ti trovi in: Motore Azzurro » il Quaderno » il Quaderno del 8 gennaio

il Quaderno del 8 gennaio

Berlusconi: è merito del mio governo se l'economia adesso è in crescita

Dichiarazione del presidente di Forza Italia, on. Silvio Berlusconi

Il mio governo ha lasciato un'eredità coi fiocchi all'Italia e agli italiani: l'economia è in ripresa dal 2005 e i conti pubblici sono in ordine, come dimostra il dimezzamento del fabbisogno statale registrato dal Tesoro sul 2006. Un risultato dovuto in gran parte proprio alle misure adottate dal mio governo come certificato da uno studio della Banca d'Italia. In particolare le entrate tributarie hanno fatto segnare nei primi nove mesi del 2006 gettiti record grazie tra l'altro alla percezione, che noi avevamo provocato, un rapporto nuovo e non punitivo tra fisco e cittadini. Un circolo virtuoso che la stessa nota del Tesoro e il ministro Padoa-Schioppa hanno doverosamente, anche se solo parzialmente, riconosciuto dopo mesi di mistificazioni e di distorsioni della realtà da parte di tutto il centrosinistra, che ha avuto anche la temerarietà di attribuirsi meriti non suoi.

Il rigoroso controllo della spesa pubblica impostato da Tremonti e dal mio governo sta dispiegando i suoi effetti positivi. Resta il grande rammarico di non aver potuto dare continuità a una così efficace azione di risanamento che ha saputo coniugare rigore e sviluppo, mentre ora le leve della politica economica sono finite in mano al partito delle "più tasse-più spese". Resta anche il rammarico e l'amarezza per l'opposizione distruttiva che abbiamo dovuto subire durante i cinque anni del nostro governo e per quanto hanno affermato esponenti di primo piano dell'attuale maggioranza all'indomani delle elezioni. Tutti coloro che hanno cercato di lucrare su un disastro che non c'era, ora dovrebbero fare ammenda e chiedere scusa agli italiani per averli ingannati.

Ma i cittadini dovrebbero soprattutto domandarsi perché il governo Prodi abbia varato una Finanziaria di guerra che supera i 40 miliardi di euro e che tarperà le ali alla ripresa dell'economia quando invece per centrare i parametri europei sarebbe stata sufficiente una manovra da 15 miliardi. La risposta è semplice: il mio governo lavorava per l'Italia, mentre Prodi ed i suoi continuano, in base a pregiudizi ideologici ormai superati dalla storia, a voler utilizzare i soldi pubblici per accrescere il predominio dello Stato e la distribuzione clientelare delle risorse. I risultati, purtroppo, già si vedono: nel mese di dicembre le entrate fiscali sono diminuite di oltre due miliardi rispetto al 2005 a causa dell'effetto-choc provocato sui contribuenti dalla Finanziaria, e il dibattito sulle pensioni in atto nell'Unione non promette nulla di buono sul fronte della spesa pubblica, che riprenderà a crescere.

La sinistra sta così sprecando la grande occasione della ripresa, mentre noi, in anni congiunturalmente difficili, abbiamo posto le premesse per un miglioramento strutturale del sistema.

Affermo quanto sopra non per spirito di polemica o per ribadire i meriti del mio governo - che il tempo stesso, "galantuomo" come ha detto Tremonti, si incarica di illustrare -, ma per ricordare come la coesione nazionale, che giustamente il Presidente della Repubblica ha posto al centro del suo messaggio di fine anno, abbia bisogno di verità e, soprattutto, richieda un impegno unitario su basi completamente diverse rispetto a quelle adottate finora dall'attuale governo.

Loro/Fassino contro Prodi

Fassino, un segretario sull'orlo di una crisi di nervi (e di una scissione), ha finalmente dato l'ultimatum a Prodi nel tentativo di ritagliarsi un ruolo di primo piano dopo essere stato estromesso dal governo e dopo aver visto scemare paurosamente la sua leadership dentro la Quercia. "O riforme o morte" è stato l'urlo di battaglia - e il messaggio al premier - rilanciato dalle pagine di Repubblica, ma la risposta di Prodi è stato soavemente sprezzante: il Professore, infatti, ha ringraziato Fassino per lo "stimolo" a far bene, ma in realtà non gli ha neppure risposto, ben sapendo che aprire davvero il cantiere delle riforme sarebbe un autentico suicidio politico.

