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il Quaderno del 5 febbraio

Berlusconi sulla legge elettorale: no a referendum per cambiarla

Agenzia Ansa del 4 febbraio h. 10,50

"Ho sempre pensato che cambiare la legge elettorale per referedum sia un errore. Il referendum può essere solo uno strumento di pressione per migliorare il testo che abbiamo votato la scorsa legislatura". Lo dice Silvio Berlusconi in un'intervista che campeggia sulle colonne del quotidiano leghista La Padania.

Berlusconi rileva che gli esponenti di Forza Italia che aderivano al comitato referendario si sono dimessi e risponde alle preoccupazioni espresse dall'intervistatore sulla posizione di An: "In ogni occasione Gianfranco Fini ha espresso valutazioni assolutamente analoghe alle mie e cioè che la via parlamentare va seguita ad ogni costo".

"Credo che si possa lavorare a limitati ritocchi della legge esistente, il primo dei quali - spiega Berlusconi - riguarda il premio di maggioranza in Senato. In ogni caso il centrodestra deve prendere una decisione collegiale... Con Umberto Bossi abbiamo già cominciato a lavorare su questo e, come sempre, troveremo insieme la soluzione migliore per poi confrontarci con il centrosinistra".

"Umberto Bossi che va d'accordo con Diliberto o Pecoraro Scanio non riesco proprio ad immaginarlo". Berlusconi liquida le ipotesi che la Lega possa essere tentata di ottenere il federalismo trattando con l'attuale maggioranza. "La sinistra - secondo Berlusconi - è centralista e statalista, per storia, cultura e vocazione, e per diventare federalista dovrebbe rinnegare totalmente il suo Dna. E poi questi signori dell'Unione sono lontanissimi dalla Lega come da noi, su infinite altre questioni, dall' economia, al fisco, alla difesa della famiglia".

"La proposta di un governo tecnico - sottolinea il leader di Forza Italia - l'avevo fatta subito dopo le elezioni, a fronte di un sostanziale pareggio, per non lasciare il paese spaccato in due. Era una proposta responsabile ma è stata irrisa e lasciata cadere. Oggi non vedo le condizioni perchè, con questa sinistra, torni praticabile".

Tasse locali, la nuova stangata

Si delineano i contorni della stangata fiscale definitiva, quella con la quale dovranno fare i conti tutti gli italiani quando toccheranno con mano la consistenza delle addizionali regionali e comunali. La busta paga di gennaio, che pure ha dato il via alle prime polemiche e lamentele, non fa testo. Ad aprile, quando peseranno appieno i tributi locali, gli italiani che hanno guadagnato qualcosa si accorgeranno, nella stragrande maggioranza, che ci hanno perso; quelli già tartassati, troveranno una busta paga ancora più leggera.

E' difficile al momento fare i conti. Ma potremo dire, a mo' di esempio, che su un reddito imponibile di 27mila euro, il peso fiscale delle tasse locali aumenterà fra i 54 e i 243 euro. Nella pattuglia di testa troviamo città governate dalla sinistra: Ravenna, Bologna, Ferrara, Modena. Ma, ripetiamo, si tratta per ora di dati puramente indicativi.

Molti enti locali devono, infatti, ancora pronunciarsi. In particolare la botta fiscale sarà particolarmente pesante per i cittadini di quelle Regioni (dalla Campania al Lazio alla Liguria), che hanno sforato nel bilancio sanitario e dovranno, quindi, imporre una tassa aggiuntiva. La somma fra l'addizionale comunale e quella regionale sarà vicina o superiore all'1%.

Queste tasse vanno a colpire molto pesantemente soprattutto i percettori di redditi medi o medio-bassi. Tra i tanto propagandati vantaggi fiscali strombazzati dal governo (due caffè al mese per i pensionati) e la botta in arrivo con le addizionali c'è una distanza stratosferica.

