Berlusconi tornerà in Molise per festeggiare la vittoria di Michele Iorio alla presidenza della Regione Molise.
Lo ha annunciato lo stesso leader della CdL in un collegamento telefonico con Telemolise, durante una trasmissione sui risultati elettorali, in cui vi era come ospite in studio il presidente riconfermato della Regione.
Berlusconi si è complimentato con Iorio per il risultato ottenuto ed ha ribadito che "il risultato delle regionali è significativo anche a livello nazionale perché dimostra che anche il Molise è scontento del Governo Prodi, che è il peggior governo avuto sinora".
Nel corso della telefonata in diretta Berlusconi ha anche evidenziato la "debolezza del Governo al Senato, dove la maggioranza si regge su qualche voto".
Iorio, senatore di FI, ha ringraziato Berlusconi per la vicinanza dimostrata nei confronti della Regione - con tre visite elettorali in pochi giorni - ed ha sostenuto che "il risultato elettorale molisano dimostra sia la bontà del lavoro svolto dalla CdL nel governo della regione sia il malcontento degli italiani per la politica del centrosinistra".
"Speriamo che telegiornali e giornali radio non trasmettano il sonoro delle dichiarazioni di Prodi sul Molise perché sarebbe insopportabile lo stridio delle unghie mentre il capo del governo cerca di arrampicarsi sugli specchi per giustificare lo schiaffo del Molise. Ma quali elezioni locali? Gli elettori hanno punito e puniranno ancora il peggior governo del dopoguerra".
Così Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, replica ai commenti rilasciati dal premier Romano Prodi sull'esito delle elezioni regionali in Molise.
Una vittoria chiara, netta, limpida. Con un preciso significato, che travalica il voto puramente locale ed è lo specchio del crollo verticale del consenso dell'Unione di Prodi a soli sei mesi dalle elezioni politiche. Dalle file del governo ci si affanna a sostenere il contrario, ma è proprio la contraddittorietà delle loro argomentazioni a dar ragione a quanti, non solo i partiti della Cdl, ma anche i più autorevoli commentatori, sostengono che il voto molisano è un segnale per Palazzo Chigi.
Ecco perché.
Con la riconferma di Iorio, il Molise dice "no" a Prodi e "sì" a Berlusconi: questa la semplice ed inconfutabile lettura dei dati elettorali regionali.
Lo sconfitto unionista dichiara di aver "pagato il prezzo della finanziaria", ma la sinistra - dopo aver impegnato in campagna elettorale il gotha della sua classe politica - tenta maldestramente di minimizzare il risultato spogliandolo di qualsiasi valenza nazionale e svelando ancora una volta il suo doppiopesismo. Infatti, nella passata legislatura, qualsiasi risultato elettorale favorevole all'Unione acquisiva un forte significato politico che veniva strumentalizzato dai vari D'Alema, Rutelli e Diliberto.
Oggi questi stessi signori, fra un corteo e una manifestazione, sono costretti a dire che i trecentomila elettori molisani non sono un test nazionale e hanno tutto l'interesse a sminuire il voto molisano non solo per non perdere la faccia dopo appena SEI mesi di governo, ma per una ragione ben più grave: perché il vero vincitore di questa competizione è Berlusconi.
E' stato il Cavaliere a volere che per la Casa delle Libertà venisse riconfermato il presidente uscente e a difendere questa candidatura anche nei confronti di quegli alleati che avrebbero voluto un nome nuovo.
E' stato Berlusconi a spendersi in prima persona, anche quando il pessimismo dominava, con una campagna elettorale che non poteva non dargli ragione. E il risultato è questo: Iorio è ancora presidente della Regione, Berlusconi ha vinto le elezioni in Molise.
Una vittoria che pesa sulla maggioranza di governo: non solo e non tanto per aver perso in una piccola regione, ma soprattutto perché questo risultato riapre a Roma il tavolo delle diatribe, lo scontro tra due anime, costringe a trovare una linea comune tra le tante differenze dell'Unione.
Ma è anche una vittoria che all'interno della Casa delle Libertà "vale" molto più di una presidenza regionale: è infatti la conferma della capacità di Berlusconi di convogliare i voti nel bacino del centrodestra, è la prova provata che la sua leadership, la sua "età politica", a dispetto di tutto e di tutti, sta vivendo ancora una fiera giovinezza.
Romano Prodi non perde occasione per sottolineare che da Palazzo Chigi comincia lo scaricabarile nazionale della responsabilità decisionale e per ultimo fa spallucce dinanzi al voto che ha premiato il centrodestra in Molise: "Il risultato è problema loro". Una cosa tra molisani, dunque insignificante.
Prodi, al solito, mente sapendo di mentire. Spinto dalla necessità, oltre che dalla naturale inclinazione a scansare le responsabilità. Semplicemente, non può ammettere quello che tutti sanno in virtù dei sondaggi e del senso comune.
