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il Quaderno del 12 settembre

Sinistra/Poche idee. E confuse

Sinistra di lotta e di governo. La sinistra delle contraddizioni, che dice una cosa e ne fa un'altra, che diceva una cosa e ora ne dice un'altra, che affannosamente è alla ricerca di una impossibile sintesi fra l'ala radicale, quella riformista e quella radical-riformista. Tre esempi.

Europa

Almunia, l'eroico "compagno Joaquìn", per il quale la sinistra si spellava le mani, quando da Bruxelles bacchettava i conti del governo Berlusconi, è diventato improvvisamente un mediocre burocrate che pensa solo ai numeri.

Come sono lontani i tempi in cui la sinistra all'opposizione cavalcava i suoi rimbrotti a Tremonti: "La Ue ci dà ragione"; "Almunia riporta l'Italia con i piedi per terra"; "Almunia fa bene" (Visco); "Le sue preoccupazioni sono più che fondate" (Rizzo); "Noi italiani non possiamo lamentarci dell'eccessivo rigore della commissione" (Bersani). E via spellandosi le mani.

Adesso i suoi richiami sono "sgradevoli" (D'Alema); "Più rispetto per l'Italia, che continua a essere un Paese sovrano" (Ferrero); "La Bce è composta da tecnocrocrati insopportabili" (Epifani); "Ha chiuso un occhio con Berlusconi, mentre con noi li tiene tutti e due aperti" (Damiano).

Le sue sollecitazioni per una manovra economica efficace, che approfitti di una situazione economica favorevole (l'esatto contrario di quella affrontata dal governo di centrodestra), si infrangono contro le scogliere di una politica italiana piccola piccola, dove prevale l'attaccamento alla poltrona, costi quel che costi al Paese, e a regolare i conti nei ds (D'Alema e Fassino). Perché il "compagno Joaquìn" si mette di mezzo?

Sanità

La sinistra che inalberava il vessillo del "no ticket" ora si propone di introdurne di nuovi e generalizzati. Fu il binomio Amato-Veronesi, nel 2001, a promuoverne la cancellazione nella Finanziaria. Lasciando alle Regioni, che non poteva fare altrimenti, la facoltà di reintrodurlo. E' quanto fecero le Regioni di centrodestra dopo l'esplosione della spesa sanitaria, prendendosi tutti gli improperi della sinistra.

Ora che fanno marcia indietro, senza neppure chiedere scusa, il ticket diventa cosa buona e giusta.

Privatizzazioni

Guai a chi pronuncia questa parola. Nel programma dell'Unione c'è, eccome. Eppure, all'improvviso, è scomparsa dal vocabolario politico dei partiti di governo e della Finanziaria. Un vocabolo sconosciuto, chi lo pronuncia lo fa sussurrando, perché il nemico è in ascolto. Guai a parlare di privatizzazioni (quelle che Berlusconi è stato accusato di non aver fatto): si rischia di disturbare comunisti e verdi. Tanto più in questi giorni, in cui l'eredità della prima, grande privatizzazione fatta male rischia di pagarla il Paese, con la svendita all'estero dell'ultimo pezzo di telefonia mobile sul quale sventola il tricolore.

Che ne dice l'ex-amministratore delegato della merchant bank di Palazzo Chigi, l'altrimenti loquace Massimo D'Alema?

Sinistra/Fassino e il boomerang Bertinotti

La dirigenza ds è arrivata a uno scomodo bivio: sposare fino alle estreme conseguenze il rigore del ministro del Tesoro, o abbandonarlo al suo destino per non perdere ulteriori consensi in una base palesemente insoddisfatta dall'ultima uscita di Fassino sui tagli alle pensioni. Padoa-Schioppa, con sprezzo del ridicolo, ha confermato che la situazione dei conti pubblici ricorda quella del 1992, quando Amato fu costretto a varare una manovra draconiana per tenere a galla l'Azienda Italia.

Ma un paragone molto più pertinente sarebbe quello col 1998, quando D'Alema e Cofferati si scontrarono al congresso della Quercia portando alla superficie la distanza siderale che esisteva tra sinistra di governo e Cgil.

E oggi come allora la base diessina si riconosce molto di più nell'intransigenza del sindacato che non nell'improvviso rigore fassiniano. Non a caso Epifani, acclamato a Pesaro come una rockstar, ha dettato la sua linea: Finanziaria da 26 miliardi, senza capitolo pensioni e senza tagli ai servizi. Sarebbe questo il "rigore dal volto umano" da contrapporre all'ultraliberismo del centrodestra, che in realtà non c'è mai stato.

