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il Quaderno del 8 settembre

Bonaiuti: Berlusconi rimane l’unico vero, grande oppositore della sinistra

"Quante volte abbiamo sentito queste esortazioni a stare lontani dalla Rai poi mai seguite da fatti concreti? La verita' e' che la sinistra ha agito nello spirito della peggiore e antica lottizzazione della Rai anche questa volta, come sempre ha fatto". Cosi', intervistato da Radio Radicale, Paolo Bonaiuti portavoce di Silvio Berlusconi replica alle dichiarazioni rese in mattinata dal ministro delle Tlc Paolo Gentiloni.

"Giuliano Amato disse che la sinistra ha la tendenza a sentire la Rai come una cosa propria - dice Bonaiuti - una tendenza a sentirsi orfana se non riesce ad avere tutte le sue posizioni chiave all'interno del servizio pubblico. Faccio i miei complimento a Daniele Capezzone per la denuncia del foglietto sulle nomine Rai."

"Il problema e' che non si parte mai dalla professionalita', ma esclusivamente dal desiderio di occupare quelle poltrone con certi nomi per avere delle precise garanzie. Premetto - aggiunge Bonaiuti - che tutti noi politici abbiamo sbagliato su questo, ma come si puo' pensare che in un'azienda di 1400 giornalisti non ci siano le competenze per ricoprire incarichi importanti? Ho sentito fare dall'esterno tutti nomi validissimi, pero' voglio spezzare una lancia a favore della gente che lavora nell'azienda".

Bonaiuti e' poi intervenuto sulla questione del conflitto di interessi: "Berlusconi rimane l'unico vero grande oppositore della sinistra e loro che lo sanno pensano al modo migliore per tenerlo fermo. Io personalmente attendo con uno spirito totalmente sconsolato", spiega a Radio Radicale.

"Nel 1995 fu un referendum popolare a sancire la possibilita' che Berlusconi potesse tenere le televisioni. Nella legislatura 1996-2001, periodo in cui ci furono ben quattro governi di sinistra, votammo insieme maggioranza e opposizione una legge sul conflitto di interessi in una delle due Camere, senza che potesse arrivare mai nell'altro ramo del Parlamento, suscitando cosi' negli osservatori il dubbio piu' che legittimo che l'avessero lasciata come una sorta di opera incompiuta per poter poi accusare Berlusconi in campagna elettorale di essere in conflitto di interessi".

"A parte il fatto che la legge Frattini e' al passo con le piu' avanzate regolamentazioni europee e anglo americane, come mai proprio mentre a sinistra hanno grosse difficolta' interne tirano fuori il conflitto di interessi? Lo fanno per mettere alle strette quello che e' l'unico vero grande oppositore della sinistra".

"Possono parlare di feste, di canti, possono dire che non e' presente, tutte queste balle, ma non incantano l'osservatore attento, Silvio Berlusconi rimane l'unico vero grande oppositore della sinistra, e loro che lo sanno pensano al modo migliore per tenerlo fermo".

Loro/Finanziaria, assalto agli autonomi

La lotta di classe dell’Unione trova applicazione pratica nella politica fiscale del governo. Il motto di Romano Prodi è "colpire" chi non lo ha votato o chi non è iscritto al Sindacato. Alla luce di questa filosofia il governo conta di recuperare buona parte degli 8 miliardi di nuove entrate per il 2007 attraverso una spremitura fiscale dei lavoratori autonomi e un aumento dei contributi previdenziali sui para-subordinati: nel primo caso si tratta di commerciati e artigiani e il "popolo delle partite Iva", nel secondo caso si tratta di tutte le nuove figure professionali la cui creazione è stata favorita dalla legge Biagi, e che - per tradizione - non sono iscritti al Sinndacato.

