ti trovi in: Motore Azzurro » il Quaderno » il Quaderno del 27 luglio

il Quaderno del 27 luglio

Berlusconi "Serrare i ranghi, nessuno spazio alla sinistra"

Agenzie stampa Agi del 27 luglio 2006 - h. 12.02

Ore 1,45: Berlusconi preferisce fare una passeggiata prima di rientrare a Palazzo Grazioli. E' stato ad una cena con i senatori azzurri, da poco ha accompagnato a casa Alessandra Mussolini. Si avvicina un gruppo di ragazzi tifosi del Milan: "Presidente, siamo tranquilli? Siamo in Coppa Campioni?". "We are in Champions...", canta per pochi secondi il numero uno della societa' rossonera adattando il motivo dei Queen e spiegando comunque che "il Milan da questa sentenza ha subito un torto, non c'entra nulla...". Poi l'ex premier si sofferma a parlare di politica con un cronista dell'Agi: "Da settembre si parte con il Partito dei Moderati, anche Fini si e' accodato... si parte con la sezione italiana del Ppe. Prima pero' voglio rafforzare il mio partito, ci sono un paio di ipotesi che sto studiando. Letta? Non si occupera' di Forza Italia, deve restare a fare quello che ha sempre fatto, ci sono sempre delle nomine da fare e da tenere i collegamenti...". Berlusconi, pero', preferisce parlare d'altro. Degli alleati, di Fini "che e' d'accordo con noi e l'ha detto" e di Casini che "non sa dove andare. Non puo' andare fuori dalla Cdl. C'e' un sondaggio che parla chiaro: il 67% degli elettori del suo partito non lo seguirebbe...".

Il nodo da sciogliere resta sempre quello, la differenza di vedute che a volte ha portato Berlusconi e Casini a scegliere soluzioni diverse. Berlusconi ora insiste: "Casini e' imperscrutabile... non lo capisco, dovrebbe essere piu' chiaro. Cesa ti dice una cosa, poi si comporta in un altro modo...". L'ex presidente del Consiglio spiega il concetto: "Casini non sa dove andare, si trova in mezzo al guado... ma di la' non lo accetterebbero mai, e poi andrebbe fare solo uno dei colonnelli, andrebbe in mezzo ai franceschini... i traditori del resto sappiamo che non vengono perdonati dagli elettori. La storia e' chiara: tutti quelli che hanno lasciato la Cdl sono completamente spariti. Quindi...".

"Seguo costantemente i lavori della Camera e del Senato", premette Berlusconi e l'attenzione dell'ex premier e' puntata proprio sulla battaglia riguardante l'indulto a Montecitorio: "E' una indecenza. Il fatto di voler colpire uno solo e' allucinante...". Berlusconi si riferisce a Cesare Previti, 'bersaglio' privilegiato da parte di alcuni partiti della maggioranza. "Lo vogliono usare come un capro espiatorio, come se fosse il diavolo...", osserva Berlusconi.

Berlusconi non si pronuncia sulla tenuta della maggioranza. Ma notando le minacce di dimissioni da parte di alcuni ministri spiega che "il centrosinistra e' tenuto unito dalla conservazione del potere, ma sono disuniti su tutto il resto...". Se il governo cadra' "noi siamo pronti. Siamo sempre pronti...", afferma l'ex premier.

Il leader dell'opposizione lancia un appello ai senatori della Cdl: occorre "serrare i ranghi" a Palazzo Madama. "La prima cosa da fare - dice - e' assicurare la presenza in Aula. Non dobbiamo lasciare nessuno spazio alla sinistra. "Avremmo prevalso in diverse occasioni se fossimo stati piu' presenti. Questo e' il nostro compito e tutti devono tenerlo presente", conclude l'ex premier.

