ti trovi in: Motore Azzurro » il Quaderno » il Quaderno del 9 gennaio

il Quaderno del 9 gennaio

Noi/Sì alle riforme, ma da protagonisti

La partita in atto a sinistra tra l'ala riformista e quella radicale deciderà il destino di Prodi. Sia perché la disputa tra chi accelera sul terreno delle riforme, come i Ds e la Margherita contro i frenatori di Bertinotti e Diliberto, esploderà in primavera quando 11 milioni di italiani saranno chiamati ad un voto amministrativo, primo vero bilancio di governo.

Sia perché a sinistra è cominciato il conto alla rovescia tra chi punta ad un rimpasto (Fassino che vuole il posto di Padoa Schioppa); chi vorrebbe sostituire Prodi in corsa, favorendo un governo istituzionale a tempo; chi punta a rafforzarsi mantenendo il premier al suo posto ma lasciandolo consumarsi tra le contraddizioni della sua stessa maggioranza... E chi infine, come Veltroni, si finge estraneo alla durata del governo perché ha cominciato la sua corsa per il dopo Prodi in splendido isolamento ma con sponsor economicamente robusti, come l'ing. De Benedetti. Per il sindaco di Roma occorre essere pronti sia che trovi inciampi in tempi relativamente brevi, come per le europee del 2009, sia che duri l'intera legislatura.

In questa partita sinora Silvio Berlusconi è rimasto prudentemente alla finestra. Si dirà che è questione tutta di maggioranza, incartata tra il conclave di Caserta e il varo, eternamente rinviato, del Partito democratico. A ben vedere non è così. O meglio: non è solo così. Finora Forza Italia e il leader azzurro hanno potuto godere di una obiettiva rendita di posizione anche per i macroscopici errori del governo.

I primi otto mesi di Prodi infatti – leader senza partito le cui gesta non mettono mai sotto scacco una sua forza popolare di riferimento – sono serviti a indebolire proprio Ds e Margherita. Cioè le due colonne della coalizione che hanno visto erodere il proprio consenso arrivando quasi ai minimi storici, come se la durata di Prodi coincidesse con la loro disgregazione. Da qui la vitale necessità di invertire la marcia sulle riforme entro il voto di primavera che altrimenti consacrerebbe la crisi di due forze storiche.

Prodi ha assunto, con le spalle coperte da Rifondazione e compagni, una posizione dorotea. Di semplice galleggiamento: disponibile a parole sulle riforme salvo poi frenare dietro i veti comunisti.

D'Alema, in modo sornione invita a non accelerare nel chiedere tutto subito, altrimenti Prodi sarebbe impallinato dal fuoco amico...

La capacità e la voglia di Berlusconi di disegnare una ragnatela di rapporti con alcuni interlocutori di questa maggioranza, può determinarne gli esiti di durata più di quanto si pensi. E più di quanto può fare la semplice contabilità parlamentare, compresi gli esigui numeri del Senato.

Tra gli avversari e concorrenti di Prodi, mentre Carlo De Benedetti ha già platealmente puntato sul sindaco di Roma, il leader dell'opposizione gioca un grande ruolo. Favorendo o meno l'altrui strategia può portare l'intero centrodestra ad orientare il corso della legislatura. A cominciare, come è ovvio, dal nodo della legge elettorale – e del referendum eventuale – che nessuna maggioranza può permettersi di affrontare da sola.

Noi/Sì al confronto, ma trasparente

Il confronto sulla riforma del sistema elettorale, per iscriversi nel solco della correttezza politico istituzionale evocato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo messaggio di fine anno, deve soddisfare due requisiti.

Innanzitutto deve cercare di indicare soluzioni che possano rendere più forte ed efficiente la democrazia dell'alternanza che rappresenta il vero bene politico conquistato nel 1994 e da allora mai più messo in discussione, al quale i cittadini italiani per nessun motivo vogliono rinunziare. Inoltre, deve provare ad assecondare lo spontaneo processo di aggregazione partitica che si sta svolgendo in ambo gli schieramenti, senza per questo provocare forzature eccessive e inaccettabili penalizzazioni di identità politiche effettivamente radicate. Al di fuori di questi confini vi sono solo tentativi strumentali per dividere le forze di opposizione, per porre in difficoltà e sotto ricatto forze della stessa maggioranza e, infine, per imbrigliare l'iniziativa referendaria che, invece, dovrebbe procedere il più possibile libera da vincoli partitici.

