La prima indicazione che proviene dalle parole di Casini è quella di dare vita ad un partito di centro, ad un grande centro. Questa ipotesi presuppone che Forza Italia non sia un partito di centro, ma un partito anomalo di stampo plebiscitario e populista. In realtà un partito di centro c'è già da tempo: si chiama Forza Italia ed è il partito di maggioranza relativa in questo Paese.
La seconda indicazione che si trae dalle dichiarazioni di Casini è quella di considerare chiusa l'esperienza e la formula della Casa delle Libertà. A parte il fatto che quest'ultima rimane un'alleanza a tutti gli effetti, anche se uno dei suoi membri decide di uscirne, l'unica strada per andare oltre è quella di dare vita ad un partito unitario della Libertà, nel quale confluiscano tutti i partiti della vecchia CdL. All'infuori di questa prospettiva vi è solo la ricerca di un terzo polo che, con l'attuale legge elettorale, rischia di fare la fine di tutti i tentativi messi in opera in questi anni – e puntualmente falliti - di scardinare il bipolarismo.
Da piazza San Giovanni è salita altissima la richiesta di unità. Lo chiedono i nostri elettori che spesso sanno guardare più avanti di chi li rappresenta.
Ascoltare questa voce del popolo e dei nostri elettori significa mettere in campo l'impegno per costruire un partito unitario che guardi ai valori e ai programmi del PPE. Senza forzature e accelerazioni, anzi prevedendo un processo graduale che veda dapprima il coordinamento dei gruppi parlamentari, poi la nascita di una federazione e in ultimo la nascita di un partito unitario. Questa prospettiva non può vedere estranea l'Udc di Casini, a meno che il leader dell'Udc non voglia confinarsi in un ruolo secondario e ininfluente.
Sul Corsera, Ernesto Galli Loggia non ha difficoltà a riconoscere che "anche la destra ha dietro di sé un popolo vero", ben rappresentato sabato a piazza San Giovanni. "Popolo vero", fino a un certo punto. In effetti piuttosto un popolo di zombi, presenza immateriale, senza peso nel mondo reale.
Blindato nel suo aristocratico pregiudizio, difficilmente Galli arriverà a rendersi conto di quanto offensiva e antidemocratica sia la tesi da lui sostenuta. Tesi fondata sull'assenza, in piazza San Giovanni, dei nomi che contano: "Non solo non c'erano gli attori e i cantanti o gli intellettuali, ma neppure esponenti dell'industria e della finanza, dell'alta burocrazia…". E via evocando un universo sdegnoso di Vip, determinati a non confondersi con la destra. Né in piazza né altrove. Da cui la "solitudine politica" a cui la destra è condannata anche quando "elettoralmente plebiscitata".
Argomento non nuovo. Fu adoperato dal compagno Alberganti, come parola d'ordine lanciata alla folla in tumulto per le vie di Milano dopo l'attentato a Togliatti, a metà luglio 1948, tre mesi dopo il disastro elettorale del Fronte popolare: "Il 18 aprile ci siamo contati, oggi ci pesiamo". Il compianto prof. Valsecchi, che lo ebbe per assistente, non stenterebbe a riconoscere nel Galli di oggi il rivoluzionario che allora tanto lo infastidiva.
Difficile estirpare un pregiudizio così incistito. Forse l'equilibrio di Galli trarrebbe giovamento da una riflessione su alcuni dati di fatto:
Tempo al tempo, dunque. Finché i voti si continuerà a contarli, le cose possono cambiare. Perfino il pregiudizio di Galli conserva qualche probabilità di arrendersi all'evidenza.
Una nota dell'ufficio stampa di Forza Italia afferma: "Ancora una volta gli specialisti di retroscena sui quotidiani ricorrono a parole mai pronunciate dal presidente Berlusconi, attribuite come al solito a fantomatici e inesistenti 'consiglieri', e poste tra virgolette nei titoli. Quando finirà questo malvezzo giornalistico sarà sempre troppo tardi...".
Ieri sera, a Porta a porta, Rocco Buttiglione ha un po' barato, quando, riferendosi al sondaggio in base al quale il 62% degli italiani vorrebbe due grandi partiti, ha detto che il residuo 38% è di "centro".
E' infatti evidente che la "grande forza di centro" di cui parla Casini non può attribuirsi quel 38% e oggi, sul Corriere della Sera, Renato Mannheimer, anche se il titolo è fuorviante ("Il Grande centro può attrarre un elettore su tre"), ridimensiona le aspettative del leader dell'Udc.