Per gli autonomi l’operazione fiscale sarà doppia. Da un lato verrà abbassata la soglia di reddito alla quale applicare gli studi di settore. Oggi commercianti, artigiani e professionisti che rientrano nell’applicazione degli studi di settore lo fanno soltanto a partire da un determinato livello di reddito. Il governo conta di abbassarlo, in quanto è convinto (nella sua filosofia di lotta di classe fiscale) che fra queste categorie si annidino potenziali evasori fiscali. Con la Finanziaria del 2005 il governo precedente ha già avviato una incisiva revisione degli studi di settore che è proprio l’elemento di fondo che ha portato il maggior gettito Irpef e Ires che sta migliorando notevolmente i conti pubblici di quest’anno. Non è finita. Per i lavoratori autonomi verrà anche introdotto il divieto di cumulo fra redditi previdenziali e redditi da lavoro. Il divieto scatterà ad una soglia di reddito intorno ai 30 mila euro l’anno.

Come si vede quindi nel governo c’è un evidente volontà di sanzionare fiscalmente chi ha "avuto la colpa" di votare Berlusconi.

Loro/Finanziaria, divisi su tutto

Mentre la popolarità di Prodi è scesa addirittura sotto il 40%, la Finanziaria si presenta come un insormontabile percorso a ostacoli per il premier. I malumori latenti, infatti, si sono repentinamente trasformati in scontri all’arma bianca, come nel caso di Fassino che, appena ha sottolineato la necessità di varare una Finanziaria rigorosa che contenga i tagli alla spesa, a partire dai quattro settori indicati nel Dpef (sanità, previdenza, pubblico impiego e finanza locale), è stato impallinato dal fuoco di tutta la sinistra radicale.

Diliberto ha rimproverato al leader della Quercia di tradire il programma dell’Unione sostenendo posizioni inaccettabili quale quella dell’innalzamento dell’età pensionabile. In realtà, nel programma di Prodi un accenno alle pensioni c’era, ma talmente vago che ora ognuno può interpretarlo secondo la sua visione politica. Stanno venendo al pettine, insomma, i nodi di quel programmismo indefinito con cui il premier è riuscito a tenere insieme il suo cartello elettorale, ma che ora dimostra tutte le sue insufficienze alla prova del governo.

Nel programma, tanto per fare un esempio, non c’è alcun accenno ai disincentivi per ritardare l’uscita dal mercato del lavoro che fanno infuriare sindacati e partiti massimalisti, pronti a fare le barricate contro chi ha intenzione di fare cassa con le pensioni dei lavoratori.

Anche per i tagli alla Sanità, il copione è esattamente lo stesso: "Non sono previsti nel programma dell’Unione" - è stata la secca risposta del ministro Ferrero a Fassino. Questo mentre dall’Europa continuano ad arrivare severi avvisi all’Italia sul fatto che la ripresa economica in atto deve essere utlizzata come un'opportunità per mettere a posto i conti. La Bce nel Bollettino di settembre ha inviato un richiamo esplicito a Prodi, invitando il governo a varare una manovra di finanza pubblica che contenga importanti azioni di risanamento e significative misure supplementari, a partire dal taglio delle pensioni.

In gioco - ma la partita è probabilmente già persa - c’è anche la credibilità di Tommaso Padoa-Schioppa, che nei mesi scorsi ha promesso fuori e dentro i confini nazionali "interventi strutturali". Il ministro all’Ecofin di luglio è riuscito a far digerire all’Europa il mancato rispetto dell’impegno, preso dal governo Berlusconi, di una correzione dei conti dello 0,8 per cento per quest’anno proprio grazie alle sue promesse di interventi strutturali severi nel Dpef. Interventi che né lui né Prodi saranno però in grado di imporre alla coalizione. E il professor Tps non potrà restare a lungo in un governo che sta minando il prestigio e la credibilità internazionale del nostro Paese.

Loro/Finanziaria, il cartello dei furbetti

Il tentativo del governo Prodi di incantare l’Europa con la politica estera per ottenere un trattamento di favore sul risanamento dei conti pubblici, rivela la natura della coalizione di centrosinistra: un cartello dei furbetti che ha dato la scalata alla maggioranza parlamentare e che, dopo averla conquistata per una manciata di voti, spinge all’estremo la logica della spartizione del potere, occupando tutte le posizioni, dalle più alte cariche dello Stato fino ai più piccoli centri di potere.