Alla luce di queste considerazioni, Forza Italia non è contraria alla possibilità di una correzione e di un miglioramento dell'attuale legge elettorale, secondo alcune proposte avanzate dal professor D'Alimonte, alcune delle quali fra l'altro facevano parte dell'approccio con il quale Forza Italia ha partecipato alla stesura dell'attuale legge.

Al fine di evitare che tali tentazioni possano finire per avvelenare il clima politico rendendo più difficile un tentativo di riforma, Forza Italia nei prossimi giorni avrà una serie di incontri sul tema della riforma elettorale con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, con il ministro per le riforme Chiti, nonché con i rappresentanti del Comitato promotore dei referendum sulla materia.

Occorre verificare infatti se il ministro Chiti, sulla legge elettorale, abbia ricevuto un mandato a fini strumentali: attirare - o quanto meno rassicurare – alcune forze politiche dell'opposizione per conquistare in Senato qualche margine di migliore vivibilità per la maggioranza. Sebbene tale obiettivo appaia di cortissimo respiro anche a buona parte del centrosinistra, e in particolare ai Ds, non bisogna sottovalutare il pericolo in esso latente. Bisogna in ogni modo evitare che la maggioranza unita riesca a trovare un accordo con qualche partito che gli consentirebbe di affermare di voler varare una riforma coinvolgendo almeno un pezzo d'opposizione. Quest'obiettivo, inoltre, deve essere perseguito non limitandosi a contrapporre solo dei no, ma ponendo una serie di proposte che siano capaci non solo di tenere unita l'opposizione e di mantenere l'attuale sistema dell'alternanza, ma anche di ottenere una larga maggioranza in Parlamento.

Noi/I conti tornano. Parola di Bankitalia

Che il merito di aver quasi dimezzato il fabbisogno statale 2006 sia del governo Berlusconi, lo aveva in parte riconosciuto anche Padoa Schioppa nel comunicato diffuso dal ministero dell'Economia all'inizio del mese. Poi ha prevalso la logica strumentale di sempre imposta da Palazzo Chigi, e l'invito a una tregua lanciato da Napolitano nel messaggio di fine anno è stato subito messo da parte. L'ennesima querelle si è accesa quando il ministro delle Attività produttive, Pierluigi Bersani, ha definito "surreali" le dichiarazioni di alcuni esponenti del centrodestra "perché attribuiscono al governo precedente meriti che nella sostanza non ha". Mentre per Visco, il re del fisco, "è davvero singolare che oggi, a consuntivo, Tremonti abbia il coraggio di rivendicare un risultato che non è davvero suo e che prevede un miglioramento del fabbisogno di cassa di circa 31 miliardi di euro rispetto a quello calcolato dallo stesso Tremonti nella Relazione Trimestrale di Cassa presentata il 5 aprile 2006". Berlusconi ha giustamente replicato al centrosinistra con una nota durissima, rivendicando con orgoglio di avere "lasciato un'eredità coi fiocchi all'Italia e agli italiani: l'economia è in ripresa dal 2005 e i conti pubblici sono in ordine".

A questo proposito un'autorevole conferma che le entrate 2006 erano strutturali, e dunque un merito del governo della Cdl, era arrivata da Bankitalia. E' infatti utilissimo, per orientarsi nella polemica scoppiata su chi sia più legittimato - tra il precedente o l'attuale governo - ad attribuirsi i buoni risultati sul fabbisogno del settore statale, rileggersi l'analisi elaborata poco tempo fa dalla Banca d'Italia.

Per via Nazionale sono strutturali, per oltre 20 miliardi di euro, le entrate statali, anche e soprattutto grazie alle misure decise dal governo Berlusconi. Il dato si rileva da un approfondimento della Banca d'Italia sull'andamento delle entrate tributarie del bilancio dello Stato nei primi dieci mesi del 2006. In questo periodo, attestano gli studiosi dell'Istituto centrale, le entrate di cassa sono aumentate di oltre l'11 per cento, superando i 29 miliardi di euro. Un trend non solo dovuto alla congiuntura economica o alle misure una tantum approvate dal precedente esecutivo, come si desume dalla ricerca pubblicata nell'ultimo bollettino statistico della Banca governata da Mario Draghi.