Era fisiologico che, una volta varata la Finanziaria da 40 miliardi di euro, nel centrosinistra si sarebbe aperta la verifica sul "che fare". Ds e Margherita, che sono i principali azionisti della coalizione di governo, stanno subendo nei sondaggi un autentico salasso elettorale solo per fare i portatori d'acqua a Prodi, il quale nelle decisioni importanti spesso neppure li interpella per rafforzare il suo personale apparato di potere. Per Fassino, dunque tentare di imporre al governo una svolta riformista è stato un passo obbligato: senza le riforme la sua parabola è destinata a finire. Ma con le riforme sarebbe la fine di Prodi. Mors tua, vita mea, insomma. Siamo finalmente arrivati all'inizio di quella resa dei conti che era già nei fatti da diversi mesi, praticamente da quando il Professore, sulla base di una vittoria elettorale dimezzata e, soprattutto, di un programma-ossimoro si insediò a Palazzo Chigi.

Nel suo colloquio con Repubblica Fassino non poteva essere più chiaro: "Non è a noi ds, ma a ‘qualcun altro' che Nicola Rossi dovrebbe rimproverare il mancato riformismo di questa maggioranza". E il bersaglio è proprio Prodi: le dimissioni di Rossi non possono essere liquidate come "una grana di Fassino", perché "tutti devono fare i conti con questo problema, dal presidente del consiglio in giù. Forse con qualche polemica in meno sulla cosiddetta fase due, Rossi oggi avrebbe avuto meno disagio. Insomma, tutto il centrosinistra ha il dovere di farsi carico di questo disagio".

E per questo, secondo Fassino, dal vertice di Caserta dovrà giungere un segnale chiaro nella direzione riformista. Ma quella del segretario ds, il quale peraltro ha dovuto subire l'affronto di essere invitato per ultimo alla convention campana, appare una mossa quasi disperata. Prodi non sembra affatto temere gli affondi dei "riformisti" dell'Unione, ed è intenzionato ad andare avanti sulla strada fin qui tracciata: sia sulle riforme economiche (niente fase due) che su quella elettorale. E se i Ds non si "accontentano", pazienza. Per questo Fassino appare davvero come l'ultimo ottimista che crede ancora nelle riforme.

Loro/Nicola Rossi contro Fassino

Nel momento dell'intrallazzo politico, della stasi dell'attività riformatrice della Sinistra, l'economista Nicola Rossi esce dal Sistema, non senza lanciare accuse a destra ed a manca. Lo fa oggi sul Corriere, in una specie di manifesto riformista.

Un manifesto che attacca la Politica, soprattutto di sinistra, incapace di dare risposte alle esigenze del Paese. E troppo attenta al gioco territoriale delle tessere: con congressi già scritti prima ancora di iniziare.

In una parola, la Politica non è più credibile. I leader non sono credibili.

E come esempio ricorda il caso delle pensioni. "Cosa pensereste – si chiede - di un leader che a novembre annuncia che per marzo avrà messo un punto fermo alla riforma previdenziale e poi a gennaio dice che la cosa non è più urgente". Inutile dirlo: il leader in questione è Prodi. Ad Almunia, il commissario europeo venuto a Roma per battezzare la finanziaria, il presidente del Consiglio - a novembre, appunto – aveva promesso unaa riforma delle pensioni per marzo. Ora dice che non è più necessaria.

L'economista ha troppo studiato e sfogliato ottime letture per essere assimilato all'Uomo qualunque, all'anti-politico.

Ma il suo manifesto è un j'accuse a 360 gradi alla sinistra, impantanata nei giochi di potere, incapace di essere credibile.

Secondo Rossi, a questo punto di lontananza fra Paese e Politica, la Sinistra è arrivata perché durante il periodo dell'opposizione non ha speso un solo giorno a creare le condizioni di governare con un programma riformatore. E non può essere certo considerato riformatore – prosegue l'economista – il progetto del Partito democratico: un partito che nasce sulla sabbia, in quanto costruito solo per consolidare gli equilibri esistenti.

E chiude il Manifesto invitando il leader dell'opposizione e del governo a fare un passo indietro: chi perde abbandona il campo. Vale oggi per Berlusconi – sembra dire Rossi – valeva ieri (e vale ancora) per Prodi.