Il governo Prodi beneficia del risanamento dei conti pubblici avviato dal centrodestra, dell’aumento delle entrate fiscali innescato sia da Tremonti sia dalla riforma della legge sul lavoro che ha rilanciato l’attività economica, ma non vuole riconoscere la base dei dati che adesso rivendica a sé senza la minima copertura logica e cronologica.

Inoltre beneficia di una ripresa economica europea più generale, che comunque viaggia a una media di 0,9 punti percentuali superiore a quella italiana (2,7 contro 1,8).

Mentre la strategia di risanamento del centrodestra mirava, senza causare traumi sociali, a modificare le cause strutturali del deficit, partendo dalla riforma previdenziale, quella del centrosinistra scambia il risanamento con il saccheggio del ceto medio produttivo ed evita di affrontare i nodi strutturali.

Il richiamo su questo punto - che viene dall’Ocse, dal Fondo monetario e della Bce - ha scompaginato il centrosinistra: l’ala sinistra del cartello (Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi) vuole una manovra minima (25 miliardi); l’ala destra (Margherita) vuole una manovra massima (anche se si è attestata sui 30 miliardi); i Ds sono in mezzo al guado, divisi tra la tendenza rigorista per non squalificarsi in Europa (e presso i poteri forti) e la tendenza lassista per non perdere l’alleanza con la sinistra estrema.

L’unica cosa certa è l’aumento della pressione fiscale, che come afferma Il Sole 24 Ore, salirà di quasi un punto (lo 0,7) tra il 2006 e il 2007, la più alta dal 1997, ma senza avere ottenuto dai sindacati l’autorizzazione a licenziare i fannulloni e fondandosi su previsioni ottimistiche per quanto riguarda i tagli alla spesa pubblica e la poco credibile promessa di Visco di restituire ai cittadini questo incremento negli anni successivi.

L’Europa non è caduta nella manovra illusionistica di Prodi e ha ribadito la richiesta di riforme strutturali, annunciando nel contempo un futuro aumento del costo del denaro, che per l’Italia significherà rendere impossibile una diminuzione del debito pubblico, la cui entità minaccia la stabilità dell’euro.

In questo modo, l’artefice del "successo" dell’ingresso dell’Italia nell’euro, diventa, agli occhi dell’Europa, il più pericoloso affossatore della moneta unica, confermando che la sinistra è europeista a parole e anti-europeista nei fatti.

Così l’armata Brancaleone, cioè il cartello elettorale della sinistra, si sta trasformando in una nuova calata dei Lanzichenecchi in Italia.

Alla fine di questa nuova esperienza di governo egemonizzato dalla sinistra, l’Italia si troverà ancora di più ai margini dell’Europa.

Per questo è auspicabile che la Casa delle Libertà si concentri sempre più nella difesa degli interessi veri e a lungo termine degli italiani, in contrasto alla politica del cartello dei furbetti.

Loro/Finanziaria, super ministro ridicolizzato

Diciamolo francamente: il superministro dell’Economia, Padoa Schioppa, fa un po’ tenerezza. Laureato alla Bocconi, un master in economia al Mit, membro del comitato esecutivo della Banca Europea, presidente della Consob, vicedirettore generale di Bankitalia, già capo della direzione Affari economici della commissione europea.

Eppure, come uno scolaretto, eccolo qui a sorbirsi i rimbrotti dei vari Cento, Mussi, Diliberto, Ferrero, Giordano, che salgono in cattedra e lo accusano di non saper fare due più due. Così oggi, dulcis in fundo, dalle pagine dell’Unità, anche il segretario della Cgil gliene manda a dire quattro:"Penso che Padoa Schioppa abbia sbagliato all’inizio le sue previsioni". E, tanto per essere chiaro, aggiunge: "Gliel’ho detto in faccia e lo ripeto qui".