Prima una federazione, con il meccanismo delle scelte a maggioranza, poi l'obbligo di confluire nel partito unico. Berlusconi, parlando ieri con i senatori azzurri, ha spiegato la strategia che vorrebbe adottare a partire dalla ripresa dei lavori. "Un sondaggio ci da' al 52%, a settembre partiremo con i seminari per i gruppi parlamentari in modo da rivitalizzare il nostro partito e la Cdl" ha spiegato l'ex premier secondo quanto riferito. Berlusconi ha fatto un quadro dell'attuale situazione del centrodestra partendo da lontano, dai "freni a mano" messi "dagli alleati" con una Lega "sempre fedele all'azione di governo", con An che "per problemi interni ha chiesto piu' volte di cambiare l'esecutivo", mentre dall'altra parte c'era l'Udc "che chiedeva discontinuita' e creava tensioni nella maggioranza". L'ex presidente del Consiglio ha spiegato di essere soddisfatto per "come ha lavorato l'esecutivo", ma "ora e' necessaria una nuova fase" e "bisogna chiamare a raccolta le forze del centrodestra" per creare un nuovo asse in vista delle elezioni del 2009. "An si e' ricompattata dietro le nostre posizioni" ma - ha osservato Berlusconi, secondo le stesse fonti, - "l'Udc mantiene dei margini di ambiguita' senza capire che nel centrosinistra nessuno e' pronto ad accoglierla". Berlusconi non ha fatto nomi durante la riunione ma si e' limitato a riferirsi agli esponenti che terminano il proprio cognome con 'ini'. Poi Berlusconi ha proseguito parlando di se': "Potrei fare come Aznar, come hanno fatto tanti capi. Convinto e sereno - questo e' stato il suo ragionamento - di aver lavorato bene, in piu' avvelenato da mille motivi di grande scoraggiamento per tutto quello che e' successo, comprendendo anche il comportamento dei miei alleati". L'ex premier si e' cosi' rivolto ai suoi senatori: "Sapete perche' dopo quello che ho fatto, dopo l'eta' che ho raggiunto sono ancora qui? Perche' non avete idea quanta gente mi chiami, quanti capi di Stato mi contattino ancor piu' di prima. Il fatto e' che una meta' degli italiani - ha concluso Berlusconi sempre secondo quanto viene riferito - vedrebbe un tradimento se io lasciassi il campo. Non voglio restare eterno, voglio passare attraverso un rinnovamento. Ma non voglio lasciare il patrimonio del centrodestra in una situazione tanto confusa. Capisco che sono ancora il collante, il cemento del centrodestra".

Bonaiuti: "Triste vedere dopo due mesi governo vacillante"

Agenzia stampa Ansa del 27 luglio 2006 - h. 13.26

''Mette tristezza vedere come questo governo dopo appena due mesi barcolla e vacilla e ogni giorno danza sull'orlo del baratro. Non voglio drammatizzare, ma credo che la situazione sia sotto gli occhi di tutti''. Lo afferma Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, commentando a Rtl 102.5 lo stato di salute dell'esecutivo.

A chi gli chiede se e' possibile immaginare un clima di dialogo tra i poli, come auspica il presidente della Repubblica, Bonaiuti appare scettico: ''Anche con tutta la nostra buona volonta' - osserva - e' difficile, se non impossibile, dialogare con una coalizione tanto scollata al suo interno. Non ce la fanno nemmeno tra loro, figuriamoci con noi. Comunque, loro hanno vinto le elezioni, seppure di un soffio, e tocca a loro governare. Finora hanno occupato tutte le istituzioni senza chiederci nulla - conclude Bonaiuti - ora vogliono pure il dialogo... Ma come si fa se non si offre nemmeno un minimo punto di convergenza?''.

Realtà/Arabeschi libanesi di D'Alema

Dicono che la vista di D'Alema in grande spolvero per la conferenza romana sul Libano, abbia dato sui nervi a Prodi. Convinto che sarebbe toccato a lui di fare la ruota sul palcoscenico della Farnesina e al fianco di Condoleezza Rice, il presidente del Consiglio ha patito come un'usurpazione il protagonismo del "suo" ministro degli Esteri. Da ciò l'abbondanza delle interviste premierali, nel tentativo di pareggiare i conti.

In compenso, D'Alema ha messo nel carniere i sensi di soddisfazione del presidente della Repubblica per il "risultato positivo" della conferenza, definita "un evento che fa onore all'Italia". Se fosse, un messaggio presidenziale di ringraziamento spetterebbe di diritto al Rais egiziano Mubarak, che, per considerazioni di opportunità politica, ha declinato in favore di Roma l'invito a ospitare a Sharm El Sheik il prestigioso incontro. Lo spostamento di sede è stato occasione di cocente disappunto per le centinaia di giornalisti accorsi da tutto il mondo, costretti dalle carenze organizzative della Farnesina a bivaccare per terra, senza il conforto dell'aria condizionata.

Da una conferenza di pace costretta a fare i conti senza l'oste, per l'assenza dei principali attori del conflitto (Iran e Siria, oltre che Israele), non era ragionevole aspettarsi miracoli. Che difatti non ci sono stati.

