatrici
DOTT. CLAUDIO ROMANO - Istituto di Clinica Pediatrica - Università
di Messina
Il sondino nasogastrico rappresenta il più valido
tentativo terapeutico
Il Morbo di Crohn (MC) era ritenuto sino a qualche anno fa patologia
di esclusiva pertinenza dell´adulto ed oggi ha acquisito una rilevanza
epidemiologica anche in età pediatrica. Lake et al. indicano come,
nell´ultimo decennio, negli Stati Uniti, il MC sia diventata la causa
più frequente di diarrea e/o scarso accrescimento nel bambino. Il
maggiore interesse verso questo tipo di patologia è da ricondurre
inoltre ad un ulteriore affinamento delle tecniche diagnostiche sia di
tipo radiologico che endoscopico. Castro et al. segnalano in Italia, oltre
ad un aumento del numero di diagnosi per anno, una maggiore prevalenza
del MC nei paesi del Nord (48%) rispetto al Centro (35%) e al Sud (35%),
con una maggiore incidenza nelle aeree urbane (52%) rispetto a quelle rurali
(48%). Gli studi sull´etiopatogenesi hanno evidenziato come la possibile
interazione tra fattori di tipo ambientale e di tipo genico possa essere
alla base dell´insorgenza di tali patologie.
Concettualmente la cronica o ricorrente infiammazione della mucosa
intestinale passa attraverso l´interazione di fattori esterni che
agiscono a livello del lume intestinale provocando l´inizio della
cascata infiammatoria con la sintesi di mediatori chimici, l´attivazione
di linfociti e macrofagi e la produzione di radicali liberi. Su questi
meccanismi agirebbero le 3 classi di farmaci che vengono comunemente utilizzati
nel trattamento del Morbo di Crohn: corticosteroidi, aminosalicilati ed
immunosoppressori.
L´andamento clinico della malattia alterna fasi di riaccensione
clinica a fasi di remissione ed i singoli farmaci agirebbero in maniera
diversa a seconda dello stato di attività della malattia. Il farmaco
oggi più utilizzato è l´acido 5 aminosalicilico, unità
terapeuticamente attiva della salazopirina, farmaco che per più
di 30 anni ha rappresentato il trattamento di base delle malattie infiammatorie
croniche intestinali. La salazopirina contiene acido 5 aminosalicilico
che forma per mezzo di una legame azotato, un unico composto con la sulfapiridina,
proteina carrier, la maggior parte degli effetti collaterali causati dalla
salazopirina vengono attribuiti al componente sulfapiridinico, essendo
la tossicità correlata alle concentrazioni seriche. La conferma
da parte di Azad Khan et al., nel 1977, che l´acido 5 aminosalicilico
rappresenta la parte attiva del farmaco, ha indotto la ricerca farmaceutica
a sintetizzare nuove molecole contenenti solo acido 5 aminosalicilico,
del tutto prive della componente sulfapiridinica e provviste di un adeguato
sistema di "lento rilascio" a livello intestinale, evitandone la liberazione
a livello gastroduodenale. Tali farmaci comunque, nelle formulazioni esistenti
in commercio, presentano una indicazione solo nel mantenimento della fase
di remissione. Gli steroidi sono farmaci di scelta nelle fasi di attività
della malattia e diversi studi hanno dimostrato la loro efficacia nell´indurre
la remissione clinica (dal 76% al 92%), anche se le recidive alla sospensione
del trattamento sono frequenti (dal 30% al 60% entro i 12 mesi).
I corticosteroidi comunque non sembrano essere efficaci nel prevenire
le recidive, e d´altra parte l´uso cronico del cortisone comporta,
specie in età pediatrica, la comparsa di importanti effetti collaterali
(dal 16% al 50%). Risultati più incoraggianti potrebbero arrivare
dall´uso di nuovi corticosteroidi quali il fluticasone e la budesonide
che sembra non presentino importanti effetti collaterali anche nei trattamenti
a lungo termine e non interferirebbero con l´asse ipotalamo-ipofisi.
Bean Rhd per primo, agli inizi degli anni ´60 propose l´utilizzazione
di farmaci immunosoppressori nel trattamento delle malattie infiammatorie
croniche intestinali, ma spetta a Jewel et al. il primo vero impiego dell´azatioprina.
Korelitz et al. condussero invece il primo studio sull´impiego di
tali farmaci in età pediatrica, sottolineando come l´immunosoppressore
deve essere considerato farmaco alternativo al cortisone e la sua indicazione
è quella di prolungare la remissione clinica indotta dai corticosteroidi.
Markowitz et al., attraverso un dettagliato studio multicentrico, hanno
definito gli immunosoppressori come farmaci aggiuntivi e la loro indicazione
è limitata a quei casi refrattari al consueto trattamento farmacologico
o nei casi in cui l´utilizzazione dei corticosteroidi è limitata
per la presenza di controindicazioni al loro uso.
Tutto ciò rimane valido considerando sempre gli importanti effetti
collaterali che il loro prolungato uso può determinare (soppressione
dell´attività midollare, pancreatiti, disfunzioni renali ed
epatiche). Il MC sia in fase di attività che nei periodi di remissione,
rappresenta una patologia a grave rischio di malnutrizione specie in età
pediatrica. Le cause più evidenti sono legate al coinvolgimento
cronico del tratto gastrointestinale con conseguente malassorbimento, di
variabile entità, causato da insufficienza assorbitiva della mucosa
intestinale, a riduzione della superficie assorbente per resezioni multiple
e a situazioni di contaminazione batterica del piccolo intestino. L´enteropatia
proteinodisperdente rappresenta il culmine della malattia in fase acuta
e la causa di malnutrizione e calo ponderale. Negli ultimi anni il supporto
nutrizionale con diete elementari e semielementari è stato valutato
in termini di successo terapeutico (miglioramento degli indici di flogosi,
miglioramento istologico delle lesioni intestinali, percentuale di remissione)
rispetto al solo trattamento farmacologico. Sanderson comunicarono i primi
significativi risultati sull´efficacia della nutrizione per via enterale
su 17 ragazzi con MC in fase attiva. Essi infatti furono trattati con alimentazione
enterale esclusiva per 6 settimane con idrolisato proteico e successiva
graduale reintroduzione degli alimenti ogni 4 giorni tranne uova, proteine
del latte e glutine.
Contemporaneamente proseguivano il trattamento con la mesalazina, ed
alla fine del ciclo la valutazione clinica, laboratoristica (indici infiammatori)
e nutrizionale, evidenziava un sensibile miglioramento delle condizioni
generali, con induzione della remissione clinica della malattia.
Malgrado Jones et al. riportarono ottimi risultati anche con l´utilizzazione
dell´enterale, per i minori costi e per la minore incidenza di complicanze,
l´orientamento attuale appare indirizzato verso una supplementazione
nutrizionale che rispetti il più possibile le classiche "vie d´accesso"
preservando la via parenterale quando le condizioni del paziente sono particolarmente
critiche o quando è richiesto un rapido riequilibrio metabolico
di un paziente in area pre e post-chirurgica.
Dal 1984 al 1987 alcuni trials clinici suggerivano che la dieta elementare
per via enterale con sondino nasogastrico presentava una efficacia sovrapponibile
a quella ottenuta con la terapia corticosteroidea.
Il passo successivo del supporto nutrizionale nel MC è stato
quello di valutare l´efficacia rispettivamente di diete elementari,
semielementari e polimeriche. Le caratteristiche di queste tre diverse
formulazioni sono riassunte nella Tab. 1. Le maggiori differenze sono in
relazione al contenuto di azoto, di acidi grassi ed alla osmolarità.
Il contenuto di azoto nelle diete elementari è dovuto alla presenza
di amminoacidi liberi e ciò spiega la loro più alta osmolarità.
Il sodio è virtualmente assente mentre è noto che l´assorbimento
degli amminoacidi dipende dal contenuto di ioni Na presente nella miscela
(è necessario un contenuto di ione Na superiore a 80 mmo/lt).
Le diete elementari contengono soltanto una piccola porzione di energia
totale sotto forma di acidi grassi (<2%). Comparate tra di loro le tre
formule hanno anche un differente contenuto di proteine idrolizzate (carne,
lattoalbumina o caseina) e di lipidi (rapporto fra acidi grassi saturi
ed insaturi e trigliceridi a media e lunga catena).
Il ruolo terapeutico può ritenersi duplice: da una parte esse
risultano inerti dal punto di vista antigenico, elemento che si ritiene
importante sotto il profilo patogenetico, dall´altra esse risultano
adeguate a provvedere metaboliti importanti per quanto attiene al processo
di riparazione anatomica della mucosa intestinale, quali amminoacidi in
genere e glutammina in particolare. Verosimilmente, per questi motivi,
l´alimentazione per via enterale con diete elementari, semielementari
e polimeriche ha dimostrato di ridurre le perdite proteiche interferendo
con l´alterata permeabilità intestinale. In età pediatrica,
la dieta elementare per via enterale è stata valutata da Kerner
et al. anche in termini di efficacia sulla velocità di crescita
staturale in pazienti con MC e malnutrizione.
Comparando la velocità di crescita staturo-ponderale rispetto
all´età, essi evidenziarono una crescita staturo-ponderale
di recupero, con maggiori livelli sierici di albumina e somatomedina C
rispetto ad un gruppo controllo che assumeva basse dosi di cortisone.
La scelta di avviare una alimentazione enterale per sondino nasogastrico
presuppone 2 fasi:
-
I FASE: scelta del protocollo da utilizzare.
-
II FASE: avvio e gestione, ospedaliera o domiciliare.
La I fase consiste nella scelta del protocollo da avviare stabilendo la
durata, il tipo, la concentrazione massima da raggiungere allo scopo di
assicurare un apporto calorico adeguato all´età. In genere
le diete "elementari" cioè diete liquide a composizione definita,
sono costituite da carboidrati semplici (mono-, oligosaccaridi), L-amminoacidi
(da soli o associati a idrolisati proteici) e da lipidi essenziali (trigliceridi
a media e lunga catena, olii vari) associati a vitamine e a sali minerali.
Esse sono concepite allo scopo di garantire circa 50 Kcal/Kg/die ed un
introito giornaliero di azoto di circa 10 grammi. Nella Tab. 2 è
sintetizzato il protocollo di più comune utilizzazione nel MC in
età pediatrica.
La II fase presuppone l´esatta conoscenza delle procedure necessarie
ad avviare una alimentazione enterale con sondino nasogastrico e gli "errori
tecnici", che potenzialmente possono essere fatti, rappresentano la causa
più frequente di fallimento inteso come la comparsa di effetti collaterali
(diarrea, dolori addominali, etc) e/o mancata compliance da parte del paziente.
Questa fase comprende le seguenti procedure:
-
Introduzione del sondino
-
Conoscenza dell´attrezzatura per la somministrazione della formula
-
Pulizia dell´attrezzatura di somministrazione
-
Preparazione della formula
-
Monitoraggio delle complicanze più comuni
-
Adeguata istruzione della famiglia e/o del paziente sul funzionamento della
pompa di infusione.
La formula preparata, o esistente in commercio già pronta, viene
somministrata attraverso sondino nasogastrico ad "infusione continua".
E' opportuno distinguere tale procedura dall´alimentazione "a boli"
caratterizzata da piccole quantità di formula somministrate 4-6
volte al giorno "a caduta" cioè con l´alimento che defluisce
direttamente dalla sacca nel sondino nasogastrico e la cui velocità
è regolata da un morsetto.
Talvolta con l´alimentazione enterale possono insorgere dei problemi
di natura tecnica (complicanze meccaniche o di malfunzionamento della pompa)
o delle problematiche in relazione al paziente (fisiologiche o metaboliche).
Le complicanze fisiologiche possono comprendere l´aspirazione
di materiale estraneo nei polmoni per malposizionamento del sondino nasogastrico.
In genere questa complicanza si accompagna a sintomi clinici come "dispnea"
e "tosse" e per prevenirla è opportuno controllare la localizzazione
del sondino dopo ogni brusco movimento (tosse violenta, episodi di vomito).
"L´intolleranza all´alimentazione" si può anche manifestare
con sintomi clinici quali distensione addominale, gonfiore, diarrea, crampi
e nausea; in questi casi è opportuno controllare l´osmolarità
della formula prescritta, la corretta preparazione e la velocità
di infusione dell´alimento.
Squilibri idroelettrolitici possono insorgere nel caso in cui la preparazione
della formula non è corretta con errori nel dosaggio dei singoli
componenti. Tale complicanza è frequente nei primi anni di vita.
I sondini nasogastrici utilizzati sono morbidi e flessibili (poliuretano)
e non interferiscono con la normale deglutizione ma possono ostruirsi per
cui è opportuno ad ogni cambio di sacca procedere alla loro pulizia
con 20-30 ml di acqua.
Le pompe di infusione usate per l´enterale sono dotate di sistemi
di allarme che aiutano ad identificare eventuali blocchi (ostruzioni) e
cambiamenti di velocità di infusione.
In conclusione, l´alimentazione per via enterale con sondino
nasogastrico rappresenta il più valido tentativo terapeutico nel
trattamento del MC in età pediatrica.
L´approccio al bambino che deve intraprendere un trattamento
"nutrizionale" presuppone la cooperazione di diverse figure "istituzionali"
oltre al medico, quali lo psicologo, l´assistente sociale e la dietista.
Inoltre l´impatto sociale di tale problema deve porre in essere
strumenti legislativi che consentano a tutti i soggetti con MC di usufruire
di questi ausilii a prescindere dalle possibilità economiche delle
singole famiglie.
TABELLA 1
CARATTERISTICHE DELLE DIETE ELEMENTARI, SEMI-ELEMENTARI E POLIMERICHE |
Caratteristiche |
Elementari |
Semi-elementari |
Polimeriche |
Contenuto di azoto |
amminoacidi |
piccoli oligopeptidi
(200-5000 Da) |
oligopeptidi
(>2000 Da) |
Grassi |
acidi grassi a
catena corta |
acidi grassi a catena
corta (50%) + MCT (50%) |
grano o soya + MCT |
Osmolarità |
alta
(>450 mOsm/Kg) |
intermedia
(300-400 mOsm/kg) |
bassa
(>300 mOsm/Kg) |
Contenuto di NA |
assente |
basso |
basso |
|
TABELLA 2
PROTOCOLLO DI ALIMENTAZIONE PER VIA ENTERALE CON FORMULA ELEMENTARE
E/O SEMIELEMENTARE |
Durata: 6-8 settimane con valutazione finale e decisione se
prolungare e/o se proseguire con alimentazione enterale solo notturna. |
|
Formula elementare costituita da:
glucidi: 50-60%
lipidi: 30%
protidi: 10-15% |
In alternativa: formula semielementare (idrolisato proteico)
al 21% + Olio MCT + maltodestrine al 5%.
In questo caso la concentrazione massima si raggiunge nell’arco di
4-5 giorni in base al grado di tollerabilità del paziente; in ogni
caso alla fine della I settimana è opportuno raggiungere un apporto
calorico di 80 Kcal/Kg. |
Contemporaneamente somministrare:
acido folico: 2,5 mg/2 volte/settimana
Vit. K: 2,5 mg/2 volte/settimana
Ferro: 0,5 mg/Kg/die |
A conclusione del ciclo, nel caso in cui la risposta clinica ed umorale
sia stata soddisfacente, (CDAI score < 150), si può avviare la
graduale reintroduzione degli alimenti, ogni 4 giorni, secondo questo ordine:
patate, carne di agnello, pollo, pasta e pane senza glutine, cavoli,
riso, mele, carote, carne di manzo e poi progressivamente il glutine e
le proteine del latte vaccino e gli altri alimenti.
Una risposta clinica parziale o la persistenza di un grave stato di
malnutrizione può richiedere, dopo la graduale ripresa della normale
alimentazione diurna, la prosecuzione dell’alimentazione enterale notturna,
a pari concentrazione e per una durata di 10 ore. |
Terapia chirurgica nel MORBO
DI CROHN
I quadri acuti legati al MC possono presentarsi sottoforma di esordio
o sottoforma di complicanza della malattia. Pertanto essi possono essere
preceduti e/o seguiti da manifestazioni legate alla fase subacuta-cronica,
quali irregolarità dell'alvo, con caratteristiche fasi di diarrea
muco-ematica, febbricola, perdita di peso, squlibri nutrizionali, dolori
addominali crampiformi, tenesmo rettale, manifestazioni perianali, manifestazioni
sistemiche.
Come nelle fasi subacute-croniche l'ileo terminale rappresenta il segmento
intestinale più colpito anche durante le manifestazioni acute, tuttavia
non sono infrequenti quadri a localizzazione ileo-colica o, più
raramente, esclusivamente colica.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Esistono altre cause di patologia ileo-cecale acuta ( con netta predilezione
per l'ultima ansa) di interesse chirurgico, che si manifestano, sul piano
clinico con un quadro occlusivo, peritonitico, o vascolare:
-ileiti infettive: Salmonella t., Yersinia e., Mycobatterio t., Clostridium
d.
-ileiti ischemiche
-patologia legata a diverticolo di Meckel
-appendicite acuta
-patologia neoplastica: carcinomi, carcinoidi
-ileite idiopatica
-colite ulcerosa
CLASSIFICAZIONE QUADRI ACUTI
1) LOCALIZZAZIONE COLICA:
-ileite acuta grave
-perforazione
-occlusione
-emorragia massiva
2) LOCALIZZAZIONE COLICA:
-colite acuta grave
-megacolo tossico
-emorragia massiva
-perforazione
3) LOCALIZZAZIONE ANO-RETTALE:
ascessi acuti perianali
A) MEGACOLON TOSSICO
Contrariamente a quanto ritenuto in passato, l'incidenza del megacolon
tossico nel MC non è trascurabile, anche se di minor entità
rispetto alla sua frequenza nella colite ulcerosa:2,3-6% (si rimanda al
capitolo della colite ulcerosa per ulteriori notizie in merito).
