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il Quaderno del 13 settembre

Telecom/La merchant bank di Palazzo Chigi

Chissà perché ogni volta che il pianeta delle telecomunicazioni è in movimento, Palazzo Chigi torna ad essere una merchant bank. I più stretti collaboratori di Romano Prodi erano a conoscenza dei dettagli dell'operazione Telecom. Non solo. Avevano stretti ed assidui contatti con Tronchetti Provera, fino al punto di consigliargli mosse e strategie. Ed ora il presidente del Consiglio dice che non era stato informato.

Forse anche questa mossa fa parte dell'operazione per esacerbare i toni; alzarli e far dimenticare le spaccature interne alla maggioranza sulla finanziaria. E magari preparare così il terreno a qualche altro "capitano coraggioso" - non proprio giovanissimo - che potrebbe intervenire per "salvare Telecom" dall'ingresso degli stranieri.

Telecom deve restare italiana, dice Padoa Schioppa. Già, ma come? La galassia delle società Telecom fa capo ad una finanziaria che si chiama Olimpia, nella cui pancia le azioni Telecom sono in carico con valori più alti degli attuali. Al momento, scalare Olimpia costerebbe assai meno che non rilevare Telecom o Tim: almeno un terzo di meno.

I "Capitani coraggiosi" in grado di mettere insieme una decina di miliardi di euro (ma potrebbero servirne anche meno) esistono. Per riuscire, però, l'intervento dev'essere benedetto dalla Politica. E prima la situazione dev'essere portata sull'orlo del disastro: solo così le azioni Olimpia scendono e comprarle è un affare.

Se a questa strategia si aggiunge anche lo scorporo delle reti Telecom che, una volta quotate, potrebbero essere acquistate al 30% dalla cassa depositi e prestiti (cioè dallo Stato), il gioco è fatto.

Per questo, ogni volta che il pianeta Telecom entra in fibrillazione, Palazzo Chigi torna ad essere una merchant bank. Sia con D'Alema, sia con Prodi.

Telecom/Prodi sapeva. Ecco le prove

Il presidente del Consiglio sapeva tutto su Telecom. Di più: "Prodi e alcuni suoi collaboratori strettissimi hanno avuto un ruolo più che attivo nelle scelte di Tronchetti Provera".

L'editoriale odierno del direttore di MF, notoriamente bene informato, cita nomi, date e circostanze che non possono essere liquidate come "chiacchiericcio" e impongono da parte di Palazzo Chigi un chiarimento. Un'occasione da non perdere per quegli esponenti della Cdl che parteciperanno alla prossima audizione parlamentare dei vertici Telecom. Ai quali sarebbe bene chiedere:

Tutte domande che esigono una risposta. Perché, al di là della contrarietà o meno di Prodi alla vendita di Tim, dimostrano che Prodi sapeva, eccome. E che la merchant bank di Palazzo Chigi è risuscitata. Più attiva che mai.

Telecom/La voglia di regime della sinistra

L'intervento di Romano Prodi sulla Telecom ha dimostrato, anche agli ingenui più volenterosi, che il riformismo e il liberismo dei sedicenti "modernizzatori" dell'Unione costituiscono soltanto un fragile scenario malamente dipinto.

Il Professore è stato segnato per sempre dall'esperienza dell'Iri, non riesce a rinunciare a interventismo e dirigismo in materia economica; non ha più l'Iri, dovrebbe fare altro, ma la pulsione statalista è più forte degli obblighi d'immagine.

E allora interviene pesantemente - lo sfogo contro Tronchetti Provera è illuminante - anche a costo di creare altre tensioni nell'Unione e nuove fratture fra le sinistre inquiete.

Il contesto che si profila per la democrazia italiana diventa a questo punto veramente allarmante. Sulla strada delle nomine, dell'occupazione di tutti i posti disponibili, necessari per realizzare nel Paese un blocco pressoché monolitico di potere, il governo di Romano Prodi ha proceduto come un rullo compressore, con una logica totalitaria che non tiene in alcun conto l'articolazione e la complessità della società italiana.

Adesso tocca, può toccare all'economia. Dalla strutturazione di nuove gerarchie bancarie, gradite al manovratore, alla minaccia di ingerenza nei settori nevralgici, a cominciare dalle telecomunicazioni.

Il riformismo fasullo dell'Unione si risolve in un desiderio di passato, un passato nel quale lo Stato era banchiere, imprenditore, assicuratore e produttore perfino di panettoni di pomodori pelati.

