per conoscere alcune opere di critica e proposta letteraria, linguistica, cinematografica di Pier PaoloPasolini Empirismo eretico, Garzanti 1972, 1991: gli interventi critici e polemici di Pasolini intorno a tre nuclei fondamentali: la lingua, la letteratura e il cinema; questi articoli e saggi sono il frutto dell'impegno estetico, sociale e politico (nel senso piu' alto e ampio del termine) di Pasolini e mettono in luce il suo ruolo in un periodo ricco di novita', fermenti e contrasti; testimonianza, anche, di una appassionata, generosa e impervia ricerca della verita'. Le belle bandiere,
Editori Riuniti 1977, 1996: i dialoghi che Pasolini
Descrizioni
di descrizioni, Einaudi 1979, Garzanti 1996: raccoglie
gli
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1984, di George Orwell
L'autore | |
George
Orwell è lo pseudonimo di Eric Blair, scrittore inglese nato a Motihari,
India nel 1903 e morto a Londra nel 1950. Compì i suoi studi a Eton.
Ritornò poi in India nel 1922 e vi rimase cinque anni al servizio
della polizia imperiale indiana in Birmania.
Questo soggiorno gli diede lo spunto per il suo primo romanzo, Giorni birmani (Burnese days, 1934). Rientrato in Europa, il desiderio di conoscere le condizioni di vita delle classi subalterne lo indusse a umili mestieri nei quartieri più poveri di Parigi e di Londra, esperienza che narrò in Miseria a Parigi e Londra (Down and out in Paris and London, 1933). Nel romanzo La strada per Wigan Pier (The road to Wigan Pier, 1937) descrisse con amaro verismo la vita dei disoccupati. Partecipò alla guerra civile in Spagna, nel 1936, combattendo nell'esercito repubblicano; in Omaggio alla Catalogna (Homage to Catalonia, 1938) emerge una posizione duramente critica nei confronti del Partito comunista spagnolo e dell'Unione Sovietica, accusati di aver distrutto la sinistra anarchica favorendo la vittoria dei falangisti. Violentemente
contrario ai metodi staliniani, scrisse una satira brillante e dolorosa
del comunismo russo in La fattoria degli animali (Animal farm,
1945); infine, portando alle estreme conseguenze la sua radicale avversione
a ogni tipo di totalitarismo, diede nel suo ultimo romanzo, 1984,
pubblicato nel 1949, un'immagine avveniristica, tanto terrificante quanto
sostanzialmente plausibile, della società mondiale.
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1984 | |
Il
racconto illustra l'ingranaggio di un governo totalitario. L'azione si
svolge in un futuro prossimo del mondo (l'anno 1984) in cui il potere si
concentra in tre immensi superstati: Oceania, Eurasia ed Estasia. Londra
è la città principale di Oceania. Al vertice del potere politico
in Oceania c'è il Grande Fratello, onnisciente e infallibile, che
nessuno ha visto di persona. Sotto di lui c'è il Partito interno,
quello esterno e la gran massa dei sudditi. Ovunque sono visibili grandi
manifesti con il volto del Grande Fratello. Gli slogan politici ricorrenti
solo: "La pace è guerra", "La libertà è schiavitù",
"L'ignoranza è forza".
Il Ministero della Verità, nel quale lavora il personaggio principale, Winston Smith, ha il compito di censurare libri e giornali non in linea con la politica ufficiale, di alterare la storia e di ridurre le possibilità espressive della lingua. Per quanto sia tenuto sotto controllo da telecamere, Smith comincia a condurre un'esistenza ispirata a principi opposti a quelli inculcati dal regime: tiene un diario segreto, ricostruisce il passato, si innamora di una collega di lavoro, Julia, e dà sempre più spazio a sentimenti individuali. Insieme con un compagno di lavoro, O'Brien, Smith e Julia iniziano a collaborare con un'organizzazione clandestina, detta Lega della Fratellanza. Non sanno tuttavia che O'Brien è una spia che fa il doppio gioco ed è ormai sul punto di intrappolarli. Smith viene arrestato, sottoposto a torture e a un indicibile processo di degradazione. Alla fine di questo trattamento è costretto a denunciare Julia. Infine
O'Brien rivela a Smith che non è sufficiente confessare e sottomettersi:
il Grande Fratello vuole avere per sé l'anima e il cuore di ogni
suddito prima di metterlo a morte.