"A lo tiempo dell'intrallazzo, Masaniello è vestuto ‘a pazzo"…

Loro/Sondaggio, la sinistra precipita

I risultati di un sondaggio Unicab sulle intenzioni di voto, svoltosi il 21 dicembre, confermano la crescita dell'opposizione di centrodestra e la "caduta" del governo Prodi.

Alla domanda "se si votasse oggi, a quale coalizione darebbe il suo voto?", il 40% ha scelto il centrodestra contro il 28,5% a favore del centrosinistra e il 31,1% di indecisi.

Il sorpasso del centrodestra sul centrosinistra è registrato a partire da maggio e fino a settembre si mantiene di poco al di sopra del 36%.

Da ottobre la forbice si allarga: il centrodestra sale al 40,1% a novembre e al 40% a dicembre mentre il centrosinistra scende al 29,1% a novembre e al 28,5% a dicembre.

Le risposte alla domanda "a quale partito darebbe il suo voto?", le percentuali ovviamente cambiano in quanto sono esclusi gli indecisi.

Queste sono state le risposte:

  Politiche 2006 Dicembre 2006
Ulivo  31,3 26,3
Udeur  1,4 1,2
Rosa nel pugno  2,6 2,3
Verdi  2,1 2,0
Pdci 2,3 1,9
Rifondazione 5,8 4,8
Italia dei valori  2,3 1,9
Altri centrosinistra  2,0 1,0
Totale centrosinistra  49,8 41,4
Forza Italia  23,7 29,7
An  12,3 14,2
Lega  4,6 5,1
Udc  6,8 7,0
Altri centrodestra  2,3 2,6
Totale centrodestra  49,7 57,9

Da rilevare che tutti i partiti di centrosinistra perdono mentre tutti i partiti di centrodestra guadagnano.

A livello di voti ai partiti, il distacco è di 16,5 punti percentuali. Bisognerebbe mantenere questa posizione per garantire il quorum al referendum sulla legge elettorale.

Gli intervistati, a cui è stato chiesto di dare un voto da 1 a 10 sull'operato del governo, nella misura del 62% hanno espresso una valutazione inferiore a 6 mentre il 37,3% ha espresso una valutazione superiore al 6 e quindi positiva.

In pratica, due elettori su tre hanno bocciato l'opera complessiva del governo Prodi.

Loro/Convenzione, la sinistra nel panico

Due temi politici allarmano i piccoli partiti alla sinistra di Prodi: l'ipotesi di riforma della legge elettorale e la prospettiva della costituzione di due grandi partiti aggregati o federati.

La proposta di Convenzione di Giuliano Amato seguita a due interventi del presidente Napolitano mirati a sollecitare una riforma della legge elettorale, hanno messo in luce come mai in passato il conflitto d'interessi a sinistra tra grandi partiti e piccoli partiti.

Ormai commentatori autorevoli parlano di partiti ricattatori, rompendo con il galateo politico e comunicativo, ed è significativo che tra i "piccoli" presi di mira Di Pietro si distingua con un apprezzamento per la proposta di Amato.

Una proposta che è andata diritta contro Prodi, non solo creando un polo di attrazione diverso dal Governo, quale sarebbe la Convenzione, ma togliendo al Governo stesso l'iniziativa sulle riforme – elettorale e costituzionali – gestite da Chiti e da Violante.

La proposta del Viminale è stata interpretata come una spinta ai partiti più grandi a mettersi d'accordo: e questo ha aggiunto, all'ostilità dell'estrema sinistra e dell'Udeur, anche quella della Lega.

Intanto, a sinistra, non a caso Rutelli e Marini hanno accelerato sul Partito Democratico, cercando di mettere in difficoltà i Ds con l'esclusione assoluta della confluenza nel PSE e con il principio dello scioglimento dei Ds e della Margherita quando nascerà il nuovo raggruppamento.

Per i piccoli partiti dell'area di centrosinistra, la nascita del PD è considerata funzionale a una riforma della legge elettorale che privilegerà gli schieramenti maggiori.

Per questo motivo un irritatissimo e preoccupato Mastella ha pronosticato che il PD non raggiungerà il 30% dei voti, ovvero la sconfitta sicura di fronte a un partito di destra che, anche solo limitato a Fi e An, supererebbe il 40% dei voti e avrebbe quindi tutto l'interesse a una vittoria referendaria che sposterebbe il premio di maggioranza sul partito vincente e non sulla coalizione.

In ogni caso, chi tra Ds e Margherita si muove per dialogare con il centrodestra, indebolisce Prodi: per questo il presidente del Consiglio ha reagito negativamente alla proposta di Amato.