Un passato in cui era decisivo il buon volere del Principe. Altro che conflitto d'interessi, la commistione politica-affari nella visione prodiana diventa strutturale, permanente, pervasiva.

La voglia di regime c'è, le "riforme liberalizzatici" lambiscono tassisti, tormentano farmacisti e avvocati, ma per i grandi affari, per il concerto dei "poteri forti" si cerca di riproporre lo spartito statalista.

Gli spazi di libertà possono restringersi. Al desiderio di controllare settori decisivi dell'economia si unisce la volontà di allineare ancora di più il mondo dell'informazione, che pure tanti servigi ha reso e rende al governo delle sinistre.

Le grandi manovre per la lottizzazione della Rai, considerato un trofeo per i rachitici vincitori delle elezioni di aprile, dicono tutto e di più.

Quand'erano all'opposizione, Prodi e compagni si stracciavano le vesti accusando il centrodestra di avere realizzato il regime che non c'era. Adesso di regime non parlano più, ma si preoccupano di costruirlo, a pezzo a pezzo.

Telecom/Times, Prodi sotto inchiesta

Agenzia Asca del 13 settembre, ore 12.00

Il premier Romano Prodi rischia di trovarsi oggetto di un inchiesta della Commissione Europea per le sue affermazioni sul riassetto Telecom. Lo afferma The Times, citando fonti della Commissione stessa. Secondo il quotidiano britannico un ''alt'' da parte del governo italiano all'eventuale cessione di TIM andrebbe contro le regole del mercato interno europeo che prevede un tale intervento soltanto in circostanze speciali quali la sicurezza pubblica. Il Times sostiene che Prodi non ha escluso uno stop al riassetto, atteggiamento che, secondo il giornale, contraddice alcune sue dichiarazioni precedenti. Ieri il premier italiano si e' detto ''sorpreso e sconcertato'' per non essere stato avvertito della scissione tra TIM e Telecom malgrado alcuni incontri con il presidente di Telecom Italia Marco Tronchetti Provera. Prodi ha detto di voler esaminare il dossier a fondo prima di esprimersi.

Noi/Partito da rilanciare, quando e come

La decisione assunta ieri da Silvio Berlusconi è rivoluzionaria per quanto riguarda Forza Italia: il fondatore ha deciso infatti di costituire un gruppo di lavoro per la revisione dello Statuto per dotare il partito di una organizzazione radicata sul territorio e di una struttura interna democratica e collegiale. La nuova bozza di Statuto sarà sottoposta all'esame del Presidente entro novembre per l'approvazione del Consiglio Nazionale, insieme al nuovo regolamento per lo svolgimento dei congressi comunali e provinciali.

Il risultato elettorale di aprile - come è noto - consacra Forza Italia primo partito italiano e questo esito rappresenta un traguardo solido da cui partire per estendere ulteriormente i consensi e per essere pronti alle prossime elezioni politiche.

Per questo la prima decisione da assumere è quella di dare vita nel più breve tempo possibile ad una Direzione nazionale del partito, della quale facciano parte gli esponenti più importanti del partito e tutti i coordinatori regionali del partito, con il compito di assistere il Presidente nelle decisioni politiche e organizzative più importanti.

La seconda decisione da assumere riguarda l'indizione dei congressi comunali e provinciali, con l'elezione dei delegati al terzo congresso nazionale del partito, stabilendo regole democratiche, trasparenti e tali da coinvolgere il maggior numero possibile di simpatizzanti. A questo scopo occorre rivedere lo Statuto, per stabilire regole e garanzie chiare ed efficaci per tutti, a partire dalla fissazione della durata a termine degli incarichi ad ogni livello, coordinatore nazionale in primis.

Il terzo obiettivo è quello di costituire una organizzazione più solida a livello nazionale e locale.

Il quarto è la formazione dei Circoli della Libertà in tutti i Comuni italiani. Mantenimento di un partito fondato sulla leadership e democratizzazione dal basso costituiscono perciò una sfida necessaria per sostenere Berlusconi in questa nuova impresa politica e per creare già ora le fondamenta del partito dei moderati e dei riformisti, il partito della libertà.

Noi/Partito delle Libertà, quando e con chi

I due Poli sono impegnati a trasformare il bipolarismo imperfetto di questa stagione politica in un bipartitismo che veda contrapposto il Partito Democratico al Partito delle Libertà. Ma sia a destra che a sinistra, nonostante l'ottimismo di facciata di alcuni leader, la strada è ancora molto lunga. E tutta in salita. Nell'Unione, mentre Fassino e Rutelli sembrano aver ingaggiato un dialogo tra sordi in cui entrambi a parole si spronano sulla creazione del Partito Democratico, ma nei fatti la bloccano perché pongono come premessa condizioni inconciliabili sulla collocazione europea della nuova forza politica, Prodi cerca di andare dritto per la sua strada, nel vano tentativo di creare lui da solo il Partito Democratico.

