Proprio
di fronte a Manhattan, nella bellissima baia naturale in cui è situato
il porto di New York, a pochi minuti di traghetto dall’isola principale
che costituisce il cuore della Grande Mela, c’è Ellis Island, un
isolotto, la prima tappa per oltre quindici milioni di immigrati che partivano
dalle loro terre di origine sperando di stabilirsi negli Stati Uniti.
Ellis
Island (chiamata in origine Gibbet Island dagli inglesi che la usavano
per confinarvi i pirati sorpresi “con le mani nel sacco” e utilizzata poi
come impianto di fortificazione e deposito di munizioni) è una delle
quaranta isole delle acque di New York: divenne famosa dal 1894 in
quanto stazione di smistamento per gli immigranti; venne adibita infatti
a questa nuova funzione quando il governo federale assunse il controllo
del flusso migratorio, resosi necessario per il massiccio afflusso di immigrati
provenienti essenzialmente dall’Europa meridionale e orientale.
La
"casa di prima accoglienza-prigione" rimase attiva fino al 1954, quando
fu chiusa e abbandonata alle intemperie. Oltre cento milioni di americani
possono far risalire la loro origine negli Stati Uniti a un uomo, una donna
o un bambino che passarono per la grande Sala di Registrazione a Ellis
Island. Oggi è trasformata in Museo dell’Immigrazione: l’ho visitato
e ne metto a parte i navigatori della rete. .
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se
vuoi vederne un ingrandimento
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Fino
al 1850 circa non esistevano procedure ufficiali per l’immigrazione a New
York. In questa data l’impennata del numero di immigrati europei che fuggivano
dalle grandi carestie del 1846 e dalle rivoluzioni fallite del 1848 spinse
le autorità ad aprire un centro di immigrazione a Castle Clinton
in Battery Park, sulla punta meridionale dell’isola di Manhattan. Verso
il 1880 le privazioni che si soffrivano nell’Europa orientale e meridionale
e la forte depressione economica nell’Italia meridionale spinsero migliaia
di persone ad abbandonare il Vecchio Continente. Al contempo in America
stava prendendo il via la rivoluzione industriale, con un crescente processo
di urbanizzazione.
Ellis
Island fu aperta nel 1894, quando l’America superò un periodo di
depressione economica e cominciò a imporsi come potenza mondiale.
In tutta Europa si diffusero le voci sulle opportunità offerte dal
Nuovo Mondo e migliaia di persone decisero di lasciare la loro patria.
Quando
le navi a vapore entravano nel porto di New York, i più ricchi passeggeri
di prima e seconda classe venivano ispezionati a loro comodo nelle loro
cabine e scortati a terra da ufficiali dell’immigrazione. I passeggeri
di terza classe venivano portati a Ellis Island per l’ispezione, che era
più dura. Il traghetto storico Ellis Island
veniva usato dal Servizio Immigrazione per trasportare gli immigrati che
arrivavano e il personale del centro di immigrazione.
Ogni
immigrante in arrivo portava con sé un documento con le informazioni
riguardanti la nave che l’aveva portato a New York. I medici esaminavano
brevemente ciascun immigrante e marcavano sulla schiena con del gesso coloro
per i quali occorreva un ulteriore esame per accertarne le condizioni di
salute; se vi erano condizioni particolari di infermità ciò
comportava che venissero trattenuti all’ospedale di Ellis Island.
Dopo
questa prima ispezione, gli immigrati procedevano verso la parte centrale
della Sala di Registrazione dove gli ispettori
interrogavano gli immigranti a uno ad uno. A ogni immigrante occorreva
perlomeno una intera giornata per passare l’intero processo di ispezione
a Ellis Island.
Le
scene sull’isola erano veramente strazianti: per la maggior parte le persone
arrivavano affamate, sporche e senza una lira, non conoscevano una parola
di inglese e si sentivano estremamente in soggezione per la metropoli ammiccante
sull’altra riva.
Agli
immigrati veniva assegnata una Inspection Card
con un numero e c’era da aspettare anche tutto un giorno, mentre i funzionari
di Ellis Island lavoravano per esaminarli.