Promesse di aiuti umanitari e di futuri contributi alla ricostruzione del Libano, nonché disponibilità all'invio di una forza multinazionale di interposizione sotto egida Onu quando ne ricorressero le condizioni. E quindi dopo la cessazione delle ostilità, che non sarà "immediata", come avrebbe preteso la Francia, ma scandita sui tempi necessari a Israele per estirpare la minaccia Hezbollah al confine col Libano. Solo a questa condizione può aversi un cessate il fuoco che sia, come si conviene, "durevole, permanente e sostenibile".

Le cronache dell'avvenimento attribuiscono a D'Alema il merito principale del gioco di parole che ha ricucito la posizione francese a favore di un cessate il fuoco immediato e quella rispettosa dei tempi richiesti per l'esercizio del diritto di Israele all'autodifesa: "Lavoriamo immediatamente per arrivare a una tregua urgente". Dove l'immediatezza impegna solo i richiedenti. Dall'esponente di una classe politica esperta in arabeschi dialettici non ci si poteva aspettare di meno.

Il problema è se il gioco di parole dalemiano risulti accettabile dalla coalizione di centrosinistra. La cui ala sinistra è sensibile agli umori anti-israeliani della Francia, assai più che agli arabeschi del ministro degli Esteri. Al punto da annunciare un veto alla partecipazione italiana a una forza di interposizione che non sia schierata anche sul versante di Gaza, a protezione dei palestinesi di Hamas. D‘Alema (e Prodi) offrono alle speranze di pace pegni di cui non dispongono.

Realtà/I favori mediatici a Prodi

La crisi libanese e le questioni di politica interna inerenti la tenuta del governo Prodi, in questi giorni, appaiono strettamente collegate. Ormai non passa giorno senza che l'Unione si spacchi, litighi e ricatti sé stessa su qualsiasi tema dell'agenda interna o internazionale. Ovviamente, la questione mediorientale assume contorni ben più drammatici rispetto ad altri temi, e andrebbe perciò trattata con una serietà e un rigore degni di una situazione potenzialmente drammatica per il mondo intero. Invece sui principali quotidiani (Corriere in testa), è tutta una gara a chi regge meglio la coda al premier e al ministro degli Esteri D'Alema.

Sappiamo tutti che la politica non è il regno delle educande, e che la gestione del potere interno a volte prende il sopravvento sulla logica e sul buon senso. Ma a tutto questo occorrerebbe porre un limite. Invece analisti anche di primo piano hanno scritto parole inquietanti, non tanto per i concetti che esprimono, quanto per il senso di "normalità" che deriva dalla loro lettura.

Sconcerta la mancanza di commenti che vadano oltre il cinismo delle piccole convenienze di un governo nato storpio e disperatamente impegnato a sopravvivere a sé stesso. Non si riesce a credere che, di fronte al dramma che si sta sviluppando in tutto il Medio Oriente, anche persone capaci e ragionevoli non siano in grado di superare una mentalità piccola e decadente, ancorata alle discussioni da cortile che ammorbano la nostra politica. Il mondo vive giorni terribili, e questo perché vi sono potenze che anelano alla distruzione di Israele e cercano di istigare i popoli in direzione di un conflitto globale che avrebbe conseguenze devastanti e difficilmente calcolabili nella loro portata.

Ebbene, di fronte a ciò in casa nostra ci si limita a valutare, con una punta di ammirazione per la supposta "abilità" dell'attuale ministro degli Esteri, le conseguenze dei suoi disperati arzigogoli, messi in atto nel tentativo di non spaccare definitivamente la maggioranza. Forse sarebbe il caso di rispondere, una volta per tutte, con un sonoro "chi se ne frega". Sarebbe ora di dire che i destini di Israele sono legati a quelli di tutto l'Occidente, e che di fronte a ciò che sta accadendo in quei territori e nel mondo, del governo Prodi e dei suoi litigiosi componenti non ci può importare di meno. O meglio, ci preoccupa la loro capacità di provocare danni al Paese, il loro cipiglio nel mettere in mora il normale svolgimento della vita democratica del Parlamento con una serie di voti di fiducia che trascolorano nel grottesco. Se fossero stati Silvio Berlusconi e la sua maggioranza a comportarsi in questo modo, avremmo avuto commenti infuocati, denunce internazionali, girotondi e dibattiti televisivi sulla nascita del "regime".

