Capitolo 4 - La trilogia popolare. Verdi in Francia e in Inghilterra - 2/3

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Nuovi impegni si prospettavano frattanto per Verdi: anzitutto avrebbe dovuto comporre una nuova opera per il teatro La Fenice di Venezia. Il musicista riprese in considerazione il teatro di Shakespeare dal quale, come già accennato, si sentiva particolarmente attratto. 

Sapete che non bisogna fare del Re Lear un dramma colle forme presso a poco fin qui usate, ma trattarlo in una maniera del tutto nuova, vasta, senza riguardo a convenienze di sorta scrisse nel febbraio 1850 a Cammarano, al quale intendeva affidare la redazione di un libretto tratto dalla tragedia shakespeariana. L’impresario Escudier gli propose anche, sempre nel 1850, di musicare La tempesta, e Verdi, a sua volta, gli scrisse:  Sta nelle mie idee di musicare La tempesta, come sta pure nelle mie idee di fare lo stesso dei principali drammi del gran tragico.  E ancora, rivolgendosi a Giulio Carcano, traduttore di Shakespeare, Verdi dichiarò a proposito di Amleto Mi sarebbe stato carissimo associare il mio nome al tuo, persuaso che se tu mi proponi di musicare l’Amleto, deve essere riduzione degna di te [...] 

Ora se il Re Lear è difficile, l’Amleto lo è ancor più; e stretto come sono da due impegni, ho dovuto scegliere argomenti più facili e brevi per poter adempiere ai miei obblighi.

In realtà, Verdi realizzerà solamente al termine della propria carriera, e grazie alla collaborazione con un prestigioso poeta, musicista egli stesso, Arrigo Boito, il desiderio di trasporre in musica, realizzando altrettanti capolavori, Otello e Falstaff, tratti da altre opere (18) del grande drammaturgo inglese.

Per approntare la partitura destinata al teatro La Fenice, il musicista scelse un dramma di Victor Hugo, Le roi s’amuse, al quale diede, in un primo momento, quale nuovo titolo La maledizione

Il soggetto si incentrava principalmente sul libertinaggio di un sovrano ed era un’opera letteraria vietata a Parigi, cosicché anche a Venezia intervenne la censura, nella persona del governatore militare austriaco Gorzowsky il quale aveva tra le sue prerogative appunto quella di esercitare la censura preventiva sugli spettacoli e sulle pubblicazioni. 

Sequestrò il libretto di Piave tre mesi prima della rappresentazione dell’opera alla Fenice, inoltrando il seguente messaggio:

Gorzowsky [...] deplora che il poeta Piave ed il celebre Maestro Verdi non abbiano saputo scegliere altro campo per far emergere i loro talenti, che quello di una ributtante immoralità e oscena trivialità qual è l’argomento del libretto intitolato La maledizione [...] Verdi scrisse a sua volta a Marzari, nuovo presidente della Fenice:  Senza questa maledizione quale scopo, quale significato ha il dramma? Il Duca diventa un carattere nullo: il Duca deve essere assolutamente un libertino; senza di ciò non si può giustificare il timore di Triboletto che sua figlia sorta dal suo nascondiglio, senza di ciò è impossibile questo dramma [...] Non capisco perché siasi tolto il sacco: cosa importava del sacco alla polizia? Temono dell’effetto? Ma mi si permetta dire, perché ne vogliono sapere in questo più di me? [...] Tolto quel sacco non è probabile che Triboletto parli una mezza ora a un cadavere prima che un lampo venga a scoprirlo per quello di sua figlia. Osservo infine che si è evitato di fare Triboletto brutto e gobbo! Per qual motivo? Un gobbo che canta, dirà taluno! E perché no?... Farà effetto? non lo so, ma se non lo so io, non lo sa, ripeto, neppure chi ha proposto questa modificazione [...] dico francamente che le mie note o belle o brutte che sieno non le scrivo a caso, e che procuro sempre di darle un carattere. La controversia si risolse alla fine – dopo un interminabile scambio di lettere tra Busseto, dove Verdi si era rifugiato per lavorare in un ambiente che gli garantisse quiete e tranquillità, e Venezia – con una serie di cambiamenti concordati con i funzionari della censura che, tra l’altro, prevedevano che
    1. L’azione si trasporterà dalla Corte di Francia a quella d’uno dei Duchi indipendenti di Borgogna, di Normandia, o di taluno dei piccoli Principi assoluti degli Stati italiani, e probabilmente alla Corte di Pier Luigi Farnese ed all’epoca che converrà meglio di assegnarvi pel decoro e la riuscita della scena.