Dopo
l’ispezione, gli immigranti scendevano dalla Sala di Registrazione per
le “Scale della Separazione” che segnavano il punto di divisione per molte
famiglie e amici verso diverse destinazioni. Il centro era stato progettato
per accogliere 500.000 immigrati all’anno, ma nella prima parte del secolo
ne arrivarono il doppio. Truffatori saltavano fuori da ogni dove, rubavano
il bagaglio degli immigrati durante i controlli, e offrivano tassi di cambio
da rapina per il denaro che questi erano riusciti a portare con sé.
Le famiglie venivano divise, uomini da una parte, donne e bambini dall’altra,
mentre si eseguiva una serie di controlli per eliminare gli indesiderabili
e i malati. Questi ultimi venivano portati al secondo piano, dove i dottori
controllavano la presenza di “malattie ripugnanti e contagiose” e manifestazioni
di pazzia. Coloro che non superavano gli esami medici venivano contrassegnati,
come già accennato, con una croce bianca sulla schiena e confinati
sull’isola fino a diversa decisione, oppure venivano reimbarcati. I capitani
delle navi avevano l’obbligo di riportare gli immigrati non accettati al
loro porto di origine. Secondo le registrazioni ufficiali tuttavia solo
il due per cento veniva rifiutato, e molti di questi si tuffavano in mare
e cercavano di raggiungere Manhattan a nuoto o si suicidavano, piuttosto
che affrontare il ritorno a casa.
Veniva
anche effettuato un esame legale, che controllava la nazionalità
e, cosa molto importante, l’affiliazione politica. L’afflusso di immigranti
era sempre altissimo e imponente il lavoro dei funzionari che sottoponevano
a ispezione e interrogatorio le persone: nel giro di alcune ore veniva
deciso il destino di intere famiglie, un fatto che meritò a Ellis
Island il nome di “Isola delle lacrime”. La maggior parte degli immigrati
veniva esaminata e quindi convogliata verso il New Jersey; una volta arrivati
a destinazione gli immigrati si stabilivano in uno dei distretti etnici
in rapida espansione.
Il
complesso di edifici a Ellis Island è imponente. Il primo edificio
fu distrutto da un incendio nel 1897, quello che attualmente è destinato
a museo fu costruito nel 1903 e negli anni successivi ne furono edificati
molti altri, su interramenti che vennero aggiunti all’isola per adeguare
gli spazi disponibili al sempre crescente numero di persone che dovevano
transitare di lì.
Gli
edifici, poi, furono abbandonati fino alla metà degli anni Ottanta,
quando l’edificio principale a quattro torrette venne completamente ristrutturato
e riaperto nel 1990 come Museo dell’Immigrazione. E’ un museo che ricrea
con forza espressiva l’atmosfera del luogo con film e mostre fotografiche
che celebrano l’America come nazione di immigrati.
Circa
10 milioni di americani possono rintracciare le loro radici attraverso
Ellis lsland. Al primo piano, sul retro, c’è la mostra "La popolazione
d’America", che narra quattro secoli di immigrazione americana, offrendo
un ritratto statistico di coloro che arrivavano: chi erano, da dove venivano,
perché venivano.
I.’enorme
Registry Room (Sala di Registrazione), a volta, al secondo piano, teatro
di tanta trepidazione, e, qualche volta, di disperazione, e stata lasciata
vuota, a parte un paio di banchi degli ispettori e di bandiere americane.
Nel salone laterale una serie di stanze per i colloqui ricreano passo per
passo la trafila alla quale dovevano sottoporsi gli immigrati per il loro
riconoscimento: le stanze rivestite di piastrelle bianche ricordano più
una prigione o un istituto per malattie mentali piuttosto che apparire
come una tappa nel cammino verso una vita libera e confortata dalla speranza.