Ancora una volta, il declinante Fassino rischia di rimanere col cerino in mano, schiacciato politicamente oltre che dalla rinnovata egemonia dalemiana, anche dallo strapotere del sindacato.

Nell'ultima riunione di segreteria, in molti hanno espresso il timore che i Ds alla fine si ritrovino da soli a fare da sponda ideologica al rigorismo di Padoa-Schioppa, mentre sindacato e sinistra radicale aumentano i propri consensi tra i lavoratori, tanto da far dire all'ineffabile Livia Turco che "rigore non fa rima con sacrifici".

E alla luce degli ultimi sviluppi appare smisuratamente ottimistico pensare che questo sarebbe il momento più favorevole per mettere con le spalle al muro la sinistra radicale: "Possibile - si è chiesto Galli della Loggia - che tra tanti intellettuali ‘democratici' non ci sia nessuno che voglia dare una mano a Fassino dicendo il fatto loro a Rifondazione e ai Comunisti italiani?".

Sì, è possibilissimo, perché in Italia in realtà non si fronteggiano una sinistra riformista e una sinistra massimalista, ma due sinistre similari, che provengono dallo stesso ceppo ideologico. E i presunti riformisti, che durante i cinque anni di governo Berlusconi hanno riabituato il proprio popolo ai vecchi richiami della foresta, oggi hanno grandi difficoltà a far passare la nuova parola d'ordine di un "rigore" che rischia di trasformarsi in autorete.

Sinistra/D'Alema e l'imbarazzo sul Libano

Il governo - soprattutto con D'Alema - tende a far percepire la missione in Libano ("la missione dell'Onu e dell'Europa") come alternativa alla linea unilaterale israelo-americana.

Ieri Napolitano ha avallato questa tesi affermando che "Italia e Francia hanno rilanciato le Nazioni Unite". Tuttavia si afferma da tutte le parti che questa missione è stata voluta da Usa e Israele. Chi ha ragione? Il governo di sinistra, volendo distinguere la propria politica estera da quella del precedente governo, ha tutto l'interesse a tenere insieme e considerare compatibili queste due linee, ma il videomessaggio di Al Zawahiri, diffuso ieri, con l'affermazione che "le forze dell'Onu sono nemiche dell'Islam", chiarisce il mistero.

Stanchi della fronda europea sul Medio Oriente e la guerra al terrorismo, Usa e Israele hanno deciso di mettere alla prova l'Europa, che sarà costretta ad affrontare la realtà del terrorismo e di conseguenza sarà obbligata a condividere l'idea di guerra globale sostenuta da Bush.

E' probabile che la sinistra (D'Alema) abbia capito il senso di questa accondiscendenza israelo-americana verso l'Europa, ma ne presenta una versione manipolata a fini di politica interna.

Intanto, dopo la formazione di un governo di unità nazionale nel territorio dell'Autorità palestinese tra Hamas e Fatah, irrompe la dichiarazione del portavoce di Hamas, il quale ha ribadito che la sua formazione - vincitrice delle ultime elezioni politiche - non intende riconoscere Israele.

Questa dichiarazione conferma l'alleanza tra Hamas e Hezbollah e fa prevedere una ripresa degli attacchi che potrebbe proprio riguardare, come si è lasciato sfuggire Chirac (notizia pubblicata a una colonna dal Corriere della Sera e del tutto ignorata dagli altri quotidiani), il Libano e coinvolgere quindi la missione Unifil.

(L'intervento di Al Zawairi può rappresentare un tentativo della comunità sunnita di contrastare la comunità sciita che ha segnato dei punti a proprio favore per la conquista della leadership nella lotta contro l'Occidente).

In altre parole, il tentativo dell'Europa di affermare la propria autonomia di fronte agli Usa finirà per ribadire la leadership americana (e israeliana) nella lotta contro il terrorismo.

Sinistra/Immigrati e l'esempio-Zapatero

Zapatero ha ordinato l'indietro tutta: dopo un primo periodo di porte aperte all'immigrazione, la Spagna socialista ora è pronta a rispedire a casa ottocentomila africani, quasi tutti di religione musulmana.

