Henri-Émile Matisse
Le Cateau 1869 - Cimiez, Nizza, 1954
La camera rossa
« Ciò che mi interessa di più, non è né la natura morta né il paesaggio, è la figura. E' questa che mi permette meglio di esprimere il sentimento, quasi religioso, che ho della vita. Non mi interessa dettagliare i tratti del viso, riproducendo la loro esattezza anatomica. Se un modello non mi suggerisce a prima vista che l'idea di un'esistenza puramente animale, tuttavia scopro in lui alcuni tratti essenziali, certe linee del viso in cui si esprime quel carattere di alta dignità che persiste in ogni essere umano. Un'opera deve portare in se stessa tutto il suo significato ed imporlo allo spettatore ancor prima che questi ne conosca il soggetto. Quando vedo gli affreschi di Giotto a Padova, non mi interessa sapere quale sia la scena della vita di Cristo che ho davanti agli occhi, ma subito capisco il sentimento che ne emana, perché è nelle linee, nella composizione, nel colore, e il titolo non servirà che a confermare la mia impressione. »
Henri Matisse



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La mostra di Roma
.settembre 1997-gennaio 1998

 
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San Pietro
Le immagini di Roma sotto la neve sono di 
Renato Cerisola, 1985
Con il sottotitolo 
«La révélation 
m’est venue de l’Orient», 
questa prestigiosa esposizione 
ha offerto l’occasione di 
conoscere in maniera approfondita uno dei più interessanti 
protagonisti dell’arte 
del nostro secolo. 
Si tratta del più importante e 
vasto nucleo di opere, 
del grande artista francese che sia stato fino ad oggi presentato in Italia. 
Oltre duecento capolavori, fra dipinti, incisioni e disegni in un 
percorso che delinea le profonde innovazioni apportate 
da Matisse nell’arte del Novecento.
La mostra si è tenuta a Roma 
presso i Musei Capitolini 
in piazza del Campidoglio
da settembre 1997
a gennaio 1998.
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La famiglia del pittore
 


Ramo di lillà
 

Clicca sull'anteprima
delle immagini di Matisse 
per ingrandirle
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Via Appia antica
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Una grande mostra, quella che Roma ha dedicato a Henry Matisse negli spazi dei Musei Capitolini. Vi erano opere provenienti dai più importanti musei del mondo, dai musei francesi a quelli inglesi e americani e perfino dal grandissimo Ermitage di San Pietroburgo (La conversazione).
 


Odalisca
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Assieme a magnifiche opere neoimpressioniste - del primo periodo di Matisse - erano presenti opere più mature, fino alle bellissime e sensuali Odalische e a dipinti fauvisti la cui prossima parentela con lo stile cubista è evidente (Nudo blu, per esempio).
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Cipolle rosa
 
 


La danza
 

La mostra comprendeva una notevole raccolta di disegni e si proponeva tra l'altro di dimostrare l'«origine» orientale  di gran parte della ispirazione dell'artista. 
Vi erano esposti codici giapponesi, cinesi e mediorientali dai quali tale ispirazione risulta evidente.
Molti i ritratti, alcuni dei quali mostrano gli occhi come veri e propri «buchi neri»); sono particolari del viso ritratto che costituiscono motivo di estrema enigmaticità o addirittura ispirano una sorta di inquietudine nell'osservatore.    
Altri ritratti rappresentano volti totalmente privi di lineamenti e in questi casi l'inquietudine per il mistero che si cela dietro quei visi anonimi eppure così fortemente espressivi genera anche, in parte, un sentimento di angoscia.
I colori sono sempre decisi e «pieni» (non sfumati) e ciò crea un forte impatto emotivo in chi,  osservando, si sente trasportato «dentro» la raffigurazione pittorica.     
Alcune opere di Matisse si rifanno al puntillisme (lo stile di Seurat, per intenderci)  e in altre 
è evidente il prepotente richiamo al neoimpressionismo  (nature morte, vasi con fiori, per esempio).
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Odalisca
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Ritratto del 
signor Pellerin
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La conversazione
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Dal 1895 al 1899 Matisse frequentò lo studio di Moreau, risentendo delle esperienze dell’impressionismo. 
Dopo alcuni soggiorni in Inghilterra, in Corsica e nella regione di Tolosa, nel 1902 figurò ad alcune mostre presso la galleria di Weil a Parigi. 
Fu in questi anni che Matisse meditò con rigoroso approfondimento le esperienze neoimpressioniste e scoprì le caratteristiche  dell’arte africana e asiatica (il Nudo blu, Natura morta con torso antico, Giocatori di bocce, La danza, La musica).
Da questa serie di influenze nacque quella che poi è stata definita la pittura pura dei fauve, il cui massimo interprete è appunto Matisse. La mostra di sculture tenuta a New York nel 1912, fu seguita nel 1913 da quella di pitture di soggetto marocchino. Della pittura degli anni Venti è famosa la serie delle Odalische.
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Ritratto di Derain
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Negli stessi anni l’artista fu autore anche di scenografie, di disegni, 
di incisioni e negli anni Trenta 
anche di arazzi. 
Numerose anche le sculture in bronzo. 
Stabilitosi a Vence nel 1943, Matisse si dedicò tra il 1949 e il 1951 alla realizzazione della Cappella dei Domenicani della Madonna del Rosario.
IL FAUVISMO    