B) PERFORAZIONE
Molto rara la perforazione libera per motivi anatomo-patologici (flogosi
a tutto spessore con intensa reazione fibrotica) e perchè più
raro il megacolon tossico, meno rara quella coperta con realizzazione di
peritonite localizzata (ascesso peritoneale) e/o fistolizzazione in viscere
cavo.
C) EMORRAGIA MASSIVA
Più rara che nella colite ulcerosa, verificandosi nell'1,4%
dei pazienti. Inoltre, mentre nella colite ulcerosa il sanguinamento è
in genere diffuso, nel MC è più spesso proveniente da un
unica sede dove un' ulcerazione profonda ha determinato l'erosione di un
vaso arterioso. Come nel caso della colite ulcerosa per sanguinamento massivo
s'intentende non le semplici scariche ematiche quotidiane, capaci di indurre
una anemizzazione progressiva anche grave, ma cronica, ma un sanguinamento
così grave da richiedere la trasfusione di più di un litro
di sangue (pari a 4 unità) nelle 24 ore per correggere l'ipovolemia,
oppure un sanguinamento persistente per alcuni giorni, tale da richiedere,
ogni giorno, la trasfusione di 1-3 U di sangue. Sono questi i casi che,
frequentemente, richiedono l'intervento chirurgico.
D) OCCLUSIONE
Raramente a carico del colon, più frequentemente a carico dell'ileo
terminale. Quadri: -crisi subocclusive ricorrenti ed autolimitantesi: più
frequenti. -occlusione acuta completa: meno frequente: # durante le fasi
iniziali della malattia: da edema parietale #durante le fasi più
avanzate della malattia, dopo diversi episodi suboclusivi: da edema su
stenosi intestinale fibrotica. Mentre nel caso del semplice edema parietale
è sufficiente la sola terapia conservatrice (vedi dopo), nel secondo
caso è spesso necessario ricorrere a risoluzioni di tipo chirurgico.
E) ILEO-COLITE ACUTA GRAVE
Quadro caratterizzato da manifestazioni aspecifiche (nausea, vomito,
diarrea muco-ematica, dolori addominali crampiformi, quadro sistemico dominato
da alterazione dell'equilibrio idro-elettrolitico ed acido-base). Mentre
il quadro di colite è più tipico della colite ulcerosa (e
pertanto si rimanda a tale capitolo per notizie più dettagliate),
l'ileite terminale è tipica del MC ed è caratteizzata da
una quadro clinico localizzato spesso in fossa iliaca dx, tanto da evocare
il quadro di un appendicite acuta. In questo ed anche nel caso della perforazione
coperta con realizzazione di un ascesso localizzato, è possibile
apprezare, alla palpazione, la presenza di un pseudotumor infiammatorio.
TERAPIA
1) CONSERVATIVA
Il suo scopo è il controllo dei sintomi e, talora, la risoluzione
della fase acuta e di alcune complicanze. Non sembra comunque in grado
di alterare la storia natutale della malattia che rimane ancora oggi un
processo morboso cronico ed inguaribile in cui non è possibile alcuna
cura radicale essendo ancora ignota la sua etiopatogenesi. E' indubbio
comunque che la terapia medica e nutrizionale è in grado di migliorare
la prognosi sia in termini di sopravvivenza, che di qualità di vita.
-Riequilibrio del paziente dal punto di vista nutrizionale (in genere
è presente deficit proteico, viataminico, elettrolitico, marziale)
e volemico e messa "a riposo funzionale" l'intestino patologico ("bowel
rest"); lo scopo è raggiunto mediante il posizionamento di un catetere
venoso centrale (che permette, a differenza di quelli periferici, la somministrazione
di grossi quantitativi di liquidi anche iperosmolari senza pericolo di
flebiti chimiche) e di un sondino naso-gastrico per l'allontanamento dei
fluidi gastro-enterici normali od in eccesso a causa dell'eventuale occlusione.
-Antinfiammatori:
# corticosteroidi: sono i farmaci principali da usare durante le fasi
acute gravi sia in caso di localizzazione colica che ileale. Vanno usate
a dosi piene e per via parenterale: per es. prednisone 1 mg/kg/die.
# Acido 5-amino-salicilico: in quanto somministrabile esclusivamente
per os o tramite clismi, può essere usato per via rettale, in associazione
ai corticosteroidi, durante le fasi acute gravi quando si instauri un regime
di "bowel rest" (con impossibiltà quindi di assunzione di farmaci
per os), oppure per os, sempre in associazione ai corticosteroidi, durante
le fasi acute meno gravi. Efficace solo nelle localizzazioni coliche od
ileo-coliche.
# Antibiotici: a largo spettro per via sistemica o il metronidazolo
nel caso di complicanze ano-rettali.
2) CHIRURGICA
Indicazioni (in urgenza):
-occlusione intestinale non rispondente alla terapia conservatrice,
oppure in caso di episodi subocclusivi subentranti.
-colite acuta severa non rispondente alla terapia conservatrice.
-megacolo tossico.
-emorragia massiva.
-perforazione con peritonite diffusa.
-grave peritonite localizzazata dopo eventuale fallimento del drenaggio
eco-guidato dell'ascesso.
-ascesso acuto perianale
Quando
-in emergenza (cioè con la minima perdita di tempo dalla diagnosi):
nella rara perforazione libera e nell'altrettanto rara emorragia massiva.
-in semiurgenza, con possibilità quindi di reintegrare il paziente,
negli altri casi (l'attesa comunque non deve superare le 72 ore nel caso
di colite o megacolo tossico non rispondenti alla terapia conservativa).
Come
Il principio generale da seguire, sia in urgenza che in elezione, sia
nelle localizzazioni coliche che ileali, è il seguente: l'intervento
deve essere il più possibile conservativo, cioè devono essere
eseguite semplici resezioni intestinali in considerazione della cronicità
della malattia, della sua tendenza a coinvolgere l'intero tubo digerente
e dell'elevata incidenza di recidive. Mentre perciò, nel caso delle
localizzazioni coliche, la terapia medica è simile a quella della
colite ulcerosa, l'approccio chirurgico è differente per il motivo
che, in questa, solo con l'asportazione di tutto il grosso intestino si
ottiene la garanzia di una guarigione definitiva, mentre nel MC la guarigione
non è assicurata dalla procto-colectomia totale, essendo sempre
possibile, anzi probabile, la recidiva a livello ileale. Proprio perchè
la chirurgia deve essere conservativa, gli interventi proponibili sono
diversi e devono adattarsi al singolo caso, in rapporto alla estensione
ed alla gravità delle lesioni anatomo-patologiche.
Tipi
-resezioni con o senza ricanalizzazione immediata (il tratto intestinale
più ferquentemente resecato è quello ileo-cecale), con un
margine di 5-10 cm d'intestino macroscopicamente sano. Lesioni a salti
in vicinanaza del segmento malato possono essere escissi in blocco con
esso; se a distanza, possono essere trattate con piccole resezioni aggiuntive
oppure lasciate in situ se non stenosanti; viceversa possono essere trattate,
subito o nei reinterventi, con stricturoplastivca (incisione trasversale
del tratto stenotico seguita da sutura longitudinale).
-demolizioni ampie con o senza ricanalizzazione immediata: emicolectomia
destra, colectomia totale, proctocolectomia totale con ileostomia definitiva.
A diffrenza della colite ulcerosa è controindicato il confezionamento
di ileostomie continenti o di reservoir ileoanali per l'alto rischio di
recidiva.
-semplice ileostomia derivativa nei pazienti impegnati con possibilità
di effettuare interventi "curativi" in un secondo tempo.
In tutti gli interventi che presuppongono un ricanalizzazione differita,
il segmento intestinale ecluso va incontro frequentemente a guarigione
o miglioramento anatomo patologicograzie al solito principio del "bowel
rest". Inoltre esso risente positivamente della terapia topica mediante
5-ASA (clismi per via rettale o trans-anastomotici).
BIBILIOGRAFIA
-Di Carlo, B. Andreoni, C, Staudacher, Manuale di Chirurgia d'Urgenza
e Terapia Intensiva Chirugica. Masson S.p.A., 1993.
-Schwartz et al., Principle of Surgery. McGraw- Hill, Inc., 1994
-Dionigi, Chirurgia. Masson S.p.A., 1992
Etiopatogenesi e terapia medica
delle malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn, Colite ulcerosa:
presente e futuro).
dr. Giampaolo Bresci
Le malattie infiammatorie croniche
dell’intestino costituiscono una delle sfide più affascianti per
il gastroentrologo e stanno attirando sempre più l’interesse dei
clinici. Le IBD rappresentano un gruppo di patologie croniche i cui aspetti
sono spesso multiformi e frequentemente di non facile gestione. In questi
ultimi anni sono stati compiuti significativi progressi nella comprensione
dell’etiopatogenesi, nella precoce diagnosi grazie all’evoluzione della
endoscopia, istologia, radiologia, scintigrafia, ecografia. Anche le possibilità
terapeutiche disponibili sono in continua espansione e nuovi farmaci saranno
pronti per l’impiego clinico in un futuro molto prossimo. Come per tutti
i campi in cui il progresso delle conoscenze diventa sempre più
tumultuoso sono, essenziali momenti di discussione e di confronto tra tutti
coloro che, con diverse competenze, sono coinvolti nella gestione di queste
malattie che pur non molto frequenti rappresentano ormai la seconda categoria
di malattie infiammatorie croniche preceduta solo dall’ artrite reumatoide.
Scopo di queste relazione è quello di sintetizzare ciò che
di nuovo è emerso in letteratura e ciò che ormai è
consolidato. La ripetizione , seppur rapida di concetti ormai conosciuti,
potrà servire a far render conto che sull’ argomento in oggetto
non si rilevano novità di rilievo .
Epidemiologia
Nel corso degli ultimi anni si è resa
disponibile un imponente mole di dati che sono spesso frammentari e derivano
da studi il cui rigore metodologico è criticabile anche perché
spesso ottenuti su dati retrospettivo o su pazienti ospedalizzati. . Le
differenze emerse nelle varie ricerche possono risentire anche di discrepanze
dovute alla definizione dei criteri diagnostici che possono non coincidere.
Non esiste infatti un gold standard universalmente accettato nella diagnosi
di queste malattie.I tassi di incidenza ( cioè numero di casi che
si verificano in un anno in una data area ogni cento mila abitanti, e rappresanta
uan stima diretta del rischio di sviluppare la malattia) sono caratterizzati
ancora oggi da notevole disomogeneità geografica e sono compresi
tra 1.5 e 16 nuovi casi di colite ulcerosa e tra 1.3 e 10 nuovi casi di
morbo di Crohn per 100.000 persone l’anno. Le eccezioni sembrano essere
rappresentate da Francia, Belgio e Germania in cui invece si è rilevata
una maggiore incidenza del morbo di Crohn. Negli anni ’90 lo studio condotto
dall’EC-IBD study è stato il primo studio di tipo prospeptico che
ha permesso di raccoglere dati sull’incidenza della RCU e Crohn nei paesi
del bacino mediterraneo ottenendo una incidenza di 8.6 per la RCU e 3.9
per il MC. Per quanto riguarda l’Italia, (GISC, Int.J.Epidemiol.,’96) il
tasso di incidenza di RCU è stato di 5.2, mentre quello del MC di
2.3. La prevalenza invece rappresenta il numero di pazienti affetti dalla
malattia ogno centomila abitanti e ci da l’impatto della malattia nella
comunità, l’interesse socioeconomico.E’stata anche segnalata una
certa stagionalità dell'esordio della colite ulcerosa con un picco
a dicembre gennaio che farebbe pensare a un concorso di fattori ambientali
stagionali .Viene confermata una maggiore incidenza di IBD nelle zone urbane
e industrializzate (questo ha aperto il campo a speculazione riguardanti
un possibile contributo di fattori inquinanti). Confermata anche una maggiore
incidenza in certe etnie (nei soggetti di origine ebraica da 2 a 6 volte).La
malattia colpisce maschi e femmine con pari frequenza anche se il sesso
femminile, soprattutto se al disotto di 45 anni,presenta un rischio di
ammalarsi di morbo di Crohn del 20-30% maggiore rispetto ai maschi. L’età
di insorgenza, specie della RCU, ha un andamento bimodale : nel 50% dei
casi la malattia insorge tra 15 e 30 anni, mentre un secondo picco di incidenza
si osserva tra 55-65 anni.Si sta sempre più confermando la diagnosi
di IBD in soggetti di età avanzata che spesso ci meraviglia per
la latenza che presenta e che generalmente è reppresentata da RCU
localizzate a SX o a livello rettosigma senza grossa tendenza all’aggressività.
Nel corso degli ultimi anni si è resa disponibile un imponente mole
di dati che sono spesso frammentari e derivano da studi il cui rigore metodologico
è criticabile anche perché spesso ottenuti su dati retrospettivo
o su pazienti ospedalizzati. . Le differenze emerse nelle varie ricerche
possono risentire anche di discrepanze dovute alla definizione dei criteri
diagnostici che possono non coincidere. Non esiste infatti un gold standard
universalmente accettato nella diagnosi di queste malattie.I tassi di incidenza
( cioè numero di casi che si verificano in un anno in una data area
ogni cento mila abitanti, e rappresanta uan stima diretta del rischio di
sviluppare la malattia) sono caratterizzati ancora oggi da notevole disomogeneità
geografica e sono compresi tra 1.5 e 16 nuovi casi di colite ulcerosa e
tra 1.3 e 10 nuovi casi di morbo di Crohn per 100.000 persone l’anno. Le
eccezioni sembrano essere rappresentate da Francia, Belgio e Germania in
cui invece si è rilevata una maggiore incidenza del morbo di Crohn.
Negli anni ’90 lo studio condotto dall’EC-IBD study è stato il primo
studio di tipo prospeptico che ha permesso di raccoglere dati sull’incidenza
della RCU e Crohn nei paesi del bacino mediterraneo ottenendo una incidenza
di 8.6 per la RCU e 3.9 per il MC. Per quanto riguarda l’Italia, (GISC,
Int.J.Epidemiol.,’96) il tasso di incidenza di RCU è stato di 5.2,
mentre quello del MC di 2.3. La prevalenza invece rappresenta il numero
di pazienti affetti dalla malattia ogno centomila abitanti e ci da l’impatto
della malattia nella comunità, l’interesse socioeconomico.E’stata
anche segnalata una certa stagionalità dell'esordio della colite
ulcerosa con un picco a dicembre gennaio che farebbe pensare a un concorso
di fattori ambientali stagionali .Viene confermata una maggiore incidenza
di IBD nelle zone urbane e industrializzate (questo ha aperto il campo
a speculazione riguardanti un possibile contributo di fattori inquinanti).
Confermata anche una maggiore incidenza in certe etnie (nei soggetti di
origine ebraica da 2 a 6 volte).La malattia colpisce maschi e femmine con
pari frequenza anche se il sesso femminile, soprattutto se al disotto di
45 anni,presenta un rischio di ammalarsi di morbo di Crohn del 20-30% maggiore
rispetto ai maschi. L’età di insorgenza, specie della RCU, ha un
andamento bimodale : nel 50% dei casi la malattia insorge tra 15 e 30 anni,
mentre un secondo picco di incidenza si osserva tra 55-65 anni.Si sta sempre
più confermando la diagnosi di IBD in soggetti di età avanzata
che spesso ci meraviglia per la latenza che presenta e che generalmente
è reppresentata da RCU localizzate a SX o a livello rettosigma senza
grossa tendenza all’aggressività. Nel corso degli ultimi anni si
è resa disponibile un imponente mole di dati che sono spesso frammentari
e derivano da studi il cui rigore metodologico è criticabile anche
perché spesso ottenuti su dati retrospettivo o su pazienti ospedalizzati.
. Le differenze emerse nelle varie ricerche possono risentire anche di
discrepanze dovute alla definizione dei criteri diagnostici che possono
non coincidere. Non esiste infatti un gold standard universalmente accettato
nella diagnosi di queste malattie.I tassi di incidenza ( cioè numero
di casi che si verificano in un anno in una data area ogni cento mila abitanti,
e rappresanta uan stima diretta del rischio di sviluppare la malattia)
sono caratterizzati ancora oggi da notevole disomogeneità geografica
e sono compresi tra 1.5 e 16 nuovi casi di colite ulcerosa e tra 1.3 e
10 nuovi casi di morbo di Crohn per 100.000 persone l’anno. Le eccezioni
sembrano essere rappresentate da Francia, Belgio e Germania in cui invece
si è rilevata una maggiore incidenza del morbo di Crohn. Negli anni
’90 lo studio condotto dall’EC-IBD study è stato il primo studio
di tipo prospeptico che ha permesso di raccoglere dati sull’incidenza della
RCU e Crohn nei paesi del bacino mediterraneo ottenendo una incidenza di
8.6 per la RCU e 3.9 per il MC. Per quanto riguarda l’Italia, (GISC, Int.J.Epidemiol.,’96)
il tasso di incidenza di RCU è stato di 5.2, mentre quello del MC
di 2.3. La prevalenza invece rappresenta il numero di pazienti affetti
dalla malattia ogno centomila abitanti e ci da l’impatto della malattia
nella comunità, l’interesse socioeconomico.E’stata anche segnalata
una certa stagionalità dell'esordio della colite ulcerosa con un
picco a dicembre gennaio che farebbe pensare a un concorso di fattori ambientali
stagionali .Viene confermata una maggiore incidenza di IBD nelle zone urbane
e industrializzate (questo ha aperto il campo a speculazione riguardanti
un possibile contributo di fattori inquinanti). Confermata anche una maggiore
incidenza in certe etnie (nei soggetti di origine ebraica da 2 a 6 volte).La
malattia colpisce maschi e femmine con pari frequenza anche se il sesso
femminile, soprattutto se al disotto di 45 anni,presenta un rischio di
ammalarsi di morbo di Crohn del 20-30% maggiore rispetto ai maschi. L’età
di insorgenza, specie della RCU, ha un andamento bimodale : nel 50% dei
casi la malattia insorge tra 15 e 30 anni, mentre un secondo picco di incidenza
si osserva tra 55-65 anni.Si sta sempre più confermando la diagnosi
di IBD in soggetti di età avanzata che spesso ci meraviglia per
la latenza che presenta e che generalmente è reppresentata da RCU
localizzate a SX o a livello rettosigma senza grossa tendenza all’aggressività.