Si tratta di un annunciato "controesodo" di proporzioni bibliche, che comporterà un periodo di scontri sociali e di gravissime tensioni nel Paese, e che dovrebbe indurre il governo italiano a ripensare attentamente alle sue politiche sull'immigrazione. Ma per il momento a Palazzo Chigi sta prevalendo la tentazione di sfruttare l'immigrazione clandestina per creare artificialmente una fabbrica di nuovi italiani pronti, ovviamente, a votare a sinistra.

Se passerà il disegno di legge Amato, il numero degli extracomunitari nel nostro Paese aumenterà in modo esponenziale. Chi giungerà in territorio italiano diverrà per ciò stesso italiano: basterà che lasci passare cinque anni senza gravi violazioni della legge. A questo va aggiunto che i figli degli immigrati che nascono in Italia diventano automaticamente cittadini italiani. Per non parlare dei ricongiungimenti familiari che il governo ha intenzione di agevolare, e che porteranno nel nostro Paese centinaia di migliaia di anziani i quali, senza aver mai versato un contributo, peseranno sul nostro Welfare già al collasso.

Gli effetti di questa politica e di questi annunci si sono già fatti tragicamente sentire, con il massiccio aumento degli arrivi di clandestini sulle nostre coste, di quelli gettati in mare e col proliferare del mercato degli scafisti portatori di schiavi.

La sinistra pensa di affrontare un problema epocale, che attiene al futuro del nostro popolo e alla sua stessa identità, col metro utilitaristico dell'interesse elettorale.

Ma cinque anni sono davvero pochi per ottenere la cittadinanza italiana, soprattutto perché l'integrazione dei musulmani va regolamentata con fermezza e rigore, nel rispetto assoluto delle nostre leggi.

L'abrogazione della Bossi-Fini, in questa situazione, sarebbe un errore storico. La parte della legge relativa al trattamento degli immigrati nel momento in cui accedono nel nostro Paese e vengono identificati, ad esempio, resta perfettamente valida, perché la raccolta obbligatoria delle impronte digitali ha finalmente dato una certezza anagrafica a chiunque entra in Italia.

L'immigrazione è una grossa sfida e la Bossi-Fini è stato un tentativo di regolarla che può certo essere migliorato, ma non nella direzione indicata dalla sinistra radicale.

Abrogarla per favorire un flusso ininterrotto e incontrollato di immigrati - come vuole la sinistra - significherebbe anche far crescere la diffidenza dei cittadini italiani e alimentare forme di xenofobia che pure sono estranee al Dna del nostro popolo. I reati contro il patrimonio, gli omicidi e le violenze sessuali che vedono sempre più protagonisti gli immigrati creano inevitabilmente nell'opinione pubblica diffidenza e paura.

E quando il presidente Napolitano, riferendosi agli immigrati, dice da Assisi di augurarsi "che la cittadinanza si possa più facilmente acquisire. Chi la chiede però si deve riconoscere nei nostri principi e nelle nostre regole e osservare la Costituzione", fa solo demagogia. Perché i fatti hanno già dimostrato che l'immigrazione musulmana tende a mantenere la propria identità e ad osservare la sharia piuttosto che a rispettare le nostre leggi.

Sinistra/Il potere e l'occupazione-militare

Per delineare in modo preciso il quadro della situazione, per rendersi realmente conto della fase che sta attraversando il Paese, occorre partire da una dichiarazione rilasciata ieri da Bonaiuti. Parlando dell'occupazione militare della Rai, in atto malgrado non sia stata ancora formata la commissione parlamentare di Vigilanza, il portavoce del premier si è chiesto: «Le regole valgono davvero per tutti oppure la sinistra è esclusa?»