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Nelle
altre sale le esperienze di vita vissuta sono ricostruite mediante fotografie,
testi esplicativi, piccoli oggetti domestici, oggetti d'uso utilizzati
per il lungo viaggio (valigie, ceste, sacchi, fagotti...) e le stesse voci
registrate dei protagonisti. Vi sono descrizioni dell arrivo e dei successivi
colloqui, esempi delle domande poste e degli esami medici effettuati. Uno
dei dormitori, destinato a coloro che sostavano per i controlli e la “quarantena”,
è rimasto pressoché intatto ed è l'ambiente che più
emoziona, oltre a dare, come un flash, l'impressione del "campo di concentramento"
. Al piano superiore, alle pareti, è allestita una imponente mostra
fotografica dell’edificio prima che venisse ristrutturato: moltissime sono
anche le fotografie di singoli emigranti o di interi nuclei famigliari.
Quando
gli Stati Uniti entrarono nella prima guerra mondiale nel 1917, i sentimenti
anti-immigrazione e le ostilità isolazioniste erano all’apice. Il
Klu-Klux-Klan, costituito nel 1915, rifletteva le opinioni di coloro che
disprezzavano gli immigrati non inglesi considerandoli di “razza inferiore”.
Mentre
gli immigrati dovevano affrontare ostilità di ogni tipo, il ruolo
di Ellis Island cambiava rapidamente da centro di smistamento per gli immigrati
a centro di detenzione.
Dopo
il 1917 l’isola divenne principalmente campo di raccolta e di smistamento
per deportati e perseguitati politici. L’immigrazione diminuì sensibilmente
all’inizio della prima guerra mondiale e i decreti sull’immigrazione del
1921 e del 1924 di fatto posero fine alla politica di “porte aperte” degli
Stati Uniti. Cittadini giapponesi, italiani e tedeschi furono detenuti
a Ellis Island durante la seconda guerra mondiale e il centro venne utilizzato
principalmente per detenzione fino alla sua chiusura, il 12 novembre 1954.
Oggi
Ellis Island, dopo ampi lavori di restauro, è sede del Museo dell’Immigrazione;
le esposizioni del Museo, oltre a mostrare oggetti cari portati dalla terra
di origine come vestiti, tessuti, fotografie, utensili,
illustrano la storia dell’isola, mostrano come gli immigranti venissero
ispezionati e narrano come l’edificio fu ristrutturato.
Dall’isola
si possono osservare sia la punta sud di Manhattan, sia l’isoletta contigua
sulla quale sorge la Statua della Libertà.
Concludo
questo breve excursus con un "appunto" del 28 dicembre 1939 dello
scrittore e giornalista praghese Egon Erwin Kisch (1885-1948) tratto dal
suo libro Sbarcando a New York.
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“Sono
di nuovo prigioniero sulla nave. Dall’oblò chiuso vedo il Nuovo
Mondo verso il quale da due settimane, due settimane di guerra, sto navigando
sulla ‘Pennland’ della linea olandese-americana [...]. L’immigration
officer dice che il mio passaporto non è valido, perché
un visto cileno ottenuto a Parigi non è sufficiente come visto di
transito per l’America [...] Mentre parlava con me, un funzionario gli
mostrò un fogliettino, senza dubbio conteneva qualcosa sul mio conto.
‘Lo so’, disse. Quindi mi tocca andare a Island - un eufemismo per Ellis
Island, L’isola delle lacrime [...]
Giù
dalla ‘Pennland’ sulla quale abbiamo trascorso più di due settimane,
giù con tutto il bagaglio (il mio è rimasto in Belgio), nei
dock gelidi dove fanno la revisione doganale, poi con un tender all’isola-prigione
sorvegliata dalla Statua della Libertà (si riempiono la bocca con
la Statua della Libertà) [...]. Ciò che contraddistingue
la nostra prigione da ogni altra è la cabina telefonica. Una cella
del carcere con cabina telefonica non esiste da nessun’altra parte. Ammesso
che uno abbia un nichelino, si può mettere in contatto con il resto
del mondo, e al tempo stesso non può. Nessuno può chiamarti
[...]. Faccio una passeggiata nel cortile che invece di quattro pareti
ne ha soltanto due: quelle mancanti sono acqua.”
Su
un muro commemorativo adiacente
l'edificio
principale
di
Ellis Island è riportato un elenco di nominativi
di
oltre 500mila immigranti
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