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il Quaderno del 24 luglio

Loro/La leadership traballa

Oggi La Stampa pubblica una semi-intervista con il Capo dello Stato, di cui antologicamente e in modo spesso indiretto riporta il pensiero sull'attuale situazione politica italiana.

Si possono cogliere i seguenti spunti:

Napolitano fa paragoni con gli anni di piombo e Tangentopoli e gli unici nomi che, indirettamente, vengono evocati sono quelli di Ciampi (non più spendibile) e di Amato, che in tal modo si profila come alternativa a Prodi a preferenza di D'Alema, Fassino, Rutelli e Veltroni.

Soprattutto, il Capo dello Stato appare fermo nel non condividere la preferenza di Prodi per il ricorso al voto di fiducia, ma mantiene ben distinto il ruolo della maggioranza e quello dell'opposizione, escludendo una grande coalizione a tavolino perché dovrebbe essere contrattata con Berlusconi.

Ciò fa pensare che Napolitano, pur avendo prefigurato "conseguenze politiche" a una bocciatura del governo in sede di voto di fiducia, preferisca una soluzione di ricambio all'interno del centrosinistra, anche se questa non modificherebbe – sulla carta – il rapporto di forza numerico.

Questo fa pensare anche al fatto che, a sinistra, il metodo Prodi piaccia sempre meno e che l'obiettivo che si sta delineando è proprio quello di fare a meno del Professore, che vorrebbe piegare le resistenze interne a colpi di voti di fiducia ma che di fatto blocca qualsiasi sviluppo e favorisce una crescente contrapposizione fra i tre tronconi della maggioranza: sinistra (incluso il Correntone Ds), Ds e Margherita.

Nelle condizioni attuali, le elezioni anticipate sarebbero un rischio sia per la destra sia per la sinistra e Napolitano vuole che la sinistra le affronti in migliori condizioni.

Queste possono realizzarsi solo con una sostituzione di Prodi, che impostò la sua campagna elettorale sulla base di un accordo molto stretto con la sinistra dell'Unione e adesso ne paga le conseguenze.

Occorre un leader che non si leghi alla sinistra dell'Unione e appaia credibile anche alla testa – se non verrà modificata nel frattempo la legge elettorale e quindi resterà il premio di maggioranza – di una coalizione più ristretta, ma comunque in grado di vincere la sfida con la destra.

Un leader che abbia a disposizione alcuni mesi di governo, difficile finché si vuole, ma che possa attirare voti sulla sua persona più di quanto non abbia fatto o potrebbe fare Prodi.

Per cui l'unico nome citato – quello di Amato – appare con le maggiori chance, ma a condizione che riesca poi a destabilizzare la Casa delle Libertà, la quale, se restasse compatta, con il ritiro dell'estrema sinistra dall'Unione, potrebbe vincere le elezioni.

Ne segue che l'attenzione si concentra proprio sul centrodestra, il quale può senza dubbio trarre vantaggi dalle difficoltà di Prodi e dei suoi ministri (Bersani, Visco in primo luogo), anche se dovrà presentare un progetto alternativo agli elettori.

Loro/Il governo in crisi di ossigeno

L'intervista del Capo dello Stato rilasciata al quotidiano La Stampa dimostra la tendenza sempre più marcata delle istituzioni ad intervenire nel dibattito politico. Ieri quella del Presidente del Senato, oggi del Presidente della Repubblica. Questo protagonismo conferma la gravità della situazione che vive il Paese, costringendo i vertici delle istituzioni (le stesse scelte secondo una logica di appartenenza partitica) a sopperire alle carenze di iniziativa politica delle forze politiche della maggioranza di governo.

In questo protagonismo si intrecciano sia reali preoccupazioni sulle difficoltà del Paese in seguito alle elezioni politiche di aprile, sia calcoli politici che si muovono all'interno del perimetro politico dell'attuale governo.