Secondo gli esperti di via Nazionale "al netto delle misure discrezionali e degli eventi favorevoli dei primi mesi, la crescita delle entrate tributarie è stata di poco inferiore all'8 per cento, quindi circa 20 miliardi di euro". Altri 2,5 miliardi di gettito stimabile sarebbero arrivati, secondo l'analisi di Bankitalia, da alcuni provvedimenti governativi. Mentre sarebbe di natura transitoria un ammontare di circa 5,7 miliardi e sarebbero effetto dell'imposta sulla rivalutazione dei beni aziendali 4,3 miliardi.

Idea-giovani/Non lasciamo ai sindacati l'esclusiva della trattativa sulle pensioni

Berlusconi stava risolvendo il conflitto generazionale iniziando a scardinare un sistema corporativo stantio ed antieconomico. Attraverso la legge Biagi e la riforma delle pensioni si era avviato un processo di allineamento delle tutele tra padri e figli che deve necessariamente andare avanti e deve essere accompagnato da una serie di nuove misure. Misure che valorizzino i talenti e rispondano alle reali esigenze dei giovani che già lavorano e di quanti stanno per entrare nel mondo del lavoro.

Servono quindi azioni concrete e coraggiose come ad esempio l'innalzamento dell'età pensionabile e la continuità contributiva. È necessario creare un sistema più liberale che dia maggiori certezze ai ragazzi. Il Governo Prodi, invece, con la sua impronta conservatrice sta riconsegnando il futuro dei giovani italiani nelle mani dei sindacati, che si sono già rivelati incapaci di intercettare le esigenze delle nuove generazioni.

Mentre le economie più avanzate mettono i giovani al centro di azioni di sviluppo, considerandoli il motore di una forte spinta competitiva verso l'eccellenza, il governo delle sinistre costruisce degli eterni precari privi di certezze. Sul tema della previdenza si gioca la partita tra i riformisti, i padri che hanno a cuore il futuro dei propri figli, e i conservatori che difendono lo status quo.

È necessario affrontare il problema delle pensioni uscendo dalla "ragioneria" e guardando alla politica, costruendo un sistema che assicuri una vecchiaia dignitosa a tutti i lavoratori sia a tempo determinato che indeterminato, come necessario corollario ad un sistema di lavoro flessibile.

I giovani di Forza Italia richiamano il governo italiano al Patto della Gioventù stilato dall'Unione Europea e chiedono ai ministri Melandri e Damiano di invitare al tavolo delle pensioni le associazioni e le organizzazioni giovanili. E' un guanto di sfida a chi fa della concertazione la propria bandiera, ma che alla prova dei fatti fugge al confronto con le esigenze del paese reale. Aspettiamo Caserta ma sappiamo già che tra un gruppo di partiti così profondamente diviso e tenuto insieme solo dalla voglia di potere, non potrà emergere niente di buono.

Caserta/Tutti contro tutti. Chi e perché

Rosy Bindi contro Barbara Pollastrini. Emma Bonino contro Antonio Di Pietro. Antonio Di Pietro contro Clemente Mastella. Vannino Chiti contro Giuliano Amato. E Piero Fassino, per difendere se stesso, contro Romano Prodi.

Il vertice di Caserta si apre così, tutti contro tutti.

E' alquanto singolare, poi, che Palazzo Chigi prediliga il termine "conclave", al posto di "vertice". Vertice sa di Prima Repubblica, dicono gli uomini del Professore. Dai conclavi, invece, si esce Papa. E quello della Reggia sembra un conclave dei tempi dei Borgia.

Un Papa usciva comunque e poco importava se qualche cardinale ci lasciava le penne.

In effetti, l'appuntamento di giovedì e venerdì segnerà (dovrà segnare) una svolta nella politica della maggioranza, in un senso od in un altro.

Potrebbe segnare la fine del governo Prodi, qualora dovesse vincere la linea riformista di Fassino (boicottata dai suoi stessi ministri) sulle riforme strutturali, pensioni in testa. Rappresenterà la parabola discendente del segretario dei ds, se prevarrà la linea-Prodi dell'immobilismo.

La terza via dalemiana (ai tempi dell'alleanza con Blair) non è prevista.

Ed è per queste ragioni (figlie anche del proporzionale) che all'appuntamento i ministri si presentano tutti contro tutti. Per i motivi più vari.

Le ministre Bindi e Pollastrini perché stanno lavorando a due diversi e distinti disegni di legge sulle unioni di fatto. La Bonino contro Di Pietro per la mancata fusione Autostrade-Abertis. Di Pietro contro il progetto di riforma della Giustizia annunciata da Mastella. Vannino Chiti contro Giuliano Amato sulla riforma elettorale.

In questo clima di guerriglia, Prodi punta a prendere tempo.

