"Ha uno
sguardo dolce, ma fiero. Nell'insieme un
atteggiamento di contenuta soddisfazione per il
compito che l'attende. Guarda Alice e indica una
stradina che si insinua tra due bassi edifici
diroccati . Ci voltiamo, osserviamo compiaciuti
le colline che abbiamo appena attraversato e
osserviamo l' edificio rurale recente che stona
con l'ambiente; ha il fienile colmo di rulli di
fieno. Come avranno fatto a rotolare fin
lì in salita e chi li avrà
impilati a quell'altezza fino al tetto? . Un
letamaio imponente ci avvisa di una stalla forse
nascosta, ma niente muggiti, niente voci. Solo
una brezza fresca. E odori quasi dimenticati:
dolci, appena tenui, mai aspri. Anche l'odor di
stallatico ha una vena densa e calda che tempra
la brezza.
Lui
è lì , all'imbocco della stradina
e ci fa un muto cenno di seguirlo. E lo seguiamo
passando tra i due edifici diroccati, imboccando
una mulattiera di pietre sconnesse. Ogni tanto
ci fermiamo a osservare le case abbandonate, le
finestre ,anch'esse mute, ci spiano quasi con un
vuoto orrore, noi i soli intrusi. Alice si
lamenta, non le piacciono le salite, paventa
un'asma immaginaria, ma che ogni tanto l'assale;
il luogo è bello ma le sembra
abbandonato, senza sorprese.
Lui aspetta. "Ma dove ci porta
?" mormora
Alice sottovoce. Lui paziente aspetta, attende e
poi ci guida.
Non c'è anima viva, ma proseguendo il
cammino tutto ci pare denso e popolato.
Incuriositi dalla sua serenità e dal
calmo procedere ci accodiamo: ci conduce sulla
rocca, lasciandoci il tempo per abbracciare il
panorama appena velato dalla foschia; dominiamo
l'intera vallata da quel pianoro. Poi silenzioso
riprende il cammino e ci guida attorno al
piccolo maniero, indicando con occhi un po'
umidi, in cenno d'intesa, gli scorci migliori.
Infine torna sui suoi passi ,verso di noi,
invitandoci con lo sguardo
ad invertire il cammino. Noi ,sempre zitti,
siamo affascinati da quella disponibilità
non richiesta, attratti dalla sua gentilezza
piena di garbo Ad un incrocio con una mulattiera
che non avevamo scorto, imbocca una stradina
ripida e stretta che scende , indugia qualche
metro più in giù. Ancora quattro
salti, scende e invita proprio Alice a non
titubare. Lei si vede bene che è timorosa
ad affrontare quelle pietre grossolane che
accennano a ripidi gradini. Lo seguo, precedendo
a mia volta la piccola.
"Aspettami ! Aiutami papà
non ce la
faccio
ho paura !"
Le tendo la mano e superata l'incertezza in
qualche goffo salto riprendiamo assieme la via.
Case
con vetri serrati, i chiusi spalancati. Piccoli
balconi di legno, fiori alle finestre e sulle
balaustre, una specie di gazebo spoglio. Questa
parte della rocca è abitata, ma nessuna
voce si fa incontro, nessun suono, solo la
brezza ci viene incontro. Tutti edifici sono di
antica pietra ben accomodata e percorrendo la
stretta stradina, in cui ci muoviamo appaiati
giusto in due, ogni tanto le case scompaiono
come d'incanto, lasciandoci vedere squarci di
campagna. Qualche edificio più basso
sottolinea col profilo del tetto l'orizzonte di
una porzione di valle e là , di fronte a
noi, ci pare d'un tratto di scorgere in
lontananza, nell' aria ora appena soleggiata, la
bianca e quasi familiare macchia di case di
Pennabilli
Ancora
qualche passo in discesa sull' acciottolato, via
via più curato; e il nostro amico si
ferma a lato di un piccolo slargo su cui si
affaccia una bella casa, ristrutturata nel
rispetto dei luoghi. Sentiamo una musica
provenire dalla casa, ma il quieto
accompagnatore sembra non avvedersene; accenna
due gradini più sotto la piazzetta e
indica quello che presumibilmente è un
suo grande amico; poi si allontana ancora
più giù. Si ferma ad attenderci
all'inizio di una strada bianca, di terra
battuta , affiancata da alti cipressi che
svettano verso la valle. Forse il viale di un
cimitero. Lui attende che noi facciamo
conoscenza.