    2. Si conserveranno i tipi originali dei caratteri di Victor Hugo del dramma Le roi s’amuse, cangiando i nomi dei personaggi a seconda della situazione ed epoca che verrà prescelta.

    3. Si eviterà affatto la scena in cui Francesco [che diverrà, nell’edizione definitiva, il Duca di Mantova], si dichiarava risoluto di profittare della chiave di cui era in possesso per introdursi nella stanza della rapita Bianca [il personaggio cambierà il suo nome in Gilda]. E ciò sostituendovi altra scena, che conservi la necessaria decenza, senza togliere l’interesse del dramma.

    4. Al rendez-vous amoroso nella taverna di Magellona [Maddalena] il Re o Duca andrà invitato da un inganno del personaggio che sostituirà Triboletto [il nome del personaggio verrà mutato in quello di Rigoletto, che darà infine il titolo all’opera].

    5. Alla apparizione del sacco contenente il corpo della figlia di Triboletto, si riserva il Maestro Verdi all’atto pratico quelle modificazioni che saranno reputate necessarie.

La maledizione, ribattezzata Rigoletto, andò in scena a Venezia, al teatro La Fenice, l’11 marzo 1851 ed ebbe un’accoglienza trionfale. Quest’opera segnò per il musicista l’inizio di un nuovo periodo creativo nel quale Verdi pose la musica totalmente al servizio dell’espressione di una gran varietà di sentimenti e di situazioni emotive, dalla gioia al dolore, dalle lacrime al sorriso. In ciò Verdi dimostrò, come prima non era ancora avvenuto, la sua appartenenza al Romanticismo, obbedendo esattamente a precetti indicati, tra gli altri, dallo stesso Hugo, in virtù dei quali il teatro romantico doveva racchiudere in sé motivi, accenti e generi diversi, ispirandosi sostanzialmente alle quotidiane realtà più che alle vicende contemplate dai soggetti trattati nella tragedia classica. Contemporaneamente, i brani lirici, le arie, hanno, allo stesso modo dei recitativi, la loro sostanza nella materia drammatica, e forniscono quindi una tensione continua all’opera musicale, dandole di conseguenza un’unitarietà e una vitalità complessiva molto accentuate. 

Al pubblico piacque questo nuovo modello di rappresentazione teatrale, mentre la critica, soprattutto a Londra e a Parigi, tardò a comprendere i nuovi stilemi di cui l’opera stessa era portatrice. La "Gazette musicale" di Parigi, per esempio, accusò apertamente Verdi di ... chercher à modeler son harmonie sur les grands maîtres de l’école allemande. (19)

Infine, con l’intransigenza e la scarsa attitudine alla musica che lo contraddistinguevano, Victor Hugo proibì che l’opera di Verdi fosse messa in scena in Francia. Fu necessario intentare un’azione legale perché Rigoletto, dopo sei anni dalla sua trionfale rappresentazione a Venezia e dopo che l’opera era apparsa, ottenendo altrettanti successi, in numerosi teatri italiani e a Londra, potesse infine venire allestita anche a Parigi, dove riscosse un plauso senza precedenti ed ebbe cento repliche nel corso di un solo anno. Molto tempo dopo questo nuovo trionfo, anche Hugo volle assistere a una rappresentazione di Rigoletto: fu particolarmente colpito dal "Quartetto" del terzo atto (20) e si rese conto che l’opera, ben lungi dal nuocere al suo lavoro letterario, era una creazione artistica degna perfino della sua ammirazione... 

Dopo un breve periodo di riposo a Sant’Agata, in dicembre Verdi partì con Giuseppina Strepponi per Parigi, dove assistette, nel successivo mese di febbraio, a La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio. L’effetto suscitato dalla commedia sul musicista dovette essere straordinario, se gli fece nascere repentinamente l’idea di trasporre in musica il lavoro teatrale. Ben presto il progetto prenderà forma, e si tradurrà in una nuova opera, La traviata, che Verdi comporrà per il teatro La Fenice di Venezia.

Nel corso del 1852 Verdi lavorò a un’altra opera teatrale: da El Trobador, dello spagnolo Gutiérrez, il musicista diede incarico a Cammarano di trarre il libretto: Cammarano, però, morì il 17 luglio 1852, dopo aver portato a termine solamente i primi tre atti del dramma; per la stesura del quarto e ultimo atto del Trovatore venne incaricato un giovane poeta, Leone Emanuele Bardare. L’opera avrebbe dovuto essere rappresentata a Napoli; le trattative con gli impresari napoletani non ebbero però buon esito e Verdi sottoscrisse nuovi accordi per la messa in scena dell’opera con Jacovacci, dirigente del Teatro Apollo di Roma, dove in effetti Il trovatore verrà allestito il 19 gennaio 1853. 

