Guggenheim
Lo
visito di buon mattino, in una giornata di sole.
Ospita una retrospettiva
di Robert Rauschenberg, un artista texano. Astrattista, compone quadri
con materiali disparati oltre che immagini diverse di animali, di parti
del corpo umano, di diagrammi; riproduzioni di opere d’arte - La Gioconda,
per esempio. Mi ricorda in qualche caso Andy Warhol. È un artista
famoso, Rauschenberg, che ha esposto in tutto il mondo, ma ciò non
toglie che personalmente la sua opera non mi convinca molto, nel complesso,
se si esclude un montaggio con John Fitzgerald Kennedy e le mani dello
stesso JKF ripetute in molti riquadri e in diversi colori e una serie di
Gioconda
(appunto in stile "Warhol") contornate da colori ed effetti diversi.
La
collezione permanente (raccolta da Solomon Guggenheim) comprende Kandinsky,
Chagall, Léger ai quali Guggenheim (miniere di argento e di rame)
dagli anni Venti destinò i propri investimenti. Negli anni Settanta
si è aggiunto un lascito, la collezione Tannhauser, comprendente
alcuni Cézanne, Degas (Ballerine), Gauguin sempre affascinantissimo,
Manet, Toulouse-Lautrec, Van Gogh (Montagne a Saint-Rémy)
e alcune opere giovanili di Picasso, molto belle e delicate, soprattutto
un ritratto femminile.
Le collezioni del Guggenheim
sono inserite in uno spazio architettonico a sé stante, che "fa
a pugni" con i bei palazzi che lo attorniano sulla Fifth Avenue; è
una costruzione circolare, che sale a spirale; anche l’interno naturalmente
è una spirale, e sale per sei piani. Le opere d’arte sono esposte
lungo le pareti di tale spirale: si sale in ascensore al sesto piano e
si segue la naturale discesa: ad ogni piano si aprono sale laterali nelle
quali sono esposte le collezioni permanenti.
Metropolitan
Museum
Possiede
3 milioni e mezzo di opere d’arte, gran parte delle quali non esposte:
non lamentiamoci delle gallerie italiane!). Il
palazzo è in stile neoclassico e sull’ampia scalinata sosta, stravaccato,
un intero popolo di stanchissimi visitatori.
Vedo le sale che raccolgono
le opere dei pittori spagnoli, italiani, olandesi, inglesi, fiamminghi,
gli impressionisti e i post-impressionisti: le opere più notevoli,
almeno per me, sono tre dipinti del Caravaggio, tra cui il Giovane con
liuto che mi ha sempre affascinato (lo conosco bene grazie alle riproduzioni)
e che mi ha molto emozionato vedere dal vivo. La luminosità - le
luci e le ombre, per meglio dire - che ha saputo creare Caravaggio sono
uno dei più splendidi esempi di espressività e profondità
nelle opere pittoriche di tutti i tempi. Per
restare agli italiani, vi è un San Giovanni Battista del
Ghirlandaio, una Madonna con due Angeli di Filippo Lippi e un’Adorazione
dei Pastori di Mantegna, che a mio parere sono tra i dipinti più
notevoli del Met.
Grande commozione, poi
per i due Bambini (uno con vestito rosso, l’altro in abito blu,
celeberrimi) di Goya, e per il Ritratto di Juan de Parej di Velázquez.
Poi, ritratti e ancora ritratti: da quelli delicati di Vermeer (Fanciulla
addormentata, quello che mi è piaciuto di più) a quelli
di Rembrandt (Hendrike Stoffiels, la sua compagna; Ritratto di
signora; Signora con rosa).
Anche
nella sezione inglese, molto belli i dipinti dei tre maggiori ritrattisti
inglesi: Thomas Lawrence, William Gainsborough e Sir Joshua Reynolds: i
ritratti sono quasi tutti dedicati a gentildonne inglesi.
A seguire, due fantastiche
e notissime opere di Bruegel (I mietitori e Cacciatori nella
neve): amo particolarmente questo pittore, a Vienna rientrai al Kunstistorische
Museum tre giorni filati per rivedere solamente i dipinti di questo artista.
Tra gli impressionisti (Manet, Monet, Cézanne, Renoir) mi colpisce
in particolare I giocatori di carte di Cézanne e il Renoir
di Madame Charpentier con bambini. E poi, tra i post-impressionisti,
l’amatissimo Gauguin e le sue donne tahitiane, bellissime nella loro semplicità
e nei loro colori.
Vi sono due mostre particolari
al Met, che riesco a vedere anche se sono affollatissime. Non mi piacciono
le sale dei musei troppo affollate: c’è sempre qualcuno che è
lì per caso e rompe decisamente le scatole, anche con commenti di
cui si poteva decisamente fare a meno. Una delle dipinti e disegni di Utrillo,
Van Gogh, Cézanne.