No, le regole sembrano proprio non valere per tutti. O, meglio, la sinistra sembra esclusa nei fatti dalle regole, quasi avesse una golden share, quasi avesse un diritto divino di governare calpestando ogni più elementare norma di rispetto e di buona creanza. Da quando si è insediato il governo sono state superati, ignorati, disattesi, stracciati regolamenti, consuetudini parlamentari, leggi, regole di garanzia. Con il paravento della parola "dialogo", la maggioranza ha imposto la sua regola, le sue scelte, le sue decisioni. Lo schema è sempre stato lo stesso: prima sono state rilasciate dichiarazioni che invitavano ad un confronto, poi, quando l'opposizione si è seduta al tavolo si è vista proporre un nome, uno solo, con l'obbligo di votarlo, altrimenti la sinistra sarebbe andata avanti per conto proprio. Di fronte all'ovvio e comprensibile diniego, gli esponenti della maggioranza hanno cominciato ad accusare il centrodestra di rifiutare il dialogo e di fare ostruzionismo, per poi nominare chi avevano in mente fin da subito o varare un progetto nell'esatta forma decisa all'inizio. E questo lo chiamano dialogo. La cosa grave è che ormai non fingono neanche più. La Rai ne è solo un esempio. Stanno cercando di rivoluzionarla senza che esista ancora l'organismo di controllo, cioè la commissione di Vigilanza. E lo stanno facendo attraverso la possibile rimozione di uno dei consiglieri in quota centrodestra. La cosa sfiora l'eversione perché, è il caso di ricordare, quando la Cdl vinse le elezioni del 2001 tenne al suo posto fino alla scadenza del mandato il presidente Zaccaria, poi divenuto girotondino e deputato della Margherita, limitandosi a chiederne le dimissioni e non facendo nulla di fronte ad un "no" dell'interessato (ricordiamo bene quali furono i programmi di killeraggio messi in piedi contro Berlusconi prima, durante e dopo le elezioni del 2001).

La semplice richiesta a Zaccaria di mettersi da parte provocò la violentissima reazione del centrosinistra, che lo difese in blocco e parlò di "tentativo di occupazione militare della Rai da parte del centrodestra".

E l'obiettivo di rimuovere con la forza il consigliere Petroni come si chiama?

Quello che sta accadendo in Rai è solo un esempio, drammatico, di quanto succede in ogni settore. Una maggioranza parlamentare risicatissima, che ha vinto le elezioni per lo 0,6 per mille, pur avendo preso meno voti complessivi, sta occupando ogni settore della vita pubblica, senza che ci sia un solo organismo che censuri qual si voglia comportamento. Così hanno fatto per i presidenti di Camera e Senato, con il presidente della Repubblica, con il commissario straordinario della Federcalcio, con le nomine degli enti statali e parastatali, con la formazione delle leggi con la fusione delle banche. E laddove non c'erano margini, c'era Di Pietro, il quale ha rimosso l'intero Cda dell'Anas denunciandolo in blocco alla magistratura e alla Corte dei Conti e, adesso, con gli stessi metodi annuncia una "mani pulite" delle autostrade e l'apertura di un'istruttoria sulle 23 concessioni autostradali italiane.

Una prova di forza globale alla quale cercano di opporsi solo Forza Italia, An e Lega, senza che si levi una sola voce autorevole per mettere fine a questo saccheggio di Stato, di seggiole, poltrone e strapuntini. Se questo non è un colpo di Stato strisciante (e neanche troppo) se non è occupazione militare del potere, qualcuno ci dica come chiamarlo.

Sinistra/Il bonus-bebè e la speculazione

E' partita la corsa all'aumento di gettito "sommerso". I ministri di spesa si sono resi conto che fra la riduzione della manovra per il 2007 (5 miliardi) determinato dalle maggiori entrate, e l'aumento reale di gettito, c'è uno scarto di 12 miliardi di euro. Un bonus determinato dalla politica economica del governo Berlusconi, che ora attira le bramosie dei ministri che, altrimenti, si vedrebbero ridotti i rispettivi bilanci.

Il primo a capire il gioco di Prodi (nascondere il gettito per "arrotondare" le cifre della manovra) è stato Antonio Di Pietro, che ha chiesto a Padoa Schioppa maggiori stanziamenti per 12,5 miliardi. Ora è la volta della Bindi. Vuole aumentare a 2.500 euro all'anno l'assegno per i bambini. Da notare che il meccanismo messo a punto prevede che l'assegno vada anche ai ragazzi fino al raggiungimento dei 18 anni d'età. Una proposta che, da sola, non solo assorbe per intero il maggior gettito "nascosto" da Prodi, ma rischia di pesare sul debito pubblico in modo permanente.

Non è finita. Con la proposta messa a punto dalla Bindi, verrebbe anche introdotto un meccanismo in grado di rimborsare le famiglie incapienti. Si tratta delle famiglie che non riescono ad intercettare un abbassamento delle aliquote fiscali, in quanto già oggi hanno un reddito esentato da imposte.

Per costoro si starebbe pensando ad un assegno di povertà, finanziato attraverso il bonus per i bambini. Ed agganciato al numero dei figli.

La soluzione, oltre ad essere impraticabile per la finanza pubblica (a parte il al costo, sarebbe difficile selezionare i veri incapienti dagli evasori), creerebbe una fascia sociale destinata a sopravvivere grazie al sussidio pubblico.