Quale lo definisce la pratica di Matisse, il fauvismo si presenta come un fenomeno omogeneo 
e, al tempo stesso, come due momenti irriducibili l’uno all’altro.    
Da una parte: paesaggi (e qualche natura morta): anarchia, effervescenza, incoerenza dell’esecuzione; attacco al sistema prospettico e come sempre nella tradizione realista eliminazione della linea (astratta per natura) o quanto meno, dove la composizione la imponga, tentativo di ricoprirla, di frantumarla sotto la marea furiosa del colore.
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Vedute di Roma
sotto la neve, 1985
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Dall’altra parte, invece, figure e paesaggi costruiti in funzione delle figure; la composizione voluta anziché il motivo  percepito; ordine, coerenza, stile; inserimento del colore entro le zone assegnategli dal disegno lineare. 

Qui, l’agonia di un’arte della rappresentazione; là, il sorgere spontaneo di un’arte dell’immagine, priva di collegamenti con l’esperienza o la pratica del pittore. 

Frattura e continuità come fra l’acqua e il vapore. 

E come il graduale aumento della temperatura provoca, a un dato istante, la trasformazione, anche l’esasperazione del colore fa sì che, giunto al culmine, esso trapassi dal tono locale all’irrealismo. 
  
Un racconto dei dipinti di Matisse di Gertrude Stein: «Un’estate egli riportò dalla campagna uno studio di un giovane pescatore, insieme a una copia libera di esso con deformazioni estreme. 

Sulle prime finse che il secondo dipinto fosse stato eseguito dal postino di Collioure, ma alla fine ammise trattarsi di un suo esperimento. 

Fu la prima cosa da lui realizzata con deformazioni volute». 
  
Il Fauvismo è un movimento artistico francese, che ricevette il battesimo ufficiale al Salon d’Automne di Parigi del 1905, allorché il critico d’arte Vauxcelles definì cage aux fauves (gabbia delle belve) la sala in cui erano esposte le tele di un gruppo di giovani artisti, alludendo alla loro aggressività cromatica e violenza espressiva. 

L’appellativo diede il nome al movimento sorto dall’incontro fra Matisse (che ne divenne guida e caposcuola) e gli amici Marquet, Manguin, Camoin, Puy, Derain, de Vlaminck, Dufy, Friesz, Braque, van Dongen.
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Traendo dalle varie correnti postimpressioniste (simbolismo, positivismo, divisionismo) il gusto per un cromatismo violento e innaturalistico desunto da van Gogh, costituito da soli colori puri e steso, sull’esempio di Paul Gauguin, in à plats di valore fortemente decorativo ma negatore di tridimensionalità, i fauves proclamarono l’autonomia espressiva dell’immagine pittorica di fronte al dato oggettivo, immagine che diveniva l’espressione della vitalistica adesione al sentimento della natura.    
L’incontro, nel 1901, attraverso Derain, fra Matisse e de Vlaminck gettò le basi del movimento che diede però i suoi primi frutti solo nell’estate del 1905, durante il soggiorno di Derain e Matisse a Collioure, in Catalogna, epoca a cui risalgono le prime tele propriamente fauves.    
La nascita del cubismo contribuì a disgregare nel 1907 il movimento, alla cui poetica solo Matisse rimase definitivamente fedele.   

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  In alto: Nudo blu; 
  segue: Paesaggio a Collioure
  sotto: Vaso 

 
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Un commento alla 
mostra dell'amico Claudio Tullii
(troverai Claudio anche nella 
sezione «Amici»)
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..............................................................................L'Aquila, 21 gennaio 1998
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«... alla fine non ho potuto sottrarmi al "rito" di massa della mostra di Matisse. Armato (!!) delle migliori intenzioni ( tra l'altro, mi è piaciuto organizzare la visita in modo da far vedere Matisse anche alle mie figlie... cosa questa che ha rivestito di ulteriori  significati la visita) ho visto questa "révélation" così tanto decantata... Nel libriccino di presentazione della mostra a cura di ARTIFICIO, avrai notato come venga opposto Matisse (l'armonico, il cromatista equilibrato) a Picasso (il michelangiolesco, il faustiano)... Per Picasso: "Ogni quadro doveva essere una testimonianza di una battaglia vinta"; per Matisse: "Un dipinto era invece una immagine di serenità, qualcosa di simile a una buona vecchia poltrona su cui sedersi". 