Etiologia
L’etiologia permane tuttora sconosciuta ma si
pensa che molteplici fattori quali quelli immunitari, ambientali, dietetici,
psicogeni, vascolari, infettivi su soggetti geneticamente predisposti possano
determinare la malattia.E’ stata ipotizzata una aggregazione familiare.
Si calcola che dal 5 al 15 % dei pazienti con IBD abbiano uno o più
familiari affetti a loro volta da IBD. Il rischio di familiarità
è 3-15 volte superiore al valore atteso.Si sta attualmente cercando
di effettuare studi molecolari mirati a tentare di identificare il gene
o i geni responsabili delle IBD o quantomeno della suscettibilità
a contrarre questa malattia. I risultati di questi studi sono ancora preliminari
ma è possibile che questo campo sia fonte in tempi brevi di importanti
scoperte. L 'associazione fra frequenza di una pregressa appendicectomia
e colite ulcerosa è discussa da tempo.E’stato ipotizzato che l’
appendicectomia, determinando la rimozione di un organo linfoide con prevalenza
dei linfociti T-helper, possa in qualche modo proteggere contro lo sviluppo
della colite ulcerosa. Al contrario, nessun rapporto è stato rilevato
con una pregressa tonsillectomia. Sono state segnalate anche l’associazione
tra alcuni eventi perinatali, quali nati da madri che avevano sviluppano
un infezione nelle ultime settimane di gravidanza, mentre l’allattamento
al seno avrebbe una azione protettiva. In particolare, è da segnalare
la possibile correlazione fra morbo di Crohn nei soggetti nati da madri
che avevano contratti morbillo durante la gravidanza o magari erano state
sottoposte vaccinazione contro il morbillo.Tuttavia questa ipotesi coinvolgimente
il morbillo necessita di ulteriore conferma tanto che l'Organizzazione
Mondiale della Sanità del '98 ha dichiarato che non vi sono alcune
evidenze certe a favore dell'associazione fra morbo di Crohn e virus del
morbillo. Non esistono evidenze certe che fattori dietetici abbiano un
ruolo nel IBD ma studi epidemiologici hanno evidenziato possibili associazioni
con una dieta contenente elevati carboidrati raffinati,eccessivo consumo
di margarina, elevato contenuto di grassi specie se animali, proteine animali
e proteine del latte.La verdura, la frutta, la vitamina C sembrano invece
aver effetto protettivo mentre non sembra esservi correlazione con gli
allergeni alimentare. Una certa correlazione è stata evidenziata
con il fumo di sigaretta che si associa ad un maggior rischio di sviluppare
morbo di Crohn da 2 a 5 volte mentre vi è relazione opposta per
quanto riguarda colite ulcerosa (che risulta più frequente nei non
fumatori) . E’stato segnalato come l'impiego dei cerotti di nicotina possano
addirittura determinare un miglioramento dei sintomi nei pazienti affetti
da colite ulcerosa. Anche l'uso dei contraccettivi sarebbe associato ad
un maggior rischio di sviluppare morbo di Crohn. Ciò potrebbe essere
dovuto all'azione protrombotica degli estroprogestinici, soprattutto alla
luce della recente teoria secondo cui alla base del morbo di Crohn vi è
una vasculopatia primitiva dell'intestino. Definitivamente tramontata invece
l'associazione fra morbo di Crohn e consumo di dentifricio che aveva riscosso
un certo successo. L'associazione tra l'uso di FANS e le riacutizzazioni
delle IBD sambra reale, infatti l'attività della malattia
spesso si riacutizza nel giro di qualche ora dalla somministrazione di
FANS, anche a basse dosi. Il loro effetto è da attribuire
sia all'aumento della permeabilità intestinale, sia all'inibizione
della via della ciclossigenasi nella degradazione dell'acido arachidonico.
Patogenesi
E’ accettato che queste malattie abbiano in comune
l’inizo, l’amplificazione e la perpetuazione dell’infiammazione che a sua
volta è legata ad una aberrante attivazione del sistema immunitario.Nelle
IBD si avrebbe una alterazione persistente dei meccanismi di soppressione
della risposta infiammatoria con conseguenti aberranti risposte che
portono ad una cronicizzazione del processo immunoinfiammatorio (infiammazione
non controllata).La risposta immunitaria è formata sia da meccanismi
cellulari (che comportano l’aggressione diretta degli antigeni) che
umorali (che comportano la produzione di varie classi di anticorpi che
mediano l’aggessione dell’antigene) e il tipo di risposta immunitaria permette
di differenziare la RCU dal C. Nella RCU predominano i fenomeni di risposta
umorale (soprattutto IgG capaci di attivare il complemento con conseguente
rilascio di mediatori proinfiammatori quali leucotreni prostaglandine,
trombossano; gli stessi ANCA sono anticorpi derivati dalla IgG). Nel C
predominano i fenomeni di immunità cellulo-mediata (inadeguata e
amentata presentazione degli antigeni luminali alle cellule immunocompetenti
della mucosa intestinale con fenotipo CD4, helper/inducer, piuttosto che
CD8, soppressor) e ciò comporta che i linfociti hanno una
aumentata attiviazione di g-IFN che sarebbe responsabile della formazione
di cellule giganti, granulomi, aumentata permeabilità epiteleliale
. In questi processi sono coinvolti la mucosa intestinale, la flora batterica,
fattori matabolici, mediatori dell’infiammazione e fattori immunologici.La
mucosa intestinale è esposta ad un enorme carico antigenico rappresentato
da batteri e sostanza sfuggite alla digestione e l’intestino si protegge
a questi insulti attraverso un meccanismo intraluminale (rappresentato
dalla flora batterica endogena, dal muco, dalla integrità della
barriera mucosa intestinale) e uno intramucoso (rappresentato dal
tessuto linfoide associato alla mucosa intestinale). Se l’antigene
riesce a superare questi meccanismi difensivi, entrano in gioco complessi
meccanismi cellulari di risposta infiammatoria tesi all’eliminazione del
fattore aggressivo. Anche la flora batterica intestinale sembra coinvolta
nella patogenesi. Considerando che le lesioni delle IBD mimano quelle delle
enterocoliti infettive e si sviluppano in tratti di intestino con la maggiore
concentrazione batterica, è stata da sempre sospettata l'importanza
della flora batterica nella patogenesi delle IBD. Anche altre
osservazioni depongono a favore di questa tesi: la terapia antibiotica
migliora l'infiammazione, il ripristino del transito intestinale dopo intervento
di resezione risulta indispensabile perché si sviluppi la
recidiva, nei modelli sperimentali di colite le lesioni non si sviluppano
in condizioni "germ-free". Anche se non è stato isolato alcun agente
patogeno batterico o virale che possa essere sicuramente responsabile delle
IBD, è opinione corrente che alcune componenti della normale flora
intestinale, siano responsabili dello sviluppo di queste malattie.
E' possibile ipotizzare che alcuni prodotti della normale flora commensale
possano essere responsabili dell'inizio dell'infiammazione, in presenza
di una alterazione della barriera mucosa intestinale. Anche i fattori matabolici
sono stati coinvolti nella patogenesi.Alcune osservazioni indicano che
le alterazioni del metabolismo intestinale potrebbero giocare un ruolo
importante. E' stato calcolato che circa i due terzi delle richieste energetiche
della mucosa colica derivano dagli acidi grassi a catena breve (SCFA),
che rappresentano i principali prodotti di fermentazione della flora batterica.
Gli SCFA derivano dalla fermentazione di polisaccaridi vegetali, fibre
ed amidi sfuggiti all'assorbimento nel tratto gastrointestinale superiore.
Nella RCU esistono evidenze di un alterato metabolismo cellulare degli
SCFA. L’impiego clinico degli SCFA nella RCU è risultato di qualche
utilità in particolare quando usati in associazione a farmaci antinfiammatori
.Nella cronicizzazione del processo infiammatorio, giocano un ruolo significativo
i mediatori derivati dall’acido arachidonico quali prostaglandine, lecotreni,
citochinine, radicali liberi di ossigeno, monossido di azoto, fattori immunologici
e quelli responsabili della infiammazione neurogenica. Un incremento di
questi mediatori, non adeguatamente controbilanciato da meccanismi soppressori
è, di per sé, in grado di indurre danno tissutale e dar luogo
ad alterazioni istopatologiche che si osservano nelle IBD.L’interazione
tra le diverse cellule coinvolte nella risposta immunitaria, che si oserva
nelle IBD, è garantita da mediatori chimici locali tra i quali
le citochinine. Le citochinine sono proteine, prodotte dai linfociti T,
che trasmettono dei segnali da una cellula all'altra attraverso specifici
recettori di membrana. Esse hanno fisiologicamente il compito di regolare
la risposta immunitaria e se sono secrete in eccesso, sono capaci di dare
un danno tissutale . Alcune citochinine hanno un effetto pro-infiammatorio
(IL-1,IL-6,TNF tumor necrosis factor), altre hanno un azione regolatrice
(g-IFN) altre inibitoria o anti-infiammatoria ( IL-10, TGF trasforming
growth factor). Dalla complessa interazione di queste citochinine scaturiscono
alcune combinazioni che sono responsabili di numerose situazioni cliniche.
Nella mucosa intestinale dei pazienti con IBD è presente un aumento
sia dei livelli che della attività delle citochine proinfiammatorie.
In particolare, aumentati livelli di IL-6 e IL-8 inducono la chemiotassi
dei neutrofili; l'g-IFN è in grado di indurre la formazione di granulomi,
il TGFstimola la produzione di collagene coinvolto nella genesi della
fibrosi e quindi delle stenosi; TNF e IL-1 producono lisi delle cellule
epiteliali intestinali. I radicali liberi di ossigeno e il monossido
di azoto sono prodotti dai granulociti neutrofili, monociti, macrofagi
e la loro sintesi viene indotta da leucotreni, PAF, e citochinine
come IL-1 e TNF. Prostaglandine, lecotreni, PAF, citochinine, radicali
liberi di ossigeno e il monossido di azoto sono aumentati nella mucosa
dei pazienti con IBD e la loro concentrazione viene abbassata da un trattamento
con steroidi.I fattori della infiammazione neurogenica rappresentano unrocesso
patologico che si sviluppa in seguito alla stimolazione di neuroni contenenti
sostanza P con conseguente rilascio di questa sostanza. La sostanza
P interagisce con specifici recettori (NKI), presenti a livello dei vasi
sanguigni, causando essudazione plasmatica ed un attivo processo di migrazione
leucocitaria. Si ritiene che la componente neurogenica giochi un
ruolo significativo nella modulazione dell’ infiammazione intestinale.
Alcuni dati clinici, quali l'importanza dello stress nello scatenarsi e
nel riacutizzarsi delle IBD, l'efficacia della lidocaina e della nicotina
nella RCU, sembrano confermare questa ipotesi . Tra questi mediatori,
quello che ha suscitato maggiore interesse è il TNF, visto che nel
m. di Crohn la sua produzione (insieme a quella di IL-1 ed IL-6) è
aumentata. Inoltre, il blocco dell'attività biologica del
TNF mediante anticorpi anti-TNF, è risultato straordinariamente
efficace nel m. di Crohn refrattario agli steroidi, producendo anche la
completa regressione delle lesioni.Indipendentemente dal meccanismo di
induzione della infiammazione, che è in gran parte ignoto, l'evento
finale del processo immunoinfiammatorio è costituito da un'infiammazione
tessutale non specifica. Questa è caratterizzata da un infiltrato
misto di cellule immunocompetenti che vengono reclutate e attivate da numerose
citochine e dagli eicosanoidi. Alcune citochine, in particolare quelle
che esplicano un effetto di tipo proinfiammatorio (IL-l; IL-6, IL-8; GM-CSF
e TNF), sono state trovate elevate nella fase di attività delle
IBD. Analogamente elevati sono risultati i cosiddetti "mediatori"
dell'infiammazione derivati dall'acido arachidonico (LT, PG, PAF).In queste
condizioni l'aspetto immunologico della mucosa intestinale appare profondamente
alterato. Il numero delle cellule mononucleate presenti nella mucosa
risulta notevolmente aumentato. Un notevole incremento numerico si
riscontra a carico delle plasmacellule che presentano un alterato pattern
di produzione delle immunoglobuline, essendo aumentata la produzione di
anticorpi IgG e diminuita quella di IgA. Anche i linfociti T appaiono aumentati
sebbene, nella lamina propria, il rapporto tra cellule helper e cellule
suppressor non risulti alterato. Sulla superficie dei linfociti T
si osserva una aumentata espressione dei markers di attivazione e proliferazione.
Lo stato di attivazione delle cellule T è confermato dall'espressione
delle glicoproteine del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC)
di classe II sull'epitelio intestinale. L'espressione di tali antigeni,
assente nell'epitelio intestinale normale, è mediata dall'interferone-gamma
prodotto dai linfociti T helper. La presenza sulla superficie degli
antigeni MHC di classe II, conferisce alle cellule epiteliali la capacità
di agire come cellule accessorie presentanti l'antigene (APC), funzione
che normalmente è riservata ai macrofagi ed a poche altre cellule.
In tal modo, una volta innescata la risposta infiammatoria, questa potrebbe
autoperpetuarsi e amplificarsi attraverso il reclutamento di nuovi antigeni
esogeni ed endogeni impropriamente presentati anche dalle cellule epiteliali.Dalla
complessa interazione di queste citochine scaturiscono le diverse situazioni
cliniche. Quando i meccanismi di controregolazione anti-infiammatoria
sono efficienti, le lesioni infiammatorie guariscono rapidamente (colite
acuta o autolimitante) Quando i meccanismi proinfiammatoii prevalgono su
quelli antiinfiammatoli, si ha la malattia cronica attiva. nfine,
quando l'omeostasi tra meccanismi proinfiammatori e antiinfiammatori è
in equilibrio instabile, si ha una malattia cronica con spontanee remissioni
e ricadute (malattia cronica recidivante).In corso di RCU è stata
inoltre descritta anche la frequente presenza di anticorpi anticitoplasma
dei neutrofili (ANCA). Di recente, anche nei pazienti con m. di Crohn è
stata descritta la frequente presenza di un particolare tipo di anticorpi
diretti contro il Saccaromices Cerevisiae (ASCA). L'osservazione che gli
ANCA e gli ASCA si riscontrano anche nei parenti sani dei pazienti,
lascia ipotizzare che la loro presenza non sia secondaria all'infiammazione,
ma che rappresenti un marker di un disturbo immunoregolato geneticamente
determinato.
Diagnosi
Negli ultimi anni le tecniche utilizzate nella
diagnosi di IBD si sono notevolmente ampliate con l'aggiunto della ileoscopia,
ecografia, TAC, RMN, Scintigrafia con leucociti marcati, tuttavia nessuno
di questi ha assunto un reale ruolo predominte. Queste tecniche, i cui
referti vanno comunque integrati, sono utili nel valutare l’ispessimento
della parete con la relativa densità, l’attenuazione della componente
lipidica, la modificazione dei linfonodi, la presenza di ascessi, la presenza
di fistole. La RM può orientarci sulla diferenzioazion di tessuto
fibroso da quello neoplasitco (non tutti lo ammettono) e nel rilevare i
tragitti fistolosi specie nel perineale e perirettale.Recentemente l’impiego
della flussimetria doppler può essere utile nel valutare l’attività
della malattia in rapporto all’aumneto o alla diminuzione del flusso in
corrispondenza della art. mesenterica superiore.Ancora oggi è utile
utilizzare esami di laboratorio, soprattutto nel monitoraggio dei pazienti,
e per valutarne il grado di attività. La presenza di sintomi non
significa infatti necessariamente che siamo di fronte a una riacutizzazione
della IBD, l'anormalità di alcuni indici di laboratorio può
aiutare a discriminare tra i sintomi legati alla IBD rispetto alla coesistenza
di un colon irritabile.La presenza di una remissisone clinica con esami
di laboratorio alterati identifica i pazienti che hanno maggior rischio
nel tempo di presentare una riacutizzazione rispetto a coloro che, pur
essendo in remissione, hanno esami di laboratorio nella norma (Travis,Gut,’96).
A tuttoggi è confermata l’utilità di utilizzare semplici
indagini di laboratorio quali VES, PCR, emocromo, albuminemia. Da segnalare
l’utilità dei marcatori fecali quali a1-antitripsina o meglio la
clerance dellaa1-antitripsina che ben si correla con l’attività
della malattia rispecchiando la quantità di proteine intestinali
perdute. Tale metodica tuttavia per il momento non è attuabile nella
pratica clinica. La determinazione dei ANCA potrebbe essere utile nella
diagnosi differenziale tra RCU e forme simili, mentre nella malattia già
diagnosticata potrebbe essere utile per specifici follow-up al fine di
rilevare i soggetti a maggior rischio di recidiva e che quindi necesitano
di una maggiore attenzione. La positività per gli ANCA, quando persiste
dopo la colectomia, è predittiva per lo sviluppo di "pouchite'.