Rutelli a Caorle ha annunciato in pompa magna il rilancio del Pd, e come atto di buona volontà ha convocato il congresso della Margherita in simultanea con quello diessino, garantendo che i documenti programmatici fondamentali dei due alleati andranno nella stessa direzione.

Ma è chiaro che si tratta di un processo ancora messo in moto artificialmente, e costretto a non affrontare i nodi più spinosi. Come, appunto, la futura collocazione europea. Sul fatto che si debba andare "oltre il socialismo europeo", il vicepremier non ha dubbi. Fassino la pensa esattamente all'opposto, e nemmeno lo ha nascosto. Allora, dell'approdo finale si discuterà appunto alla fine. Il ragionamento di Rutelli è il seguente: formiamo il Pd e poi gettiamo la forza di questo partito sul piatto della bilancia delle politiche europee e dei rapporti internazionali.

Un progetto politicamente ambizioso, ma anche un libro dei sogni. Che il vecchio De Mita ha prosaicamente, ma in modo efficace, definito "un caravanserraglio".

Anche dalla nostra parte il cantiere è in fase embrionale. L'Udc ha scelto la navigazione solitaria e si tiene ancora fuori dal dibattito; Fini, pur riconoscendo come ancora attuale la leadership di Berlusconi e siglando di fatto un nuovo patto di ferro con Forza Italia, ha definito "prematura" ogni ipotesi di fusione, parlando al massimo di federazione dei gruppi parlamentari.

Un partito unico del centrodestra che nasca nel ceppo del Partito Popolare Europeo, dunque, è per il momento difficilmente prefigurabile. Più concreta appare invece l'ipotesi del Partito del Nord tra Forza Italia e Lega, per lanciare l'offensiva finale contro il governo Prodi. Ma una cosa appare probabile: alle prossime elezioni, se la legge elettorale non verrà di nuovo modificata in senso maggioritario, i due grandi partiti del bipolarismo perfetto non saranno ancora nati.

Loro/Aumentano le tasse, quali e perchè

"Risparmi di spesa": una formula che la sinistra sa declinare solo come aumento di tasse. Nella legge finanziaria saranno previsti minori trasferimenti agli enti locali per circa 5 miliardi di euro. Ma non saranno risparmi di spesa: saranno maggiori tasse sui cittadini. Agli enti locali, infatti, verrà ripristinata quell'autonomia impositiva che il governo Berlusconi aveva "congelato".

Dal 2007 le Regioni potranno introdurre nuove addizionali Irpef. Tanto per avere un'idea di quel che rappresenta questo strumento fiscale, basta ricordare che l'intera restituzione dell'eurotassa (era il 60% del pagato) venne interamente assorbito dall'addizionale dello 0,5% delle Regioni.

Non è finita. Sempre nella legge finanziaria il governo affiderà ai Comuni il catasto. Ciò vuol dire che ogni comune potrà adeguare le rendite catastali come crede. E questo significa un aumento delle tasse sulla casa. Lo sa bene chi paga l'Ici. Se il valore dell'immobile passa da 100 a 110 e l'aliquota Ici resta la stessa, paga un 10% di tasse in più.

Paradossalmente, però, nel bilancio pubblico quest'operazione figura come un taglio della spesa; e quindi le maggiori tasse restano nascoste. Ma non per i contribuenti che dovranno pagarle.

Ed è per queste ragioni, che gli enti locali non protestano contro i risparmi che dovranno fare: sanno bene che i trasferimenti pubblici a cui dovranno rinunciare saranno sostituiti da maggiori entrate. Mentre hanno protestato come aquile contro i tagli dell'ultima finanziaria Tremonti, che mirava a consistenti risparmi degli sprechi delle Regioni.

Eppure, aveva ragione Tremonti quando provocatoriamente chiedeva a Veltroni: quanti asili hai chiuso, quanti malati hai respinto dagli ospedali, con i tagli della finanziaria 2006? Ovviamente nessuno.