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Commenti | |
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In
1984,
George Orwell interpreta la dittatura come l'assenza di libertà
per tutti gli individui. Nessuno escluso. Nemmeno i funzionari più
alti del "partito"
al potere, infatti, godono di alcun privilegio; anzi, sono i primi e i più convinti fautori dell'autolimitazione della libertà personale. Esemplare è l'interrogatorio finale condotto dal funzionario ai danni del protagonista, in cui il primo dimostra tutto il proprio fervore ideologico difendendo la pratica del bis-pensiero (artificio che limita, mediante la sottrazione di termini atti a esprimerli, i concetti a disposizione dei cittadini) e praticandola egli stesso con assoluta convinzione. Forse, il motivo per cui 1984 è uno dei romanzi più inquietanti della storia della letteratura è proprio questo: la dittatura ipotizzata da Orwell è disumana: non abbiamo nemmeno il conforto (inconscio) che ci potrebbe derivare dal constatare l'umana "corruzione del privilegio" che, sotto sotto, ci aspetteremmo dalla classe al potere, quale che essa sia. La dittatura immaginata da Orwell è una dittatura mentale, non fisica; viene imposta con il lavaggio del cervello, con le sparizioni improvvise, senza alcun clamore, senza alcuna violenza apparente. Nel
libro quel funzionario lascia intravedere una realtà ancora più
Quello che spaventa, in Orwell, è la Folla: questa massa di persone omologate, istigate a comando a scatenare gli istinti violenti nel corso delle sessioni appositamente inscenate nelle aziende enormi e spersonalizzate, che si comportano tutte allo stesso modo, che accettano tutte con passiva convinzione l'ideologia imposta dal Grande Fratello. E non c'è ribellione, non c'è resistenza: a ribellarsi è un singolo, smarrito nella marea degli omologati, e per questo è condannato sin dall'inizio. Il lettore lo sa, lo sa bene, e quindi l'angoscia non lo abbandona mai. L'elemento
più inquietante del libro è proprio il "salto di qualità"
che
L'ultimo
passo del Grande Fratello è la prevenzione dell'opposizione,
La
relazione tra linguaggio e capacita' critica e' estremamente
Credo
che 1984 sia uno di quei libri che "avvelena" l'anima, e che
per
Altro
spunto di discussione: il ruolo della guerra, interna ed esterna,
La
dittatura ipotizzata da Orwell usa e sviluppa la tecnologia, e sembrerebbe
che il fine sia quello di vincere la guerra contro Estasia e/o Eurasia.
In realta'
E' difficile rendere avvincente un trattato politico, eppure Orwell c'è riuscito benissimo, creando un mondo verosimile in cui l'uomo è un semplice, sostituibile ingranaggio della macchina della dittatura. Inoltre
credo che 1984 sia così inquietante perché identifica
ed estremizza alcui aspetti del potere che possono essere ritrovati
non solo
Associo
questo libro a Fareneith 451 di Bradbury, che pur essendo molto
Soprattutto la dittatura in 1984 nasce grazie al continuo revisionismo storico, all'aggiornamento quotidiano della "Verità". Infatti, quando si combatte un nuovo nemico, si eliminano o si correggono tutti i precedenti articoli, libri, riferimenti al vecchio nemico. (Il mondo era diviso in tre imperi). Alla fine, è lecito (e viene detto) dubitare addirittua che la guerra esista. Questa,
come è già stato detto da altri, è una prassi comune
(seppur non in
Orwell
porta questo procedimento all'estremo, ma quello che più colpisce
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Italo Calvino, Palomar, EINAUDI |
[...]
«Il mondo guarda il mondo. In seguito a una serie di disavventure intellettuali che non meritano d'essere ricordate, il signor Palomar ha deciso che la sua principale attività sarà guardare le cose dal di fuori. Un po' miope, distratto, introverso, egli non sembra rientrare per temperamento in quel tipo umano che viene di solito definito un osservatore. Eppure gli è sempre successo che certe cose - un muro di pietre, un guscio di conchiglia, una foglia, una teiera - gli si presentino come chiedendogli un'attenzione minuziosa e prolungata: egli si mette ad osservarle quasi senza rendersene conto e il suo sguardo comincia a percorrere tutti i dettagli, e non riesce più a staccarsene. Il signor Palomar ha deciso che d'ora in avanti raddoppierà la sua attenzione: primo, nel non lasciarsi sfuggire questi richiami che gli arrivano dalle cose; secondo, nell'attribuire all'operazione dell'osservare l'importanza che essa merita. |
[...]
L'universo come specchio. Il signor Palomar soffre molto della sua difficoltà di rapporti col prossimo. Invidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la cosa giusta da dire, il modo giusto di rivolgersi a ciascuno; che sono a loro agio con chiunque si trovino e che mettono gli altri a loro agio; che muovendosi con leggerezza tra la gente capiscono subito quando devono difendersene e prendere le loro distanze e quando guadagnarsi la simpatia e la confidenza; che danno il meglio di sé nel rapporto con gli altri e invogliano gli altri a dare il loro meglio; che sanno subito quale conto fare d'una persona in rapporto a sé e in assoluto.» |
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Chi è il signor
Palomar che questo libro di Calvino insegue lungo gli itinerari delle sue
giornate? Il nome richiama alla mente un potente telescopio, ma l'attenzione
di questo personaggio pare si posi solo sulle cose che gli capitano sotto
gli occhi nella vita quotidiana, scrutate nei minimi dettagli con un ossessivo
scrupolo di precisione.