Potrebbe diventare un test non invasivo di screening in popolazioni selezionate
come quella pediatrica, tuttavia la sensibilità del test è
del 70% non sufficiente per essere un test ideale . Il rilevamento di ASCA
può essere utile nello screening dei Crohn al fine anche di identificare
i sottogruppi. La sensibilità del test è del 50% nei malati
e del 20% nei parenti di I grado (quindi potrebbero essere un marker subclinico
di predisposizione di m. di Crohn) ma con tecniche di elisa si sta raggiungendo
il 90% nei malati In attesa di dati certi comunque il loro uso è
riservato al solo campo della ricerca Studi recenti hanno evidenziato come
la combinazione tra i due tests per la determinazione degli ANCA e degli
ASCA possa essere utile nello screening diagnostico della colite ulcerosa
e del morbo di Crohn, con una buona sensibilità ed un'alta specificità
per la diagnosi differenziale tra le due malattie.Uno studio recente di
ha dimostrato che la combinazione di un test ANCA positivo con un test
ASCA negativo aveva una sensibilità, una specificità e un
valore predittivo positivo per la diagnosi di colite ulcerosa pari al 57%,
97% e 92,5% rispettivamente .Oltre ad un valore diagnostico, seppur rammentandone
il limite di sensibilità, la determinazione degli ANCA e degli ASCA
potrebbe in un certo modo avere un valore prognostico sia nei pazienti
con colite ulcerosa, come già detto, che nei pazienti cori malattia
di Crohn. In questi ultimi, la determinazione combinata di ANCA e ASCA
sembra permettere la identificazione di particolari sottogruppi di pazienti
con localizzazioni caratteristiche e con particolari prevalenza di manifestazioni
extraintestinali oltre che di caratteristiche di andamento clinico. E’
infatti noto come pazienti con malattia di Crohn, ANCA positivi, abbiano
con maggiore probabilità una malattia a localizzazione colica, mentre
i pazienti ASCA positivi abbiano più frequentemente una malattia
fibrostenotica e fistolizzante.La determinazione di questi autoanticorpi
potrebbe pertanto permettere di identificare particolari sottogruppi fenotipici
dei pazienti e quindi aiutare a elaborare le corrispondenti strategie terapeutiche.Sembra
comunque doveroso sollevare una nota di cautela prima di poter consigliare
l'utilizzo di questi tests nella pratica clinica quotidiana.L’iter diagnostico
prevede ancora l’utilizzo di:Addome diretto induddiamente utile nelle fasi
acute (megacolon se >6 cm) Ecografia addominale che permette ormai di identificare
pareti ispessite, raccolte ascessuali, tramiti, fistolosi;Endoscopia, coinvolgente
anche l’apparato digerente superiore, fondamentale per la diagnosi e il
monitoraggio del paziente anche perché ci permette di eseguire l’indagine
istologica; Clisma opaco in alternativa all’endoscopia; Clisma del tenue
utile nelle localizzazioni ileali;TAC spirale che si sta sempre più
confermando come utile indagine nello studio dello spessore della parete
e nel coinvolgimento di strutture extraparietali;RMN utile nello studio
del retto, scavo pelvico, raccolte ascessuali perirettali e dei rapporti
tra fistole e muscolatura;Ecoendoscopia può avere un ruolo nello
studio della parete e nella valutazione di ascessi, fistole;La scintigrafia
con leucociti permette di identificare i tratti colpiti dalla malattia
quantificando il grado di attività. Rispetto al passato, il ruolo
di questa metodica attualmente si è ridimensionato; caso mai può
essere utile nella ricerca per testare l’efficacia di nuovi farmaci.Nella
realtà pratica remissione clinica e endoscopica non sempre coincidono
infatti nel 30% dei casi si ha remissione clinica ma persistono i segni
endoscopici della malattia e nel 50% dei soggetti si ha anche la persistenza
di segni istologici di attività (soluzione di continuo dell’epitelio,
ascessi criptici, deplezione mucipara, infiltrato polimorfonucleare). Per
quanto sia importante rassicurare, il paziente dell’avvenuto miglioramento
delle lesioni coliche, soprattutto per il risvolto psicologoco che rappresenta,
dal punto di vita pratico il problema non è di grande utilità
infatti per una valutazione dell’attività della malattia, anche
in considerazione del rapporto costo/beneficio, sono sufficienti i sintomi
e le condizioni generali. In un paziente con normale appetito, normali
movimenti intestinali, assenza di perdita di peso, il reale aspetto radiologico
ed endoscopico riveste un significato relativo e non fondamentale in considerazione
della storia naturale della malattia. (Riley,Gut ’91;Courtney, Am.J.Gastroenterol
’91;Campieri, Dig.Dis.Sci ‘93;Bresci, J.Clin.Pharm’94) .Esistono circa
il 10-20 % dei casi che presentando aspetti sia clinici che anatomici e
istologici, non inquadrabili con precisione vengono momentaneamente definiti
coliti indeterminate nella speranza di poterle inquadrare diagnosticamente
nel tempo.Un accenno alla diagnosi differenziale che va presa in considerazione
soprattutto all’esordio della malattia, e che può mimare tutto una
serie di patologie specie di tipo infettivo emergenti (batteriche, virali,
micotiche) o anche da abuso di lassativi, colite pseudomembranosa, ischemica,
attinica, collagena, linfocitaria, autolimitante, eosinofila, diverticolosi,
neoplasie, linfomi intestinali.
Terapia
La terapia delle IBD rappresenta una grossa sfida
e l’obiettivo del trattamento è il superamento della fase acuta,
il mantenimento della remissione, la rimozione e prevenzione delle complicanze.Fondamentalmente
la terapia è di tipo conservativo mentre il trattamento chirurgico
è indicato nelle complicanze a rischio di vita (megacolon tossico,perforazione
intestinale) , nelle complicanze che limitano la qualità di vita
(fistole, stenosi),nei casi di malattia con severa attività che
non è influenzata dalla terapia conservativa.La terapia farmacologica
prevede delle regole generali consistenti nel trattamento dei deficit prevalentemente
legati alla mancanza di vitamine, di acido folico, zinco, magnesio, trattamento
dell'eventuale anemia, consigli di tipo alimentare, supporto psicologico.Il
deficit nutrizionale è di comune riscontro quando la malattia è
localizzata nell'intestino tenue mentre sono meno frequenti quando è
limitata al colon.Poiché si tratta malattie con tendenza alla riacutizzazione,
il concetto di terapia è a lungo termine. Non esistono sicuri criteri
per prevedere una riacutizzazione sebbene siano stati elaborati degli indici
prognostici su base clinico laboratoristico. Forse l’unico tentativo per
prevenire le riacutizzazioni è quello di incontrare spesso i pazienti,
anche durante il periodo della remissione, nel tentativo di riconoscere
precocemente, e quindi trattare, i primi segni della ripresa della malattia
(presenza di sangue nelle feci, calo dell'emoglobina, aumento dei globuli
bianchi, calo della sideremia, aumento delle piastrine, comparse di dolori
articolari). Va ricordato che nel 20-30% dei casi la fase acuta della malattia,
anche senza trattamento, tende a risolversi spontaneamente. L’andamento
clinico della malattia e la sua estensione condizionano le scelte terapeutiche
e spesso sono necessarie terapia combinate sia orali che topiche sia continuative
che intermittenti. A tutt’oggi non è chiaro il ruolo effettivo dell’alimentazione,
nella fase di remissione si tende a non considerla fondamentale, eccetto
nei casi di comprovata intolleranza a qualche alimento quale il latte (rilevabile
comunque con il breath test al lattosio).Forse sarebbe opportuno rivedere
il consiglio di una alimentazione a basso contenuto di scorie, che usualmente
viene dato, per evitare un ipotetico danno meccanico che, tra l'altro,
non è mai stato dimostrato.Una dieta ricca di fibre, aumentando
la quantità di carboidrati fermentabili che entrano nel colon e
aumentando la produzione dì acidi grassi a catena corta, potrebbe,
invece, svolgere un'azione favorevole per questi pazienti. Il discorso
cambia nelle fase acuta dove il concetto di dieta è determinato
dalla utilità di dover mettere a riposo il più possibile
la regione coinvolta nel processo patologico mediante diete enterali o
parenterali totali (questo solo accorgimento è in grado di mandare
in remissione la malattia, specie m. di Crohn, già di per sè
nel 60% dei casi). Dal momento che la patogenesi è ancora sconosciuta,
i principi terapeutici sono gli stessi sia per la RCU che per il m. di
Crohn: utilizzo prevalente di steroidi e acido 5ASA che intervengono a
livello della cascate infiammatoria inibendo i mediatori dell'infiammazione.
Nonostante i progressi sulle conoscenze delle IBD, la terapia rimane empirica,
utilizza gli stessi presidi terapeutici di mezzo secolo fa anche se numerosi
sono stati, e sono, i tentativi di trovare nuovi farmaci. I corticosteroidi
sono i farmaci di scelta negli attacchi acuti moderati-severi utilizzati
alla dose equivalente a 40-60 mg al di di prednisolone . Se i farmaci inducono
le remissione dei sintomi, la loro dose viene successivamente ridotta fino
alla completa sospensione. Circa 8-20% dei pazienti trattati con stereodi,
dopo 7 settimane continua a presentare attività della malattia e
viene pertanto definita costicoresistente, mentre il 12-15% presenta una
ripresa durante la riduzione degli steroidi e viene definita corticodipendente.
Ottenuta la remissione dei sintomi, il trattamento con steroidi può
essere proseguito a dosi più basse per un certo periodo di tempo
ma attualmente non è consigliabile la terapia di mantenimneto con
steroidi . Per ridurre gli effetti collaterali sono in studio nuovi steroidi
quali la budesonide che sta rilevando una efficacia simile al prednisolone
ma con minori effetti collaterali. Tuttavia questi studi sono limitati
a 4 mesi per cui non è ancora chiaro l’effetto di questi nuovi stroidi
per qunaro riguarda il mantenimento.Glli immunosoppressori hanno un ruolo
ormai fondamentale nel trattamento delle IBD e soprattutto nel m. di Crohn.
Sono prevalentemente i corticodipendenti i casi che possono trarre vantaggio
dall’uso di immunosoppresori. In questi soggetti l’uso di azatioprina 2
mg/kg/di permette la sospensione degli steroidi in un ampia percentuale
di casi. Nei pazienti che hanno ottenuto la remissione, il rischio di recidiva
è di 5-15% l’anno per un valore globale di 40% dei casi. La durata
della terapia non è chiara ma dovrebbe essere continuata a lungo
senza avere timore di aumentare il rischio di neoplasie. L’uso dell'azatioprina
o del suo metabolita 6-MP(1.5 mg/Kg/die) può essere utile nelle
fistole e lesioni perianali. Gli effetti collaterali presenti nel 9% dei
casi riguardano la depressione midollare, le pancreatiti, le epatiti, le
reazioni allergiche.Un immunosoppressore di secondo impiego risulta essere
il metotrexate, inbitore metabolico dei folati, che viene impiegato inizialmente
alla dose di 25 mg im alla settimana con successive riduzioni a 15 mg,
in dose unica oppure, se si sceglie la via orale, divisa in tre somministrazioni
settimanali. Anche per questo farmaco è doveroso ricordare gli effetti
collaterali a carico del fegato e del polmone, le reazioni allergiche e
le inibizioni midollari che comportano controlli ogni due/quattro settimane.Il
metotrexate possiede una risposta terapeutica più rapida rispetto
all'azatioprina ma deve essere considerato un farmaco di seconda scelta,
utilizzabile nei soggetti che non tollerano o non rispondono all'azatioprina.(Sandborm,Am
J Gastroenterol,’96)Recentemente è stata proposta anche la cliclosporina,
farmaco che inibisce selettivamente l’immunità cellulare ed è
dotato di una azione più rapida (1-2 settimane) rispetto agli altri
imunosopressori. La cliclosporina è stata impiegata con successo
anche nelle fistole del m. di Crohn che non rispondevano ad altri trattamenti
e la percentuale di chiusura delle fistole è stata del 78%. Nella
RCU la cliclosporina è stata usata nelle forme severe a dosi molto
elevate (4 mg/kg/ev, corrispondenti a 16 mg/Kg per os) con risultati
favorevoli: risposta positiva nell'82% dei pazienti trattati. La cliclosporina
è utile sia nel m. di Crohn che nella RCU nelle forme attive e severe
purché somministrata a dosi superiori a 5 mg/Kg/die per os. Ciò
richiede un monitoraggio stretto dei pazienti compreso la ciclosporinemia.
che deve evidenziare livelli ematici di 200 ng/m ( valori < a 200 rendono
ineffica la terapia mentre se> di 400 aumentano i rischi di efetti collaterali).
Con l’uso della ciclosporina si ottengono risultati discreti a breve termine,
ma non duraturi, viste le recidive alla sospensione (Sandborm,IBD,’95).
Vanno inoltre presi in considerazione gli effetti collaterali: ipertensione,
danno renale, parestesie, cefalea, ipertrofia gengivale, epatotossicità,
gastrolesività, ipercoagulabilità, iperlipoproteinemie sono
dose-dipendenti. L’ipotesi di una possibile natura infettiva delle IBD
giustifica i tentativi di usare gli antibiotici specie nel m. di Crohn
con fistole o lesioni anali. Metronidazolo, vancomicina, ciprofloxacina,
rifaximina o antitubercolari (per l’isolamento di germi pleiomorfi acido-resistenti).
I risultati non sono univoci, convincenti e certi, tuttavia questi farmaci
sono certamente in grado di ridurre la sintomatologia favorendo le remissisone
e pertanto il loro uso può essere utile nella fase acuta mentre
non sono per il momento proponibili, per il mantenimento (Bresci , Clinical
Controversies in IBD, ’87, Giachetti,Gastroenterology,’97;Prantera, IBD'98)
La SASP e il 5-ASA sono utilizzati negli attacchi lievi-moderati e, soprattutto,
nel cercare di mantenere la remissione (Prantera, Gastroenterology,’99;
Bresci, Trends in IBD,’99).La prima, alla dose di 3 gr/die, viene ormai
impiegata nelle forme che non rispondono al 5-ASA e nei casi caratterizzati
da dolori articolari di rilievo. Gli effetti collaterali sono attribuibili
alla sulfapiridina e compaiono nel 15-30% dei casi.Il 5-ASA può
essere usato in diverse preparazioni farmacologiche a seconda della localizzazione
prevalente della malattia, a dosi oscillanti tra 1,5-3 gr/die o anche per
via rettale. I 5-ASA sebbene con minor effetti collaterali della SASP nel
16% possono causare pancreatite, pericardite,nefrite interstiziale, sindrome
nefrosica.Nell'ambito delle diverse preparazioni orali del 5-ASA, esitono
formulazioni a liberazione ritardata (olsalazina che dimostra scarso assorbimento
nel tenue e la scissione a livello colico) e formulazioni dotate di rivestimento
gastro-resistente, ph-sensibile a cessione controllata(mesalazina: Asacol,
Claversal, Salofalk o a lento rilascio , pentasa). L’efficacia del 5ASA
è in relazione alla sua concentrazione tissutale che diminuisce
dai tratti prossimale a quelli distali. La terapia topica delle coliti
distali presenta due particolari vantaggi: la possibilità di poter
somministrare alte dosi del principio attivo direttamente sulla superficie
sede della lesione, ed il minor assorbimento sistemico del farmaco rispetto
ad una somministrazione orale o parenterale.La somministrazione topica
di 5-ASA è la prima scelta terapeutica per il trattamento delle
coliti distali attive lievi-moderate.Le supposte sono più indicate
nelle proctiti, i clismi, le schiume o i gel, per la loro retroprogressione,
nelle forme più estese. Il 5-ASA gel è risultato significativamente
superiore per quanto riguarda la tollerabilità, come documentato
dalla netta minor incidenza di fastidio durante la somministrazione, difficoltà
di ritenzione dei prodotto, dolore e gonfiore addominale.La somministrazione
per via topica di corticosteroidi tradizionali determina un assorbimento
sistemico che è significativamente inferiore a quello conseguente
alla somministrazione per os.Tuttavia la somministrazione locale prolungata
di queste sostanze porta ad una inibizione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene
e ad una riduzione del cortisolo plasmatico con conseguenti effetti collaterali.Per
tale motivo sono stati messi a punto nuovi corticosteroidi ad azione topica
che hanno elevata potenza una volta somministrati per via topica, uno scarso
assorbimento sistemico, una rapida inattivazione a livello epatico. La
budesonide, già accennata nella terapia sistemica, una volta somministrata
per via topica, permane nel lume intestinale più a lungo dei corticosteroidi
tradizionali, viene captata dai recettori della mucosa del colon e, rispetto
all'idrocortisone, ha una attività recettoriale 200 volte maggiore.Attraverso
il circolo enteroepatico la sostanza arriva al fegato dove viene in gran
parte inattivata; e solo il 10% passa nel circolo sistemico ed ha dato
risultati simili agli altri presidi con trascurabili effetti sistemici
(Campieri,Gastroenterology,’95; Danielsson, Scand J Gastroenterol’96).
Anche il beclometasone dipropionato ha un’ elevata affinità
recettoriale quindi una potente azione topica, viene inattivato a livello
epatico, non inibisce l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene ed ha messo in evidenza
risultati simili al prednisolone solfato topico in termini di remissione
o miglioramento Clipper(Campieri, Aliment.Pharmacol. Ther.,’98).Nei trattamento
topico della colite distale sono state utilizzate anche altre sostanze,
quali il sucralfato (Bresci,Perspectives in Digestive Disease’89) e la
ciclosporina, ma il loro reale ruolo non è noto e necessita di ulteriori
studi controllati. Più efficace sembra essere il bismuto-carbomero.