Poi, i «Degas di
Degas», cioè i propri dipinti che il pittore tenne per sé,
con le Due ballerine in rosso che spicca su tutti.
Museum
of
Modern
Art
- MoMA
Un
museo che definire strepitoso è certamente riduttivo. Grandioso
l’edificio, bella l’esposizione di sculture del giardino (tra cui Rodin
e Moore (La famiglia), incredibile il numero e la qualità
delle opere pittoriche esposte: mi incanto davanti alla Notte stellata
di Van Gogh (dell’amato Vincent c’è anche il Ritratto di Joseph
Roulin), ma anche alle Demoiselles d’Avignon di Picasso (c’è
anche, di Picasso, il bellissino Ragazzo con cavallo, I tre musicisti
e Ragazza allo specchio), e alle opere di De Chirico, di Matisse
(Le danzatrici, Lezione di piano e Studio rosso -
con tutti quei quadri “nel” quadro),
Toulouse-Lautrec (La Goulue al Moulin Rouge), Paul Klee (Maschera
d’attore, che avevo visto una decina d’anni fa a Firenze, che ospitava
una mostra di Klee, e il complicatissimo Giardino del Castello che,
visto da vicino, pare un mosaico costruito con migliaia di pietruzze colorate),
Cézanne (il bellissimo Bagnante e il Château Noir
con le sue nuvole minacciose), Gauguin (la Natura morta con tre
cagnolini), Seurat, Mirò (Hirondelle-Amour, una sinfonia
di colori decisi e contrastanti), Boccioni (colori vivissimi, sfumati e
grandissimo dinamismo nel suo Giocatore di pallone; vi sono anche
alcune sculture di questo autore, che non sapevo si fosse dedicato anche
a tale forma di arte figurativa), Modigliani (Nudo disteso, molto
suggestivo e “sereno” soprattutto il volto della donna raffigurata, e di
cui ammiro anche una classica scultura di viso femminile, su pietra), Rousseau
(La zingara addormentata, una delle opere più belle che abbia
mai visto, per essenzialità di forme e per i colori, decisi e molto
armonici), Braque (in un paio di casi messo di fianco, quasi a confronto,
con Picasso: Uomo con chitarra di Braque e Ma jolie di Picasso,
in particolare, hanno stupefacenti affinità). E poi ancora, Klimt,
Kokoschka, e il fantasiosissimo e “volante” Chagall, Duchamp, Picabia,
Kandinsky, Man Ray, le geometrie di Mondrian, le “follie” surrealiste
di Dalí, Magritte; un affresco di Diego Rivera (Contadini con
Zapata) e gli Zapatisti di Orozco; La giungla, del cubano
Wifredo Lam; Marilyn Monroe su sfondo dorato di Andy Warhol.
Un unico appunto al MoMA:
ciascuna opera ha un suo titolo “originale” che qui non viene rispettato,
poiché le titolazioni che appaiono nelle etichette poste a fianco
delle opere sono in inglese. All’Ermitage di Leningrado, per esempio, è
sempre esposto il titolo originale (in francese, in italiano ecc.), seguito
da una traduzione in caratteri cirillici. E anche nei musei italiani viene
rispettato il titolo originale dell’opera. Il problema “filologico”, secondo
me, non è di importanza secondaria, anche se ovviamente l’elemento
più significativo, davanti a tante bellezze, è l’emozione
che trasmettono a chi le ammira e ne riconosce le pure forme, le essenziali
o elaborate figure, i giochi di colore, i particolari sorprendenti, i simbolismi
nascosti.
Comunque, qui come al
Metropolitan, non sono a New York, sono in un altro mondo, un mondo a sé
stante, dove la creatività dell’uomo - dovrei dire... prevalentemente
dell’uomo europeo... - ha dato i suoi risultati migliori. Beh, mi piace
essere europea...
Sono un po’ stordita
da tante bellezze.
Visito
anche la mostra dedicata a Egon Schiele, un pittore austriaco espressionista
del quale conoscevo in piccola parte l’opera. Qui c’è tutta la collezione
di Herr Leopold di Vienna, una vera chicca. I suoi dipinti (oli, carboncini,
acquarelli, chine) sono ricchissimi di simbolismi e rivelano un erotismo
raffinatissimo e coinvolgente.
Esco nel giardino a prendere
una boccata d’aria, in mezzo alle sculture di Henri Moore e di Rodin. Poi
faccio una rapida puntata alla mostra di design. Sono le 5 del pomeriggio.
Sono anche piuttosto
vicina all’Empire State Building; allora mi ci dirigo
e salgo al novantaseiesimo piano, all’“Osservatorio” (con tre “rampe” diverse
di ascensori, velocissimi (danno perfino un po’ di nausea, simile a quella
che si prova nei decolli aerei), da dove si vede tutta la città
- e anche oltre - come da un elicottero. |