Sei mesi di sperimentazione del governo Prodi sono bastati a rovesciare il trend elettorale del 9 aprile. Nessun dubbio che, se oggi si tornasse a votare, sul centrosinistra si abbatterebbe la vendetta dei cittadini per il tradimento delle promesse elettorali: quella di non aumentare le tasse e quella di fare le riforme indispensabili alla modernizzazione alla competitività del sistema Italia sul mercato globale.
Quando sostiene, come fa spesso, che dopo di lui c'è solo l'appello elettorale, Prodi non minaccia l'opposizione ma i partiti della sua stessa coalizione. Li ricatta con lo spettro della disfatta a cui andrebbero incontro. Si fa forte della sua debolezza per imporre con arroganza la sua permanenza in carica, come unica alternativa alla rivincita di Berlusconi.
Un ricatto destinato a funzionare finché i suoi frustrati sostenitori non si accorgeranno che agita una pistola scarica. Cinquant'anni di cronache politiche stanno a dimostrare che per ogni governo che cade in assenza di una maggioranza disposta a correre l'alea di elezioni anticipate, c'è sempre una base parlamentare disponibile per una qualche soluzione di ricambio.
Prodi può anche blindare la sua indigeribile legge finanziaria col ricorso al voto di fiducia, ma non gli riuscirà di tenere sotto controllo le contraddizioni della sua maggioranza, alla prova delle riforme. Quelle serie, "di struttura", che l'Europa ci chiede e la forza trainante dell'economia produttiva settentrionale reclama, non sono digeribili dalla sinistra neocomunista.
Prodi sapeva ancor prima di cominciare come sarebbe andata a finire, e questo è l'inganno imperdonabile consumato ai danni degli stessi elettori che hanno dato fiducia al suo voluminoso programma cartaceo.
Prodi marcia verso il disastro, scortato dalla guardia rossa mobilitata in piazza dalla sinistra neocomunista a protezione sua e della Finanziaria di tasse, che sottrae risorse allo sviluppo per alimentare la spesa improduttiva e l'irredimibile demagogia classista di partiti antisistema. Costituzionalmente inidonei a portare il fardello del governo in una liberaldemocrazia.
Le elezioni regionali in Molise hanno confermato la crisi di fiducia del Paese nei confronti del governo e l'apprezzamento per l'amministrazione guidata dal presidente "azzurro" Michele Iorio.
Il risultato premia Forza Italia che si conferma il primo partito anche nel Molise con un dato che supera ogni più rosea previsione, in linea quindi con i sondaggi che a livello nazionale danno il partito vicino al 29 per cento. Ma l'esito del voto incoraggia anche la Casa delle Libertà che dal voto esce rafforzata nel suo complesso.
Il risultato dell'Udc è in linea con quelli ottenuti nelle precedenti tornate elettorali in Molise. Nel complesso l'esito del voto mostra che la Casa delle Libertà è un'alleanza che vive in maniera irreversibile nella coscienza degli elettori prima ancora che nella volontà dei dirigenti dei partiti. Il voto del Molise incoraggia quindi a superare le difficoltà che si registrano a livello nazionale all'interno della Casa delle Libertà.
Nel pieno della crisi dell'attuale governo, a pochi mesi dal suo insediamento, il Molise può diventare il simbolo della riscossa, il primo risultato positivo in grado di invertire la tendenza negativa degli ultimi anni, soprattutto a livello amministrativo.
Il prossimo anno sono in programma le elezioni amministrative che riguarderanno circa 11 milioni di cittadini, nel 2008 ci saranno le elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia e nel 2009 le elezioni europee. Sono tutti passaggi favorevoli al centrodestra.
Nel momento di maggiore difficoltà del governo Prodi, percepito dalla maggioranza della pubblica opinione come uno dei peggiori della storia repubblicana, le responsabilità di Forza Italia crescono in Parlamento e nel Paese.
La gente ci chiede di mandarli a casa, nella convinzione che ci si trovi di fronte ad un malato terminale che, con la sua agonia, peggiora la vita dei cittadini in termini di sicurezza, di prospettiva di sviluppo mentre ci riempie di tasse. E a quella gente, cresciuta notevolmente rispetto a quanti ci avevano votato ad aprile ed arricchita da una massiccia dose di "pentiti", occorre mostrare la massima attenzione trovando il modo di coinvolgerla. Le manifestazioni ed il dialogo con i cittadini nel territorio, hanno questo scopo pur nella consapevolezza che non basteranno, da sole, a rimandare a Bologna la Mortadella romana!
Tuttavia è in Parlamento - e al Senato in particolare per le note difficoltà numeriche della sinistra - che a Prodi non va data tregua.