Loro/Rai, la memoria corta della sinistra

Sulla questione Rai si potrebbe polemizzare con la sinistra, lanciare accuse, attaccare il solito metodo dell'occupazione militare nel quale l'attuale maggioranza è maestra. Ma ci sarebbe anche un'altra strada: ricordare cosa accadde esattamente cinque anni fa, nel 2001, quando il presidente Rai, Zaccaria, rifiutò di dimettersi fino alla scadenza del mandato (prevista a febbraio del 2002) e tale decisione venne sostenuta dalla sinistra, mentre Zaccaria stesso sosteneva di difendere l'indipendenza dell'Azienda salvo poi, un attimo dopo le dimissioni, recarsi al Palavobis insieme con i girotondini, e, successivamente, incassare un seggio parlamentare con la Margherita. Cosa dicevano allora coloro che oggi vogliono la testa di Petroni per poter fare il buono e il cattivo tempo in Rai?

Fin quando il dibattito sulla Rai continuerà a girare intorno alla collocazione delle persone, non si potrà avviare una riflessione serena sul servizio pubblico».

E' uno schema che tenta di annullare qualsiasi confronto con dichiarazioni moderate, una pratica che è quella dello spoil system».

Cinque anni dopo, il 4 settembre del 2006, alla festa dell'Unità di Bologna, D'Alema si troverà ad affermare: «Sulla Rai mi domando se non siamo stati troppo buoni: anziché occupare la Rai ci siamo occupati di politica estera».

Loro/Scienza, il golpe fallito della sinistra

No, la lotta al cancro non si lottizza. Neppure in nome delle "quote rosa". Un colpo da kappaò, per il ministro Turco, la sentenza del Consiglio di Stato che ha reintegrato nel suo ruolo il professor Francesco Cognetti. Il direttore scientifico del Regina Elena, difeso dalla stragrande maggioranza dei primari e da nomi altisonanti della ricerca medica (Montalcini in testa), era stato dimesso dalla Turco immotivatamente e con metodi brutali.

Ricorda Cognetti: "Ho ricevuto un fax in ufficio, senza preavviso. Ho cercato di mettermi in contatto con il ministro, ma ogni tentativo è stato vano. Non mi hanno ricevuto nemmeno i suoi collaboratori". Neppure una colf si licenzia così. Figurarsi un oncologo di fama internazionale. Storace dice che la Turco dovrebbe dimettersi. Non lo farà, certamente. Come non chiederà scusa. Per ora incassa e mastica amaro.

TV/D'Alema e Casini, gemelli birichini

Nel quinto anniversario dell'attentato alle Torri Gemelle, il salotto di Rai Tre - Ballarò ha ospitato i "gemelli";.

D'Alema e Casini sono riusciti a sorprendere addirittura Floris, più allenato a dirigere dibattiti "contro" che non mielosi "minuetti", tanto che a un certo punto il conduttore si vede costretto a chiedere: "Fate parte della stessa coalizione?".

D'Alema risponde che per il battibecco avrebbe dovuto invitare altri politici, mentre Casini sostiene che il suo atteggiamento è per il "bene del Paese", ammette che con la guerra in Iraq "sono stati commessi molti errori", ribadisce che il voto favorevole per la missione in Libano è "un obbligo morale e politico" e preannuncia con sicumera che "la Cdl sarà unanime", scartando con abilità la trappola su Berlusconi che Floris gli piazza.

Insomma, l'ex presidente della Camera continua per la sua strada, impegnato ad affermare la sua immagine da leader, a intaccare quella di Berlusconi. Un impegno, quest'ultimo, per il quale gode dell'aiuto della sinistra che - naturalmente - non pensa affatto che il Cavaliere sia ormai una stella cadente, che ha fatto il suo tempo. Anzi, lo teme come unico avversario capace di mettere a rischio una riconferma elettorale dell'Unione. Senza Berlusconi, con Casini, la sinistra vede il suo futuro più roseo, tanto da non abbandonare in nessuna occasione la politica antiberlusconiana.

Non è un caso, infatti, che sia tornato di grande attualità il conflitto d'interessi e che qualcuno del governo pensi di risolverlo con la ineleggibilità del leader dell'opposizione. Soluzione che, nelle segrete stanze dei suoi pensieri, non deve dispiacere nemmeno a Casini.

Come dire che la guerra che la sinistra fa a Berlusconi è la stessa dell'Udc: questo provoca il suo generoso sostegno alla maggioranza, non certo il desiderio di passare a sinistra.

Casini si è fatto portatore di un pessimo principio: non è importante che io vinca, è importante che tu perda. Dove il "tu" non è l'avversario politico, ma colui che per cinque anni è stato anche il suo Presidente del Consiglio.

   

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