Più Prodi si irrigidisce, più è costretto a stringersi all'estrema sinistra, e questo lo allontana dal resto dell'Unione che non vorrebbe perdere consensi.

L'intervista di oggi al Corriere della Sera di Giulio Tremonti punta tutta sulla fine del governo Prodi appena fatta la riforma elettorale: per via referendaria o per via parlamentare, anche se non chiude del tutto alla proposta Amato.

Il doppio intervento di Napolitano e gli editoriali del Corriere della Sera dimostrano però che la tolleranza verso i piccoli partiti che ricattano è finita.

Loro/Tg e quotidiani al servizio di Prodi

Queste Feste sono servite agli italiani regolarmente "gabbati" da un certo tipo di informazione telecomandata, a comprendere la tecnica raffinata che unisce il mondo del giornalismo Rai e di qualche rete satellite con quello della carta stampata. A cominciare dalle grandi testate nazionali.

In altri termini: informazione pubblica e quotidiani di prestigio hanno lavorato all'insegna di un doppio schema. Da un lato non disturbare il Manovratore – cioè Prodi e il suo governo nascondendo le aspre divisioni della maggioranza – e dall'altro far scomparire ogni riferimento al dibattito sulla tv di Stato e più in generale sul ruolo delle televisioni che ha imperversato fino a metà dicembre a sostegno della legge Gentiloni…

Sul primo punto la sintonia tra il Tg1 di Riotta – solo per fare un esempio – e quello assai più modesto di La7 e Il Corriere o La Stampa di Anselmi, è stato totale. Agli italiani bisognava iniettare l'antidoto alla Finanziaria delle tasse e dunque quale migliore occasione di un pietoso colpo di spugna sulla "rapina" di Prodi e compagni per rasserenare il Natale?

Tg e quotidiani nazionali (in provincia i media sono in mano a qualche raro gruppo imprenditoriale o sono controllati dalla corazzata del gruppo Repubblica-Espresso) hanno lavorato per mostrarci un'Italia pacificata e tranquilla nel segno di un premier cui è stata concessa una conferenza stampa di fine anno quasi pari al discorso del Capo dello Stato. Con il commento univoco di Tg1, Tg2, Tg3 nel dire che Prodi è stato davvero di parola perché la conferenza era durata un ora e mezzo proprio come promesso…che notizia!

Il secondo punto dell'intreccio tv-Stampa è più subdolo. Si capisce sin troppo bene che la questione televisiva (di cui alla stragrande maggioranza degli italiani non importa nulla o quasi) è tenuta alla ribalta solo come spada di Damocle contro Silvio Berlusconi.

Infine una postilla. Come mai il signor Pippo Baudo, pubblicizzando il suo nuovo Sanremo, domenica pomeriggio, sulla Rete Uno non ha trovato di meglio che ospitare figure di prestigio come premi Nobel (Levi Montalcini), scienziati di grido (Margherita Hack), poeti sensibili (Sanguineti) per far da cornice alla sagra nazional popolare, ma tutti rigorosamente di sinistra?

Loro/Caserta, più verifica che vertice

Dopo l'approvazione della legge finanziaria si sono accentuate le divisioni all'interno della maggioranza di governo: sia a causa dell'imbarazzo sempre più forte delle componenti moderate della coalizione, accentuatasi dopo le dimissioni di Nicola Rossi, sia per le reazioni per nulla intimidite della sinistra estrema che continua a dettare di fatto l'agenda di Prodi.

Ora il vertice di Caserta dovrebbe servire al governo per imboccare la famosa "fase due", cioè la fase delle riforme e delle liberalizzazioni, per usare le parole degli esponenti dei Ds e della Margherita.

Alla vigilia della verifica, perché questa è la parola giusta da utilizzare per definire l'incontro di Caserta, Prodi sembra aver preso in considerazione le ragioni di Fassino, cioè di coloro che spingono per un cambio di passo nell'attività del governo, anche se ha subito aggiunto che il riformismo si vedrà nell'arco dei cinque anni. Questo vuol dire che a Caserta si cercherà il solito compromesso verbale senza che vi sia alcuna vera svolta nei rapporti fra le varie componenti del governo.