Le esperienze di Palomar consistono nel concentrarsi ogni volta su un fenomeno isolato, come se non esistesse altra cosa al mondo e non ci fosse né un prima né un poi. Senza questa messa a fuoco preliminare nessuna forma di conoscenza gli sembra possibile, ma l'operazione all'atto pratico risulta ogni volta meno semplice di quel che si potea credere. L'oggettività e l'immobilità dell'osservazione si trasformano in racconto, peripezia, coinvolgimento della propria persona. Più Palomar circoscrive il campo dell'esperienza, più esso si moltiplica al proprio interno aprendo prospettive vertiginose, come se in ogni punto fosse contenuto l'infinito. Uomo taciturno, forse perché ha vissuto troppo a lungo in un'atmosfera inquinata dal cattivo uso della parola, Palomar intercetta segnali fuori d'ogni codice, intreccia dialoghi muti, tenta di costruirsi una morale che gli consenta di restare zitto il più a lungo possibile. Ma potrà mai sfuggire all'universo del linguaggio che pevade tutto il dentro e tutto il fuori di se stesso? Forse è per rintracciare il filo del discorso che scorre là dove le parole tacciono, che egli tende l'orecchio al silenzio degli spazi infiniti o al fischio degli uccelli, e cerca di decifrare l'alfabeto delle onde marine o delle erbe d'un prato. |
Luigi Pintor, Servabo, BOLLATI BORINGHIERI |
Il
sottotitolo di Servabo è Memoria di fine secolo: spiega
lo stesso Pintor: «Scritta sotto il ritratto di un antenato mi colpì,
quand'ero piccolissimo, una misteriosa parola latina: servabo. Può
voler dire conserverò, terrò in serbo, terrò fede,
o anche servirò, sarò utile».
Queste parole, oltre a chiarire il titolo del libro, riassumono anche il significato di cinquant'anni di vita, raccontata «per riordinare nella fantasia dei conti che non tornano nella realtà». Omaggio a mezzo secolo di storia che volge al tramonto, questa autobiografia rivela il volto dell'autore che ai più risulterà inedito: perché è quello di un uomo per il quale la politica è innanzitutto un'esperienza etica profonda e il riflesso di un'intensità intellettuale e umana che poteva esprimersi (come qui si esprime) anche col linguaggio di una scrittura letteraria di rara qualità. Dai ricordi della prima giovinezza all'esperienza della guerra, che ha deciso del suo futuro e formato il suo modo di agire «politico»; dagli entusiasmi alle prove più dure anche della vita privata, la sorvegliatissima confessione dell'autore, particolarmente difesa col pudore e quasi col silenzio proprio là dove ci aspetteremmo la rivelazione di fatti che hanno avuto una grande incidenza pubblica, ci offre il ritratto di un uomo sempre fedele a se stesso e portato a flirtare con l'orgoglio dell'ironia i successi e le sconfitte. |
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[...]
«Non ero neanche sicuro che la guerra fosse finita. Sembrava piuttosto una tregua carica di minacce, come se gli uomini non avessero imparato nulla e quel lascito di cadaveri e di macerie non li avesse convertiti alla saggezza ma addestrati a una futura ecatombe. I vincitori somigliavano stranamente ai vinti, si scambiavano le parti, erano di nuovo nemici gli uni agli altri, come se la guerra fosse stata svuotata delle promesse che l'avevano nobilitata e confessasse ora la sua vera natura, fredda regola di una storia sempre uguale. [...] Chi tornava a comandare nelle nuove istituzioni aveva gli stessi connotati dei predecessori, chi tornava a ubbidire nella vita quotidiana conosceva le stesse umiliazioni, i più forti e i più deboli tornavano a recitare la stessa parte senza varianti. [...] Una malattia può irrompere in una casa, nel mondo intimo e circoscritto di ogni persona, con lo stesso effetto di un ordigno che demolisce e brucia ogni cosa intorno o di un veleno che si insinua in ogni fibra. [...] La malattia mostra più di ogni altra cosa che il mondo è diviso in due. E' sinonimo di separazione e solitudine. Le persone di cuore provano compatimento, altre sentono un disagio, altre ancora un fastidio e perfino un'irritazione, ma in questi modi diversi lanciano lo stesso segnale di distacco. Rassicurano se stessi e comunicano all'altro che la malattia è una condizione ecezionale ed estranea, come la vecchiaia, non un destino comune e condiviso. Ed è allora che la malattia, non essendo riconosciuta come forma della vita, diventa orribilmente dolorosa e incurabile. [...] La stupidità delle macchine che rallentano la morte è peggiore della stupidità delle macchine che fingono di allietarla, sebbene sia unica la loro filosofia. Uno scrittore del secolo scorso racconta come i cani della sua fattoria cessarono di abbaiare presentendo e annunciando con il silenzio la morte del padre. Mi piacerebbe poter dire di avere osservato almeno alla fine questo silenzio.» |
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