A smussare gli angoli, dettando l'agenda dei prossimi mesi, affiancato – come sempre – da Tommaso Padoa Schioppa.

E, per ironia della sorte, sarà proprio il ministro dell'Economia (il più liberista a parole di tutto l'esecutivo) a dover difendere la mancata scelta di Palazzo Chigi in materia previdenziale.

Proprio lui che nel Dpef aveva scritto di voler introdurre riforme nel pubblico impiego, nelle pensioni, nel finanziamento agli enti locali, nella Sanità.

Solo sposando in pieno la linea Prodi, Padoa Schioppa può avere qualche possibilità di conservare la poltrona, a cui punta Fassino e tentare di risalire la classifica che lo vede all'ultimo posto nell'indice di gradimento degli italiani.

Caserta/ Tutto si risolve in sei ore

Considerando le premesse, il conclave di Caserta non giustifica né le spese sostenute per l'organizzazione, né l'impiego delle forze dell'ordine per motivi di sicurezza, né l'enfatizzazione dei media nel presentare l'appuntamento campano come esempio di serietà e concretezza del governo.

Impegno di cui si fa carico soprattutto Repubblica con due pagine fitte di notizie e particolari tutti tesi a confermare che la faccenda è importante, che qui si gioca il futuro del paese, che i membri del governo non usciranno dalla Reggia, che dormiranno in semplici lenzuola di cotone, che potranno gustare delle austere mozzarelle di bufala e che potranno godere di un semplice dono. Un centrotavola a ciascun ministro e una coperta borbonica per la signora Prodi. Alla first lady - la cui presenza confermerebbe lo spirito vacanziero dell'evento - sarà donato un "Damasco Luigi XVI color giallo, cento per cento organzino con frange lavorate a mano". E fra cerimoniale, cene, convenevoli e incontri istituzionali, la due giorni in effetti si riduce, nel pieno rispetto sindacale, a sei ore lavorative, vale a dire dalle 15 alle 21 di giovedì visto che il venerdì mattina sarà dedicato al consiglio dei ministri e poi alla conferenza stampa. Troppo poco se si vuole prendere sul serio l'intenzione dichiarata del premier che nella reggia borbonica vuole "definire l'agenda di governo per il 2007", troppo poco se si tiene conto delle divisioni che segnano l'agenda dei singoli ministri i quali, al contrario dei moschettieri, sono uno contro tutti e tutti contro uno.

La Bonino ha già dichiarato guerra a Di Pietro e aspetta giovedì per ordinare l'attacco in difesa dell'Europa, la Bindi ha già affilato le sue armi contro la Pollastrini e contro ogni ipotesi di Pacs, i riformisti si preparano a duellare con i "comunisti" dell'esecutivo per difendere le riforme irrinunciabili, dalle pensioni alle liberalizzazioni, dal welfare all'ambiente.

Come faranno i "nostri eroi a risolvere tutti questi problemi in appena sei ore?". Di non farcela sono certi gli stessi protagonisti dell'evento che "si sacrificano" nella città campana solo per motivi di comunicazione.

Lamentano che il crollo nei sondaggi è causato da una cattiva informazione, che la finanziaria non è stata compresa per un difetto mediatico e allora si ingegnano per mostrare quello che non è.

A mettere in scena delle tristi commedie degli equivoci per ribadire, come dicevano i manifesti di Prodi, che la serietà è al governo. Per fortuna nessuno ci crede più. Anzi, l'indignazione sale e il gradimento scende perchè, come dicono al Bagaglino, "con la finanziaria è cambiata l'aria. Prodi è un mago e io pago".

Bonaiuti: da Caserta uscirà la solita "ammuina"

Agenzia Ansa dell'8 gennaio

"Piero Fassino chiede riforme in 5 mesi, Prodi dice sì ma in 5 anni perché ha paura che gli sfilino prima la poltrona. Cosa potrà uscire con queste premesse dal vertice neo-borbonico di Caserta? Se va bene, la solita ‘ammuina', altrimenti un'altra scarica di tasse sugli italiani".

Lo dichiara Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi.

Loro/Lotta continua al centro e in periferia

Lo scontro fra le anime diverse e rissose malamente accozzate nella coalizione di centro sinistra non si manifesta soltanto sulla direttrice Roma-Caserta, ma si irraggia in tutte le aree del Paese. Fassino e tutta l'Unione studiano i sondaggi, pensano al prossimo test amministrativo e sbiancano. Vorrebbero correre ai ripari, ma la realtà è più dura e forte dei loro desideri.