Ora, non si pretende che si arrivi a tanto: ma è arrivato il momento che da parte della CdL e dei suoi leader si cominci a pretendere, se non altro, un minimo di onestà intellettuale da parte di chi è chiamato a giudicare gli avvenimenti politici. Nell'attesa che finalmente questo impresentabile governo ceda il passo e che si torni alle urne. Un evento che non dovremo attendere troppo a lungo, se è vero che i partiti della sinistra radicale si sono già dichiarati contrari alla partecipazione dell'Italia alla forza multinazionale che dovrà schierarsi sui confini del Libano. Una questione sulla quale nessuna fiducia potrà salvare l'ilare Prodi.

Realtà/Tre dimissioni e una sfida

Potrebbe essere l'inizio della fine. Di un incubo, secondo la definizione che la capogruppo Ds al Senato ha dato a questa maggioranza.

Perché la ribellione di tre ministri, appartenenti a tre partiti diversi, fa davvero pensare che anche le previsioni più pessimistiche sulla tenuta del governo Prodi possano essere smentite dalla realtà.

Di Pietro, Mastella e Mussi, con la minaccia delle dimissioni, sono le "faglie" che provocano questo terremoto.

Che tra i primi due non ci fosse feeling si era capito sin dall'insediamento dell'esecutivo e sin dalle prime dichiarazioni fatte in libertà. Il ministro delle Infrastrutture - autoleggitimandosi con la sua vecchia e dimessa toga da magistrato - è sempre intervenuto sulle questioni di giustizia con azioni a gamba tesa da cartellino rosso. Mastella dal canto suo ha sempre mostrato di non gradire, ancor meno sulla questione dell'indulto, dove l'intervento di Di Pietro è stato come una capocciata di Zidane: è sceso in piazza a protestare contro il provvedimento e, forse, anche contro Mastella che - impassibile - commenta "l'indulto è un atto del Parlamento".

Chi avrà ragione? Il sanguigno abruzzese o il serafico campano?

Altre minacce di dimissioni vengono da Fabio Mussi che, reduce del successo sulle cellule staminali, non si adegua ai tagli dei finanziamenti per la ricerca previsti dal governo.

E non si può dare torto al ministro: la sinistra negli ultimi cinque anni ha rimproverato il governo Berlusconi di sacrificare l'università e la ricerca privandole dei fondi necessari. Se ora la sinistra di governo porta dei tagli a quelle voci può voler dire due cose: l'accusa all'esecutivo di centrodestra era falsa e nei fatti l'Unione conferma di non avere a cuore l'università e la ricerca.

Tre dimissioni e una sfida: potrebbe essere il titolo di questa giornata politica.

E la sfida viene dai sindacati che si oppongono decisamente ai correttivi ipotizzati per le pensioni: non è accettabile il fatto che si possa andare a "riposo" da giovani ma con una "busta" dimezzata, secondo quanto preannuncia il governo. Molto meglio per i sindacati riprendere la proposta dell'ex ministro Maroni e magari trovare un valido correttivo.

E qui nasce spontanea una domanda: perché questa seria proposta di serio confronto non è stata fatta al precedente governo? Forse perché più che la difesa dei diritti dei lavoratori i sindacati avevano a cuore la guerra contro Berlusconi e c.

Loro/Prodi, la volpe e l'uva acerba

Ieri doveva essere una giornata positiva per Romano Prodi e il suo governo: doveva passare l'indulto ma soprattutto doveva uscire qualcosa di concreto dalla Conferenza di Roma sul Medio Oriente.

Disastro su tutta la linea. Intervenendo in tutti i tg, Prodi non ha trovato dei risultati della Conferenza rispetto alle roboanti aspettative che aveva annunciato quando l'aveva presentata, ma ha svolto il ruolo della volpe e l'uva acerba: ha detto che dalla conferenza non ci si poteva aspettare più di quanto ha dato.

Sparito il tentativo di fare emergere l'Europa ad una voce per mettersi in mezzo tra Usa/Israele, da un lato, e gli Hezbollah e tutti i loro alleati, dall'altro lato.

E' quindi passata la linea di Condoleezza Rice: di tregua si potrà parlare solo quando sarà certo che non si tornerà allo "status quo ante" e sarà assicurato lo smantellamento degli Hezbollah. Fino a quel momento, Israele andrà avanti. Proprio l'esatto contrario di quello che Prodi e D'Alema volevano.