Questo protagonismo assume con Giorgio Napolitano una diversa configurazione rispetto a quella, ad esempio, di Carlo Azeglio Ciampi. Ciampi interveniva e condizionava pesantemente la maggioranza di centrodestra, nei precedenti cinque anni, sul piano strettamente parlamentare e giuridico. Ciampi, ad esempio, non avrebbe consentito ad una maggioranza di centrodestra (non si sa quale sarebbe stato il suo atteggiamento nel caso di una maggioranza di centrosinistra, anche se il suo comportamento come senatore a vita lo fa purtroppo intuire) di legiferare attraverso decreti di urgenza su materie come quelle disciplinate dal decreto Visco-Bersani, e sarebbe intervenuto per scoraggiare il governo dal porre ripetutamente il voto di fiducia.

Napolitano interviene invece pubblicamente e sul piano strettamente politico (come ha rifatto oggi sui temi più vari e senza freno), per richiamare la necessità di un dialogo tra maggioranza e opposizione e per mettere in guardia il governo che, sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, sarebbero auspicabili ampie convergenze.

Questo interventismo politico di Napolitano e, seppure in maniera diversa, degli altri vertici delle istituzioni, può piacere o meno, ma rappresenta un dato ineliminabile con cui fare seriamente i conti.

Nel caso di Napolitano, conviene assecondare le sue riflessioni politiche in quanto sembrano muoversi obiettivamente verso traguardi politici e istituzionali nuovi e più avanzati rispetto a quelli scaturiti dal voto di aprile.

Loro/La sinistra sui carboni ardenti

E' una settimana di fuoco, quella che è appena cominciata per il governo, con voti parlamentari, tutti in arrivo e tutti pericolosi: sull'Afghanistan, sull'indulto, sul decreto Bersani per le liberalizzazioni.

Sull'Afghanistan, le incertezze dovute alla esistenza di un gruppo di "ribelli" che anche contro la posizione dei rispettivi partiti, Rifondazione, comunisti di Diliberto e Verdi favorevoli in ogni caso a un voto che salvi il governo, non hanno ancora deciso la linea di condotta. Il dilemma è se mettere la fiducia, oppure no. A chiedere la fiducia sono i partiti estremisti, in quanto solo un voto coatto, che cambi l'argomento sul quale pronunciarsi (non più l'Afghanistan ma la fiducia al governo e la sua sopravvivenza) può assicurare la continuità dell'esecutivo.

Con una maggioranza che resta tanto stretta, il rischio è quello di un voto che apra la strada a una crisi di governo. Soprattutto, però, a scoraggiare il ricorso a un voto di fiducia sono due delle cariche istituzionali dello Stato: il presidente del Senato Marini e il presidente della Repubblica Napolitano. Questa chiusura, rifiutando in pratica il voto delle opposizioni, interromperebbe il processo di accordo con l'opposizione laddove sono in gioco gli interessi del Paese, come nella politica estera. E condannerebbe il governo a una vita stentata proprio all'inizio della legislatura. Ma è questa, per la verità, una delle ragioni per le quali i partiti della sinistra estrema salgono sulle barricate. Lo fanno in difesa di una formula che li vede partner indispensabili.

Se questa è la preoccupazione maggiore del governo, e la più immediata, non è però la sola. Prima della interruzione estiva dei lavori parlamentari dovrebbe andare in porto, e ai voti, l'accordo stipulato con l'opposizione sull'indulto. Qui a porre ostacoli è un altro pezzo della maggioranza, l'Italia dei Valori. Di Pietro vuole escludere dalla proposta sull'indulto i reati dei "colletti bianchi", corruzione, bancarotta. In tal modo si rimetterebbe però in discussione l'accordo con la CdL, indispensabile per raggiungere i due terzi dei voti necessari alla leggi di clemenza. Da notare che il gruppo di Di Pietro, comprendendo nomi come quelli di Franca Rame, di Orlando e di altri mette insieme le tendenze estremiste e quelle giustizialiste.

Si presenta complicato anche l'iter parlamentare del "decreto Bersani" che comprende le misure di liberalizzazione e le misure fiscali. Su tutti e due i "pacchetti " di provvedimenti il governo viaggia tuttora in alto mare. Sulle "liberalizzazioni", dopo l'accordo del ministro con i tassisti, accolto da gran parte del centro-sinistra come un cedimento, c'è una spinta al ministro a irrigidirsi nel timore che la vertenza dei tassisti sia un prologo ad altri insuccessi.

Nella realtà, quel che non si dice è che il ministro è stato indotto a negoziati tardivi con le categorie autonome proprio perché queste sono state escluse con la strada del decreto-legge.