Occorrerà vigilare e informare gli italiani. Perché qualche ente locale è già impegnato nel gioco delle tre carte. E' il caso dell'ineffabile sindaco di Roma e di quanti, nella stampa locale, gli reggono la coda. Ha diminuito l'Ici comunale dal 4,9 al 4,6 per mille; ha aumentato l'Irpef dallo 0,2 allo 0,5 per cento. Le cifre sono state rese note proprio così. E' bene dunque fare un raffronto più corretto: l'Irpef aumenta dello 0,3 per cento, l'Ici diminuisce dello 0,03 per cento (due zeri, non uno).

Eppure, per citare un solo titolo, sul Messaggero la manovra viene contrabbandata come una sorta di regalo ai contribuenti ("Bilancio, nuovi sgravi per i bisognosi"). Dove il cronista ci fa sapere che i ricavi dell'addizionale Irpef saranno restituiti alle famiglie romane sotto forma di sconto Ici. Nonostante si tratti di due aumenti quantitativi di differenza incommensurabile. Senza contare che l'addizionale Irpef (che grava su tutti, ricchi e poveri, in egual misura) servirà a recuperare nelle casse del Comune gli sgravi Ici, che avvantaggiano solo chi è proprietario della prima casa. Detto in soldoni: chi è in affitto (probabilmente meno abbiente) paga anche per chi è proprietario in casa propria.

Un inganno. Insomma, come dicevamo, il gioco delle tre carte.

Realtà/Draghi contro il draconiano Visco

"…E so' contento", diceva il pugile suonato sul ring e interpretato da un indimenticabile Vittorio Gassman nel film "I mostri". Metafora di questa sinistra che assorbe, con parole compiacenti, i micidiali "uppercut" assestati dal governatore Draghi: sulle pensioni, sulla crescita del Paese, sul modello di aggregazione bancaria targato Bazoli, sulla spesa pubblica e, dulcis in fundo, sull'imposizione fiscale.

Così assistiamo alla strabiliante affermazione di Vincenzo Visco, che dichiara: "Il governatore ha ragione. Di troppe tasse si può anche morire". E' il medico che pratica l'iniezione letale al paziente e poi dice che è per il suo bene. L'esternazione di Visco, affidata all'amica Repubblica, è tutta un peana di Draghi e ha del surreale, alla luce delle parole del governatore.

Draghi è stato chiaro: "Il livello di tassazione attuale è troppo elevato e penalizza gli onesti, la gente che lavora e fa il proprio dovere". Parole che non lasciano dubbi. Visco si guarda bene dall'affrontare il nodo della crescita, affrontato perentoriamente da Draghi: per ora è "per lo più indotta dal buon andamento delle economie europee"; occorre che ad essa "si sostituisca una crescita interna".

La stangata fiscale della Finanziaria, della quale si avvertiranno appieno le conseguenze con l'applicazione delle addizionali regionali e comunali, è destinata a deprimere i consumi interni. Visco, bontà sua, ci informa che "di altre tasse non se ne parla". Nello stesso tempo concorda con Padoa Schioppa sul fatto che non potranno essere diminuite prima di due anni. E' evidente che, prima del 2009, il Paese non sarà in grado di camminare sulle proprie gambe e che rischia di perdersi proprio quella ripresa che gonfia le ali delle altre economie europee.

Ma no, il governo non avverte questo rischio. Dà ragione a Draghi, che pure sancisce il sostanziale fallimento di una politica di "risanamento" tutta concentrata sulle entrate e per nulla interessata allo sviluppo del Paese.

Montezemolo, e non solo lui, raccoglie le preoccupazioni del governatore: restituire le tasse a chi lavora onestamente, a cominciare da chi lavora nelle fabbriche; alleggerire il peso, sulle imprese, di una pressione fiscale diretta e indiretta che non ha eguali in Europa. Avrebbe potuto pensarci prima, sostenendo quella politica fiscale del centrodestra che ha portato nelle casse dello Stato la bellezza di 37 miliardi di euro in più.