Nel testo del commento, Mannheimer scrive che "le persone che si sentono di 'centro' sono oggi assai meno di un tempo: poco più del 10 per cento dell'elettorato. In più, solo una parte minoritaria di costoro – circa il 4-5 per cento dell'elettorato – opta per questa posizione pensando al 'centro' in termini politici e programmatici".
La maggioranza di chi si definisce di centro sottolinea soprattutto la propria non appartenenza a uno dei due schieramenti, la propria estraneità, quasi la a-politicità, e può costituire anche la massa di coloro che non si recano a votare.
Siamo quindi ben lontani dalle grandi prospettive di Casini, che in realtà può contare solo su un elettorato già schierato al "centro", che potrebbe erodere una piccola frazione al centrodestra ma non può appropriarsi dei non votanti che costituiscono circa il 20% dell'elettorato.
Infatti, stante Berlusconi alla guida di Forza Italia, sarebbe impensabile la quota di elettori azzurri che trasmigrerebbero; lo stesso per An e ancor più per la Lega. Il residuo delle piccole formazioni potrebbe dare ben poco a Casini perché esse puntano a garantire l'elezione dei propri leader, e questo Casini non lo potrebbe assicurare.
Gli stessi volti, le stesse grisaglie, che erano in fila per votare Prodi alle primarie erano a Sesto San Giovanni a baciare la pantofola di Massimo D'Alema. I "poteri forti" hanno deciso di cambiare cavallo? Forse è presto per dirlo. Qualcosa, però, sta cambiando nei rapporti fra Politica ed Economia.
Una maggioranza appena uscita dalle elezioni rappresenta – per definizione – una politica forte. Quindi, perché deve corteggiare l'economia? Forse, perché dopo una finanziaria come quella varata è meno forte di quel che dovrebbe essere? O forse perché la manifestazione di sabato l'ha ulteriormente indebolita?
Ed ancora. Perché l'economia sente il bisogno di corteggiare D'Alema, quando il presidente del Consiglio – cioè quello che esercita il Potere – è Romano Prodi? Forse perché vede indebolito il potere del professore, e vede in crescita quello del ministro degli Esteri. In Borsa (e quelli presenti al convegno di Sesto San Giovanni di Borsa se ne intendono) c'è un proverbio sempre di moda: buy on rumors, sell on news. Compra sulle indiscrezioni, vendi quando sono ufficializzate.
Sembra quasi che i "poteri forti" la stiano applicando nella scelta del cavallo politico da sostenere. Hanno spalleggiato Prodi alle Primarie, stanno offrendo aperture di credito a D'Alema oggi.
L'atteggiamento è talmente mascroscopico da non passare inosservato.
Ma gli imprenditori usano la politica applicando il motto di Enrico Mattei: i partiti sono come i taxi, quando servono si sale, si paga, si scende. Ne consegue che per captare la loro attenzione il pianeta della politica deve offrire loro occasioni di guadagno. E per il momento i business offerti sono l'Alitalia e le municipalizzate. La prima in mano a Prodi (la partita è in mano a Tononi, sottosegretario all'Economia, suo uomo), le seconde in mano alla Margherita attraverso il disegno di legge di privatizzazione della Lanzillotta.
Il peso di D'Alema nell'economia, quindi, è esclusivamente prospettico. Una specie di investimento per il futuro. Che può essere bruciato dalle mosse di Prodi. Una partita tutta da giocare, anche in considerazione dell'azione di interdizione che, sull'argomento, potrà essere fatta da Rifondazione e Diliberto.
Nella storia della Repubblica non s'era mai registrata una protesta delle forze dell'ordine contro la legge finanziaria come quella che si è svolta questa mattina a Roma, indetta dai sindacati autonomi della polizia di Stato, della polizia penitenziaria, delle guardie forestali e dei vigili del fuoco. Alla manifestazione hanno partecipato anche i carabinieri.
In piazza del Viminale è risuonato l'inno di Mameli accompagnato dai manifestanti che in coro lo hanno cantato sventolando in alto le bandiere dei sindacati e il Tricolore. I partecipanti a questo corteo nazionale hanno preparato striscioni tra cui quello con su scritto "Da forze armate e polizia al governo Prodi il foglio di via".
La protesta è il segnale inequivocabile per il disagio e le difficoltà create dalla manovra per l'intero comparto della sicurezza: i tagli non consentono il miglioramento delle retribuzioni per servitori dello Stato esposti a gravi rischi e limitano fortemente, riducendo risorse e mezzi, la possibilità delle forze di polizia.