Sinistra/Dossier, la mina delle pensioni

Ci sono fondati motivi per ritenere che l'attuale governo non abbia l'energia e le strategie necessarie per mantenere in ordine i conti pubblici, nonostante la buona eredità ricevuta dall'esecutivo Berlusconi. Con le sue contraddizioni e le sue risse, però, la squadra di Romano Prodi è già riuscita a mettere in grave crisi i bilanci dell'Inps. L'accavallarsi di annunci e contrordini, rigori e cedimenti in materia di previdenza ha avuto il solo risultato, finora, di seminare il panico fra i lavoratori che hanno già raggiunto i 35 anni di contributi: si è diffuso un clima da "grande fuga" e c'è già un vero e proprio boom di richieste di pensioni d'anzianità.

I lavoratori dipendenti avrebbero magari voluto lavorare ancora per un anno, ma il timore che questo governo possa modificare le regole del gioco, li spinge a mettersi al sicuro.

Le cifre ufficiali dell'Inps confermano l'allarmante fenomeno: al 30 giugno 2006 risultano presentate 128.734 richieste di trattamento d'anzianità, il 16,4 per cento in più rispetto a quelle presentate nel primo semestre dell'anno scorso. Questa situazione ha anche imposto un superlavoro agli uffici Inps, che sempre nei primi sei mesi di quest'anno hanno definito migliaia e migliaia di pensioni, il 65 per cento in più rispetto al 2005.

Per i conti dell'Istituto nazionale di previdenza è un'autentica mazzata; è prevedibile, inoltre, che a fine anno l'aumento delle richieste di assegni di anzianità sarà ancora aumentato.

Se si pensa che l'intenzione del governo, aprendo questo difficile fronte, era quello di limitare la spesa e di favorire un aumento dell'età pensionabile, si è trattato di un clamoroso "boomerang" che illustra quale dilettantismo caratterizzi l'azione delle sinistre al governo.

Rotta di collisione - Una parte del governo, annunciando di voler aumentare l'età minima necessaria per la pensione di anzianità, si è rimangiati gli impegni programmatici, le promesse preelettorali, e si è contrapposta a quella sinistra radicale senza il cui consenso la vincibile armata di Romano Prodi non può reggersi.

Il programma dell'Unione, su questo tema, era di agevole interpretazione: formulava l'impegno di eliminare lo "scalone" della riforma Tremonti-Maroni (apprezzata dall'Europa) e di non toccare i requisiti minimi richiesti per la pensione di anzianità (35 anni di contributi e 57 anni di età).

Programma avventurista, perché eliminando lo "scalone" si bruceranno i risparmi per 4 miliardi di euro previsti per il 2008 e perché, mantenendo lo schema attuale della pensione di anzianità, si appesantiscono i conti dell'Inps.

Pressata dall'Europa, colta da un repentino soprassalto di rigore, l'ala sedicente riformista del governo ha escogitato la trovata di ritoccare i meccanismi della previdenza già nella Finanziaria. Di qui una rissa senza precedenti fra ministri e leader di partiti e partitini.

La sinistra radicale si richiama al programma e annuncia che le pensioni non si toccano; i sindacati minacciano lo sciopero generale. Parecchi, nell'Unione e nelle confederazioni sindacali, magari senza dirlo, o senza proclamarlo apertamente, ritengono la riforma del centrodestra, "scalone" compreso, più equa e sensata dei pasticci che questo governo dice di voler combinare. Rinnegando anche il volutone del suo scombinato programma. E intanto tanti vogliono lasciare il lavoro, temendo sia le alzate d'ingegno dei "rigoristi" sia la demagogia inconcludente della sinistra radicale.

Rai/Bonaiuti: prima delle nomine si deve riunire la Commissione Vigilanza

Agenzia Ansa del 12 settembre, ore 11.04

''Prima di ogni nomina Rai, ribadiamo formalmente la richiesta che venga riunita la commissione parlamentare di Vigilanza, per avere in quella sede la dovuta conoscenza sulle linee editoriali e sui criteri delle nomine''. Lo afferma Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi. ''La commissione parlamentare non e' un critico radio-televisivo, ma un organo di controllo formato da membri delle due Camere, che esprime valutazioni preventive sulla strategia editoriale dell'azienda, nella quale - conclude - rientrano le nomine stesse''.

   

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