Malgrado l’atmosfera complessivamente tetra e cupa, per taluni aspetti addirittura macabra – con tutti quei morti avvelenati, decapitati e bruciati, sfuggiti non si sa come alle maglie della censura pontificia, peraltro intervenuta su altri aspetti relativi al libretto – l’opera ebbe un successo entusiastico.

Gli impresari parigini si interessarono immediatamente a quest’ultimo lavoro, ancora oggi considerato tra le massime creazioni del genio verdiano: trattative e accordi si intrecciarono e infine Il trovatore venne allestito al Théâtre Italien di Parigi il 23 dicembre 1854.

Era caratteristico, a Parigi, lo stile cosiddetto del "Grand-opéra": (21) nel 1857, Il trovatore verrà rappresentato al teatro dell’Opéra e, proprio per obbedire ai canoni del genere in voga nella capitale francese, Verdi vi inserirà quattro azioni coreografiche. 

A Roma, all’epoca in cui si svolgevano le prove del Trovatore e mentre Verdi si dedicava all’allestimento della partitura orchestrale, il musicista lavorò alacremente a una nuova opera: commissionatagli dal teatro La Fenice, sarà La traviata, il dramma di Dumas, alla cui rappresentazione, come si è detto, Verdi aveva assistito in occasione di un precedente soggiorno parigino. (22)

Ancora una volta Verdi dovette affrontare le obiezioni della censura. L’ostacolo fu però in questa occasione superato abbastanza agevolmente ambientando l’azione teatrale nel Settecento e cambiando nome ai personaggi originari.

Un’altra preoccupazione angustiava tuttavia il compositore: quella riguardante la compagnia di canto ingaggiata dalla direzione del teatro veneziano. A questo proposito, Piave scrisse al presidente della Fenice riferendogli quanto Verdi stesso gli aveva dichiarato: 

La presidenza [...] artisticamente ha torto, perché non solo la Salvini (24) ma l’intera compagnia è indegna del Gran Teatro La Fenice [...]. Dichiaro che nel caso si dia l’opera, non ne spero niente sull’esito [...]. La traviata andò in scena il 6 marzo 1853 e registrò uno degli insuccessi più clamorosi nella storia del melodramma. Dopo la prima replica di Traviata, Verdi stesso, in una lettera a Vincenzo Luccardi (24) si espresse in questi termini:  Non ti ho scritto dopo la prima recita della Traviata: ti scrivo dopo la seconda. L’esito è stato fiasco! Fiasco deciso! Non so di chi sia la colpa: è meglio non parlarne. Non ti dirò nulla della musica e permettimi che nulla ti dica degli esecutori [...].  Amareggiato, il musicista si ritirò poi a Sant’Agata, e successivamente partì per Parigi, dove soggiornò a lungo e dove avvierà una nuova e proficua fase di collaborazione con il teatro dell’Opéra. 

Frattanto, alcuni amici del musicista, Antonio Somma, Cesare Vigna e Antonio Gallo, gestore di un altro teatro veneziano, il San Benedetto, convinti della eccellente qualità di Traviata e del fatto che l’insuccesso fosse da attribuirsi solamente all’apporto negativo fornito dai cantanti, progettarono di rimettere in scena l’opera: la riproposero, infatti, con cinque pezzi nuovi, "alcuni trasporti di tono, e qualche puntatura" (25) e ovviamente con una compagnia di canto del tutto inedita La nuova rappresentazione, che ebbe luogo il 6 maggio 1854, ricevette ampi consensi. La "Gazzetta ufficiale di Venezia" dell’8 maggio riportava:

Il tempo, prima o dopo, rende giustizia a’ grandi ingegni [...] il carattere particolare di questa musica è la somma eloquenza delle sue frasi, quel sublime magistero di suoni, onde, col dialogo e il discorso degl’istrumenti, il maestro, se non vi dipinge il pensiero, vi svolge le situazioni del dramma, ve ne suscita, senza uopo della parola, la passione tutta [...] Chi tiene qui asciutto il ciglio, egli non ha in petto umano cuore e tiene della rupe e del macigno. Le tre opere, Rigoletto, Il trovatore, La traviata, composte in rapida successione, e divenute notissime  come «trilogia popolare», contrassegnano  la raggiunta maturità artistica del musicista e sanciscono inequivocabilmente la sua concezione drammaturgica, oltre a dare piena dimostrazione di quanto Verdi padroneggiasse ormai in maniera perfetta i propri mezzi espressivi. La profonda diversità dei tre drammi musicali costituisce una ulteriore conferma di tali affermazioni.