Una cifra definita "inaudita" da Draghi e della quale Visco, ancora una volta, si fa bello attribuendola in buona parte al recupero dell'evasione fiscale. Si potrebbe e dovrebbe cominciare a restituire le tasse fin dal prossimo anno. Ma, come ci fa sapere Visco, "la spesa corrente continua a crescere a ritmi superiori al 2,5% l'anno. Il nodo da sciogliere è tutto qui". Ma al Governo c'è lui, che della spesa pubblica ha in mano le redini. Abbiamo già capito dove finirà questo "inaudito aumento di gettito", ma soprattutto dove non finirà: nelle tasche dei contribuenti.

Realtà/Draghi a favore di Tremonti

Sulle pensioni serve uno sforzo straordinario e collettivo: sul modello di quello che venne adottato nei primi anni Ottanta per combattere gli automatismi della scala mobile che alimentavano l'inflazione; o sul tipo di quello del '92-‘93 sulla concertazione per contenere il costo del lavoro. Mario Draghi è sempre più vicino al profilo di governatore della Banca d'Italia impostato da Guido Carli.

E non è un caso che invii proprio dal Forex il suo messaggio shock per maggioranza e parti sociali. Prima di Carli, il governatore parlava solo una volta all'anno: per le considerazioni finali, il 31 maggio. Carli inaugurò la seconda apparizione pubblica: un segno di omaggio per gli agenti di cambio dell'epoca, visto che lui veniva dalla sala cambi della Banca d'Italia.

E dal Forex, Draghi manda un appello forte: soprattutto alla maggioranza. La necessità di una riforma delle pensioni è talmente urgente che deve essere perseguita anche con soluzioni che potrebbero essere dilanianti per il sindacato. Come appunto lo fu l'accordo di San Valentino del 1983, che stabilì la fine dell'automatismo della scala mobile; e mise fine alla rincorsa prezzi-salari. A quell'accordo seguì un referendum promosso dal Pci e contrastato da Cisl, Uil e dalla componente socialista della Cgil (della quale faceva parte Guglielmo Epifani, attuale segretario Cgil).

L'invito di Draghi al governo è di non fare passi indietro rispetto alla riforma Tremonti-Maroni; che, al contrario, deve essere implementata con le norme di attuazione. Quella dei fondi pensione, della previdenza integrativa, è stata attuata. Resta il graduale innalzamento dell'età pensionabile.

Quindi, per il governatore lo scalone deve restare; e non edulcorato come vorrebbe l'attuale governo, che ha scritto anche nel programma dell'Ulivo la volontà di cancellare le riforme strutturali della Casa delle Libertà.

Draghi invita governo, maggioranza, parti sociali a fare uno "sforzo collettivo". Ad avere lo stesso coraggio sui quali li sprona l'opposizione.

Per queste ragioni - come diceva sabato a Torino un banchiere - "Da queste parti si parla più di politica che a Montecitorio". E non solo perché al Forex era tangibile lo strapotere di Giovanni Bazoli, banchiere e sodale di Romano Prodi. Ma era anche tangibile come gli altri banchieri tentassero di ridimensionare e tamponare il progetto di potere politico che il tandem Bazoli-Prodi hanno in mente. Frenare Bazoli vuol dire frenare Prodi.

E mai come ora il motto "i nemici dei miei nemici sono i miei amici".

Unione/Rutelli stretto nella morsa

Per la sua intrinseca debolezza, Rutelli è l'esponente del centrosinistra più esposto al rischio di essere schiacciato tra la macchina politico-organizzativa dei Ds e quella politico-finanziaria di Prodi: il Partito democratico potrebbe essere l'occasione di una ripresa oppure di una definitiva emarginazione.

Ma la debolezza è anche la forza di Rutelli che ha in mano, non meno dell'ala sinistra dell'Unione, l'arma del ricatto: può fare cadere la coalizione di governo di centrosinistra, bloccando allo stesso tempo l'azione di concentramento di poteri di Prodi e costringendo i Ds a spostarsi a sinistra smentendo il loro riformismo di facciata.

