Capri come Vicenza? Le premesse per Confindustria ci sono tutte. Oggi come allora, Prodi e la sua “sinistra delle tasse” sulla graticola; oggi come allora, Montezemolo e il suo gruppo dirigente chiamati a fare i conti con una base imprenditoriale inferocita. Il vertice di Confindustria, accusato di eccessivo appiattimento sull'Unione, prima e dopo le elezioni, si è già trovato in sostanziale minoranza mercoledì, nel corso del comitato straordinario di presidente in Assolombarda, cioè nel cuore della protesta del Nord.
E' accusato di non aver tutelato la maggioranza dei suoi assistiti, un buon 90% delle aziende associate, medie e piccole. Con in sovrappiù il grave imbarazzo di aver portato all'incasso alcuni provvedimenti che favoriscono l'azienda del presidente (sgravi fiscali sulle auto e procedura di mobilità per i lavoratori di Mirafiori) e quella di un imprenditore “prodiano doc” come Merloni (rottamazione dei frigoriferi).
La rabbia dei piccoli e l'imbarazzo del vertice sono emersi chiaramente ieri sera a Porta a Porta. C'era Matteo Colaninno, presidente dei giovani industriali e figlio del “capitano coraggioso” che, povero di contanti ma ricco dell'appoggio politico di D'Alema, conquistò Telecom, con i bei risultati che vediamo oggi. Costretto a spericolati equilibrismi dialettici tra protesta per lo scippo del Tfr e ringraziamenti al governo per il cuneo fiscale, si è messo in rotta di collisione con il presidente della Cna, Ivan Malavasi, e la rappresentante della Confcommercio, Michela Brambilla.
Così la spaccatura tra grandi e piccoli è emersa in tutta la sua ampiezza. Soprattutto quando il giovane e inesperto Colaninno è ricorso alla mozione degli affetti: vogliamoci bene, siamo tutti imprenditori. Ha rimediato così le reazioni rabbiose di chi gli ha fatto notare che a rallegrarsi per il taglio del cuneo fiscale sono soltanto le imprese grandi e medio-grandi.
Per il settore del commercio sono arrivate solo tasse, grazie alla revisione degli studi di settore e all'aumento dei contributi, con un aggravio medio del 2%. Per gli artigiani, ancora peggio: esclusione dal taglio del cuneo, scippo del Tfr, aumento dei contributi, appesantimento del costo dell'apprendistato, rischio di chiusura di centinaia di migliaia di attività per l'impossibilità di accedere al credito.
Due settori stritolati nella morsa di una concertazione a tre (governo, sindacati, Confindustria), dalla quale sono stati completamente esclusi. Il povero Colaninno, per di più sui carboni ardenti per la ribellione che cova tra i suoi associati, ne è uscito con le ossa rotte. E non gli è andata meglio quando ha anticipato la proposta, che sarà ufficializzata a Capri, di un nuovo patto sociale: “Chiediamo che i proventi della lotta all'evasione vadano per il cinquanta per cento alle imprese”. Prima di voi, gli hanno risposto Giordano e Angeletti, ci sono i tartassati dell'Irpef e i Comuni. Mettetevi in fila.
L'impressione è che Confindustria sbagli i tempi nel batter cassa fin da ora su entrate che non ci sono. Legittimando il sospetto, nella variegata “famiglia imprenditoriale”, che la cassa sia sempre quella dei soliti noti. I problemi della piccola e media industria sono quelli di oggi, aggravati da una finanziaria iniqua e nemica dello sviluppo. Su questo va fatta la battaglia. Domani è un altro giorno.
La Finanziaria di Prodi non si limita a mettere pesantemente le mani nelle tasche degli italiani, ma "taglia" addirittura la rappresentanza democratica nelle istituzioni locali. Le nuove norme, se passeranno indenni dalle forche caudine del Parlamento, modificano infatti il testo unico degli enti locali, andando a incidere direttamente sulla vita politica del territorio annullando i gettoni di presenza ai consiglieri dei Comuni non capoluogo di provincia. L'articolato della norma, poi, è formulato in maniera talmente ambigua che qualcuno ipotizza addirittura un azzeramento dei compensi anche per i consiglieri provinciali. Se la manovra andrà in porto, si può immaginare cosa accadrà nella maggior parte dei Comuni italiani: i partiti avranno sempre più difficoltà a trovare persone valide disposte a candidarsi, visto che, con la "dittatura" dei sindaci, fare il consigliere comunale ora non è più gratificante come qualche decennio fa, quando un seggio conferiva notorietà e quote di potere. Tra l'altro, anche se in molti casi il corrispettivo economico dei gettoni di presenza equivale a poche decine di euro al mese, il riconoscimento del compenso trova giustificazione giuridica nel fatto che tutti gli atti che un consigliere si trova a votare hanno valenza patrimoniale.
Ma le sorprese della Finanziaria non finiscono qui: in quasi tutte le regioni l'elezione dei membri delle assemblee delle comunità montane è adesso regolata da leggi che salvaguardano per ogni Comune la presenza all'interno dell'assemblea di almeno un suo membro di minoranza. La manovra di Prodi impone invece "l'elezione di un solo membro per ogni Comune" e quindi si rischia che le assemblee delle comunità montane vengano rappresentate solo dalle maggioranze politiche presenti nei singoli Comuni o che siano quelle stesse maggioranze a scegliersi i membri delle opposizioni. Si introduce così un preoccupante deficit di democrazia sul territorio.
