Smozzicando
altri panini continuiamo a sbagliare strada; le
colline si snodano lentamente sotto le gomme in
un groviglio di strade che annodano le frazioni
sparse. Le colline sono una identità
sfumata e difficile da capire per un cittadino
incapace di orientarsi senza quartieri compatti.
Ci perdiamo ripetutamente, ripercorrendo spesso
i nostri passi. I centri principali ci sfuggono,
forse non esistono che nei nomi; San Leo, nostra
meta successiva, non ci riesce proprio di
raggiungerlo, i cartelli direzionali sono
contradditori e il nostro percorso si
aggroviglia su se stesso.
Il
vagabondaggio automobilistico termina dopo un'
abbondante oretta trascorsa infilando e
rifilando stradine sul crinale dei colli
strade, come una spoletta su un telaio senza
disegno. Finalmente un'indicazione chiara ci
immette sulla statale 258, nostro vero punto di
riferimento e arteria del nostro proseguire
verso la meta finale. Per raggiungerla
sacrifichiamo quella intermedia. L'arrivo a
Pennabilli di lì a poco.
Alice
vuol vedere il paese. Subito.
Passeggiamo
per le strade pulite e linde avvolti da uno
strano profumo che lei non conosce. Pungente,
legger-mente bruciante e irritante. Stento
anch'io. Qui molti riscaldano ancora a legna.
Tutta la nostra permanenza sarà
accompagnata da questa presenza invisibile. Non
c'è nessuno all'una del pomeriggio per le
strade di Pennabilli, solo qualche raro studente
che indugia per il ritorno a casa e pochi
avventori che si dirigono verso l'unico bar
aperto; per la partita a carte o per discorrere
delle partite di calcio del giorno seguente.
Qualche rara voce filtra dagli interni delle
numerose case in ristrutturazione. "No, devi
metterlo li'... il progetto sarà buono,
ma quel muro ?! ... " . Pietra solida le case.
Pietra quadrata a piccole pezzature le strade.
Le vie laterali sono strette e ripide, con gli
scolatoi in rilievo, a lisca di pesce a 30 gradi
verso il centro del vicolo, per favorire il
deflusso dell'acqua durante i rovesci di pioggia
e aiutare la presa degli uomini nelle pendenze
più impervie durante i giorni della neve.
Le strade principali sono pavimentate a pietre
più larghe e levigate. Pietra, solo
pietra per resistere e riparare dal tempo,
rassicurante, solida.
Seguiamo
le indicazioni dei gonfaloni un po' sbiaditi dal
sole stesi nella precedente stagione estiva e
percorriamo la Strada delle Meridiane. Un
gnomone trafigge il costato di un San Cristoforo
dolente e rassegnato, ma non riesce ad indicarci
l'ora. Una pendola molle come una fetta di
mortadella alla S. Dali' segna ipotetiche ore a
se stessa attraverso un ipotetico sole che
continua a negarsi alla nostra vista. Il nostro
obbiettivo è l'Orto dei Frutti
Dimenticati allestito da Tonino
Guerra: quaranta metri quadrati di spazio, cinti
da muretti di pietra. È una terrazza con
uno splendido panorama, se solo la nebbia
leggera ce lo lasciasse gustare. Siamo fuori
stagione e i giovani alberi curati sono
irrimediabilmente spogli. Alice è delusa,
si aspettava chissà quale sorpresa, o
quali leccornie di frutta.
Poco
più in là , su un' altra terrazza
appena più alta, ci immettiamo nel
Santuario dei Pensieri. Sette menhir-sculture
conficcate nel terreno. Enigmatiche presenze di
pietra serena o di agglomerato vetroso
compresso. Un luogo aperto alla meditazione
laica. Nel giardino c'è un' unica
panchina di legno, posta come un altare
invertito, per sedere e riflettere in solitudine
sulle forme , sull'ambiente, su se stessi e
sugli uomini, Con pochi uomini. Un fico lungo il
lato sud (o est, la mancanza di sole confonde
l'orientamento), si apre a ventaglio con i rami
aperti sopra il muricciolo a secco creando,
immaginiamo in estate, una parete naturale che
conferisce una grande freschezza al tutto. Ora
è solo un merletto raro e spoglio che
conserva solo un fascino evocativo. Quasi un
abbraccio per chi si ferma, in estate
sicuramente una separé per allontanare i
pensieri indiscreti. Ci fermiamo un attimo a
riflettere, ma il freddo pizzica le dita e Alice
comincia a spazientirsi. Le promesse dei nomi
forse erano eccessive per lei e il grigiore del
tempo non l'aiuta molto a superare la delusione.
Decidiamo
non senza qualche reciproca stizza di
bighellonare per le stradine laterali, prima di
rifugiarci al bar a bere qualcosa di caldo. Al
lato dei portoni di legno dei vicoli alcune
ceramiche ricordano storie di abitanti non molto
antichi scritte da Tonino Guerra: brevi favole,
per evocare persone semplici e care. Forse
nemmeno conosciute.
E
qualcosa di caldo per Alice è una fetta
di torta gelato che mangia con gusto.
A Pennabilli anche le meringate industriali
hanno un sapore diverso.
segue...