Il carbomero è un poliacrilato semisintetico che, insieme al bismuto,
forma una soluzione molto viscosa.In studi controllati presenta, nelle
coliti distali, un’ efficacia simile al 5-ASA.Vi sono stati risultati particolarmente
interessanti dopo 45 giorni di terapia in pazienti con pouchite (infiammazione
dei reservoir ideale dopo intervento di ileoano-anastomosi) refrattaria
al trattamento antibiotico standard.L'efficacia di questo farmaco potrebbe
in parte essere legata all'effetto antibatterico dei bismuto e, in parte,
all’azione stimolante la produzione di muco e inibente l'attività
delle proteasi fecali deil carbomero (Gionchetti, Aliment. Pharmacol.,’97).Anche
gli anestetici locali hanno alcuni effetti antiinfiammatori ormai riconosciuti:
inibizione dell'adesione, della migrazione e dei metabolismo dei leucociti,
inibizione della funzione piastrinica ecc..Sono stati effettuati alcuni
studi con preparazioni gel di lidocaina e, più recentemente, di
ropivacaina.I risultati sono promettenti conuna netta riduzione dei sintomi
e dei grading endoscopico senza evidenza di accumulo dei farmaco, e soprattutto
senza effetti dannosi sul sistema nervoso centrale.La nicotina transdermica
impiegata durante le fasi di attività della malattia ha mostrato
in alcuni studi un certo beneficio, però un'alta incidenza (circa
2/3 dei casi) di effetti collaterali abbastanza rilevanti. Recentemente
sono stati ultimati studi che hanno mostrato un miglioramento clinico ed
endoscopico, ma non istologico (Marshali Gut,’97).Gli acidi grassi polinsaturi
omega 3, derivati dai pesci dei mari del nord e non prodotti dal nostro
organismo, strutturalmente simili all’acido arachidonico (precursore dei
mediatori dei processi infiammatori come leucotreni e prostaglandine hanno
una marcata attività antiinfiammatoria, interferiscono sulla cascata
dell’acido arachidonico, inibiscono i leucotreni e ne sembrano utili nel
mantenere la remissione.Gli acidi grassi a catena corta (SCFA), sono prodotti
dalla fermentazione dei carboidrati non assorbiti e hanno un ruolo particolarmente
rilevante nel metabolismo delle cellule del colon perché rappresentano
una fonte energetica utilizzata in maniera preferenziale, intervengono
nel mantenimento dell'omeostasi idroelettrica intraluminale, favoriscono
l'assorbimento di acqua ed elettroliti non riducendo la diarrea, aumentano
la secrezione di muco, migliorano il flusso ematico e l’ossigenazione.
Nei pazienti con IBD vi sarebbe una riduzione di questi acidi grassi e,
usati per via topica specialmente il butirrato evidenzierebbero un miglioramento
del 60% dei casi favorendo anche i processi riparativi (Velazques,Dig Dis
Sci,’96). L'associazione con 5-ASA può essere vantaggiosa, migliorando
il trofismo della mucosa e favorendo i processi di riparazione tissutale.
A parte i farmaci ormai conosciuti da tempo, su cui comunque può
essere stato utile aver fatto il punto della situazione, vi son sostanze
attualmente in studio che hanno come bersaglio i principali eventi immunoinfiammatori
quali il blocco della presentazione dell'antigene all'effettore,
il blocco selettivo di citochine proinfiammatorie o del loro effettore;
l'apporto di citochine antiinfiammatorie, oppure l'induzione della loro
sintesi, e infine il blocco della migrazione delle cellule infiammatorie
verso la sede delle lesioni. L’intento è quello di individuare dei
farmaci che possano interferire in maniera selettiva con i punti chiave
dei meccanismi responsabili del processo infiammatorio che caratterizza
le IBD.Si tratta di studi con anticorpi monoclonali anti-CD4, Interleuchina
10 (IL-10), anticorpi monoclonali verso il Tumor Necrosis Factor (TNF)
che, al di là di risultati preliminari incoraggianti, hanno bisogno
di ulteriori verifiche.Una tappa precoce dell'attivazione della risposta
immunoinfiammatoria è rappresentata dalla pre-sensazione dell'antigene
da parte dei macrofagi al complesso recettoriale delle cellule CD4 .Sulla
base dell'osservazione che pazienti con m. di Crohn andavano incontro a
completa remissione clinica dopo aver contratto l'AIDS , si è ipotizzato
che la deplezione dei CD4 potesse essere utile. Tuttavia non è stata
dimostrata alcuna efficacia degli anticorpi monoclonali anti-CD4 (Canva,Aliment
Phrmacol Ther,’96).Studi non controllati indicano l'utilità della
linfoaferesi nel m. di Crohn, un recente studio controllato ha dimostrato
che tale procedura è inefficace nel prevenire le riacutizzazioni
di questa malattia (Lerebours, Gastroenterology,94)) altri studi hanno
rilevato percentuali di remissione del 92% in soggetti corticoresistenti
(Ayabe,Intern Med,’97).
La
terapia immunosoppressiva può aumentare il rischio di Linfoma non-Hodgkin
nei pazienti con malattia infiammatoria intestinale
Tratto da www.e-gastroenterologia.it
La terapia immunosoppressiva può aumentare il rischio
di Linfoma non-Hodgkin nei pazienti con malattia infiammatoria intestinale
L'obiettivo dello studio è stato quello di valutare
il rischio di Linfoma non-Hodgkin (NHL) in una popolazione di pazienti
con malattia infiammatoria intestinale e studiare l'associazione tra malattia
infiammatoria intestinale, Linfoma non-Hodgkin e terapia immunosoppressiva.
Sono stati studiati 782 pazienti con malattia infiammatoria
intestinale, 238 dei quali erano stati sottoposti a terapia immunosoppressiva
nel periodo 1990-1999. Tra i pazienti immunosoppressi, trattati con Azatioprina,
Metotrexato o Metotrexato + Ciclosporina, sono stati riscontrati 4 casi
di Linfoma non-Hodgkin.
I pazienti immunosoppressi avevano un rischio 59 volte
più elevato di insorgenza di Linfoma non-Hodgkin. In 3 casi il Linfoma
era intestinale ed in un caso mesenterico. (Farrell RJ et al, Gut 2000;
47: 514-519)(Xagena 2000)
Malattia
di Crohn nei pazienti pediatrici.
Tratto da www.e-gastroenterologia.it
A 23 pazienti di età compresa tra 7,6 e 18,5 anni,
con malattia di Crohn refrattaria al trattamento standard è stato
somministrato Infliximab 5 mg/Kg nelle prime 6 settimane di terapia.
A 14 pazienti è stato anche somministrato Prednisone
e a 19 pazienti 6-Mercaptopurina o Azatioprina.
Infliximab ha prodotto un miglioramento nel decorso della
malattia di Crohn attiva nei pazienti pediatrici.
Gli Autori ritengono che Infliximab possa essere considerato
un'alternativa agli steroidi.
(Vasiliauskas EA , Digestive Disease Week, 2000)
Malattia
di Crohn: il ruolo delle citochine pro-infiammatorie.
Tratto da www.e-gastroenterologia.it
La malattia di Crohn è una malattia infiammatoria
cronica dell'intestino con un andamento ciclico caratterizzato da periodi
di remissione.
Il 30-60% dei pazienti con malattia di Crohn sottoposti
a terapia steroidea va incontro a recidive entro 1 anno.
Nei pazienti con malattia di Crohn attiva si registrano
elevate concentrazioni di citochine pro-infiammatorie nella mucosa intestinale.
Il Tumor Necrosis Factor alfa (TNF alfa) e l'Interleukina
1beta rivestono un ruolo chiave nella sequenza di eventi fisiopatologici
che portano alle forme recidivanti della malattia di Crohn.
La misurazione di queste citochine potrebbe pertanto
portare all'identificazione di sottogruppi di pazienti ad aumentato rischio
di recidiva della malattia.(Xagena 2000)
(Schreiber S. et al, The Lancet 1999; 353: 459-461)
E'
lui o non è lui? Aggiornamento sui test diagnostici
Tratto da: Crohn's and Colitis Foundation of America -- 19 Febbraio
2000 -- Weekly features. Articolo originale: Is It, or Isn't It? An Update
on Diagnostic Tests
La fastidiosità di alcuni test usati per diagnosticare
le IBD, come la colonoscopia, può aggiungersi al lungo, doloroso
e talvolta impressionante processo di diagnosi delle IBD e può aggiungere
ulteriori complicazioni a queste malattie. Contro tutto ciò, i clinici
tentano costantemente di trovare mezzi diagnostici e di controllo meno
invasivi. In questo articolo evidenziamo recenti studi su tre metodi di
questo tipo.
Seguire l'attività degli Eosinofili nelle IBD
Ogni cellula svolge un ruolo nella battaglia contro le
IBD. Gli Eosinofili sono cellule presenti nella parete intestinale che
contengono proteine in granuli (es. MBP, EPO, ECP, EPX). Quando queste
cellulle sono attivate, le suddette proteine sono rilasciate e distruggono
altre cellule. Gli Eosinofili giocano un ruolo nelle infiammazioni dei
polmoni, della pelle, del cuore e, probabilmente, nelle IBD. Eosinofili
attivati sono stati trovati nei tessuti di persone affette da una IBD,
mentre concentrazioni aumentate di proteine da essi contenute sono state
notate nei fluidi intestinali e persino nelle feci. In due studi nel numero
di Dicembre 1999 dell' American Journal of Gastroenterology, dei ricercatori
hanno cercato di determinare se la presenza di queste cellule o proteine
possa far presagire che una persona possa sviluppare una recidiva di IBD.
Osamu Saitoh, M.D., e colleghi (Osaka Medical College
and Kyoto Medical Science Laboratory, Japan) ha esaminato 42 pazienti con
colite ulcerosa, 37 pazienti con Morbo di Crohn e 29 persone sane. Campioni
di feci sono stati raccolti ed esaminati riguardo alle concentrazioni di
ECP ed EPX. Concentrazioni maggiori di queste due proteine sono state trovate
nelle feci delle persone con Morbo di Crohn e colite ulcerosa attivi, rispetto
a quelle persone la cui malattia è in remissione. Maggiori concentrazioni
sono state rilevate anche nelle persone con Morbo di Crohn in quiscenza
che avevano avuto ricadute negli ultimi tre mesi. Gli autori concludono
che la misurazione di queste proteine nelle feci può essere utile
per valutare l'attività della malattia e per prevedere le ricadute.
Stephan C. Bischoff, M.D., e colleghi (Medical School
of Hannover and Klinikum Bayreuth, Germany) hanno usato un differente approccio,
usando anticorpi che reagiscono ad ECP e ECX aiutando a rintracciare queste
proteine nella mucosa intestinale. Essi hanno osservato 27 persone con
IBD, 20 che soffrivano di gastroenterite eosinofila (un disturbo gastrointestinale)
e 10 persone sane. Sebbene gli eosinofili erano maggiormente attivati nelle
persone con gastroenterite, essi sono risultati attivati anche in quelle
con IBD. Gli eosinofili attivati sono stati rinvenuti nei tessuti infiammati
e, nella stessa persona, anche in quelli non infiammati. Questi autori
ipotizzano che questi anticorpi siano di valido aiuto per determinare l'attivazione
degli eosinofili in persone con gastroenterite eosinofila e con IBD.
In un editoriale di accompagnamento, Pierre Desreumaux,
M.D., Ph.D., e colleghi (Centre Hospitalier Universitaire Lille, Francia)
notano che questi studi servono a sottolineare la necessità di esplorare
ulteriormente il ruolo degli eosinofili nelle IBD, ma invitano alla cautela.
Prima di tutto, i metodi usati per determinare la presenza di eosinofili
non provano definitivamente il loro ruolo nel causare l'infiammazione.
Inoltre, il numero di eosinofili dipende dal grado di attività della
malattia, dalla localizzazione e dalla terapia farmacologica, il che rende
difficile ottenere due volte gli stessi risultati.
"Malgrado le riserve espresse, questi risultati sostengono
la convinzione che gli eosinofili partecipino attivamente all'infiammazione
nelle IBD" concludono gli autori. "...Ulteriori esperimenti e attente osservazioni
cliniche che usino metodi convalidati in nuovi pazienti non trattati potranno
chiarire meglio la funzione degli eosinofili nelle IBD e potranno condurre
allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche."
Ultrasuoni per le fistole
Le fistole enterocutanee, anormali comunicazioni tra
intestino e pelle, sono una penosa complicazione del Morbo di Crohn disease
per una percentuale di pazienti che va dall'8 al 21 per cento. Il trattamento
ottimale delle fistole è ancora in discussione. Metodi che hanno
avuto qualche successo includono la rimozione chirurgica, far riposare
l'intestino somministrando la nutrizione per via endovenosa, gli immunosoppressivi
e, il più recente, l'uso dell'infliximab.
Una cosa è certa: più informazioni si hanno
sulla fistola, meglio è. "...Condizione principale per un efficace
trattamento di questa condizione è la precoce definizione del sito,
dell'anatomia e della natura della fistola, nonchè l'identificazione
di ogni fattore che possa impedire la chiusura spontanea" nota il Dr. G.
Maconi e colleghi (Polo Universitario L.Sacco, Milano, Italia) nel numero
di Dicembre 1999 di Gut. Una fistola complessa , che presenta diverse ramificazioni
ed è associata ad altre complicazioni, come un ascesso, è
meno facile che si chiuda e può richiedere terapie più aggressive.
Il gruppo di Milano ha sperimentato l'accuratezza della
fistolografia ad ultrasuoni mediante inezione di periossido di idrogeno
nel visualizzare le fistole, rispetto ai raggi x e/o le indagini chirurgiche,
in 17 pazienti con Morbo di Crohn. Gli ultrasuoni sono suoni con una frequenza
più alta di quella che l'uomo può percepire, i quali sono
mandati attraverso il corpo con un transduttore (uno strumento di scansione)
appoggiato sulla pelle. Il suono viene riflesso dalle strutture corporee
ed è analizzato da un computer, che restituisce una immagine di
tali strutture (ecografia). Usando l'ecografia convenzionale i medici posso
vedere complicazioni come le fistole, ma non possono studiare all'interno
il tragitto fistoloso. Recenti innovazioni favoriscono questa operazione,
come l'uso del perossido di idrogeno (acqua ossigenata) come agente di
contrasto. Questo liquido forma piccole bolle che consentono ai ricercatori
di ottenere migliori immagini del percorso della fistola e di eventuali
ascessi presenti nell'area. Se condotto efficacemente, questo test può
fornire informazioni comparabili a quelle ottenute con una colonscopia
o con un clisma opaco.
Nell'esperimento di cui sopra, il periossido di idrogeno
ha consentito ai ricercatori di vedere l'estensione e la forma di tutte
le fistole, mentre i raggi X hanno individuato i rami delle fistole in
modo incorretto nella metà dei casi e i test al bario hanno individuato
le fistole solo in due pazienti. Gli ultrasuoni hanno anche individuato
accuratamente la presenza di ascessi in tutti i pazienti.
Gli autori concludono che questo tipo di indagine è
un accurato, semplice e sicuro mezzo di diagnosi per le fistole enterocutanee
nel Morbo di Crohn. "...Richiede poco lavoro, poichè può
essere effettuato durante l'ecografia convenzionale dell'addome; è
anche ben tollerato dai pazienti ed evita l'esposizione alle radiazioni
cosicchè può essre tranquillamente ripetuta anche spesso"
comentano il Dr. Maconi e colleghi.
La colonscopia virtuale per lo screening del cancro
colorettale
A parte il suo uso per valutare le IBD, la colonoscopia
è usata anche per determinare la presenza di polipi colorettali,
escrescenze che possono degenerare in tumori. Possono occorrere diversi
anni perchè il cancro colorettale si sviluppi da questi polipi;
se individuati presto, ci sono possibilità molto maggiori di trattare
successivamente un cancro. Le persone che hanno sofferto di IBD per più
di otto anni hanno un rischio maggiore di sviluppare un cancro colorettale
e la coloscopia è il metodo prescelto per individuare i polipi in
questi pazienti.
I ricercatori ora stanno cercando di determinare se la
coloscopia virtuale, anche nota come colografia tomografica computerizzata,
è una valida alternativa alla coloscopia per lo screening del cancro
colorettale. Durante la coloscopia convenzionale i gastroenterologi usano
uno strumento flessibile, che viene introdotto nel retto ed avanza attraverso
il colon.
Durante la coloscopia virtuale, la punta dello strumento
è introdotta nel retto e il colon viene espanso mediante semplice
aria o diossido di carbonio. Vengono quindi effettuati da 60 a 80 secondi
di tomografia computerizzata (TAC): sottili raggi-x attraversano il colon,
creando immagine trasversali dettagliate, che sono poi analizzate al computer.
Nel numero dell' 11 Novembre 1999 del The New England
Journal of Medicine, Helen M. Fenlon, M.D., e colleghi (Boston University
School of Medicine) confrontano l'uso della coloscopia virtuale e convenzionale
in 100 pazienti ad alto rischio di cancro colorettale. La coloscopia virtuale
ha consentito ai ricercatori di vedere il colon in maniera chiara in 87
pazienti, rispetto agli 89 della coloscopia convenzionale. Usando il test
convenzionale, sono stati identificati 115 polipi e 3 casi di cancro. Usando
la coloscopia virtuale, tutti i tumori sono stati identificati ugualmente,
assieme al 91 per cento dei polipi di più di 10 mm di diametro,
l'82 per cento dei polipi da 6 a 9 mm e il 55 per cento dei polipi di 5
mm o più piccoli. Ci sono stati 19 falsi-positivi, cioè la
coloscopia virtuale ha indicato un polipo e quella convenzionale ha poi
rivelato che non c'era davvero.