Lì, sotto i due gradini verso cui la
piazzetta inclina, un micio dagli occhi azzurro
cielo chiarissimi, piccolo gomitolo morbido di
un caldo color grigio tempera come un maglione
natalizio, si avvicina ai nostri piedi, ronfando
forte di incontenibile contentezza, rigonfio di
gioia evidente.
Alice
non resiste, lo raccoglie e lo accoglie tra le
braccia stupita e felice. Lo accarezza
continuamente, me lo porge in mano. "E'
bellissimo, è bellissimo ! Sembra
aspettasse solo noi. Ma come faceva a sapere che
mi piacciono i gatti ? Vuole fare amicizia,
senti come è contento! Guarda gli occhi,
guarda gli occhi
e come è morbido
. Vuole giocare con noi."
Io guardo a valle verso il nostro anfitrione,
per ringraziarlo; ma lui defilato ora si
accompagna a un vecchio cane spelacchiato, di
pelo giallo come Aquilante, il cavallo di
Brancaleone; camminano fianco a fianco quasi
chiacchierassero. Forse lo fanno, da lontano non
scorgo bene. Procedono lungo la strada bianca.
Ogni tanto si fermano e girano il capo verso di
noi; controllano cosa facciamo e intanto
lentamente guadagnano la meta, sicuri che li
raggiungeremo. Intanto conversano.
Ma
è apparso un altro gatto, più
grosso , forse un po' invidioso delle carezze
elargite suo simile. Reclama la sua dose di
affettuosità. Tenta di avvicinarsi
intimorito e il gomitolo grigio salta a terra
dalle nostre braccia per delimitare la zona. Mi
gira intorno ai piedi avvolgendomi con la coda
una, due, tre, più volte; tante che
,quasi ubriaco nel seguire queste manifestazioni
d'affetto circolare, perdo l'equilibrio e con
una mossa falsa gli pesto forse una zampa. Urla
del gatto quasi inviperito, grido sgomento di
Alice. "Non gli ho fatto nulla !??" , grido
anch'io sobbalzando a mia volta e osservando
timoroso la zampetta che la bestiola un metro da
me tiene sollevata e immobile, quasi volesse
evidenziare uno stato di perentoria accusa verso
la mia goffaggine.
"Gli
hai pestato la zampa!
poverino
,
guarda come la tiene !
amore mio !
non è niente, vieni ti acca-rezzo
non avere paura !" Alice è preoccupata.
Ma quello se ne va, sano e ben risoluto a
inseguire il suo com-pagno di giochi e di
invidie, passando d'un salto l'inferriata di uno
stretto cancelletto che dà sullo spiazzo.
Al di là della cinta, in un giardino
sfiorito e abbandonato, si inseguono tra rovi e
alte erbacce e giocano in balzi
scattanti.
Anche
noi ce ne andiamo senza rimpianti, contenti per
la zampa intatta. Ormai lontano, il nostro amico
ci attende, confabulando sempre col cane giallo,
ma decidiamo di non seguirlo e lo salutiamo
festosi con ampi gesti d'intesa.
Decidiamo
di ripartire per un altro paese e infiliamo una
strada che snodandosi ai piedi del paesino
sembra poterci ricondurre alla macchina
più in alto. Guardiamo la campagna aperta
sotto di noi , respiriamo ostentatamente il
profumo secco di legna bruciata che ci riavvolge
all'improvviso: anche Alice adesso lo riconosce.
Intorno a noi una folla di sensazioni : di gente
che non c'è, di rumori inesistenti, di
totale leggerezza. Nessun rimpianto per non aver
incontrato uomini. Già tanti rimpianti
per dover incontrare qualcuno i prossimi giorni.