Per questo Rutelli combatte su due fronti e ha scelto il campo della politica estera per sfidare l'ala sinistra dell'Unione chiedendole di allinearsi, ma allo stesso tempo ha detto no alla proposta di Casini di mettere insieme le forze per dare vita a "manovre neocentriste" in vista di sbloccare l'attuale bipolarismo.

Sfidando la sinistra sulla politica estera, Rutelli cerca di riconquistare la leadership moderata nell'area di centrosinistra, e il suo "no" a Casini dipende dal fatto che il leader dell'Udc non è in grado di portare uno schieramento analogo, potendo contare solo sulle forze del proprio partito.

Tuttavia Mastella è più possibilista e lo stesso vale per Dini: ambedue aspettano solo una crisi del governo Prodi per riprendere la propria libertà di manovra.

Fini punta sulla crisi del governo Prodi a brevissimo termine: sui Pacs o sull'Afghanistan. E a questo scopo ha cominciato a tessere una rete di contatti con il mondo imprenditoriale, arrivando anche a denunziare in modo esplicito l'asse di potere Prodi-Bazoli, evidentemente nella convinzione che si stia formando un polo di resistenza a questa concentrazione politico-finanziaria: polo che ha una sponda forte nei Ds i quali potrebbero trovare conveniente assumere una posizione rigida e formalmente di sinistra sia per rimanere uniti sia per recuperare nei confronti di Rifondazione e comunisti italiani.

Comunque il quadro è in forte fibrillazione, stimolato anche dall'anomala lettera dei Sei Ambasciatori "agli italiani" che suona come un abbassamento del rating del governo Prodi in politica estera e che ha fortemente imbarazzato il Capo dello Stato.

Bonaiuti: Rutelli recita due parti in commedia

Agenzia Ansa del 4 febbraio h. 19,01

"Rutelli recita due parti in commedia: dice agli italiani di essere filo-atlantico e poi governa con la sinistra radicale, estrema e antiamericana. Troppo comodo".

Lo afferma l'on. Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di FI, Silvio Berlusconi.

Unione/Prodi sul carro dei no-global

I nuovi ultimatum lanciati ieri da Rutelli su politica estera e pensioni hanno fatto infuriare la sinistra radicale, ma soprattutto Prodi, che con la sinistra dell'Unione sta cercando di ricucire per portare a casa un accordo sull'Afghanistan e una tregua sulla base di Vicenza da sancire nel famoso vertice di maggioranza, ancora da convocare ufficialmente.

Rutelli ha detto chiaro e tondo che, su Vicenza, Verdi, Rifondazione e Pdci devono accettare la decisione presa dal governo e smetterla di chiedere ripensamenti o aggiustamenti, e sull'Afghanistan il decreto va votato "da tutti" così com'è. Altrimenti la maggioranza "si troverà".

Come dire che se i voti determinanti arriveranno dal centrodestra, occorrerà prenderne atto e trarne le dovute conseguenze.

Il problema, però, è che la sinistra pacifista non è in grado di trovare un'intesa prima della grande manifestazione di protesta indetta a Vicenza per il 17 febbraio. Né Giordano, né Diliberto, né Pecoraro Scanio hanno intenzione di essere sommersi dai fischi della loro base elettorale.

Il summit che dovrebbe essere convocato in settimana, dunque, rischia di essere ancora una volta interlocutorio, e la guerriglia interna all'Unione sembra destinata a continuare. Anche perché la sinistra radicale ha dalla sua parte il famoso programma di governo partorito dall'Officina di Prodi.

Infatti, alla luce di quanto scritto a pagina 109, il sì continuista di Prodi (continuista rispetto a Berlusconi) è un evidente strappo: "In questo quadro - si legge - reputiamo necessario arrivare a una ridefinizione delle servitù militari che gravano sui nostri territori, con particolare riferimento alle basi nucleari.

