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« Ciò che mi interessa di più, non è né la natura morta né il paesaggio, è la figura. E' questa che mi permette meglio di esprimere il sentimento, quasi religioso, che ho della vita. Non mi interessa dettagliare i tratti del viso, riproducendo la loro esattezza anatomica. Se un modello non mi suggerisce a prima vista che l'idea di un'esistenza puramente animale, tuttavia scopro in lui alcuni tratti essenziali, certe linee del viso in cui si esprime quel carattere di alta dignità che persiste in ogni essere umano. Un'opera deve portare in se stessa tutto il suo significato ed imporlo allo spettatore ancor prima che questi ne conosca il soggetto. Quando vedo gli affreschi di Giotto a Padova, non mi interessa sapere quale sia la scena della vita di Cristo che ho davanti agli occhi, ma subito capisco il sentimento che ne emana, perché è nelle linee, nella composizione, nel colore, e il titolo non servirà che a confermare la mia impressione. » |
Henri
Matisse
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.settembre 1997-gennaio 1998 |
mostra dell'amico Claudio Tullii (troverai Claudio anche nella sezione «Amici») |
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..............................................................................L'Aquila,
21 gennaio 1998
.....
«...
alla fine non ho potuto sottrarmi al "rito" di massa della mostra di Matisse.
Armato (!!) delle migliori intenzioni ( tra l'altro, mi è piaciuto
organizzare la visita in modo da far vedere Matisse anche alle mie figlie...
cosa questa che ha rivestito di ulteriori significati la visita)
ho visto questa "révélation" così tanto decantata...
Nel libriccino di presentazione della mostra a cura di ARTIFICIO, avrai
notato come venga opposto Matisse (l'armonico, il cromatista equilibrato)
a Picasso (il michelangiolesco, il faustiano)... Per Picasso: "Ogni quadro
doveva essere una testimonianza di una battaglia vinta"; per Matisse: "Un
dipinto era invece una immagine di serenità, qualcosa di simile
a una buona vecchia poltrona su cui sedersi".
L'opposizione (dialettica, per non far torto ad una misinterpretata critica estetica hegeliana) è evidentemente una "finzione" : in quegli anni, vivi d'una vita mai più ripresentatasi, quei giovanotti che tra un bar e un atelier sorvolavano bellamente più sulle modelle che sulle estetiche (in sostanza, dei perdigiorno, dei "maledetti" nel miglior caso) dipingevano un po' di tutto in qualsiasi maniera gli veniva: pensa al giovane, squattrinato e "vitalistico", Picasso che nell'arco di una stagione aveva dipinto in modi alternati e "casuali" quasi tutto quello che dipingerà "da grande". Per
quanto ho percepito dalle tele di Matisse (poca voce, flebile pensiero,
Due cose di Matisse mi hanno colpito: 1)
i "visi vuoti", e tra questi il
2) Qualcosa di simile ma legato alla morte ho intravisto in KATIA CON CAMICIA GIALLA, ultima tela dipinta da Matisse. Anche qui un viso vuoto. Una donna, forse quella amata, più o meno continuativamente, da sempre... una "assenza" anche questa... una assenza che attende la morte (questa è la definizione più sintetica, per me, della pittura di Matisse). Ma una cosa m'ha deluso. L'Oriente, quello sbandierato nel sottotitolo alla mostra, è folklorico, al massimo "imitativo"... privo, a mio avviso, della carica che ebbe in altri (e che ha, ora, in altri, me compreso...). L'Oriente è il luogo infuocato del disfacimento illuministico, dell'interiorità misterica, del salvataggio dell'individuo di fronte al Male, dell'implosione/esplosione delle voci "seriali"... l'Oriente è il multi-verso "in parallelo" (quindi della molteplicità dell'IO che vo' rincorrendo...) opposto (ma opposto DENTRO al suo opposto) all'uni-verso raziode "seriale" (la cultura di massa, la omogeinizzazione di pasoliniana memoria)... L'Oriente di Matisse è patinato, molto più consono al suk che all'antro d'un sufista alchemico... Oltretutto,
m'è parso tale alla luce di un'organizzazione formale tutto giocata
sull'armonioso cromatismo di Matisse (che osta, tra l'altro, e in modo
incomprensibile visto dalla parte degli organizzatori, col suo "disegno"
essenziale degli anni '40). Insomma, una mostra "buonista" (forse vero
"pensiero unico" del momento). D'altronde, forse, si è scontenti
quando qualcosa di non nostro ci si avvicina maledettamente... QUEL MODO
DI PITTURARE UN QUADRO PER DUE ANNI (vedi LA CONVERSAZIONE), DI OPERARE
UN DIVENIRE SULLA STESSA TELA, MI E' MOLTO VICINO...»
Claudio
Tullii.
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