Gli autori concludono che coloscopie virtuali e convenzionali
sono pressochè ugualmente efficaci nell'individuare i polipi da
6 mm in su di diametro. Ulteriori studi sono necessari, dicono, per confrontare
anche la tollerabilità da parte dei pazienti delle diverse procedure,
gli effetti indesiderati, la preferenza dei pazienti o i costi.
In un editoriale di accompagnamento, il Dr. John H. Bond
(Minneapolis Veterans Affairs Medical Center) parla di vantaggi e svantaggi
della coloscopia virtuale. Da un lato, il test viene effettuato senza sedazione,
è più veloce, ha bassissimo rischio di complicazioni e il
radiologo può riesaminare le immagini dopo la procedura. D'altra
parte, l'hardware per lo scanning è costoso, interpretare le immagini
è difficile e lungo (e il tempo speso dai radiologi alza il costo)
e permane il fastidio della preparazione dell'intestino e della espansione
del colon mediante aria.
"La coloscopia virtuale ha fatto molta strada in poco
tempo è il suo futuro appare luminoso" conclude il Dr. Bond. "Comunque,
prima che possa essere promosso a strumento di screening generale, i problemi
accennati devono essere risolti."
Nelle IBD, la coloscopia di controllo viene effettuata
non solo per cercare polipi, ma anche per identificare cambiamenti precancerosi
nella parete intestinale, che può sembare normale alla vista endoscopica.
Il ruolo della coloscopia virtuale nelle persone con IBD deve essere limitato,
perchè non permette di prelevare campioni di tessuti (biopsie),
necessari per identificare questi cambiamenti.
Sara Silberman
Medical Reporter
and Editor, CCFA
Il
trapianto dell'intestino: nuove speranze per i malati di Crohn
Tratto da: Crohn's and Colitis Foundation of America -- 28 Gennaio
2000 -- Weekly features -- Articolo originale: Intestinal Transplants:
New Hope for Crohn's Patients
Tre tipi di trapianto intestinale sono possibili: piccolo
intestino da solo; piccolo intestino in combinazione con il fegato; e trapianto
multiviscerale, che in genere include piccolo intestino, fegato, stomaco
e pancreas.
Le statistiche sui trapianti intestinali sono incoraggianti
e continuano a migliorare, secondo il Dr. Kareem Abu-Elmagd, Direttore
dell'Intestinal Transplant Program al Thomas E. Starzl Transplantation
Institute dell'Università di Pittsburgh. Dal maggio 1990 a tutto
marzo 1999, 127 tranpianti intestinali sono stati effettuati all'UPMC su
pazienti con danno irreversibile all'intestino. Questo numero rappresenta
il 43 per cento dei trapianti intestinali eseguiti in tutto il mondo e
quello più praticato in un singolo centro. Complessivamente, si
registra negli adulti una sopravvivenza ad un anno del 72 per cento e a
cinque anni del 48 per cento. La percentuale di sopravvivenza a un anno
è passata recentemente al 92 per cento, grazie al miglioramento
di alcune medicazioni e delle strategie di selezione dei pazienti.
Promesse future per i malati di Crohn
Il Dr. Abu-Elmagd crede che il trapianto di intestino
costituisca una grande promessa per i malati di Morbo di Crohn in particolare.
Quando una grave IBD (inflammatory bowel disease) è limitata al
colon, come nella colite ulcerosa, il colon può essere rimosso se
la terapia medica o quella chirurgica non sono più efficaci. Il
paziente può poi avere una vita quasi normale, libero dalla malattia.
Invece, il Morbo di Crohn può manifestarsi dovunque nell'apparato
digerente e può recidivare malgrado cure aggressive e interventi
chirurgici. Il danno intestinale può svilupparsi in caso di malattia
grave è può essere complicato da eventuali danni al fegato
in alcuni pazienti.
Dei più di 127 trapianti eseguiti alla UPMC, 13
sono stati correlati a Morbo di Crohn, con un 50 per cento di percentuale
di sopravvivenza. E' importante notare che in questi casi i pazienti sarebbero
andati incontro a morte sicura senza un trapianto. Il Dr. Abu-Elmagd dice
che i malati di MC che sono destinati alla chirurgia più presto
sono maggiormente destinati a vivere più a lungo e ad avere migliori
risultati. "I trapianti di intestino diventeranno probabilmente lo standard
di cura per i pazienti che hanno una malattia intrattabile, con complicazioni
multiple non correggibili chirurgicamente e che non tollerano la TPN a
causa di infezioni e disturbi della funzione epatica" egli dice.
Per maggiori informazioni sull'Intestinal Transplant Program
dello Starzl Transplantation Institute all'Università di Pittsburgh
, contattare Joanie Colangelo al numero 412-648-3200, o per e-mail all'indirizzo
colangelojc@msx.upmc.edu.
Centri di Trapianto:
I trapianti di intestino sono eseguiti in 33 programmi
nel Nord America e in Europa, tra cui 19 negli Stati Uniti.
Tre centri U.S.A. hanno eseguito almeno 10 trapianti:
the University of Pittsburgh Medical Center, the University of Nebraska
Medical Center in Omaha, and the University of Miami School of Medicine.
Il Medical Center dell' Università di Pittsburgh
ha eseguito il 43% di tutti i trapianti di intestino nel modo.
FONTE: Intestinal Transplant Registry
Questo articolo è ripreso da "Horizons," la newsletter del
CCFA's Western Pennsylvania Chapter.
Gli
INDICI DI ATTIVITA DELLE MICI: misurare la malattia o valutare il malato
Dott. Fernando Rizzello
Unita' di Studio e Cura delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali
- Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia
O.P.S. Orsola, Bologna
La creazione di indici in grado di quantificare l'attivita'
di una malattia nasce da varie necessita' . In primo luogo, la sperimentazione
clinica di nuovi farmaci necessita di parametri oggettivi per poter operare
un confronto con altre sostanze, che non sia inficiato dalla soggettivita'
del medico. Inoltre, molte malattie ad andamento cronico, necessitano di
una valutazione che sia riproducibile e permetta un confronto nel tempo.
Nell'ambito delle MICI, questa necessita' ha generato una serie di indici
specifici per il morbo di Crohn (MC) e per la Colite Ulcerosa (CU).
- Indici di attivita' nella CU
La creazione di indici per la CU e' semplificata dalle
sue caratteristiche cliniche, dominate dalla diarrea e dalla emissione
di sangue e muco nelle feci. Tali sintomi sono facilmente evidenziabili
dal paziente e quantificabili. Da questo nasce l'indice clinico di Truelove
e Witts che per primi, nel 1954, individuarono 2 classi caratterizzate
da sintomi specifici, che permettono di differenziare una forma lieve da
una severa. Una terza forma viene individuata come moderata ed avente caratteristiche
intermedie alle due precedenti. Sebbene questo indice costituisca tuttora
il caposaldo della valutazione clinica dell'attivita' della CU, e' evidente
come molte forme sfuggano attraverso le maglie larghe delle sue definizioni.
Successivamente, e' stato introdotto un altro indice clinico, l'indice
di Powell-Tuck , caratterizzato da un maggior dettaglio nella definizione
dei sintomi. La caratteristica della CU di coinvolgere sempre il retto
in tutte le fasi della malattia, permette, con un esame solo minimamente
invasivo, di valutarne anche l'attivita' endoscopica, che viene anch'essa
indicizzata, secondo i criteri di Baron . In tal caso, vengono individuati
3 gradi crescenti di attivita' che corrispondono ad aspetti ben specifici
della mucosa rettale. Ancora Truelove e Richards , hanno indicato le caratteristiche
di un indice di attivita' istologica. Tale indice rimane di dubbia utilita'
nella pratica clinica, dato che molto spesso e' difficile raggiungere una
remissione istologica della malattia, sebbene si siano gia' ottenute la
remissione clinica ed endoscopica. Tale indice viene maggiormente utilizato
nei trial clinici. E' ancora motivo di dibattito se nel paziente in remissione
clinica vada sempre effettuata anche la valutazione endoscopica. Nella
nostra esperienza, non sempre l'attivita' clinica ha una correlazione diretta
con l'attivita' endoscopica, dato che il paziente puo', inconsciamente,
aumentare o ridurre l'importanza dei suoi sintomi. La valutazione dell'attivita'
endoscopica, inoltre, permette di stabilire l'estensione della malattia,
con una conseguente ottimizzazione dell'approccio terapeutico. Proprio
per risolvere il problemi suddetti, molti indici usano dei parametri misti,
endoscopici e clinici. E' il caso del Disease Activity Index (DAI), formato
da una sezione che esplora la sintomatologia del paziente (numero delle
evacuazioni e presenza di sangue), da una valutazione endoscopica che segue
il medesimo grading proposto da Baron e da una valutazione soggettiva da
parte del medico. Il risultato finale e' costituito da un punteggio che
individua una fase di remissione (<3), un'attivita' live (4-6), moderata
(7-10) e severa (>10).
- Indici di attivita' nel Morbo
di Crohn
Se la valutazione dell'attivita' della CU e' semplificata
dalle caratteristiche clinico-anatomo patologiche della malattia, non si
puo' fare la medesima osservazione per il MC. La frequente localizzazione
ileo-cecale e la sintomatologia spesso sfumata, rendono difficile non solo
creare un indice che sia specifico e sensibile per la malattia, ma che
ne comprenda anche tutti gli aspetti. L'indice sicuramente piu' usato e'
il Crohn's Disease Activity Index (CDAI). Tale indice e' nato nel 1976,
quando gli studiosi facenti parte del National Cooperative Crohn's Disease
Study si trovaro no di fronte alla necessita' di quantificare oggettivamente
l'attivita' della malattia per poter poi valutare l'eventuale successo
terapeutico. Nonostante il successo ottenuto, questo indice non e' comunque
esente da critiche. Esso nasce, infatti, confrontand o tutti i sintomi
clinici abituali e alcuni dati obiettivi (considerati variabili indipendenti)
con una variabile dipendente costituita dal giudizio clinico del medico.
Attraverso un calcolo statistico di regressione multipla, si sono individuate
le 8 var i abili indipendenti che meglio correlavano con il giudizio del
medico. I dati ottenuti dalla valutazione di queste variabili (numero delle
evacuazioni, dolore, senso di benessere, manifestazioni extraintestinali,
uso di anti-diarroici, ematocrito e variazi one percentuale del peso) vengono
moltiplicati per delle costanti e la somma dei valori ottenuti da' il punteggio
finale. Un valore del CDAI inferiore a 150 e' caratteristico della fase
di remissione della malatti, mentre valori piu' alti sono espressione di
attivita'. E' opinione di molti esperti, che questo indice rappresenti
piu' il tipo di malattia che l'attivita' della malattia. Ossia, le variabili
indipendenti "dolore" e "giudizio del proprio stato di salute", possono
essere legate non tanto all 'attivita' infiammatoria della malattia, quanto
ad esiti cicatriziali stenosanti di una malattia in quel momento spenta.
Questa differenza non e' poco importante, dato che puo' portare ad effettuare
una terapia anti-infiammatoria non propriamente indicata. La necessita'
di quantificare anche il processo infiammatorio alla base della malattia,
ha portato alla nascita di diversi indici misti che, accanto alla parte
clinica, valutassero anche alcuni indici di flogosi ematici. Ne sono un
esempio il van Hees Index , che valuta anche l'albuminemia e la VES, ed
il NCDAI , che valuta l'albumina e la proteina C reattiva. Anche in questo
caso, si possono individuare molte discrepanze tra quello che la malattia
esprime clinicamente e gli indici di flogosi. In questo caso, la domanda
che il clinico spesso si pone e' se sia necessario proporre al paziente
asintomatico una terapia importante in modo da normalizzare anche tali
valori, oppure aspettare un successivo rilievo clinico prima di effettuare
qualsiasi approccio terapeutico. Un indice laboratoristico, sviluppato
presso il nostro centro, ha evidenziato come, pazienti in remissione clinica
con indici di flogosi alterati fossero a maggior rischio di sviluppare
una recidiva clinica nel successivo anno. La normalizzazione di questi
indici p uo' essere di beneficio nel prevenire la recidiva, tuttavia, occorre
valutare caso per caso se proporre al paziente una scelta di tale genere.
Anche per il Crohn, come per la CU, accanto agli indici clinici, si sono
sviluppati molti indici strumentali. La va lutazione endoscopica, se riveste
una importanza fondamentale nella diagnosi della malattia, non risulta
utile nella monitorizzazione della malattia o del successo terapeutico.
Uno studio francese del GETAID, infatti, ha dimostrato come le lesioni
endosco piche legate alla malattia, non risentano della terapia steroidea
piu' protratta, con il paziente ormai in remissione clinica. Tale valutazione
cambia in caso di bonifica chirurgica della sede di lesione. La valutazione
a tre mesi - un anno della recidiva endoscopica secondo l'indice di Rutgeerts
, infatti, permette di stabilire precocemente un alto rischio di recidiva
clinica o meno, che puo' essere adeguatamente trattato. L'ecografia addominale,
soprattutto nelle nuove metodiche di studio con doppler, sta prendendo
sempre piu' piede non solo nella diagnosi delle complicanze, ma anche nella
valutazione della malattia stessa, fornendo un valido aiuto al clinico.
Tali metodiche, se hanno il vantaggio della ripetibilita', sono, pero',
legate all'esperienza dell'operatore ed al suo legame con il clinico. Similmente,
la scintigrafia addominale con leucociti marcati fornisce un valido apporto
nella diagnosi, nella valutazione delle complicanze e nel controllo periodico.
In questo caso, se e' indubbia l'utilita' in un pazie nte con segni clinici
di attivita', cosi'non si puo' dire di un paziente in remissione clinica.
- Nuove prospettive
In questi ultimi anni, si e' fatto strada un nuovo concetto
di salute, inteso non solo come benessere fisico, ma come sistema integrato
di benessere fisico, mentale e sociale. Sebbene possa sembrare assurdo,
molti sforzi si sono effettuati per cercare di quantificare il concetto
di salute. L'analisi iniziale ha avuto come oggetto l'individuazione delle
domande che potessero esplorare tutti gli a spetti sopracitati della sfera
individuale. Una valida risorsa di informazione e' stato il Medical Outcomes
Study (MOS) e numerosi studi psicologici che esploravano questo aspetto
come il General Psychological Well-Being Inventory o il The Health Perception
s Questionnaire. Tali fonti di informazione hanno portato alla individuazione
di 149 punti che formavano il Well-Being profile, dal quale sono stati
successivamente individuati i 36 punti che costituiscono la Short Form
Health Survey (SF-36)}{ \fs28 . Questo indice rappresenta un mezzo per
la valutazione dello stato di salute generale, ossia non legato a determinate
patologie. E' costituito da due gruppi principali, il Physical Health Score
(PCS) ed il Mental Health Score (MCS). Ognuno di questi gruppi, comprende
a s ua volta 4 sottogruppi. Questi ultimi, a loro volta, prevedono un numero
variabile di scelte per ogni sottogruppo, la cui somma e' 36. Il risultato
dei due gruppi, ottenuto con un complesso algoritmo, viene confrontato
con quello della popolazione generale di controllo e valutato lo scostamento
da tale valore. Il significato di tale indice non e' importante solo per
valutare lo stato di salute della popolazione generale, ma puo' essere
un buon mezzo per controllare che le strutture deputate alla tutela della
salute della persona, abbiano standard qualitativi elevati. Tale indice
potrebbe essere affiancato alla valutazione della produttivita' delle aziende
ospedaliere effettuata tramite ilDiagnosis Related Groups oDRG . Questo,
infatti, e' un sistema di classifi cazione dei pazienti dimessi dagli ospedali
per acuti e che viene ora utilizzato anche in Italia come base per il finanziamento
degli ospedali. Tale sistema e' costruito a partire da alcune informazioni
contenute nella scheda di dimissione ospedaliera ed in dividua 492 classi
di pazienti omogenee per quanto riguarda il consumo di risorse, la durata
della degenza e, in parte, il profilo clinico. Con l'applicazione di tale
sistema viene introdotto nel SSN un nuovo sistema di finanziamento delle
attivita' ospedal iere basato sulla remunerazione delle prestazioni mediante
tariffe predeterminate. Questo sistema manca della valutazione della percezione
di benessere del malato, che viene ridotto solo a diagnosi, sintomi, esami
e disagio sociale. Quando, poi, questo si stema viene impiegato biecamente
per poter ottenere i migliori profitti, l'importanza della diagnosi e il
minor tempo di degenza impediscono qualsiasi valutazione del paziente riguardo
la sua qualita' di vita. L'SF-36 puo' essere un valido aiuto per il medico
per poter monitorare la qualita' del proprio lavoro. Accanto alla forma
generale, sono stati sviluppati diversi sottotipi di SF-36, modificati
per poter meglio sopperire alla misurazione di pazienti con determinate
patologie specialistiche. Il paziente, quindi, visto nella sua interezza
di soggetto di una determinata comunita'. Questo assunto e' alla base dello
studio e del successivo sviluppo, di un nuovo indice, che potesse esprimere
anche la qualita' di vita di pazienti con MICI. Ne l 1989, Guyatt e colleghi,
pubblica il suo primo lavoro sulla creazione di un nuovo indice dello stato
di salute in pazienti con CU o MC. Tale indice consta di un questionario
costituito da 32 domande aventi come risposta una gradualita' che va dal
benissimo al malissimo, attraverso 7 gradini. Tale questionario prende
il nome di Inflammatory Bowel Disease Questionnaire (IBDQ) . La costruzione
del questionario e' stata preceduta dalla individuazione di una serie di
problemi legati alle MICI, riferiti dai pazien ti, individuando 150 voci.