Nonostante il tentativo di alcuni giornali di accreditare D'Alema come "americano" e "salvatore della Rice", il ministro degli Esteri ha seguito la strada collaudata di trovare una formula verbale intermedia tra quelle più estreme, esercitando l'arte del "comunicato finale".

Sulla politica estera, non c'è altro da dire, poiché è fatta solo di parole e solo al servizio del dibattito politico interno.

Può darsi che gli irriducibili pacifisti, che poi sono sostanzialmente irriducibili antiamericani, avranno ancora più mal di pancia a votare, oggi e domani, con voto di fiducia, il rifinanziamento della missione in Afghanistan; se la Conferenza avesse dato a Prodi qualcosa di concreto, avrebbero abbassato la testa più facilmente.

Tanto che è dovuto intervenire ancora Napolitano per "interpretare un sentimento di soddisfazione largamente condiviso dall'opinione pubblica e da tutte le forze politiche, al di là di ogni distinzione tra maggioranza e opposizione, per il risultato positivo della Conferenza internazionale sul Libano, svoltasi oggi a Roma, e per il riconoscimento che ne è venuto sul ruolo svolto dall'Italia".

Ma altri guai sono venuti dallo scontro tra Di Pietro e Mastella sull'indulto e al tg serale de La7, il colpo di scena.

Prodi ha detto: "Siamo andati alle elezioni con un programma e una coalizione. Se fossimo bloccati nella realizzazione del programma, si potrebbe anche fare una riflessione su questo. Ma noi stiamo realizzando il programma che ci eravamo proposti, con la coalizione con cui siamo andati davanti agli elettori".

Traduzione: Prodi ha ammesso che si potrebbe aprire una discussione nel caso in cui non si riuscisse a realizzare il programma di governo. Cercando di attenuare il significato politico di queste parole, che sono quasi una resa, ha cercato di buttarla sull'economia: "Gli italiani apprezzano molto quello che abbiamo fatto nelle ultime settimane e che continueremo a fare, per dare una sveglia all'economia italiana".

Eppure, poche ore prima, al question time della Camera, aveva ribadito che la maggioranza è compatta.

Dopo la giornata di ieri, sarà aumentato il numero di chi non è più disposto a scommettere sulla sua durata.

Il centrodestra farebbe bene a non andare oltre a commenti sarcastici: esso deve lasciare che Prodi cuocia dentro il brodo dell'Unione. Non è il momento di accelerare e fare passi falsi. Ci vuole sangue freddo e bisogna tenere a freno gli emotivi.

Loro/Prodi balla coi lupi

Nella giornata di ieri il governo è andato incontro a difficoltà straordinarie.

In primo luogo Prodi si è trovato in grande imbarazzo nel question time a proposito del cambio del vertice della Guardia di Finanza di Milano. Infatti Prodi ha ammesso l'intervento del viceministro Visco, un'intromissione che però non è affatto prevista in nessuna norma regolamentare: l'unico legittimato ad occuparsi dei vertici è il comando generale della Guardia di Finanza.

Ma il governo è andato incontro ad autentici sbandamenti su altre questioni: in primo luogo sull'Afghanistan, dove dopo un tormentone durato molti giorni ha dovuto porre la questione di fiducia. Il rifinanziamento della missione di pace ha messo in evidenza l'esistenza di un nucleo di estremisti (9 senatori e 5 deputati) che hanno posizioni autonome su tutto. D'altronde bisogna ricordare, e Prodi non l'ha fatto, che Rifondazione Comunista non è solo Bertinotti, ma ha circa un 40% di trotskisti ed ex stalinisti la cui logica è largamente estranea a quella di una coalizione di governo con i moderati. Questa area si farà sentire anche su altri problemi, in primo luogo sulla Finanziaria. In quel caso, se andrà avanti la linea Draghi (o un forte aumento della pressione fiscale o tagli alla spesa pubblica su pensioni, sanità, enti locali) il governo ballerà di brutto. E un ennesimo segnale è dato dal ricorso alla fiducia anche sul decreto Visco-Bersani.

Ma le contraddizioni più spettacolari sono emerse sull'indulto.

Una sorta di sfida all'Ok Corral si è sviluppata fra Mastella e Di Pietro. Il ministro della Giustizia non si è presentato alla Camera per non prendersi a torte in faccia con il suo collega delle Infrastrutture, il quale ha invece guidato l'opposizione al provvedimento ricorrendo anche a piazzate in aula e fuori. Con l'autosospensione di Di Pietro siamo arrivati ad una situazione grottesca: un balletto dentro e fuori da Palazzo Chigi in nome della conservazione del potere.