Quando saremo al governo daremo impulso alla seconda Conferenza nazionale sulle servitù militari, coinvolgendo l'Amministrazione centrale della Difesa, le Forze armate, le Regioni e gli Enti locali, per arrivare a una soluzione condivisa che salvaguardi al contempo gli interessi della difesa nazionale e quelli altrettanto legittimi delle popolazioni locali".

Una ridefinizione che non coincide per nulla con la scelta "continuista" di Prodi sulla base di Vicenza.

Noi/Sui temi etici libertà di voto

Forza Italia ritiene che non sia possibile e corretto discutere di questioni che riguardano la sfera morale ed etica, imponendo ai parlamentari, di ciascun partito, il vincolo di maggioranza a sostegno del governo o l'obbligo della fedeltà al proprio partito.

Tali questioni devono essere riservate esclusivamente alla libera discussione e volontà del Parlamento, così come è accaduto nella precedente legislatura in merito alla legge 40.

Per Forza Italia in questa materia la contrapposizione non è fra laici e cattolici, fra modernisti e tradizionalisti, ma tra quanti credono che la libertà sia fondata innanzitutto sulla responsabilità individuale e coloro che, invece, credono che libertà equivalga alla soddisfazione - per mezzo dello Stato - di ogni desiderio.

Forza Italia, ha storicamente rappresentato il primo tentativo di annullare la valenza politica della contrapposizione tra credenti e non credenti. Da tale primato deriva che il riferimento alla coscienza e alla sua libertà, in materie come queste, per noi non può essere eluso. Ci viene imposto dalla nostra stessa storia. Ma il richiamo alla coscienza non significa affatto un preventivo e indistinto "sciogliete le fila". Se qualcuno tra i nostri alleati lo ha così inteso, si è sbagliato. E se qualcuno dei nostri avversari politici lo ha così interpretato, si è illuso.

Proprio per queste ragioni Forza Italia non potrà mai essere favorevole a soluzioni che equiparino o cerchino surrettiziamente di equiparare le unioni di fatto alla famiglia naturale fondata sul matrimonio.

Calcio/Il governo fa melina

Si può condannare l'incredibile picco di violenza registrato nel calcio, si può e si deve rappresentare la nostra vicinanza e solidarietà alle forze dell'ordine e ai familiari del poliziotto ucciso a Catania, si deve assolutamente affrontare il fenomeno della violenza degli stadi con le necessarie serietà e fermezza. Detto questo, tuttavia, alcune riflessioni sono obbligatorie, anche se devono essere fatte, con abilità e intelligenza, senza correre il rischio di apparire strumentali.

Chiudere il calcio per gli incidenti di Catania e per alcuni gravi episodi che li hanno preceduti è come nascondere la polvere sotto il tappeto. Va detto che il mancato rispetto della legge Pisanu, la straordinaria superficialità con cui il governo non ha saputo cogliere gli spaventosi campanelli d'allarme provenienti dal calcio (prima di Catania ci sono stati gli incidenti di Salernitana-Cavese e un morto per rissa in terza categoria), il dilettantismo della Melandri, più avvezza ai lustrini, alla ribalta e alla sfilata per la vittoria dell'Italia ai mondiali di calcio che a una reale e seria politica dello sport, sono tutti elementi dello stesso problema: anche l'allarme sul calcio va annoverato fra i fallimenti di Prodi e dei suoi ministri.

Non solo: chiudere gli stadi e sospendere i campionati è - come nel caso dell'aumento delle tasse - la soluzione più facile ma anche quella più miope, che non calcola certo le ricadute a lunga scadenza. Non sapendo cosa fare, essendo impotente e incapace di affrontare le vere emergenze del Paese e - soprattutto - non avendo i numeri e l'equilibrio nella compattezza, il governo invece di affrontare il dramma della violenza dei tifosi rimuove il problema alla radice: stop alle partite.

Perché è colpa del governo? Sarebbe troppo facile sostenere che a parti invertite la sinistra avrebbe massacrato un eventuale governo Berlusconi nel caso una città come Catania fosse stata messa a ferro e fuoco da bande di ultrà scatenati e un agente di polizia avesse perso la vita. Sarebbe troppo facile perché è ovvio che sarebbe capitato tutto questo.

