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G8 Genova 2001

i protagonisti in una città vuota

i pensatori di riferimento del movimento NoGlobal

Carlo Giuliani, ragazzo

Carlo Giuliani, il ricordo degli amici

cariche e gas lacrimogeni

i pestaggi della polizia

irruzione notturna alla scuola Diaz

la vergogna di Bolzaneto

l'omertà televisiva



I Pestaggi della Polizia

Un giornalista raccoglie un bossolo da terra. Non erano sassate, erano colpi di pistola. Un fotografo, Eligio Paoni, cerca di passare. Gli uomini in blu coi caschi e le pistole lo colpiscono, cade a terra. «Lasciatelo stare», urlano i genovesi dalle finestre delle case. Yannis Kontos, un altro fotografo vicino a lui, lo soccorre e lo trascina via. Arriva un medico di corsa, si chiama Massimo Costantini. Va verso la camionetta. C'è un carabiniere disteso dentro, ha gli occhi rovesciati all'indietro e sangue sul viso. Collasso, dice il medico. Al ragazzo con la canottiera bianca hanno tolto il passamontagna. Anche lui ha sangue sul viso, e le braccia aperte, e uno pterodattilo tatuato sulla spalla. Dalla tasca dei pantaloni di felpa gli sono cadute cinquecento lire e un accendino bianco.Dylan Martinez scatta l'ultima foto, cerca la strada per uscire di li.

Era l'ultima carica. Alle sei arriva la Celere, le strade si svuotano. Ci sono 83 manifestanti arrestati, 120 persone in ospedale. Su Internet, mezz'ora dopo la morte di Carlo Giuliani, vanno in rete le immagini. Ragazzi pestati a sangue, poliziotti in borghese che prendono a calci manifestanti rannicchiati a terra. Di quelli che arrivano in ospedale è quasi sempre impossibile avere i nomi. Barriere, filtri, ostilità. Di un paio si sa subito, però. C'è Timoty Ormezzano, 26 anni, figlio di Gian Paolo il giornalista, tumefatto. C'è Federico Pesciarelli, 20 anni, volontario alla Croce rossa, figlio del preside della facoltà di Economia dell'Università di Ancona. Ha la faccia viola dalle manganellate, l'occhio destro iniettato di sangue, la mandibola spaccata. Scriverà poi in una lettera ai giornali suo padre Enzo, il preside: «Sono stati i carabinieri del battaglione Lombardia a compiere questi atti di eroismo contro giovani inermi e privi di qualunque difesa. A Pavia una guardia carceraria mi ha poi detto: “Di quelli violenti non ne hanno arrestato mezzo, hanno preso i più fessi o quelli che hanno inciampato”. Il metodo è semplice ed efficace nella sua perversione: si lanciano lacrimogeni prima che inizino i possibili atti di violenza a scopo diciamo dissuasivo, si prende chi è colpito, chi è accecato, chi cade e - come per la mattanza delle foche - arrivano i randellatori. Non mi si venga a raccontare che questi atti di depravazione sono stati compiuti sull'onda di una reazione emotiva. Il ferimento e il pestaggio di mio figlio sono avvenuti prima degli scontri che sono culminati con l'uccisione di Carlo Giuliani. Il modo feroce e vigliacco in cui è stato trattato mostra che la violenza era preordinata. Si voleva lo scontro allo scopo di alzare il livello della provocazione e della risposta, e a quello di lanciare un messaggio inequivocabile: le manifestazioni sono ormai solo una questione di ordine pubblico, chi vi partecipa lo fa a rischio della sua incolumità fisica e penale. I diritti civili e le garanzie sono stati fatti a pezzi».