Questo elenco, poi, e' stato sottoposto alla valutazione di pazienti con
MICI, chiedendo di scegliere, secondo il loro parere personale, gli aspetti
maggiormente compromessi. Si sono individuate, cosi', 30 domande che meglio
delle altre esprimevano lo stato globale del paziente, esplorando i sintomi
direttamente correlati con la malattia intestinale, i sintomi sistemici,
lo stato emozionale e la vita sociale. Il passaggio successivo, e' stato
quello di testarne la riproducibilita' e la responsivita', ossia di controllare
se tale indice si modificava nello stesso paziente durante i controlli.
Tale rilievo ha dimostrato che l'IBDQ migliora con il migliorare delle
condizioni generali, confermando la buona riprodicibilita' del test. La
valutazione, poi, di un paziente in remissione clinica nel tempo, ha dimostrato
che i valori ottenuti non differiscono statisticamente. La successiva conferma
della validita' del test e' stata fatta in un successivo studio, in cui
la valutazione clinica effettuata con il CDAI, e' stata affiancata dalla
valutazione dell'IBDQ. Alla fine del periodo di osservazione, i due indici
mostravano una correlazione diretta. La novita' dirompente del SF-36 e
dell'IBDQ, e' proprio la visione d'insieme del malato, come persona che
con la sua malattia deve affrontare la propria vita, per cui ha le necessita'
familiari, lavorative e sociali che alterano il suo senso del benessere
e della salute cosi'come l'andamento della malattia stessa e viceversa.
- Conclusioni
Ad un indice si chie de di essere semplice ma contemporaneamente
di rispecchiare il maggior numero possibile di aspetti del malato. Allo
stato attuale, con tutti i limiti che abbiamo visto precedentemente, abbiamo
a nostra disposizione un'ampia scelta di metodiche di valutazione. Comunque,
non ci si puo' esimere da una valutazione complessiva di una entita' complessa
qual e' l'uomo. E' indubbio che occorra sfuggire alla banalizzazione legata
ad un peso predeterminato dato ad una patologia, come suggerito dalle metodiche
dei DRG.
Measles (morbillo) -Mumps (parotite)
-Rubella (rosolia) and Other Measles-Containing Vaccines Do Not Increase
the Risk for Inflammatory Bowel Disease: A Case-Control Study From the
Vaccine Safety Datalink Project
Davis RL, Kramarz P, Bohlke K, Benson P, Thompson RS, Mullooly J,
Black S, Shinefield H, Lewis E, Ward J, Marcy SM, Eriksen E, Destefano
F, Chen R
Immunization Studies Program, Center for Health Studies Group Health
Cooperative, 1730 Minor Ave, Suite 1600, Seattle, WA 98101-1448.
CONTEXT: A link between measles virus-containing vaccines and
inflammatory bowel disease (IBD) has been suggested by recent studies.
OBJECTIVE: To address whether receipt or timing of measles-containing
vaccine (MCV) increases risk for IBD.
DESIGN: A case-control study.
SETTING: Four large health maintenance organizations (HMOs)
that are part of the Centers for Disease Control and Prevention's Vaccine
Safety Datalink project.
PATIENTS OR OTHER PARTICIPANTS: A total of 155 persons with
codes from International Classification of Diseases, Ninth Revision specific
for IBD, born between 1958 and 1989 and enrolled from birth to the onset
of disease, were identified. Up to 5 controls were matched by sex, HMO,
and birth year.
INTERVENTION: None.
MAIN OUTCOME MEASURES: Risk for IBD, Crohn's disease, and ulcerative
colitis. RESULTS: Past vaccination was not associated with an increased
risk for Crohn's disease (odds ratio [OR] for measles-mumps-rubella vaccine
[MMR], 0.4; 95% confidence interval [CI], 0.08-2.0), ulcerative colitis
(OR, 0.8; 95% CI, 0.18-3.56), or IBD (OR, 0.59; 95% CI, 0.21-1.68). Risk
for IBD was not increased among children vaccinated who were younger than
12 months (OR for MMR, 0.61; 95% CI, 0.15-2.45) or aged 12 to 18 months
(OR, 0.86; 95% CI, 0.28-2.59) relative to unvaccinated children. Children
vaccinated with MMR who were older than 18 months were at significantly
decreased risk for IBD (OR, 0.16; 95% CI, 0.04-0.68). Neither past vaccination
nor age at vaccination with other MCV was associated with increased risk
for Crohn's disease, ulcerative colitis, or IBD. Risk for Crohn's disease,
ulcerative colitis, or IBD was not elevated in the time immediately following
vaccination with either vaccine. CONCLUSIONS: Vaccination with MMR or other
MCV, or the timing of vaccination early in life, did not increase the risk
for IBD.
Debate about MMR vaccination
and IDB continues
(First published - NACC News, summer '99)
A research report published in June of this year have prompted further
discussion about the issue of measles, mumps, MMR vaccine and Inflammatory
Bowel Disease (IBD).
The study from the Royal Free Hospital School of Medicine in London
has suggested the possibility of a link between catching both measles and
mumps as a child and developing IBD in later life.
The researcher, Dr Scott Montgomery reported that children in the new
survey who had caught measles and mumps in quick succession seemed much
more likely to develop IBD as adults. The statistics give the likelihood
of developing ulcerative colitis as seven times greater than normal and
for Crohn's disease as four times greater.
The research was published in the respected American journal 'Gastroenterology'
and used information from a long-term study of 7,000 people born in the
same week in 1970. Since the MMR vaccination had not then been introduced,
almost 4% of the group were reported by their parents as having caught
both diseases in childhood, within a year of each other.
The researcher looked at measles, mumps, chickenpox, whooping cough
and meningitis in relation to IBD. The only association that came out strongly
was between people having measles and mumps in close succession and later
IBD. On the Jimmy Young Programme (Radio 2) Dr Montgomery stated that this
was the first study which showed a clear link between the infections and
IBD.
Dr Montgomery was quoted in the 'Guardian' newspaper saying;" This
is really a very major step, as until now we have had very little idea
what causes these diseases. Now we have an idea about the causes, we can
work towards better treatments and a cure".
Seeing the results in a wider context, Dr Montgomery was quoted in
the 'London Evening Standard' saying; "For millions of years, human beings
have been exposed to intense infections, so our immune system has evolved
to respond vigorously to them. But as civilisation has progressed, living
conditions have improved and the way we meet viruses has changed. We encounter
them in much milder form, but paradoxically, this appears to be a risk
for disease in later life."
Inevitably, the media coverage focussed on the question of the safety
of the measles, mumps and rubella (MMR) vaccination. This is because earlier
studies at the Royal Free Hospital had suggested a link between MMR and
IBD - a link that was not supported by later studies by different researchers.
Dr Montgomery stressed that his study looked at 'wild' viruses caught naturally,
rather than the weakened viruses contained in the vaccination. He added
that it was not possible to make any conclusion about MMR on the basis
of his study.
NACC Director, Richard Driscoll, commented:
"Dr Montgomery's paper does not provide new information about the MMR
vaccination and IBD, so the media headlines were not really justified by
the results that were being published. There are two potentially important
findings from the new work. The first is that there was not an association
in this group of people between children having measles infection on its
own and later IBD . But the second was that there was an association between
children having both measles and mumps in quick succession and later IBD."
"As with any new research, this finding will need to be tested in other
groups of people and by other researchers before it can be accepted as
being certainly a cause of IBD. In this type of statistical survey, even
when the work has been carefully done as in Dr Montgomery's case, there
is always room for debate about the accuracy or completeness of the data."
"One concern expressed by the Department of Health is that the information
about the childhood infections was based on parents' recollections when
their children were aged 10 rather than on confirmed medical diagnoses.
Another unanswerable question is whether there were any more cases of IBD
in the 28% of people who did not respond to the questionnaire or for whom
there was incomplete data. Small changes in numbers could alter the outcome
quite significantly."
"Given the present state of knowledge, NACC continues to support the
MMR vaccination programme to minimise the number of children who are susceptible
to measles, mumps and rubella and thus reduce the chance of new epidemics
occurring. If parents are worried about having their children vaccinated
because there are close relatives who have IBD, then the best course of
action is to discuss the question with their GP or gastroenterologist."
Il trattamento del Morbo di
Crohn al passaggio del secolo
The New England Journal of Medicine -- August 6, 1998 -- Vol. 339,
No. 6
Le malattie infiammatorie dell'intestino sono il secondo
disturbo cronico più diffuso, dopo l'artrite reumatoide. Tra esse,
il Morbo di Crohn (MC) affligge centinaia di migliaia di pazienti, specialmente
nei paesi evoluti, e la sua incidenza è in aumento. La causa è
sconosciuta. Sebbene l'ileo terminale e il colon ascendente siano le sedi
più comuni dell'infiammazione, la malattia può coinvolgere
qualsiasi parte del tratto digestivo e sono comuni alcune manifestazioni
extra-intestinali. Il fenotìpo clinico del Morbo di Crohn, includente
la severità e la localizzazione della malattia, varia da paziente
a paziente, la qual cosa suggerisce una origine multifattoriale. Ciò
ha importanti implicazioni sia per la cura individuale che per la ricerca
clinica.
Ci sono pochi trattamenti efficaci per la fase attiva
della malattia e nessuno di essi è concordemente considerato come
efficace terapia di mantenimento. Il Prednisone e il Prednisolone sono
risultati i farmaci più efficaci nel National Cooperative Crohn's
Desease Study, ma sono efficaci solo nell'induzione dello stato di remissione
ed hanno molti effetti collaterali. A causa della loro tossicità,
sono in genere riservati ai pazienti con malattia di grado da moderato
a severo.
L'introduzione del Budesonide, un glucocorticoide rapidamente
metabolizzato che ha elevata azione topica ed è assorbito solo in
minima parte, rappresenta un importante passo avanti. Il Budesonide per
via orale è efficace quanto il Prednisolone nell'indurre la remissione
in pazienti con il Morbo di Crohn e provoca minore soppressione adrenale,
con meno effetti collaterali. Perciò il Budesonide è più
sicuro dei glucocorticoidi convenzionali e non è necessario riservarlo
solo ai pazienti più gravi. Il confezionamento in rivestimento gastro-resistente,
simile a quello usato per la mesalazina, consente il rilascio del farmaco
nel piccolo intestino e nel colon ascendente, minimizzando al massimo gli
effetti collaterali.
In questo numero del giornale [n°6] Thomsen e colleghi
riferiscono che una formulazione a lento rilascio di budesonide è
stata più efficace di una formulazione simile di mesalazina nel
trattamento di pazienti con MC dell'ileo o del colon ascendente di grado
lieve o moderato. Determinare quali pazienti con MC trarranno maggior beneficio
dalla terapia con il budesonide sarà il prossimo passo.
Sebbene importante, questo studio su budesonide e mesalazina
è un confronto sull'efficacia delle più recenti iterazioni
dei trattamenti tradizionali. Il Budesonide, sebbene nuovo negli USA e
non ancora approvato dalla FDA, è ancora un derivato dei glucocorticoidi
tradizionali che sono stati usati per il Morbo di Crohn per decenni. Similmente,
la mesalazina è una moderna variante della sulfasalazina. Anche
se uno studio condotto per un anno suggerisce che il budesonide può
prolungare la remissione, sarebe prudente attendere dati di conferma, perchè
altri glucocorticoidi non si sono dimostrati efficaci per il mantenimento,
in altri studi.
Alcuni notevoli progressi in questo campo riguardano
modifiche di trattamenti familiari. Per esempio, la lenta risposta della
azatioprina può essere accelerata somministrando per via endovenosa
una dose di carico. Il Methotrexate ha riscosso approvazione come trattamento
di pazienti con malattia steroide-resistente o dipendente, soprattutto
quei pazienti che non tollerano la mercatopurina. La Ciprofloxacina è
ora usata assieme o in sostituzione del metronidazolo nei pazienti con
Morbo di Crohn attivo. In aggiunta a questi, trattamenti completamente
nuovi sono ora disponibili, come gli immunomodulatori, che sono composti
per interferire colla chiave del meccanismo patogenico della infiammazione
intestinale. In attesa di trovare la cause e la cura per il MC, questi
trattamenti aspirano ad essere la migliore terapia di mantenimento.
Recenti progressi nella ricerca di base, includenti l'uso
animali geneticamente manipolati, hanno prodotto nuove intuizioni sul ruolo
delle cellule immunitarie e delle loro citochine nella infiammazione cronica
intestinale. Ciò ha portato allo sviluppo di trattamenti diretti
ad alterare lo specifico meccanismo patogenico che ha il potere di modificare
il naturale corso del Morbo di Crohn. Tra questi trattamenti, la somministrazione
di anticorpi monoclonali alla citochina infiammatoria tumor necrosis factor
(alpha) (TNF-(alpha)) ha portato a risultati molto promettenti. Di recente,
il cA2, un anticorpo monoclonale chimerico al TNF-(alpha), è stato
testato in pazienti con MC. Una singola dose endovenosa di cA2 è
risultata efficace in 10 pazienti con MC, e in uno studio su 108 pazienti
con MC refrattario , una singola dose endovenosa di cA2 ha avuto effetti
nel 65 per cento dei pazienti, rispetto al 17 per cento di pazienti migliorati
sotto placebo. Il 41 per cento dei pazienti trattati con cA2 (34 su 83)
ha continuato a rispondere dopo tre mesi, rispetto al 12 per cento di pazienti
nel grupppo di controllo (3 su 25).
Un altro anticorpo monoclonale al TNF-(alpha), il CDP571,
è risultato efficace in uno studio meno esteso. Ciò fa sperare
nell'efficacia di tali anticorpi nel mantenimento a lungo termine. . Una
singola dose di cA2 è stata efficace anche nei pazienti con fistole,
una delle complicazioni più impegnative del Morbo di Crohn.
Rivedendo questi risultati, il Gastrointestinal Advisory
Panel della FDA ha raccomandato l'approvazione del cA2 nei pazienti con
MC moderato o severo e in quelli con fistole. Comunque, i benefici a lungo
termine e i rischi del cA2 necessitano di ulteriori indagini. Per esempio,
quattro casi di linfoma sono stati rilevati dopo il trattamento con cA2
(uno in un paziente con Morbo di Crohn, due in pazienti con artrite reumatoide
e uno in un paziente con AIDS), anche se non è noto quanto possano
essere attribuiti al blocco del TNF-(alpha) o a preesistente malattia.
L'alto costo di queste nuove cure e la necessità della somministrazione
parenterale sono problemi, ma l'uso diffuso dell' interferone alfa per
la cura dell' epatite virale suggerisce che i pazienti con malattie croniche
sappiano convivere con queste difficoltà.
In definitiva, man mano che ci avviciniamo al passaggio
di secolo, vediamo i progressi fatti: il budesonide provato da Thomsen
e altri , gli anticorpi monoclonali, le citochine ricombinanti, ecc.
Comunque, la completa cura del Morbo di Crohn satà
possibile solo quando i fattori genetici e ambientali che lo causano saranno
identificati.
Stephen J. Bickston, M.D.
Fabio Cominelli, M.D., Ph.D.
University of Virginia Health Sciences Center
Charlottesville, VA 22908-10013
AUTOVACCINI
e nuovi metodi di diagnosi MICROBIOLOGICA INTESTINALE:
una NUOVA proposta diagnostica
e terapeutica
Per riferimento bibliografico:
DR. FRANCESCO PERUGINI
Docente della Scuola di Omotossicologia e Discipline Integrate
Via XXIV Maggio, 37
20128 - Bergamo
E-Mail: shaman@spm.it
Gennaio 1998
LA MEDICINA BIOLOGICA APRILE - GIUGNO 1998; 19-24
IL SUCCESSO DEL MONDO MICROBICO
Circa 3,5 miliardi di anni fa, la comparsa dei primi
batteri segnò l’inizio della straordinaria storia della vita sulla
Terra. Questo evento è preceduto da una lunga era prebiotica (1
miliardo di anni) in cui il Pianeta prendeva forma condensandosi progressivamente
e, nei primi cento milioni di anni, incorporando un
consistente apporto materiale proveniente dallo spazio:
polvere, meteoriti e corpi celesti di notevoli dimensioni come gli asteroidi.
Il numero di meteoriti che sono giunte sulla Terra è
stato elevatissimo e sembra che alcuni costituenti di esse possano aver
contribuito in modo sostanziale a creare i “mattoni” iniziali che hanno
permesso lo sviluppo delle prime forme di vita. Infatti alcune di queste
meteore, che tuttora giungono sul nostro pianeta, contengono al loro interno
molecole di tipo biologico e cioè ammine, aminoacidi, carboidrati,
chetoni, alcoli, aldeidi, purine, primidine ed argille.
I primi batteri che si formarono nel “brodo primordiale”
dovettero lottare contro un ambiente ostile ed in continuo cambiamento.
Eruzioni vulcaniche, impatti di meteoriti, luce solare intensa, periodi
di siccità ed inondazioni falcidiavano le emergenti popolazioni
batteriche. Tuttavia, grazie ad una prodigiosa capacità di
duplicarsi e ad un grande varietà di strategie
adattive, questi microrganismi si espansero gradualmente ed occuparono
tutti gli ambienti acquatici e successivamente la terraferma.