In Rigoletto, la figura del padre-baritono, più volte magistralmente delineata nelle opere precedenti, si presenta con caratteri ancor più drammaticamente approfonditi: alle tenerezze e ai sentimenti di ansia e  di preoccupazione presenti nell'immagine che Verdi offre della figura paterna, si assommano, nel buffone deforme (e la musica ne dà efficace espressione), altri sentimenti contrastanti e per alcuni aspetti inquietanti e contraddittori. Nell'opera, si precisa anche, con il tema della «maledizione», quello del «fatalismo», dell'ineluttabilità del destino. L'affresco complessivo, poi, che Verdi propone della Corte del Duca di Mantova con le sue dissolutezze, le sue prepotenze, le sue superficialità, pare avere come preciso riferimento le piccole, provinciali Corti che agivano, ai tempi del musicista, nei piccoli staterelli a dominio assolutistico nei quali l'Italia era smembrata.

Con Il trovatore è in primo piano il grande amore romantico, cioè tra «le due voci» (tenore e baritono) che caratterizzano due personaggi maschili, che rivaleggiano per conquistare l'amore di una donna (un altro tema ricorrente nella produzione artistica verdiana, ma anche proprio di un filone esaltato dal Romanticismo), che, quale elemento aggiuntivo in senso tragico, si scoprono fratelli. Ma di altrettanto rilievo, nell'opera, è la figura della madre, drammaticamente lacerata dagli avvenimenti crudeli e raccapriccianti che l'hanno vista, e la vedono, protagonista assoluta della terribile vicenda.

Verdi compie una vera e propria «rivoluzione» teatrale con La traviata: il realismo e la contemporaneità del soggetto trattato (un «fatto di cronaca», avvenuto all'epoca dei soggiorni parigini di Verdi), e l'esaltazione dei più intimi sentimenti, segnano indelebilmente la narrazione degli avvenimenti della vita di Violetta. 

Si tratta del personaggio femminile che  il musicista ha saputo ritrarre, con la musica, e con grande affetto, in tutta la sua estrema fragilità, nonché del suo profondo e totale coinvolgimento nell'esperienza amorosa, nelle gioie e nei sacrifici di un sentimento che, nella vita di Violetta, risulta certamente totalizzante.
 

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(18)   Il primo incontro di Verdi con il teatro di Shakespeare diede, con Macbeth - come si ricorderà - un risultato solo parzialmente soddisfacente. Le due opere che Verdi comporrà, traendo i soggetti da capolavori del teatro di Shakespeare, saranno Otello (1887) e Falstaff (1893).
(19)  ... tendere a plasmare la propria armonia sul modello dei grandi maestri di scuola tedesca.
(20)  Il famoso Quartetto (Duca-Maddalena-Rigoletto-Gilda) di Rigoletto è un esempio mirabile di come siano fusi in un unico brano, armonicamente perfetto, quattro caratteri, descritti con la musica, profondamente differenti fra loro. 
(21)  Il genere si era affermato soprattutto a opera di alcuni musicisti quali Auber (La muta di Portici, 1828), Rossini (Guillaume Tell, 1829), Meyerbeer (Roberto il diavolo, 1831; Gli Ugonotti, 1836), Halévy (L'ebrea, 1835); anche Donizetti si era cimentato con il Grand-opéra (La favorita, 1840). Il Grand-opéra si caratterizzava in particolare per la sfarzosa sovrabbondanza di scenografie e di grandi masse operanti sul palcoscenico, per i ricchi costumi, i balli resi fastosi anche da elaboratissime coreografie, i soggetti di contenuto storico, religioso, esotico. Imponente per durata, prevedeva inoltre opere comprendenti fino a cinque atti (e comunque non meno di quattro).
(22)  La vicenda si ispira a quella di Maria Duplessis, morta in giovane età, la quale aveva avuto parecchi amanti, fra i quali lo stesso Dumas che l'aveva infine abbandonata. Alexandre Dumas scrisse il romanzo La dame aux camélias nel 1848, adattandolo per le scene nel 1852. 
(23)  Il soprano Fanny Salvini-Donatelli era l'interprete designata a sostenere il ruolo principale nell’opera.
(24)  Scultore romano, amico di Verdi.
(25)  Verdi stesso, in una sua lettera da Parigi, fa cenno a questi ritocchi e modifiche.
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Stai ascoltando il Brindisi dalla Traviata



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