.
La vocalità nelle opere verdiane







Fin dai suoi primi lavori, Verdi indicò un nuovo modo di "fare teatro" in musica e affidò alle voci che dovevano interpretare i ruoli previsti nelle sue opere compiti in molti casi del tutto nuovi rispetto a quanto effettuato dai suoi predecessori.

Se indubbiamente tra i suoi primi "modelli" vi furono Bellini e Donizetti, ben presto se ne discostò totalmente, per adottare criteri del tutto nuovi, che rivoluzionarono anche le tecniche di canto.

Già da Nabucco, soprattutto nella parte destinata al soprano (Abigaille), Verdi diede un saggio dei propri intendimenti rispetto alla rispondenza delle voci a concetti del tutto nuovi di drammaticità teatrale; il suo progetto si rafforzò, poi, particolarmente con Ernani, Macbeth, Luisa Miller e Rigoletto. Ma è con Il trovatore che Verdi affermò inequivocabilmente la sua personalissima concezione della vocalità. Il compositore introdusse infatti nel canto, con una libertà fino ad allora sconosciuta, alcuni elementi originali, che diverranno poi peculiari dello stile verdiano: per il maestro, l'azione scenica drammatica e l'elemento interpretativo avrebbero dovuto avere il sopravvento sulla purezza melodica, sul suono cristallino e sulla prassi belcantistica

Il "belcanto" era uno stile di canto, in auge approssimativamente sino agli anni Trenta dell'Ottocento, totalmente svincolato da esigenze di realismo drammatico e tendente a un'astrattezza artistica di contenuto e significato puramente musicale. Componenti fondamentali del belcanto sono considerate: un timbro raro, un virtuosismo fiorito e ardito (coloriture, vocalizzi), una vocalità spianata e semplice, l'eloquenza nell'esecuzione dei recitativi, la varietà di accenti e di tinte, la ricchezza dell'espressione, la facilità e fluidità di emissione della voce, il dosaggio del suono secondo principi di finezza e abilità determinati da un appropriato addestramento vocale.

A seguito dell'affermarsi di tale concezione, per esempio, il soprano ideale per l'interpretazione delle opere verdiane dovrebbe essere il cosiddetto "lirico spinto"; quello cioè con una maggiore estensione vocale sia nei toni gravi sia in quelli acuti e dotato di una considerevole potenza vocale; il tenore ideale, quello che avesse saputo tener testa all'intero complesso orchestrale, lanciando le note acute (come il famoso "do di petto") con forza.

La varietà di colori e di intensità costituivano per il maestro l'asse portante di un corretto fraseggio. Verdi diede inoltre grande importanza alla recitazione; pretendeva che i cantanti fossero attori veri e propri, e richiese quindi che gli interpreti fossero in grado di muoversi adeguatamente sul palcoscenico, fornendo quindi anche con il gesto oltreché con la dinamica vocale un preciso ritratto dei personaggi rappresentati, degli eventi e dei sentimenti contenuti nell'opera teatrale.

Nelle partiture delle sue opere, Verdi appose inoltre un gran numero di segni d'espressione, che forniscono l'esatta indicazione di ciò che il compositore esigeva dai cantanti rispetto al fraseggio, ai "colori" desiderati, all'intensità di suono da ottenere, alla varietà di atmosfere da ricreare in scena con l'uso di una appropriata vocalità. Il maestro stesso, interpellato nel 1871 da Giuseppe Piroli, che, fungendo da intermediario tra Verdi e l'allora Ministro dell'istruzione Cesare Correnti, richiedeva al musicista che questi indicasse alcuni elementi essenziali concernenti la riforma degli studi nei Conservatori musicali dell'Italia unificata, così si espresse riguardo allo studio del canto:

Pel cantante vorrei: estesa conoscenza della musica; esercizi sull'emissione della voce; studi lunghissimi di solfeggio come in passato; esercizi di voce e parola con pronunzia chiara e perfetta [...] Vorrei che il giovane forte in musica e con la gola esercitata e pieghevole cantasse guidato solo dal proprio sentimento [...] È inutile dire che questi studj musicali devono essere uniti a molta cultura letteraria.
__________

Nel dipinto sopra riprodotto: Maria Callas, grande interprete verdiana. La sua Violetta Valery, nella edizione del Teatro alla Scala della Traviata diretta da Luchino Visconti (1955) fece epoca ed è rimasta uno dei miti nella storia dell'opera teatrale in musica di tutti i tempi. Ascolta "Sempre libera degg'io" dalla Traviata (Maria Callas, Alfredo Kraus; Orchestra del Teatro Nacional di Lisbona; 27 marzo 1958).