Molto più costruttivo, invece, chiedere conto a Palazzo Chigi del perché, nella sua furia di abbattere tutte le riforme della passata legislatura, non avesse applicato la legge Pisanu, che oggi tutti vogliono utilizzare e che addirittura - erroneamente - un pm definisce anche trooppo morbida.

Se ci fosse stata la fermezza e la serietà tanto sbandierata da Prodi, non ci troveremmo oggi nell'emergenza, perché gli stadi non in regola avrebbero dovuto adeguarsi e i tifosi troppo violenti non avrebbero avuto accesso negli stadi.

Invece non c'è stata, l'Italia piange un morto e alcuni feriti, una città piange la sua distruzione, gli italiani piangono il calcio interrotto senza che alla sua ripresa i problemi saranno minimamente risolti. Una fiera dell'ipocrisia da parte di Prodi, Amato (perché la polizia non carica più e si difende soltanto? Forse perché al governo c'è chi durante i fatti del G8 a Genova ha difeso i black block e non le forze dell'ordine e oggi sta facendo lo stesso con i tifosi, chiudendo un occhio alle loro molte malefatte?) e la Melandri, che serve a nascondere gli altri mille guai del loro governo, a far finta di muoversi per apparire seri (il vecchio detto napoletano: facimmo ammuina), a cercare di evitare - finora con successo - che qualcuno chieda loro conto delle inefficienze e degli errori commessi. Intanto pagano i milioni di cittadini che allo stadio ci vanno in pace e per divertirsi.

Cesare dava ai romani pane et circenses. Prodi toglie il pane attraverso una devastante imposizione fiscale e, adesso, chiude pure i giochi.

Idea-giovani/Via i cattivi maestri dagli stadi

E' veramente mortificante vedere come la sinistra abbia usato l'arte della dissimulazione anche riguardo a un argomento di sensibile attualità come la violenza negli stadi. Spostare il bersaglio, guardare altrove: così la sinistra pensa di risolvere i problemi in Italia, così ha fatto anche in questi giorni parlando dei fatti di Catania. Se per l'Unità gli scontri di venerdì sera sono di origine mafiosa e fascista, per l'onorevole Caruso, esperto in manifestazioni violente, la causa di tutto risiede nelle forze dell'ordine e nella loro cattiva preparazione, mentre il sottosegretario Cento sposta il tiro verso il degrado sociale.

Nascondersi dietro a un dito non aiuterà certo lo sport più seguito (e più bello) in Italia a liberarsi di quella esigua frangia facinorosa che rovina lo spettacolo domenicale. La stragrande maggioranza dei tifosi, di chi riempie gli stadi, è certamente di natura moderata, e si aspetta dalla politica una risposta forte senza se e senza ma, risposta che anche il movimento giovanile di Forza Italia è pronta a sostenere.

Isolare e colpire i violenti, senza sconti, difese e giustificazioni sociali. Chi frequenta gli stadi sa bene che nella maggioranza dei casi non è la tifoseria organizzata a preparare gli scontri e a far partire "la miccia": sono spesso gruppetti isolati, teste calde indipendenti. Bisogna però tagliare quella rete protezionistica che circonda chi commette atti come quelli di Catania: quella parte di ultras che inneggia con slogan e striscioni alla violenza contro le forze dell'ordine, quelle radio locali che danno spazio e giustificazione anche ai facinorosi, ma soprattutto quei politici che osteggiano l'attuazione del decreto Pisanu e di tutti i provvedimenti punitivi.

La società civile ha già più volte risposto contro i violenti: basti ricordare come i cori contro l'Arma lanciati dalle curve dopo l'attentato di Nassirya vennero coperti da migliaia di fischi. Ora è la politica che deve rispondere, isolando i "cattivi maestri" come Cento e Caruso.

   

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