"Non s'era mai vista – ha dichiarato Filippo Saltamartini, segretario del Sindacato autonomo di polizia – una finanziaria che riduce le questure. E' una legge di bilancio vendicativa e contro la polizia, che smonta tutto quello che avevamo costruito in quattro anni". Tra gli slogan lanciati da piazza del Viminale "Chi non salta un terrorista è".
Negli ultimi mesi le condizioni in cui i poliziotti sono chiamati ad operare si sono fatte veramente critiche: poche automobili e troppo spesso in panne per vecchiezza o inadeguata manutenzione, turni pesanti e che diventeranno anche più duri, perché col primo gennaio saranno licenziati oltre 1.300 ausiliari. Inoltre, vengono smantellate scuole e centri di addestramento. Tutto questo mentre aumenta la richiesta di sicurezza da parte dei cittadini.
Gli agenti della polizia penitenziaria lamentano retribuzioni mortificanti e il mancato allargamento degli organici. Il controllo delle carceri è sempre impegnativo e delicato e lo scarso personale disponibile non può essere costretto a turni troppo lunghi.
Vigili del fuoco e agenti della Forestale affermano che i tagli previsti in finanziaria mettono a rischio la stessa attività di soccorso e un'efficiente vigilanza sulle condizioni del territorio.
Anche l'Arma ha seri problemi per la politica e i propositi dell'attuale governo. Una circolare diramata dal Comando regione Liguria impone alle caserme e alle compagnie della provincia di Genova di non pagare le bollette per luce, gas e forniture alimentari. Con gli scarsi mezzi disponibili, bisogna dare la priorità all'acquisto di carburanti, per garantire gli interventi dei militari della Benemerita.
I tagli disposti con la finanziaria rischiano di far chiudere, entro il 2008, circa 400 caserme dei Carabinieri, che oggi sono 4.600. Il pericolo è stato denunciato dagli esponenti della Cdl in commissione Bilancio al Senato. Ma i problemi della sicurezza e la tutela dei cittadini nei confronti di una criminalità diffusa e aggressiva evidentemente non interessano il governo delle sinistre.
'Che tempo che fa', il programma di Fabio Fazio in onda su Raitre e reduce da un week end di record di ascolti, torna nel mirino dei rappresentanti di Forza Italia in commissione di Vigilanza.
In una nota, Paolo Bonaiuti, vicepresidente della commissione, gli onorevoli Giorgio Lainati, Paolo Romani, Francesco Giro e i senatori Egidio Sterpa, Massimo Baldini e Paolo Barelli protestano contro le "continue violazioni" delle direttive della Vigilanza, sottolineando come la trasmissione faccia "propaganda" invitando esclusivamente esponenti di sinistra senza contraddittorio.
"Al presidente della Rai Petruccioli e al direttore generale Cappon - sottolineano gli esponenti di Forza Italia - chiediamo se sono ancora gli stessi che vennero in commissione di Vigilanza a pronunciare dichiarazioni solenni a sostegno del pluralismo nella tv pubblica".
"Oppure, se sono stati sostituiti da due loro omonimi, favorevoli al pensiero unico della sinistra. Non riusciamo infatti a spiegarci il loro silenzio e la loro assoluta indifferenza di fronte alle continue violazioni da parte di Raitre dei documenti ufficiali della commissione di Vigilanza che non consentono la presenza di esponenti politici e di governo nei programmi di intrattenimento, tanto più se sempre e soltanto di una parte sola, la sinistra".
Per i rappresentanti di FI, "il programma 'Che tempo che fa' ha dato ampio e libero spazio in otto settimane alla propaganda, senza interlocutori della parte avversa, a Rosy Bindi, Walter Veltroni, Pietro Ingrao, al ministro dell'Economia Padoa Schioppa e a Massimo D'Alema".
"Chiediamo sempre a Petruccioli e Cappon: tanti simpatici duetti di sinistra con Fazio sono forse un esempio di pluralismo?".
"Che Morri si metta a fare il press agent di Fabio Fazio per cercare di procurargli ospiti illustri alla trasmissione la dice lunga sullo stato dei rapporti tra una certa politica e una certa televisione pubblica".
È la replica dell'on. Piero Testoni, responsabile editoria di Forza Italia, al capogruppo dell'Ulivo in commissione di Vigilanza che aveva detto convincano Berlusconi ad andare da Fazio".
"È inutile che Morri ripeta la solita solfa con il tono del difensore d'ufficio: un certo tipo di faziosità, anche quando sprizza intelligenza, resta faziosità. E noi non vogliamo credere che Morri non sia intelligente", conclude Testoni.