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G8 Genova 2001

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Carlo Giuliani, ragazzo

Carlo Giuliani, il ricordo degli amici

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Carlo Giuliani, il ricordo degli amici

Carlo Giuliani non era un punkabbestia, non era uno squatter né uno zapatista. Non era un mendicante, aveva una casa a cinquecento metri da quella dei suoi, ci viveva con una ragazza e la sua bambina. Non era uno sbandato, aveva un padre con cui andava al cinema, una madre che gli chiedeva «Hai fame?, se hai fame puoi venire da noi». Un lavoro, qualche soldo suo, gli amici. Non era neanche un santo, naturalmente. Aveva un estintore in mano quando è morto e chissà se lo avrebbe tirato. Rabbia addosso, tanta. «Era uno che aveva quel male dentro, il male che è qui nell'aria, che abbiamo tutti. Non stava bene nella società, gli pareva ingiusta. Soffriva. Solo che siccome era più sensibile di noi, più generoso e più buono, era anche più fragile. Era un ragazzo di 23 anni con un estintore in mano, se ne è trovato di fronte uno di 20, con una pistola». Parla tutto d'un fiato Daniele, il suo amico migliore, che ha 23 anni come lui, occhi neri e sessanta chili dentro una maglietta verde. Schizzi di vernice sulle braccia, sta dipingendo casa. La sua ragazza aspetta due gemelli, maschi. Nasceranno d'agosto. «Eravamo a scuola insieme, scientifico Leonardo da Vinci». Uno dei più duri. Carlo ha fatto il rappresentante d'istituto, un anno. A scuola era bravo, si è diplomato, si è iscritto a Storia all'università. Viveva coi suoi. Jacopo, seduto qui con gli altri: «Aveva grande stima di suo padre, che è uno a posto, uno che sta con gli ultimi e sa parlare a tutti. Discutevano molto. Andavano al cinema insieme la sera. Dove lo trova in giro un ragazzo di 23 anni che va al cinema da solo con suo padre?». Però c'è quella storia dei precedenti per aggressione a pubblico ufficiale. Il padre, a casa, inclina la testa: «Aveva 17 anni, era con un amico, lo fermarono due poliziotti in borghese, loro si spaventarono, l'amico reagì, lui difese l'amico. L'episodio è stato derubricato per irrilevanza del fatto». E la droga? Andrea, adesso: «Canne, sì, solo quelle. Niente roba grossa, ma l'hai visto Carletto? E' alto un metro e mezzo, pesa cinquanta chili, con quella pelle rosa. La droga non era roba per lui». A un certo punto è andato via di casa. Un brutto momento, c'entra anche una storia d'amore finita. Daniele: «Ha lasciato l'università, ha fatto il militare come obiettore di coscienza, con Amnesty International. Mi ricordo che mi faceva leggere le lettere che arrivavano, ne aveva conservata una di un bambino prigioniero, diceva che ci voleva andare, là, prima o poi. Dopo è andato a vivere in via MondelIo con Cristina, un'amica». Cristina era la ragazza di Andrea, con lui ha avuto una bimba, Morgana, che ora ha 17 mesi. Andrea: «Pensa che tempo fa ho detto a mia madre: sono contento che Cristina si sia sistemata con Carlo, è uno solido, sereno. Quando lei era al lavoro, un lavoro che le ha trovato Giuliano, il papà di Carlo, era Carletto che stava con la bimba». Quando non aveva da fare, perché delle volte andava a montare i palchi, gli impianti elettrici per i concerti. «Lavorava con me, lo pagavo io», racconta quello alto con la coda.

Aveva una casa, dunque. Un telefonino, un lavoro. Niente cani né altri animali, come hanno i punkabbestia. «Non aveva nemmeno un criceto», sorride Daniele. Era «un ragazzo dei vicoli», dice Robi: dei vicoli perché stava lì la sera, ma poi usciva con gli amici di scuola, anche, col figlio di un ex sindaco della città, per esempio, alle feste di compleanno nelle case coi divani di broccato. «Era amico di tutti», spiega Giorgio al bar di via Carso, il bar sopra casa sua. «Io l'ho conosciuto in parrocchia a San Bernardino, aveva 15 anni, si giocava a calcetto dai preti. Una volta dovevamo andare insieme in Croazia, ma lui non venne, era minorenne, non poteva. L'ho riconosciuto dalla canottiera, ieri, in televisione. Gli avevo chiesto, la mattina: me la presti? E lui: sì, domani. C'è l'Ilaria che è scappata via. E' disperata. Era la sua migliore amica. Aveva solo lui, le era rimasto solo Carlo. Povera ragazza». Però aveva quell'estintore in mano, in piazza Alimonda. Il padre: «Sì, ce l'aveva. Di sicuro non l'aveva portato da casa. L'avrà raccolto da terra lì, in quel momento». Andrea: «Io c'ero, guarda. L'ho incontrato mezz'ora prima, all'angolo. Era a mani vuote, gli ho detto: è una cosa bestiale, hai visto che picchiano i ragazzi in piazza Manin? E lui: sì, ho visto, c'ero anch'io. Ci vediamo dopo, gli ho detto ancora, e l'ho salutato. Tiravano un candelotto di lacrimogeni ogni 4 secondi, anche ad altezza d'uomo. Noi avevamo qualche pietra, loro le pistole. Avevamo anche paura, e rabbia, certo. Non capisci più niente in quelle situazioni lì. Raccogli la roba da terra. Poi ho sentito gli spari e ho pensato: tirano in aria. Non ho visto il corpo, non si vedeva nulla. Sono scappato». Daniele: «Carlo voleva andare al mare, poi ha detto ma no, è la nostra città, ci dobbiamo essere anche noi giù in piazza. Quando ho sentito Carlo Giuliani, la sera, non ci potevo credere che fosse lui.