A meno che i Ds di Fassino e di D'Alema, unitamente alla Margherita di Rutelli e di Marini, non vogliano davvero aprire un chiarimento all'interno della maggioranza per arginare le spinte più estremiste dell'alleanza e per proseguire nella costruzione del partito democratico.

Anche in questo caso, tuttavia, il ruolo di Prodi ne risulterebbe rafforzato perché si porrebbe ancora una volta come vero mediatore fra le posizioni dei moderati e quelle della sinistra radicale.

In questo quadro, tuttavia, l'unico perdente della partita è sempre il Paese, costretto a subire le conseguenze negative delle scelte di un governo sempre più sbilanciato a sinistra e incapace di trovare una vera sintesi programmatica che sia orientata a favore di una politica di riforme.

Loro/Caserta, più apparenza che sostanza

Il governo non va, crolla nei sondaggi e nel gradimento anche dei suoi fedeli elettori, i ministri litigano tra loro, la sinistra più radicale detta la linea di governo, la finanziaria ha impoverito il paese, questa maggioranza l'ha paralizzato, e cosa fa Prodi? Pensa bene di buttare fumo negli occhi con l'aiuto di effetti speciali: dopo il ritiro di San Martino e il vertice di Villa Pamphily tenuti rispettivamente a giugno e ad ottobre scorsi, convoca un conclave addirittura nella Reggia di Caserta, il terzo megaraduno in poco più di sette mesi di governo, destinato a rivelarsi – come i precedenti - solo un'operazione di marketing, un illusionismo incapace di risolvere i problemi messi sul tavolo.

Lo sanno bene questi signori, tanto da alzare il livello del teatro: il palazzo reale, una scelta che, nei canoni della psicologia più spicciola, sembra dettata dal desiderio di sopperire alla mancanza di sostanza con un eccesso di apparenza.

Sì, perché la corte di Re Prodi vivrà nelle stanze della Reggia godendo di vitto e alloggio. E per due giorni, anzi un giorno e mezzo, tra cerimoniale, visite guidate, incontro con il presidente della Provincia, luculliani pranzi e conferenze stampa, dovrà discutere le riforme necessarie al paese, sanare le divisioni interne alla coalizione, ricucire gli strappi tra il premier e autorevoli segretari di partito, trovare un punto di incontro tra la cultura comunista di Diliberto e il timido riformismo di Fassino, tra l'avvio della Fase due e la continuità della Fase uno bis. Troppo per essere credibile: forse sarebbe bastato Palazzo Chigi (con un notevole risparmio per le casse dello Stato) per un serio e proficuo incontro programmatico. Come quelli che il Presidente Berlusconi convocava a Palazzo Grazioli, sua sede privata, senza disturbare le forze dell'ordine e con il solo gustoso contributo degli spaghetti tricolore del suo cuoco.

E' la semplice differenza tra l'essere e l'apparire. Diceva Mark Twain: "Se non riuscite ad ottenere un complimento in nessun altro modo, piuttosto che niente, pagatelo!".

Prodi lo fa pagare a tutto il Paese.

Noi/Forza Italia: sì alla Federazione delle Libertà

Agenzia di stampa Apcom dell'8 gennaio

La riforma elettorale approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura "non funziona" ma la Convenzione proposta dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato, per modificarla "è poco fattibile". Restano due le strade percorribili: il referendum o l'iniziativa parlamentare che "potrebbe essere costruita combinando insieme quello che c'è: rispettando le identità dei partiti ma unendole nel vincolo del governo: qualcosa di simile al meccanismo delle regionali".

Il vicepresidente di Forza Italia, Giulio Tremonti, in un'intervista al Corriere della Sera, osserva come sull'attuale legge elettorale agisca "ormai un doppio congegno a orologeria": il primo è il referendum, il secondo è il messaggio di fine anno del capo dello Stato. Secondo Tremonti "la riforma batterà l'ora del Governo: subito dopo si va a votare perché il Parlamento non sarà più legittimato. Perché raggiunta l'efficienza non si continua con l'inefficienza".

E se non ci fossero le condizioni per cambiare la legge in Parlamento, Tremonti confida nella consultazione popolare dove il centrodestra deve avere "una posizione comune. Un conto è andarci in ordine sparso, un conto è con uno strumento politico concordato".

Ora "lo strumento al quale stiamo lavorando è la Federazione delle libertà, non il partito unico. Per adesso è l'unica che ci pare possibile per combinare l'identità dei partiti del centrodestra con l'unità dell'azione politica".

   

« numero precedente