Il giudizio sulla Finanziaria è dunque chiaro: ha provocato all'autonomia e alla vita degli enti locali una gravissima lesione che non trova precedenti in tutta la storia della Repubblica.
“In una sola settimana il governo Prodi si è indebolito come nessuno pensava. Neanche l'opposizione. Gli scricchiolii emersi sul caso Telecom avevano riguardato la “presa diretta” del premier sulle grandi vicende finanziarie del Paese, un po' troppo “diretta” a giudizio degli stati maggiori Ds e margheritici. Ma la frana messa in moto dalla Finanziaria si è rivelata superiore a qualunque aspettativa.
“Se a criticare, all'inizio, siamo stati noi pochi liberisti, convinti che con la gragnola di nuove imposte aggiuntive l'Italia crescerà meno e peggio, in rapida successione a Prodi sono venuti meno prima il sostegno dei grandi giornali confindustriali solitamente “amici”, dal Corriere alla Stampa, poi della Confindustria dell'altrettanto “amico” Montezemolo, infine dei sindaci delle grandi città amministrate dalla sinistra: Torino, Venezia, Bologna, Roma.
“L'intervista di Sergio Cofferati, ieri, era una raffica alle gambe di Prodi di durezza inusitata. Il governo è stato costretto a dichiarare l'apertura di immediati tavoli di modifica del testo, nei confronti degli industriali, sindaci ed enti territoriali. All'interno della Margherita, Ds e Udeur, oltre che in due confederazioni sindacali su tre, hanno preso a fioccare le richieste di modifica…”.
Romano Prodi è un uomo solo. E se riesce a nasconderlo è soltanto grazie alla televisione, ai tg in particolare.
E' solo perché non ha più il sostegno dei suoi azionisti di maggioranza, ma solo di quelli di minoranza.
E' solo perché lo hanno abbandonato quelli che, a torto od a ragione, vengono definiti i poteri forti. Lo hanno abbandonato perché ha detto che uno di loro, Tronchetti Provera, è un bugiardo sulla vicenda Telecom. Nel salotto buono queste cose non si fanno.
E' solo perché la base della Confindustria lo ha abbandonato, presto lo abbandonerà anche Della Valle. L'uomo è un marchigiano doc: guarda i fatti. E se - per colpa della finanziaria - venderà menoo scarpe (il momento è prossimo) anche lui si schiererà contro il Professore di Bologna.
Finora Prodi è riuscito a nascondere questo isolamento nel Palazzo e nel Paese grazie all'informazione televisiva. Ogni sera, nelle case degli italiani, la Rai sforna informazioni da Minculpop. E gli italiani le assorbono come un distillato di veleno quotidiano che, alla fine, immunizza dal veleno stesso.
La scelta di Prodi, ovviamente, è voluta.
Sa benissimo che non ha la possibilità di trovare sostegno dalla sua maggioranza, né dalla grande informazione gestita e controllata dai poteri forti, quindi si butta sulla gente comune raggiunta con la televisione, drogandola con una informazione di parte.
Ed a proposito della grande stampa, un'annotazione. E' vero che nell'ultima settimana i grandi giornali hanno modificato l'impostazione: da filo prodiana a critica nei confronti del governo. Ma questo cambio d'impostazione si nota esclusivamente nei commenti, negli articoli di fondo. La cronaca continua ad essere indulgente nei confronti del governo, seppure la controriforma fiscale prenda in pieno i redditi dei giornalisti.
Libero pubblica un sondaggio sulle intenzioni di voto, o sul gradimento degli elettori verso i propri partiti di riferimento. Il confronto con i risultati elettorali del 9-10 aprile pone il centrodestra in vantaggio di 4,4% sul centrosinistra.
I partiti di sinistra raccolgono il 47,8% dei consensi contro il 49,5% ottenuto alle ultime elezioni.
Tuttavia sono significativi alcuni spostamenti all'interno dell'area di centrosinistra:
Da questi dati si deduce che si rafforza la componente più estremista (versante economico e versante giustizialista) mentre perde consensi l'area “moderata” e sono in difficoltà i partiti di nicchia ideologica (Rnp e Verdi).
Grave la perdita dell'Ulivo (Ds + Margherita), che aumenterà il livello di discussione sul futuro Partito democratico (possibile scissione a sinistra dei Ds, contestazione di Rutelli all'interno della Margherita).
I partiti di centrodestra salgono al 52,2% rispetto al 48,7% con u incremento complessivo del 3,5%
Significative, anche in questo caso, le variazioni perché tutti i partiti della Casa delle Libertà aumentano i propri consensi, anche se in diversa misura:
Questo significa che, nell'area di centrodestra, l'aumento dei consensi si distribuisce tra i vari partiti, più in quelli maggiori e meno negli altri. Il dato dovrebbe fare riflettere su una questione politica essenziale: un solo partito prenderebbe più voti?
Nell'insieme, lo spostamento tra i due schieramenti deve essere attribuito principalmente alle iniziative del governo, e di Prodi in particolare: è largamente diffusa la convinzione che il governo stia aumentando e di molto le tasse.
L'aumento dei consensi per i partiti della Casa delle Libertà deve anche attribuirsi alla riemersione degli indecisi per cui il vantaggio è duplice: perdita di consensi del centrosinistra, ritorno degli elettori del centrodestra.