Ecco due esempi eloquenti:

Il caso Genova

Per prepararsi "con spirito unitario" alla prossima competizione per il governo cittadino si stanno organizzando le "primarie". Si è già accesa una discreta rissa: la candidata più accreditata sarebbe dovuta essere Marta Vincenti, già presidente della Provincia e attualmente europarlamentare Ds. Ma a sorpresa è spuntata la candidatura di Stefano Zara, ulivista della prima ora ed ex deputato e presidente degli industriali genovesi. Una contrapposizione vera, perché Zara ha subito criticato la fragilità programmatica di Marta Vincenti, attaccando anche la pretesa dei partiti maggiori ( in questo caso la Quercia) di non tenere in nessun conto la volontà dei cittadini. Questo duello rientra nella tensione mai risolta fra Ds e Margherita. Ma non basta. La sinistra radicale non intende stare a guardare e ha già sponsorizzato Edoardo Sanguineti che, in omaggio alla modernità, al cambiamento e all'ispirazione poetica, ha subito cantato le lodi dell'"odio di classe". Tutti contro tutti. Un esemplare affresco d'armonia, di cui anche a Caserta dovranno occuparsi.

La faida calabrese

L'attività della giunta regionale calabrese è paralizzata da una crisi strisciante innescata da scontri tutti interni al centrosinistra. Il governatore Agazio Loiero è in contrasto con gli esponenti regionali della sua formazione, la Margherita. C'è di più: sulla politica regionale grava l'ombra torbida del delitto Fortugno, il vicepresidente del consiglio regionale, anche lui della Margherita, assassinato dopo aver denunciato intrecci scellerati fra politica, malaffare e ‘ndrangheta in materia di sanità. Altri esponenti della giunta, anche diessini, sono sotto inchiesta per altre storie di malaffare e di presunti abusi di fondi europei. Un clima terribile. Loiero si sente sotto pressione e ha sferrato un durissimo attacco a Rutelli, accusandolo di averlo lasciato solo nella lotta contro la ‘ndrangheta. Rutelli ha reagito definendo "irresponsabile" il governatore. Non finirà qui. Ad ogni modo, nessun governo serio può tollerare che una regione, governata dagli uomini della coalizione di maggioranza, vada alla deriva, fra risse e faide.

Loro/Lotta continua anche sui pacs

Proprio mentre alta e forte si levava la parola di Benedetto XVI per riaffermare il valore inalterabile della famiglia basata sull'unione di un uomo e di una donna e condannando i Pacs, nell'Unione dei disuniti si è aperta l'ennesima guerra. Uno scontro prevedibile e previsto, che ha visto la sinistra radicale all'attacco con una violenza che dovrebbe far riflettere i cattolici intruppati nel centrosinistra. A Papa Ratzinger dalla sinistra estrema sono arrivati anche insulti, mentre netta è stata la condanna della Casa delle Libertà per questi attacchi, definiti "tristi e miserevoli".

Ma le aggressioni della sinistra radicale non riescono a mascherare, col loro estremismo ideologico, che la stessa Unione è spaccata su questo tema. La prova clamorosa è costituita dal fatto che in previsione del conclave di Caserta non ci sarà una sola bozza da mettere in discussione, ce ne saranno due. La prima è quella preparata dalla ministra per le Pari opportunità Barbara Pollastrini, diessina, l'altra la stanno stilando gli esperti della ministra per la Famiglia Rosy Bindi, Margherita.

Il testo della Pollastrini non parla di Pacs, regolamenta le "unioni di fatto", ma la distinzione semantica non annacqua il contenuto della normativa proposta. Le coppie di fatto, quale che sia il sesso dei partner, verrebbero annotate in un apposito registro comunale e questa "iscrizione" garantirebbe una serie di diritti: dagli alimenti in caso di separazione, all'eredità, all'assistenza sanitaria, ai diritti abitativi, alla reversibilità della pensione per il superstite. Come si vede, al di là della terminologia, l'equiparazione con il matrimonio così com'è previsto dal nostro ordinamento sarebbe piena.

Rosy Bindi non ci sta. Il testo della Pollastrini le sembra "squilibrato" e quindi procede da sola, con una sua proposta.

Anche Clemente Mastella è critico sulla proposta diessina e temporeggia: per lui, la questione delle "unioni di fatto" non è urgente. Parecchi esponenti della Margherita arricciano il naso. Il tavolo di Caserta è già ingombro di mine e di questioni irrisolte, i Pacs camuffati non sono fra gli ordigni meno pericolosi.