Ecco la
macchina, non troppo distante da noi, ed ecco,
poco prima di quella, riapparire il nostro
anfitrione. Ci aspetta ancora, sguardo aperto e
placido, la testa come sempre rivolta a noi e il
corpo nella direzione a cui vuole condurci,
quasi sussurrasse : "Se quella strada non vi
andava bene ne ho ben un'altra, seguitemi !" Noi
lo seguiamo contenti, in effetti non ci va di
ripartire subito. Lo raggiungiamo ricambiando
nel frattempo i saluti di una coppia che,
posteggiata la loro macchina in fianco alla
nostra, scarica dal portabagagli con tranquilla
indolenza ogni sorta di attrezzi e arnesi per
sistemare la seconda casa.
Le mani
in tasca, proseguiamo chiacchierando lungo la
carreggiata asfaltata, guidati verso una riva di
alberi dall'altra parte del borgo, verso il
monte, costeggiando una valletta secondaria. I
pensieri si fanno chiari e limpidi, la
serenità ci accoglie materna;
chiacchieriamo alla buona di tutto
Da una
porticina che da su un' aia ristretta emerge una
vecchina come non se ne vedono che al cinema,
bassa , molto bassina , con scialle e fazzoletto
in testa. Dall'esterno della casa, sbirciando il
buio dell'uscio, si scorge appena oltre la
soglia una sedia, lasciata per contemplare le
ore in silenzio e accomodata per rimirare dalla
casa la rocca e la valle alle nostre spalle.
Sullo schienale si intravede uno scialle, forse
una maglia per agugliare. Un avamposto riparato,
per attendere il tempo e osservare cosa succede
a quelle pietre e al mondo che mutano
lentamente.
Ha un
viso cordiale la signora e un sorriso lieto. Ci
fermiamo. Il nostro amico, che ci precede
sempre, si arresta pazientemente in attesa.
"Buonasera !" e indicando con la mano "Scusi,
signora
.ma lei lo conosce ? E' da quando
siamo arrivati che ci guida per il paese. Ma fa
così con tutti ?" , "Chi ?" e girandosi
vero il nostro accompagnatore "
Buck ? Ah
!
è bravo, è tanto bravo,
è un buon cagnone; è dei vicini
,quelli che commerciano in fieno e letame. E'
proprio un buon cagnone!".
"Buck
!, Vieni qui !
Buck !" chiama Alice, e lui
docile accorre a farsi accarezzare la testa e la
schiena con la festosa e composta allegria. Poi
si rimette avanti a noi e ci guida nuovamente.
La riva d'alberi si avvicina in un baleno, Buck
si inoltra attento su una pista umida,, odor di
selvaggina, e sparisce alla nostra vista verso
le schioppettate che di tanto in tanto lontane
udiamo provenire da quella direzione.
"Papà
hai visto che bravo ? Ci ha guidato lui ! Sapeva
cosa desideravamo e non si è mai
spazientito. Perché non veniamo ad
abitare qui ? E' bello, non c'è traffico
e si sta bene. Respiro bene. Come vorrei un
cane
.". Antiche ferite, Alice
mia
Le
spiego che i cani da caccia, e Buck certamente
un po' lo è, sono i più docili e
intelligenti se solo sono lasciati in
libertà e non costretti a ringhiare e
guaire di fame alla catena prima della stagione
di caccia. Precedono sempre il padrone, lo
aiutano, intuiscono da pochi cenni ciò
che lui vuole, ricambiano il suo affetto e la
sua premura. Non bisognerebbe mai girare la
campagna da soli, ma sempre con un buon amico
come Buck che guida e capisce ciò che a
noi spesso è oscuro o incomprensibile.
Liberi entrambi. Ma legati dal filo sottile
dell'intesa. E così conversando si torna
alla macchina. Buck è scomparso, immerso
in chissà quali piste di odori , naso
attento a terra , fendendo erba e
felci.
Ci
attardiamo volutamente nel risalire in macchina,
sperando di poterlo salutare. Quando i nostri
sguardi si incrociano ormai rassegnati, eccolo
!
Una affettuosa , grata e lunga carezza e poi
via, sotto il suo sguardo attento.
segue...