Messo in riga anche da Epifani, si conferma quel che già si sapeva: il Grande Economista è stato scelto da Prodi, e subito relegato a mezzo servizio dal cane da guardia Visco, con il ruolo di foglia di fico (verso Bruxelles) di un governo che sulla finanziaria non sa che pesci pigliare.

Dalle pagine del Corriere, in una intervista-lenzuolo, si difende come può ma, soprattutto, non aggiunge nulla che non sapessimo. Anche i suoi limiti nel fare e capire la politica. Il ministro dell’Economia appare come un pugile suonato: da un lato conferma che "la situazione è per certi versi più critica del ‘92", ma nulla dice sul fatto che proprio la sua correzione dei numeri della Finanziaria gli dà torto.

Arrendevole con Epifani ("Troveremo l’accordo") e aggressivo con Monti, che gli aveva rimproverato la mancata concertazione con le categorie colpite dal decreto Bersani, dice: "Pensare che ci possa essere un piano di liberalizzazioni che dia tutto il tempo di organizzarsi a chi ha armi potenti per bloccarle è un’ingenuità". Insomma, i sindacati sono deboli, non sono mica i tassisti. Ricorda che "la Thatcher cercò lo scontro e sappiamo come finì". Anche noi: l’economia della Gran Bretagna marcia a mille e l’Italia arranca.

Loro/Il contratto impossibile

Le gravi difficoltà del governo di Romano Prodi nella definizione della legge finanziaria - il Professore è nella tenaglia dell’Europa e del dissenso interno alla coalizione - vengono da lontano. Vengono da quel programma prolisso e tortuoso di oltre 280 pagine che l’Unione ha sbandierato e usato, quasi fosse un breviario laico, nella campagna elettorale.

Quel programma, in verità, voleva essere un’imitazione del "contratto con gli italiani" col quale Silvio Berlusconi aveva realizzato una svolta significativa nella comunicazione politica. Le "teste d’uovo" di Prodi avevano pensato che anche l’Unione avrebbe dovuto assumere impegni chiari e precisi con gli elettori, per non restare nella genericità delle promesse elettorali. Se aveva funzionato col Cavaliere...

Ma in politica l’imitazione, il tentativo di scimmiottare, non sempre produce buoni frutti. Il programma dell’Unione non poteva essere chiaro, per motivi strategici e tattici. Da una parte, bisognava buttar fumo negli occhi degli elettori celando, per quanto possibile, la volontà di inasprire la pressione fiscale; dall’altra, bisognava dare contentini e rassicurazioni alla sinistra radicale, mettendo nero su bianco che non si sarebbero operati certi tagli nella spesa pubblica e che, ad esempio, non si sarebbe toccato il sistema previdenziale, anzi si sarebbe cancellata la riforma Tremonti-Maroni col suo "scalone". Ne è venuto fuori un mediocre esercizio d’ipocrisia che oggi si ritorce contro i suoi ideatori.

Carta senza valore - In realtà il programma-contratto, proprio per l’abuso di compromessi e di formulazioni vaghe, si sarebbe dovuto ignorare e dimenticare dopo la striminzita vittoria (si fa per dire) elettorale. Gli uomini del Professore s’impegnavano a non aumentare le tasse, ma appena arrivati al potere si sono messi di buona lena al lavoro per inasprire prelievi vecchi (sulle rendite finanziarie, ad esempio) e per studiarne di nuovi. Si prepara una gelata fiscale per gli autonomi e anche per i lavoratori dipendenti non bisogna porre limiti all’inventiva di Visco. Fino a quando si tratta di tassare e tartassare per la sinistra radicale (dai verdi ai rosso-cupo) va benissimo, i guai cominciano per il Professore se si mette in testa di affrontare il tema doloroso dei tagli alla spesa, o se si azzarda a mettere in discussione il sistema previdenziale. Su questi temi si coalizzano sindacati e sinistra radicale e ogni velleità riformista s’illanguidisce fino ad annullarsi.