In definitiva, a seguito della tempesta di critiche abbattutasi sul ministro Bersani, la partita si gioca tutta all'interno del centro-sinistra.

Unione/L'ondata di forcaioli...

Può una legge giusta essere considerata sbagliata o peggio inopportuna perché coinvolgerebbe nei suoi benefici una persona tra le tante, che è stata osteggiata, combattuta e verso la quale permangono ancora fortissimi pregiudizi politici ed umani?

Il provvedimento sull'indulto oggi arriva a Montecitorio, ma ad aleggiare sulla rissosa e confusionaria maggioranza di governo sembra, come in una tragedia shakespeariana, il fantasma di Cesare Previti, che torna dal passato. Un Previti che viene usato da chi è contrario a questo provvedimento di alleggerimento delle pene, come un antieroe della tragedia classica. Come l'incarnazione subdola di tutti i tentativi di creare leggi adatte alle persone. Si è scomodato persino Scalfari stamattina sul suo giornale a rievocare il fantasma dell'ex ministro della Difesa, parlando di ricatti e mettendo il guardia il centrosinistra da questa proposta di indulto. E' davvero il passato che torna. Ma non certamente quello di Previti e delle sue vicende. Lui, per la verità, dopo la condanna della Cassazione è uscito di scena. Mestamente, ma con dignità. E' fuori da tempo dal mondo politico. E' un condannato e sta scontando la sua pena. Punto. Il passato che torna è un altro. E' quello di una sinistra che è prigioniera di se stessa, di un vissuto che non riesce, o non vuole, rimuovere. E' sempre oscillante tra il giacobinismo becero e violento, figlio dei tempi di Tangentopoli e un vago ricordo del suo garantismo.

Le vicende delle polemiche interne all'Unione sul provvedimento sull'indulto sono le radiografia aggiornate di quello che oggi è il centrosinistra. Un giustizialismo trasversale, che non infatua soltanto la sinistra radicale o il dipietrismo; ma pervade e si incunea in molti partiti, anche nei più moderati, creando casi di coscienza o presunti tali, ripensamenti, crisi. La sinistra è sempre più uguale a se stessa. Immobile, nonostante il passare degli anni e degli avvenimenti.

Negli anni del governo Berlusconi la sinistra ha riempito i giornali con becere dichiarazioni sulle presunte leggi ad personam che il governo avrebbe fatto per favorire appunto persone vicine. Ma la sinistra con le polemiche sull'indulto sta, come al solito contraddicendo se stessa, rimangiandosi anni di propaganda e cadendo in errori che la sua stessa propaganda aveva denunciato come gravissimi. Tirando le somme: si passa dalle denunce per le cosiddette leggi "ad personam" all'attuazione di leggi "contra personam". Ma le leggi, ricordava sommessamente stamattina Piero Ostellino, dovrebbero valere "erga omnes". Ma al di la di latinismi che però rendono chiara la situazione, se questo provvedimento sarà affossato la sinistra perderà l'ennesima occasione per scrostarsi un po' di dosso le scorie giustizialiste e l'Italia che aspetta con ansia una legge sull'indulto si ritroverà ancora una volta, come in questi mesi, ingannata, come nel caso delle presunte liberalizzazioni, da un governo che non è e non riuscirà mai ad essere in sintonia con il Paese.

Unione/...in un mare di ipocrisia

«Attaccare i militari in Afghanistan non è terrorismo». Così un giudice di Bologna ha respinto la richiesta di custodia cautelare per 18 sospetti terroristi islamici, legittimando il martirio islamico dei kamikaze anche in Afghanistan, dove la missione di pace ha ottenuto il via libera dell'Onu. Mentre il Parlamento si accinge a votare il rifinanziamento della missione, con grandi difficoltà, visto che la maggioranza è spaccata e rischia di non avere i numeri per essere autosufficiente in Senato, la magistratura interviene con il suo consueto modo di incendiare gli animi. E stravolge le uniche certezze che avevamo: in Afghanistan i militari sono in missione di pace, chi si fa saltare in aria provocando morti e feriti, sangue e disperazione, è un terrorista, chi si prepara ad uccidere, chi addestra altri a farlo, è un terrorista.