Per il rifornimento energetico, i batteri svilupparono
inizialmente il processo di formazione, consistente nella decomposizione
degli zuccheri e la loro conversione in molecole di ATP. I fenomeni putrefattivi
legati all’attività metabolica dei microbi sono risultati fondamentali
per la vita del Pianeta, da una parte reinserendo nei cicli naturali i
componenti dei materiali biologici e dall’altra eliminando dalla superficie
terrestre i prodotti di decomposizione animali e vegetali. Se non vi fossero
i microbi, La Terra sarebbe attualmente circondata da uno strato, dello
spessore di qualche chilometro, di materiale inerte che impedirebbe qualsiasi
forma di vita.
L’innovazione successiva fu lo sviluppo della “fotosintesi”,
che fu certamente una tappa fondamentale nella storia evolutiva della vita
sulla Terra. Inizialmente il processo fotosintetico produceva unicamente
composti organici e solo in un secondo tempo ossigeno. L’incremento di
O2 ebbe un brusco inizio tra 2,1 e i 2,03
miliardi di anni fa e l’attuale situazione venne raggiunta
1,5 miliardi di anni fa. L’aumento dell’ossigeno fu una vera catastrofe
per molte specie batteriche che fino a quel momento si erano evolute in
condizioni di anaerobiosi. Una svolta positiva derivò da un’ulteriore
tappa evolutiva: lo sviluppo della respirazione aerobica.
“L’Era del batterio” prosperò tra alterne vicissitudini
per circa 3 miliardi di anni. E’ solo dopo questo lunghissimo periodo di
vita esclusivamente unicellulare, e più precisamente 600 milioni
di anni fa (Cambriano), che fecero la loro comparsa gli organismi pluricellulari.
L’imponente irradiazione pluricellulare del Cambriano portò in un
tempo relativamente breve (5 milioni di anni) alla sorprendente formazione
di tutti i “phyla” animali attuali. Tuttavia la grande capacità
adattiva dei batteri seppe trarre enormi vantaggi dalle nuove situazioni
sopraggiunte. Lo sviluppo delle piante e degli animali precedette infatti
attraverso un intimo rapporto di simbiosi con i batteri, che negli organismi
pluricellulari trovano nuove fonti trofiche e nicchie ecologiche da colonizzare.
La sorprendente stabilità e versatilità
che il mondo batterico ha dimostrato di avere nel tempo ha portato gli
evoluzionisti a considerare la vita batterica come “il più grande
successo” della vita sulla Terra.
Da un punto di vista strettamente biologico, infatti,
la vita sulla Terra ha il suo maggior successo nei pressi del limite minimo
di complessità concepibile e conservabile. L’allontanamento da questa
posizione è frutto di aggiunte occasionali, perlopiù rare
ed episodiche e rende pertanto improbabile un’evoluzione “aprioristica“
dell’evoluzione, in cui l’uomo e le forme di vita superiori sono poste
all’apice arbitrario di una progressione prevedibile, inesorabile e continua.
Quale che sia il concetto evoluzionistico più
convincente, è innegabile che i microbi, passati indenni attraverso
miliardi di anni, ancora oggi occupano una varietà di ambienti quasi
infinita e comprendono una gamma di processi biochimici più vasta
di qualsiasi altro gruppo di esseri animali o vegetali: sono ubiquitari,
adattabili e sorprendentemente diversificati. Si pensi solo che il numero
di cellule di “Escherichia coli” che vivono nell’intestino di ciascun essere
umano supera il numero di persone sulla Terra dalla comparsa dell’uomo.
Viene il sospetto che probabilmente “l’Era dei batteri” non sia mai veramente
finita.
MICROBI E MEDICINA
Con la scoperta del mondo microbico ad opera dell’olandese
Van Leeuwenhoek nel 1675 e poco più tardi con la nascita della microbiologia
in seguito alle osservazioni di L.Pasteur (1822-1895), si apre un nuovo
capitolo per la medicina. L’isolamento dei microbi da tessuti e secrezioni
infette sposta l’attenzione medica
da una concezione galenico-ippocratica (miasmatica) della
diffusione della malattia verso un “qualcosa” di visibile e direttamente
associato alla patologia in atto. Il mondo scientifico di fine Ottocento
fu colto da una febbrile attività di isolamento, coltivazione e
caratterizzazione dei diversi agenti patogeni. Negli anni che
seguirono, furono identificati ed isolati quasi tutti
gli agenti batterici delle malattie umane e messe a punto tecniche di prevenzione
come quelle immunologiche (vaccini) e quelle igieniche. Poco più
tardi sarà il trionfo della chemioterapia antibiotica, dapprima
con la scoperta dei sulfamidici e poi con quella della
penicillina. Negli anni Cinquanta l’entusiasmo per gli
antibiotici fu tale che in coro unanime i medici preconizzarono la fine
di tutte le patologie batteriche e con queste l’estinzione dei Microbiologi,
sebbene negli anni Quaranta già si fosse in grado di evidenziare
un rapido sviluppo di resistenze dei gonococchi ai sulfamidici. Purtroppo
la guerra contro i batteri non è mai stata completamente vinta.
Favorita da 40 anni di antibioticoterapia selvaggia, l’antibioticoresistenza
ha assunto proporzioni allarmanti con l’aumento drammatico del numero dei
batteri resistenti e con il riemergere di infezioni che si pensavano ormai
debellate. A questo si aggiunga un’accresciuta popolazione di batteri patogeni,
grazie alla comparsa nei soggetti debilitati ed immunodepressi di germi
virulenti che fino a questo momento sono stati considerati come innocui.
La mentalità di chi si ostina a trattare ogni
forma infettiva, o supposta tale, con l’esclusivo e reiterato ricorso alla
chemioterapia antibiotica, è frutto di una visione unilaterale dell’eziologia
dei processi infettivo-infiammatori che non tiene minimamente conto del
terreno sul quale i microrganismi sono in grado di proliferare.
APPARATO ENTERICO E SISTEMA NUTRIZIONALE
In una precedente pubblicazione (Perugini 1996), si è
messo in evidenza quanto sia stretto il rapporto tra la flora batterica
ospitata nel corpo umano e lo stato di benessere e come certe patologie
distrettuali possono trovare il loro “primum movens” nelle condizioni dell’intestino
e soprattutto nelle squilibrio della flora stessa.
L’intestino viene visto come la culla del sistema immunitario
e contemporaneamente il più grande contenitore dell’organismo della
flora microbica. Dall’intimo intrecciarsi dell’elemento immunitario mucoso
e di quello microbico scaturiscono segnali i cui effetti possono condizionare,
positivamente o negativamente, le funzionalità dell’intestino stesso
oppure di organi e tessuti extraintestinali.
Da questa visione allargata ed integrata dell’origine
di molte patologie scaturisce una nuova necessità terapeutica: non
più, o almeno non solo, una focalizzazione sull’evento locale, ma
un attento intervento di rivitalizzazione della flora intestinale e di
stimolo immunitario sul sistema immunitario mucoso (MALT).
TERAPIA CON I PROBIOTICI
L’uso, da parte dell’uomo, di prodotti fermentati è
probabilmente molto antico; esistono testimonianze archeologiche che dimostrerebbero
il consumo di latte fermentato tra le popolazioni preistoriche. Tuttavia
è solo alla fine del secolo scorso che si è tentato di attribuire
ai fermenti un valore terapeutico. Questa
correlazione ha assunto dignità scientifica con
i lavori di Metchinkiff che ha cercato di riprodurre gli effetti benefici
dal consumo di latte fermentato utilizzando culture specifiche isolate
dal latte stesso. Metchinkiff in un suo articolo apparso nel 1907, così
scrive: “Un lettore che abbia poca dimestichezza con questi argomenti potrebbe
rimanere sorpreso dalla mia raccomandazione a consumare grandi quantità
di microbi, considerata l’opinione comune che i microbi possono nuocere.
Vi sono molti microbi utili, e tra questi i lattobacilli hanno un posto
d’onore.”
I microbiologi scoprivano così che i microbi non
erano necessariamente dannosi, ma purtroppo l’arrivo degli antibiotici
spostò gli entusiasmi verso altre direzioni.
Oggi si va accumulando una consistente quantità
di dati sulla flora intestinale: il suo importante ruolo nel mantenimento
della salute dell’uomo è fuori discussione. Numerosi sono anche
gli studi sull’effetto benefico dell’assunzione di probiotici, un vasto
gruppo di batteri Gram positivi non sporigeni, apatogeni, catalasi-negativi
che fermentano i carboidrati formando acido lattico come
loro principale prodotto finale metabolico (Symbiolact comp®).
Attive sono anche le varianti non virulente di specie
patogene come l’Escherichia coli e l’Enterococcus faecalis (Symbioflor®).
Con questi prodotti è possibile intervenire in
modo “efficace “ sia sulla flora intestinale che sul sistemaimmunitario
mucoso (MALT) con grande beneficio per molte patologie, soprattutto croniche.
DIAGNOSTICA MICROBIOLOGICA ED AUTOVACCINI
Nell’ottica di un apporto terapeutico che tenga in considerazione
l’enorme influenza che l’ecologia intestinale può avere sulla salute
dell’uomo e l’importanza di una terapia microbiologica ben condotta, da
anni in Germania viene offerta ai medici una diagnostica microbiologica
intestinale dettagliata e la possibilità di utilizzare, oltre alle
terapie con probiotici e colture di batteri non-virulenti, anche terapie
con autovaccini. L’Istituto di Microecologia di Herborn (Francoforte) con
un’esperienza decennale nel campo della microbiologia (diagnostica e terapeutica)
esegue ogni anno, per i medici tedeschi, oltre 350.000 test microbiologici
e produce 100.000 autovaccini. Anche in Italia sono ormai disponibili alcune
di queste interessanti metodiche diagnostiche e terapeutiche, Si tratta
del KYBERSTATUS, della DIAGNOSTICA MICOLOGICA e della produzione di AUTOVACCINO.
I test vengono eseguiti su un campione di feci del paziente e così
anche la produzione di autovaccini. La diagnostica microbiologica permette
al medico, attraverso lo studio quali/quantitativo dei microbi intestinali
(batteri e miceti) e l’analisi di alcuni parametri specifici (fattori di
virulenza, pH, etc.), di valutare dell’ecologia intestinale e fare utili
correlazioni con la o le patologie in atto ai fini di impostare una più
corretta terapia. L’autovaccino è quindi certamente una efficace
arma terapeutica che in Italia è ancora poco conosciuta e praticata.
KYBERSTATUS
Su un campione di feci opportunamente raccolto, vengono
eseguite analisi sulla composizione della flora batterica principale. Vengono
indagati dal punto di vista quantitativo alcune specie ed alcuni generi
della flora anaerobica ed aerobica.
Generi e specie più rappresentative della flora batterica
aerobica e naerobica dell’intestino indagati dal test di Kyberstatus
Rilevamento quantitativo di 3 importanti generi di
BATTERI ANAEROBICI OBBLIGATI
Bacteroides sp. Bifidobacterium sp.
Clostridium sp.
Rilevamento quantitativo di 10 importanti generi o specie di
Batteri Aerobi Obbligati
o di Anaerobi Facoltativi
E. Coli
Proteus s.
E. Coli Biovare
Pseudomonas sp.
Klebsiella sp.
Enterococcus sp.
Enterobacter sp.
Streptococcus sp.
Citrobacter sp.
Lactobacillus sp.
|
I risultati sono confrontati con valori di normalità
che rispecchiano la flora fisiologica di un individuo sano.
La valutazione degli scostamenti dai parametri di normalità,
lo studio del rapporto tra i singoli generi e specie isolati, i valori
di pH delle feci e la loro consistenza ed aspetto, forniscono preziosi
dati sulla situazione dell’ecologia intestinale altrimenti non indagabili.
Alcune importanti informazioni fornite dal test Kyberstatus
1) Incremento o riduzione della flora putrefattiva e fermentativa
2) Riduzione della resistenza alla colonizzazione nell’intestino tenue
e crasso
3) Indebolimento della barriera immunitaria
4) Infiammazione della mucosa intestinale
|
Il quadro del referto deve poi essere valutato dal medico
confrontandolo con l’anamnesi e la patologia in atto del paziente. Il risultato
finale è certamente una visione più completa dello stato
di salute del paziente, nel caso si sospetti una compartecipazione dell’intestino
e del sistema immunitario MALT, e la possibilità di impostare una
strategia terapeutica più mirata.
DIAGNOSTICA MICOLOGICA
Negli ultimi decenni, le micosi hanno assunto un ruolo
sempre più importante nelle infezioni opportunistiche legati agli
stati di immunodepressione, alle patologie croniche ed all’uso ed abuso
di farmaci.
Principali fattori aziologici delle micosi
della pelle e delle mucose
Stati
patologici
Rimedi
Malattie Ormonali
Corticosteroidei
Malattie Gastroenteriche
Immunosopressori
Malattia Ematologiche
Citostatici
Deficienze Immunitarie
Radioterapia
Tumori Maligni
Antibiotici
Malattie Infettive
Catetere a permanenza
Ustioni
Interventi chirurgici
|
I miceti di interesse medico sono microrganismi eucariotici
unicellulari obbligati ad una vita saprofitica. Per lo più si tratta
di specie non patogene per la salute dell’uomo, ma alcune specie, segnatamente
i lieviti del genere Candida, possono diventare aggressive se le condizioni
del microambiente ospitante si rendono ideali per la loro moltiplicazione.
Questo cambiamento può avvenire in seguito ad una riduzione delle
difese immunitarie dell’ospite, ad una alimentazione errata, allo stress,
all’uso di farmaci ed alle alterazioni della flora e del pH delle mucose.
In particolare la virulentazione dei ceppi del genere Candida, si manifesta
attraverso la formazione delle adesine superficiali (es.: mannoproteine),
di pseudomiceti e la produzione di enzimi litici (SAP = aspartilproteasi
acide, fosfolipasi). Questo mutamento fenotipico (phenotipic switch) permette
alla Candida di aderire saldamente al piano mucoso ed invadere perfino
i vasi sanguigni.
L’Istituto di Microecologia è praticamente l’unico
in Europa in grado di effettuare indagini su oltre 200 specie di miceti
tra cui 155 specie di Candida. Con la Diagnostica Micologica si mette a
disposizione del medico un’analisi completa sulla situazione dei miceti
intestinali. Oltre all’individuazione dei microrganismi, vengono individuati
i fattori di virulentazione e la capacità di crescita a 37°C,
i soli a fornire la certezza che i ceppi isolati siano veramente patogeni.
Le indicazioni principali della Diagnostica Micologica sono le condizioni
di ridotta difesa immunitaria, le micosi delle mucose e tutte quelle situazioni
cliniche in cui si sospetti una compartecipazione di una micosi intestinale.
Anche in questo caso come per il Kyberstatus, il Laboratorio
fornisce, insieme al referto dell’analisi, un’interpretazione dei risultati
e conseguenti suggerimenti terapeutici.
AUTOVACCINO
L’Autovaccino e uno strumento terapeutico che integra
e completa la terapia con Symbiolact® e Symbioflor®, per un corretto
ed efficace trattamento microbiologico. Terapia strettamente individuale
e personalizzata, l’autovaccino viene ricavato da ceppi apatogeni di E.
Coli (forme rugose o lisce) isolati dalle
feci del paziente e somministrato al paziente stesso.
Ricerche immunobiologiche su linfociti umani isolati hanno evidenziato
che diverse citochine che fungono da messaggeri nel sistema immunitario
vengono influenzate in vari modi dagli autovaccini. L’autovaccino agisce
quindi come immunomodulatore ed è indicato sia nelle malattie associate
ad una scarsa difesa immunitaria, sia in quelle caratterizzate da una reazione
eccessiva. L’autovaccino è prodotto in concentrazioni diverse (9
serie) a seconda della patologia da trattare ed in formulazioni orali ed
iniettabili.
La scelta della via di somministrazione tiene in considerazione
la sensibilità individuale a questo genere di terapie. Il Laboratorio
fornisce due flaconi appartenenti a due serie in sequenza (es. : 6 e 7),
sufficienti per circa 6 settimane di terapia, seguendo uno schema di 2
somministrazioni settimanali.
Come per tutti i vaccini, può presentarsi il pericolo
di shock anafilattico, limitatamente alla via di somministrazione iniettabile,
Comunque in 40 anni di continuo utilizzo di questi autovaccini in Germania,
si sono avuto solo 7 casi di gravi reazioni vaccinali (nessuno con esito
mortale).
La terapia con autovaccini è principalmente adatta
a combattere i processi morbosi cronici o recidivanti.
L’indicazione è opportuna soprattutto per le affezioni
delle vie respiratorie (sinusiti, tonsilliti, etc.), bronchiti, allergie
(pollinosi, asma, orticaria), dermatosi (neurodermite, eczemi, acne), affezioni
di varia natura del tratto gastrointestinale (colon irritabile, colite
ulcerosa, morbo di Crohn, stipsi, diarrea) e micosi.
CONCLUSIONI
I microbi possono essere temibili fonti di malattia o
insostituibili alleati per un buon funzionamento del sistema immunitario.
La storia della loro evoluzione comunque insegna che
annientarli è impossibile e che, al contrario, tutto fa pensare
che probabilmente questi semplici organismi sopravviveranno all’uomo.
Dal punto di vista medico è doveroso assumere
una posizione diversa nei confronti dei microrganismi, che tenga in considerazione
sia l’aspetto patologico che quello più fisiologico e benefico derivato
dal rapporto simbiotico stretto che l’organismo intrattiene con essi. I
nuovi test microbiologici ora disponibili anche in Italia consentono certamente
una migliore comprensione della Microecologia intestinale mentre la possibilità
di disporre di un autovaccino “completa” ed “integra” la strada terapeutica
aperta dai farmaci probiotici.
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