Loro/Lotta continua contro Fassino. Dai Ds

A due giorni dal "conclave" di Caserta, il disperato appello di Piero Fassino all'avvio di una fase di riforme pare destinato a cadere nel vuoto. E ciò nonostante l'attuale segretario dei Ds si sia sforzato di fare appello allo spirito di sopravvivenza del suo partito con lo spettro di una crisi diffusa, di una perdita di peso della componente diessina, rivelata dagli ultimi sondaggi che danno a rischio grandi città fino ad oggi amministrate dal centro-sinistra. In effetti tutto lascia intendere che l'immobilità del governo, la prevalenza in esso della componente conservatrice e massimalista penalizzino soprattutto il maggior partito della coalizione.

Il dramma, per Fassino, è che lo stop alla sua spinta riformista non viene solo da Prodi, irridente sui tempi necessari, ma anche dal suo stesso partito, dove la componente di governo sembra timorosa di rompere gli attuali equilibri. In questa fase Fassino si muove, ed è un segno delle sue difficoltà, con modi che si prestano alle critiche e non sempre efficaci. Anche l'iniziativa di riunire in un albergo tutti i ministri diessini, più i capi-gruppo e i loro vice nei due rami del Parlamento, è stata tacciata di deriva partitocratica, da prima Repubblica e nella sostanza si è rivelata ancora più negativo.

Tutti i ministri intervenuti hanno intonato il refrain del "facciamo attenzione a non rischiare troppo, a non sfasciare tutto, nella delicatezza del momento". E il peggio è che a intonare questo refrain siano stati soprattutto due autorevoli esponenti diessini, Bersani e D'Alema!

Insomma, i Ds si rendono conto dei pericoli prospettati da Fassino, ma si ritraggono per paura del peggio, dando così ragione alle critiche di Rossi rinnovate ieri sul Corriere della Sera circa l'esaurimento della spinta riformistica del partito. Molte speranze perciò sono riposte (inutilmente?) nella verifica di Caserta, dove è presumibile che si parli di riforme da mettere in campo ma con un esito incerto sui tempi.

Prodi spiato? Una bolla di sapone

"In 327 spiavano i conti del premier e di sua moglie", ci fa sapere oggi Repubblica. Parole che suggeriscono una vera e propria "bomba", ridimensionate dall'uso di un titoletto che più piccolo non si può e che, invece, suggerisce più propriamente l'immagine di un petardo. Meglio, di una "bufala".

Perché la notizia è che il caso di presunto spionaggio ai danni di Prodi si è rivelata una gigantesca bolla di sapone. Nessuna associazione per delinquere, nessuna manovra politica contro il premier, nessun ricatto, nessun collegamento con Tavaroli e l'inchiesta Telecom. Soltanto 327 servitori dello Stato infedeli e troppo curiosi che, senza alcun accordo tra di loro, sono entrati abusivamente nell'archivio informatico dei dati fiscali dei contribuenti chiedendo informazioni su Prodi, ma anche su Berlusconi, Totti, Napolitano, Ciampi e tanti altri.

Così la Procura di Milano, alla quale, chissà perché, Visco aveva spedito l'esposto sullo "spionaggio contro Prodi", si è vista costretta a disperdere l'inchiesta verso un centinaio di procure in tutta Italia, ristabilendo la regola aurea della competenza territoriale.

La denuncia del viceministro dell'economia era stata annunciata con gran rullio di tamburi, Prodi l'aveva cavalcata alla grande, molti suoi alleati erano stati espliciti nel seminare pesanti sospetti, i giornali avevano pompato la notizia del premier vittima di oscure manovre politiche. In particolare Repubblica, impegnata da mesi nel martellamento contro Telecom.

Ora che la montagna ha partorito un topolino, non resta che ridimensionare, pur insistendo sullo "spionaggio a Prodi". Come d'altronde L'Unità e Il Corriere della Sera ("indagini in cento procure su chi spiò i conti di Prodi"). Insomma, se bufala era nei fatti, bufala resta nei titoli rifilati ai lettori.

Sospetto per sospetto, tanto vale ricordare che in quei giorni il premier era sotto tiro per il famoso e sciagurato "piano Rovati". Non c'è che dire: lo "spionaggio" contro il premier fu un ottimo diversivo per parlare e far parlare d'altro.

   

« numero precedente