Ovviamente, da sinistra, non una voce si leva contro il giudice del riesame di Bologna che ha partorito simile "illuminata" ordinanza. No, nessuno dice una sola parola. D'altra parte non ci si può certo aspettare una critica da Diliberto, Rizzo, Pecoraro Scanio o Giordano, visto che loro descrivono come "aggressori" ed "occupanti" i nostri militari e "resistenti" i terroristi.

Neanche Antonio Di Pietro e la sua corte di inguaribili forcaioli e giustizialisti dice una sola parola. Lui, come Monaco, come altri accoliti che fanno politica solo ed esclusivamente contro Berlusconi e contro Previti, non pensano ad altro. Possono pure uscire dal carcere terroristi sanguinari, l'importante è che non ci siano sconti per Previti, ancorché condannato da un processo ingiusto e da un giudice di Cassazione che ha manifestato la sua ostilità al governo da scrivere una durissima lettera contro Berlusconi e la Moratti. No, per Previti niente sconti. Lui deve pagare fino in fondo. Stupratori, assassini, rapinatori e quanto di peggio è rinchiuso in carcere (che una volta fuori hanno più probabilità di tornare a delinquere del deputato azzurro) possono pure essere scarcerati. E' questa l'ipocrisia, è questo lo scandalo. E' scandaloso che una parte della sinistra – per quanto piccola – insista nel pretendere che si varino provvedimenti contra personam. E la persona è sempre la stessa: Cesare Previti, che agli occhi di Di Pietro è più pericoloso dei kamikaze.

Faccia tosta/Spoil system? Ora va bene...

L'industria del mobile, si sa, non attraversa il suo momento migliore. Con la debita eccezione di un piccolo segmento: quello delle poltrone, al quale si sta dedicando con grande attenzione il governo. Sistemata la partita dello spacchettamento dei ministeri, la vorace combriccola prodiana punta con decisione la prua verso i grandi (e piccoli) enti pubblici e verso la dirigenza statale.

"Riduciamo il poltronificio", esortava pochi giorni fa Tiziano Treu. In base all'aurea regola del parlar bene e razzolare male, sta accadendo tutto il contrario. Ci si sciacqua la bocca in nome della competenza, ma alla fine viene premiata la fedeltà. Con qualche mal di pancia nell'alleanza, come nel caso delle nomine nel cda dell'Anas, dove Di Pietro ha innestato un paio di suoi fedelissimi senza chieder conto ad alcuno.

In attesa che vengano sistemate le partite di Alitalia e Ferrovie, un nuovo fronte caldo viene aperto per intervenire nella rimozione di dirigenti ministeriali poco graditi al governo.

Il Messaggero di oggi ci dà conto di un misterioso emendamento governativo al decreto Bersani, in base al quale per i prossimi due mesi il governo avrebbe il potere di cambiare "l'oggetto degli incarichi" a tutti i dirigenti generali.

Acquista così un senso compiuto lo scarico di responsabilità di Visco, quando attribuì al suo ufficio tecnico la colpa del brutto provvedimento sulla tassazione degli immobili. Così come sono note le lamentele di Bersani circa la squadra che ha trovato al ministero. Il sottosegretario Nicolais sostiene che cambiare le regole tanto in fretta sarebbe un errore, ma l'impressione è che ci si trovi davanti a un gioco delle parti. L'emendamento sarebbe stato confezionato proprio da Visco e Bersani, che hanno lanciato così il sasso nello stagno: non passerà subito, ma intanto l'argomento è stato inserito all'ordine del giorno.

Rinfreschiamo la memoria alla sinistra, citando le "belle parole" dell'interrogazione di alcuni parlamentari (Bassanini, Melandri, Mancino) che nel 2003 si scagliavano contro la legge Frattini: "Nessun dirigente pubblico, sotto la brutale applicazione di logiche di spoil system, potrà garantire l'imparzialità che la Costituzione richiede alle amministrazioni pubbliche, che appartengono a tutti i cittadini e non solo a chi detiene il potere". Dai banchi dell'opposizione davano lezioni di etica, ora che sono al potere danno il peggio di sé. Prendendo alla lettera il significato della parola spoil system: "Il sistema di distribuire cariche ai seguaci del partito vincente" (Il Nuovo Ragozzini, dizionario di lingua inglese). Si salvi chi può.

   

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