Capitolo 6 - Incontri significativi per Verdi: Boito e Manzoni - 2/3

Durante uno dei soggiorni londinesi di Verdi, nella primavera del 1867, Giuseppina si recò a Milano, per incontrarsi con la contessa Maffei: con quest’ultima si recò poi in visita ad Alessandro Manzoni. Giuseppina, che ben conosceva l’ammirazione che Verdi nutriva per il letterato milanese, intendeva propiziare un incontro tra colui che era considerato il massimo scrittore italiano vivente e il suo altrettanto celebre marito. Qualche giorno dopo, lasciata Milano, Giuseppina scrisse alla Maffei di avere riferito a Verdi: 

[...] Se andrai a Milano, ti presenterai a Manzoni. Egli t’aspetta, ed io vi fui con lei [la Maffei] l’altro giorno 
e aggiunge che, a queste parole, Verdi 
è venuto rosso, smorto, sudato; si cavò il cappello, lo stropicciò in modo che per poco non lo ridusse in focaccia. [...] N’ebbe pieni gli occhi di lagrime, e tutti e due commossi, convulsi, siamo rimasti dieci minuti in un completo silenzio.
Subito dopo la lettera della Peppina, (37) ne seguì un’altra, indirizzata alla contessa Maffei dallo stesso Verdi:
Quant’invidio mia moglie d’aver visto quel Grande! Ma io non so, se, anche venendo a Milano, avrò il coraggio di presentarmi a Lui. 

Voi ben sapete, quanta e quale sia la mia venerazione per quell’uomo, che, secondo me, ha scritto non solo il più gran bel libro dell’epoca nostra, ma uno de’ più gran libri, che sieno sortiti da cervello umano. E non è solo un libro, ma una consolazione per l’umanità. Io avevo sedici anni quando lo lessi per la prima volta. Da quell’epoca, ne ho letto pur molti altri, su cui, riletti, l’età avanzata ha modificato [...] i giudizj degli anni giovanili; ma per quel libro, il mio entusiasmo dura ancora eguale, anzi, conoscendo meglio gli uomini, si è fatto maggiore.

L’anno seguente, il 30 giugno, i due artisti finalmente si conobbero: Verdi fu molto emozionato da quell’incontro, dal quale ricevette una "sensazione dolcissima, indefinibile, nuova", come egli stesso scrisse, ancora alla Maffei.

Il 15 agosto 1868 venne inaugurato a Busseto il nuovo teatro d’opera, per il quale Verdi stesso aveva consentito che fosse intitolato a suo nome: il musicista, tuttavia, non presenziò alla cerimonia di apertura del teatro, né alle rappresentazioni di Rigoletto e di Un ballo in maschera, che, a celebrazione della "gloria locale", furono le opere con le quali avvenne l’inaugurazione.

Verdi si rifugiò nuovamente a Sant’Agata il mese successivo: fu là che lo raggiunse la notizia della morte di Gioachino Rossini, avvenuta a Passy, presso Parigi, il 3 novembre. 

Il governo italiano si adoperò subito affinché la salma del grande musicista fosse fatta rientrare in Italia, perché Rossini potesse avere – come altri illustri italiani – un monumento funebre in Santa Croce a Firenze; Verdi, a sua volta, propose che i più insigni musicisti italiani concorressero a scrivere una Messa da requiem per onorarne la memoria.

Per realizzare tale proposta, si costituì a Milano un comitato che incaricò undici musicisti, oltre Verdi, di comporre, un brano ciascuno, la Messa per Rossini. A Verdi venne assegnata la parte finale, il Libera me.

Le varie parti furono scritte ma, per una serie di circostanze avverse, la composizione non fu mai eseguita; la composita partitura rimase negli archivi di Casa Ricordi.

Verdi scrisse successivamente altre parti della Messa; rielaborò poi questi brani e concluse organicamente il Requiem, che verrà, in seguito, dedicato alla memoria di Alessandro Manzoni.

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(37)   Così Verdi chiamava familiarmente la moglie.
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