No Logo Boys Home

G8 Genova 2001

i protagonisti in una città vuota

i pensatori di riferimento del movimento NoGlobal

Carlo Giuliani, ragazzo

Carlo Giuliani, il ricordo degli amici

cariche e gas lacrimogeni

i pestaggi della polizia

irruzione notturna alla scuola Diaz

la vergogna di Bolzaneto

l'omertà televisiva



Carlo Giuliani, Ragazzo

Presentato fuori concorso a Canes, arriva direttamente in videocassetta grazie a L' Espresso, il film della Comencini su Carlo Giuliani. Questa che segue è la sua recensione apparsa sulla rivista specializzata Cineforum:

Carlo Giuliani, ragazzo

di Francesca Comencini

«Lo stile nasce dal compito che ci si prefigge», diceva Grierson, il fondatore della scuola documentaristica inglese. Consapevolmente o no, Francesca Comencini conferma questa regola. Carlo Giuliani, ragazzo risponde a tre requisiti che dovrebbero arricchire ogni documentario: necessità, autenticità, attualità storica. E affida la sua forza espressiva alla carica di tensione che riesce a creare attorno alla materia trattata. Carlo Giuliani ragazzo è una personalissima opera d'autore per due scelte risultate vincenti. La prima è quella di circoscrivere la protesta no-global contro il G8 di Genova al solo tema della tragica morte di Carlo Giuliani (il titolo del film prende nome dalla targa di piazza Alimonda "riscritta" in omaggio al ragazzo), la seconda è quella di lasciare parlare solo Haidi, la madre del giovane, una donna che accompagna il suo dolore con la consapevolezza che quel figlio rimasto sull'asfalto non appartiene più soltanto a lei.

Carlo eroe di quel giorno terribile? La verità cinematografica prende le distanze da quella della magistratura e non vuole essere il frutto di un'inchiesta sui fatti di quel giorno. Qui non parlano compagni di lotta o amici del giovane, e neppure i poliziotti; parla Carlo attraverso le poesie lasciate nella casa dei genitori (in italiano medioevale, in inglese e in latino), e attraverso poche immagini, in bianco e nero, che raccontano la sua voglia di vivere in un impeto di audacia e generosità (l'ultima foto è quella di un tuffo dagli scogli). Carlo, nel 20 luglio, ha un appuntamento con il destino, con il fato, come un eroe di una tragedia greca. Al suo risveglio poco più di cinque ore lo separano dalla morte. Una telefonata, un incontro fortuito lo distolgono dall'idea di andare al mare, testimoniata dal costume da bagno indossato sotto la tuta. A piazza Manin il primo contatto con dei manifestanti, poi a corso Sardegna gli echi della carica in via Tolemaide. Carlo imbocca il tunnel e si ritrova davanti al corteo delle "tute bianche", ritratte con affetto dalla Comencini nelle loro bardature di ommapiuma e cartapesta, nei loro scui di guerrieri da cartoon. Le forze dell'ordine spingono i giovani nelle viuzze che partono da via Tolemaide. La morte aspetta Carlo poco lontano, a piazza Alimonda.

Francesca Comencini ha visionato un'infinità di film e video fatti quel giorno e in un inedito scopre anche Caro, riconoscibile con la sua canottiera bianca, in via Tolemaide. Pochi fotogrammi cui è affidata una doppia emozione: quella offerta dal ragazzo, minuto e con i capelli cortissimi, che si muove solo tra i manifestanti, e quella avvertita dallo spettatore che già immagina il giovane riverso sull'asfalto, qualche centinaio di metri più avanti.

Carlo, il protagonista del film, ha un solo testimone nella sua tragedia vissuta in solitudine: Haidi, la mamma, quasi il suo doppio, che parla per lui che gli affida emozioni e pensieri. Le parole che la donna dà al figlio certo non possono valere per un magistrato, ma sono psicologicamente e cinematograficamente le più vere. Chi più di una madre può raccontare il proprio figlio morto ammazzato oco più che ventenne.

Haidi Gaggio Giuliani è la rivelazione di questo film. E presente in un lungo e immobile piano sequenza, interrotto dagli spezzoni di quel 20 luglio. Parla nella penombra del suo appartamento, una parete di libri alle spalle, sempre in primo piano con le sue rughe, i suoi sorrisi, i suoi silenzi. Minuta, protetta da un paio di lenti che ne mettono in luce la profondità e la tenerezza dello sguardo. Il suo dolore è fuori dal campo visivo, per questo è incombente ed es rime il dolore di tutte la mamme di onte alla perdita di un figlio. L'inquadratura scelta dalla Comencini esalta l'essenzialità e la forza espressiva dell'immagine, amplificando l'intensità e l'elementarietà della vita.

La Comencini, attraverso la testimonianza di una donna e di una madre, avvicina il tema del G8 alla sua più diretta esperienza. Non deve confrontarsi con significato storico e politico di una morte, ma accostarsi all'umanità di una tragedia. In qualche modo i rapporti familiari ricadono sotto la sua esperienza, vengono da un mondo che conosce e che non può essere demonizzato o monumentalizzato.

Il desiderio inespresso di Haidi di un ultimo colloquio con il figlio si traduce nell'illusione di dargli ancora una volta la parola. Fino all'ultimo, inevitabilmente, generosa. «E tu, con quella pistola, cosa pensi di fare?»: così la mamma fa parlare Carlo di fronte al militare che li punta contro l'arma dal finestrino el Defender. Mette disagio la lucida serenità di questa donna messa a confronto con l'immagine, polvere e sangue, del figlio abbandonato sull'asfalto di piazza Alimonda. Per quel corpo straziato invoca pietà, come una moderna Antigone che non ha neppure otuto vedere in faccia il suo Creonte. E' su quell'asfalto che la storia di Carlo, pur nella sua terribile unicità, si trasforma nel paradigma umano e politico di una generazione che non ha perso la speranza.

(da Cineforum 416 del luglio 2002)