Una offensiva crescente serve ad esasperare quanti, in maggioranza, a cominciare dal Presidente del Senato, sono convinti che questo governo si sta trasformando in un "affare personale" di Prodi e della sinistra radicale, dimenticando l'Unione e lo spirito originario di quella coalizione ben più eterogenea.
Chi non è convinto del Partito Democratico, chi non è disposto cioè a preparare sin da ora il tandem Prodi-Veltroni per il Palazzo Chigi di domani, ha interesse a frenare le ambizioni di durata di questo governo egoista e sciagurato…
A questo genere di interlocutori, numerosi e trasversali più di quanto appaia tra i diessini e i popolari della Margherita, dobbiamo offrire filo per tessere. Loro, più che nostra, sarà la corda che si stringerà al momento opportuno sul collo del premier. Noi dobbiamo essere pronti per quel momento e su questo Forza Italia, An ma anche Udc e Lega, hanno interesse a mostrarsi compatti: un momento che avverrà certamente prima della conclusione naturale della legislatura anche se non coinciderà necessariamente con una immediata chiamata alle urne.
Forse ispirandosi al principio trozkista della "rivoluzione permanente", la sinistra radicale ha portato nella maggioranza di governo la prassi della "rissa continua". Non c'è giorno senza polemiche, spallate, contrasti, interviste sferzanti nei confronti dei separati in casa.
La sinistra estrema è decisamente all'attacco contro gli alleati, che in questo momento sembrano subire. Sono i comunisti e quelli che si definiscono "antagonisti" a dettare la linea al governo. Romano Prodi sembra aver assunto il ruolo di un pavido notaio che raccoglie le volontà di Bertinotti, Giordano e compagni. Cerca di galleggiare nello scontro di onde contrastanti che rendono la sua coalizione a rischio, come una fragile barca nel triangolo delle Bermuda.
Contestato e insultato dai comunisti di Rifondazione, dai Cobas e da altri "antagonisti", bersaglio principale della protesta romana di sabato promossa dalla sinistra radicale contro il governo, il ministro del lavoro Cesare Damiano ha alzato le braccia e ha annunciato che la legge Biagi sarà "rivista". Un eufemismo, questo, che sta per "cancellata". L'ala massimalista della coalizione esulta, ma la resa di Damiano non porta la pace nella coalizione. Tiziano Treu, della Margherita, ex ministro del lavoro, lancia l'allarme e sostiene che l'abrogazione della riforma Biagi creerà migliaia di disoccupati. Per Daniele Capezzone, della Rosa nel pugno, la cancellazione delle norme sul lavoro flessibile "sarebbe un grave errore". Prodi tace.
La preminenza e la prepotenza della sinistra estrema fa soffrire la parte dell'Unione che si definisce "riformista", soprattutto la Margherita e una parte dei Ds. Francesco Rutelli, in particolare, lamenta la doppiezza della sinistra massimalista (al governo e contro il governo) e sostiene che l'offensiva di quella sinistra "rischia di condannare l'Ulivo a un ruolo minoritario e residuale". Rutelli è molto cauto, non vuole apparire troppo critico nei confronti di Prodi, affida le sue riserve a un piano di riforme che il governo dovrebbe varare per dimostrare di non essere succubo degli estremisti. Il piano è un libretto dei sogni, peraltro ancora segreto. Lamberto Dini è meno diplomatico e denuncia "l'egemonia della sinistra massimalista".
I maldipancia sono, insomma, diffusi e non rendono più disteso il clima che si respira nella maggioranza.
Anche la difesa del ministro Padoa Schioppa, pronunciata da Prodi a margine dei suoi incontri londinesi, è rivolta principalmente ai cosiddetti riformisti. Da loro sono venute le critiche più serrate e costanti al ministro dell'economia per la sua finanziaria rapace. E non è un caso che l'ultima lode per Padoa Schioppa sia venuta dal ministro di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. Ai comunisti ovviamente non spiace che nella finanziaria sia calcata la mano sulle tasse, pesantemente, piuttosto che sullo snellimento degli apparati burocratici e sui risparmi strutturali.
A Londra il Professore si è trovato in imbarazzo con Tony Blair perché il premier inglese ha chiesto notizie e rassicurazioni sul rigassificatore di Brindisi. L'impianto, importante per i rifornimenti dell'Inghilterra, dovrebbe essere realizzato dalla British Gas e si sarebbe dovuto completare nel 2007. Ma il progetto è stato bloccato sul nascere perché la sinistra estrema e gli ambientalisti che la rinforzano sono contro il rigassificatore. A guidare il partito del "no" è proprio il governatore della Puglia, il comunista Vendola. Prodi ha provato a rassicurare Blair, ma sa perfettamente che i suoi alleati si opporranno. "Realizzare l'impianto a Brindisi - ha dichiarato Vendola - è un crimine".
Si profila un'altra Tav.