Ma in effetti sottotraccia sono emerse altre contraddizioni meno clamorose ma altrettanto significative. Infatti nel centro-sinistra, segnatamente nei Ds, è apparsa una forte posizione giustizialista, che parte da D'Ambrosio e arriva a Violante, il quale ha condotto una battaglia sugli emendamenti (vedi pene accessorie) per far saltare tutto.

Nel complesso, dunque, il governo esce fortemente indebolito da questa giornata. Molti, anche dell'establishment, hanno la percezione che la somma di una serie di elementi (l'inadeguatezza personale di Prodi, i ristretti margini di maggioranza al Senato, la difficoltà di tenere una maggioranza che va dai trotskisti agli ex stalinisti, dagli amici dei palestinesi a una pattuglia di alleati di Israele, dai forcaioli ai garantisti, dai liberisti ai sindacalisti) faccia rimpiangere il Circo Barnum.

Cosa dire/La sinistra allo sbando

Decreto Bersani - Liberalizzazioni

L'Italia, certo, ha bisogno di liberalizzazioni, di più mercato, di maggiore concorrenza. Nessuno ne è più convinto di liberali come noi.

Colpisce il fatto che le cosiddette liberalizzazioni avvengano solo ai danni di alcune categorie. Per loro la concertazione, il dialogo, non valgono. Vale, almeno a parole, l'autorità del governo, che decide senza ascoltare nessuno. Sarebbe interessante che si usasse lo stesso linguaggio nei confronti dei sindacati confederali, quando difendono non i lavoratori, ma i propri privilegi.

Ma la strada pericolosa imboccata dal governo è di corto respiro: gli atteggiamenti provocatori seminano solo tempesta. La marcia indietro di Bersani nei confronti dei taxisti conferma, se ce ne fosse bisogno, che questo governo è una "tigre di carta". Usiamo volutamente un termine coniato da Mao Tse-tung, e quindi caro a molti membri vetero-comunisti del governo Prodi.

Afghanistan

Quella di porre la questione di fiducia sull'Afghanistan è una scelta vergognosa. Lo è per diversi motivi, primo fra tutti perchè Prodi dimostra di non tenere in nessun conto neanche il monito del Capo dello Stato. Non si può pensare di governare a colpi di fiducia, oltretutto all'inizio della legislatura.

Porre la fiducia dimostra che a Prodi e ai suoi non importa nulla dell'Afghanistan, delle missioni di pace, dell'ONU, del Medio Oriente: gli interessa solo tutelare la sua già traballante maggioranza. Il rifinanziamento delle missioni di pace al Senato sarebbe passato a larghissima maggioranza, grazie al voto della Casa della Libertà, che mai avrebbe votato contro i nostri soldati all'estero, contro la difesa della pace, contro la responsabilità internazionale del nostro Paese.

Ma tutto questo per la sinistra non ha importanza. Per una sinistra che non va d'accordo su nulla, e che deve ricorrere a questi espedienti per trovare una finta compattezza. E' patetico lo spettacolo di parlamentari che votano contro le proprie convinzioni, dichiaratamente, pur di "non correre il rischio di un ritorno di Berlusconi". Ma dai comunisti non ci aspettiamo altro. La cosa paradossale, invece, è la totale mancanza di senso dello Stato delle altre forze di governo, che si prestano a queste manovre quando è in gioco l'interesse della nazione, e la difesa della libertà nel mondo.

Non abbiamo posto la fiducia, in passato, solo quando - di fronte all'ostruzionismo dell'opposizione, dovevamo garantire che provvedimenti importanti passassero in tempi certi.

Non abbiamo MAI avuto bisogno della fiducia per costringere un alleato recalcitrante.

Chiedere la fiducia su un provvedimento votato anche dall'opposizione, è non soltanto paradossale ma anche provocatorio. Da molte parte si è ascoltato in questi giorni l'appello a privilegiare l'unità del paese sulle grandi scelte di fondo. Fra gli altri si sono espressi in questo senso il Capo dello Stato e il Presidente del Senato, figure stimate e rispettate da tutti, ma scelte proprio dal centro-sinistra. La risposta di Prodi è stata quella di rompere anche quando c'è convergenza.

   

« numero precedente