L'opposizione (dialettica, per non far torto ad una misinterpretata critica estetica hegeliana) è evidentemente una "finzione" : in quegli anni, vivi d'una vita mai più ripresentatasi, quei giovanotti che tra un bar e un atelier sorvolavano bellamente più sulle modelle che sulle estetiche (in sostanza, dei perdigiorno, dei "maledetti" nel miglior caso) dipingevano un po' di tutto in qualsiasi maniera gli veniva: pensa al giovane, squattrinato e "vitalistico", Picasso che nell'arco di una stagione aveva dipinto in modi alternati e "casuali" quasi tutto quello che dipingerà "da grande". 

Per quanto ho percepito dalle tele di Matisse (poca voce, flebile pensiero,
leggera autolusinga espressiva) l'opposizione è per me vinta da Picasso: resto attratto dal "Typus" di artista iconoclasta, radicale, "scapigliato" (come si dice a Milano). Resto calamitato dalla problematicità interiore (e, QUINDI, formale) dell'autore. Sono dell'idea (maturata, evidentemente, dal sedimentarsi di esperienze "estreme" della mia vita sul mio cuore d'uomo)
che la "rottura" estetica rappresenti una delle rare sintesi di arte e vita che ci sia dato vivere. Questo pensiero, in tutta la sua latitudine espressiva, rende bene la mia ricerca estetica, in toto, come ricerca dell'"essenziale vissuto", della intermittenza affettiva, dell'irripetibilità animica dell'attimo di vita... 

Due cose di Matisse mi hanno colpito: 

1) i "visi vuoti", e tra questi il
capolavoro NUDO ROSA SEDUTO, a mio avviso vera apoteosi della "poetica" dei colori assenti di Matisse. In fondo, questa tela non appare cone un NUDO, ma come un ROSA (che prende i contorni semi-amorfi di un nudo occasionale) SEDUTO. Vi è qualcosa di profondo e/o di altamente proprio della pittura di Matisse in questo quadro. Mi ha colpito per il suo silenzio. 

2) Qualcosa di simile ma legato alla morte ho intravisto in KATIA CON CAMICIA GIALLA, ultima tela dipinta da Matisse.  Anche qui un viso vuoto. Una donna, forse quella amata, più o meno continuativamente, da sempre... una "assenza" anche questa... una assenza che attende la morte (questa è la definizione più sintetica, per me, della pittura di Matisse). 

Ma una cosa  m'ha deluso. L'Oriente, quello sbandierato nel sottotitolo alla mostra, è folklorico, al massimo "imitativo"... privo, a mio avviso, della carica che ebbe in altri (e che ha, ora, in altri, me compreso...). L'Oriente è il luogo infuocato del disfacimento illuministico, dell'interiorità misterica, del salvataggio dell'individuo di fronte al Male, dell'implosione/esplosione delle voci "seriali"... l'Oriente è il multi-verso "in parallelo" (quindi della molteplicità dell'IO che vo' rincorrendo...) opposto (ma opposto DENTRO al suo opposto) all'uni-verso raziode "seriale" (la cultura di massa, la omogeinizzazione di pasoliniana memoria)... L'Oriente di Matisse è patinato, molto più consono al suk che all'antro d'un sufista alchemico... 

Oltretutto, m'è parso tale alla luce di un'organizzazione formale tutto giocata sull'armonioso cromatismo di Matisse (che osta, tra l'altro, e in modo incomprensibile visto dalla parte degli organizzatori, col suo "disegno" essenziale degli anni '40). Insomma, una mostra "buonista" (forse vero "pensiero unico" del momento). D'altronde, forse, si è scontenti quando qualcosa di non nostro ci si avvicina maledettamente... QUEL MODO DI PITTURARE UN QUADRO PER DUE ANNI (vedi LA CONVERSAZIONE), DI OPERARE UN DIVENIRE SULLA STESSA TELA, MI E' MOLTO VICINO...»
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Claudio Tullii.
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S O M M A R I O
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.http://www.oocities.org/Athens/Parthenon/1635
La pagina personale di Angela, aggiornata il 15 novembre 1998
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