Nel programma non si faceva alcun cenno all’innalzamento dell’età pensionabile - che la riforma dello "scalone" ha realizzato con la gradualità necessaria -ma i capi e capetti dell’Unione hanno cambiato idea, anche perché i mastini di Bruxelles non mollano la presa. Ed ecco, allora, Piero Fassino, di rincalzo a D’Alema, affermare che l’età del pensionamento va innalzata. Oliviero Diliberto, a questo punto, si è appellato al contratto impossibile: l’innalzamento dell’età lavorativa, ha detto, non è nel programma, quindi le proposte di Fassino sono "irricevibili".

Il programma si vendica dei suoi estensori. E’ servito, forse, a ingannare qualche elettore, ma non serve a risolvere le contraddizioni dei compagni scompagnati. Carta straccia.

Rai/Corsa alle poltrone: martedì il traguardo

"La politica stia fuori dalla Rai...". Pronunciata dal presidente dell’Azienda di viale Mazzini, per di più nel corso della conferenza stampa che ha sancito il ritorno in Rai di Michele Santoro, la frase ha del ridicolo.

Perché Claudio Petruccioli è l’immagine della politica e dell’occupazione politica dell’Azienda: uomo di apparato (comunista) è stato designato a quell’incarico come "amministratore delegato" del suo partito di appartenenza e in questi mesi di presidenza ha gestito la Rai con il bilancino della politica.

Petruccioli sa bene che la politica non abbandonerà mai viale Mazzini, parole in libertà, dunque, quelle pronunciate ieri dal presidente; parole che vogliono smorzare le polemiche di questi giorni sulle prossime nomine; parole che - è tanto di moda in questi giorni - vogliono rappresentare una discontinuità tra la maggioranza di oggi e la maggioranza di ieri.

Parole che scivolano via senza lasciare tracce, perché tutti sanno che il Consiglio di Amministrazione è stato, è e sarà sempre espressione della politica; perché tutti sanno che le prossime nomine saranno, come sempre, frutto di un compromesso tra i due schieramenti; perché tutti sanno che in Rai non si fa carriera per meriti ma solo per raccomandazioni. Un vecchio arnese democristiano citò questo aneddoto al tempo della Prima Repubblica: in Rai si assumono quattro giornalisti per volta, un democristiano, un comunista, un socialista e uno bravo.

Un aneddoto che torna di attualità in queste ore di vigilia del Consiglio di Amministrazione di martedì che dovrà discutere del pacchetto nomine preparato dal presidente Petruccioli e dal direttore generale Cappon.

I due avrebbero voluto usare la tecnica del carciofo: una nomina per volta. Ma i consiglieri di centrodestra si sono opposti pretendendo che la "strana coppia" illustri il progetto generale dei cambiamenti. E ieri, giornata molto lunga e faticosa per i vertici della Rai, proprio di questo progetto si è parlato nel corso di riunioni informali: il filo sottile della trattativa sarebbe stato ripreso e i più ottimisti ritengono che martedì il pacchetto venga portato in consiglio.

Due le scuole di pensiero: quella di Curzi che vuole ad ogni costo chiudere la partita con soddisfazione di tutti e quella di Rizzo Nervo che vuole andare alla rottura, alle dimissioni di Cappon (non gli resterebbe altro se il pacchetto venisse respinto) e alla caduta di questo Cda dal momento che il ministro Padoa Schioppa si vedrebbe costretto a "espellere" il consigliere di nomina ministeriale - Angelo Maria Petroni - per manifesta contrapposizione nei confronti del Dg, pure lui espressione del ministero.

A occhio e croce, un accordo alla fine verrà trovato. Sapete perché? Non certo per senso di responsabilità, ma solo perché gli otto consiglieri e lo stesso presidente sono tutti attaccati alla loro poltrona che hanno scelto lasciando incarichi importanti.

   

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