"La fiducia in Silvio Berlusconi è ora al 58,5% mentre quella in Romano Prodi è al 30,5%. La fiducia al governo Prodi è scesa al 27,5%".
Lo ha annunciato il portavoce di Silvio Berlusconi ed ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio on. Paolo Bonaiuti, durante una conferenza stampa a Montecitorio.
"Le vacanze di Natale hanno lavorato molto bene a favore della Cdl - ha spiegato Bonaiuti - e un po' meno nei confronti di altri", infatti secondo i dati della casa di sondaggi ‘Euromedia Research' diffusi nella conferenza, "FI - sottolinea il portavoce di Berlusconi - è al 32,6%, An è al 12%, la Lega è al 5,3. Tutta la Cdl rappresenta il 53,2% e con l'Udc siamo al 57,3%. Sono percentuali da vecchia Dc".
"Il totale dell'Ulivo oggi è di 35,5 % - ha sottolineato ancora Bonaiuti - nettamente in ribasso rispetto ai dati del 15 dicembre che vedevano l'Ulivo al 37,8%".
Le rilevazioni statistiche della Euromedia Research ("l'unica società di sondaggi che azzeccò il pronostico alla vigilia delle politiche 2006) sono fresche di stampa. Risalgono a lunedì 8 gennaio e parlano anche di un record di consensi per Forza Italia (al 32,6%, in crescita dell'1,1).
Sempre stando al sondaggio, la fiducia in Berlusconi sarebbe cresciuta nettamente nel periodo natalizio, quello della degenza americana dell'ex premier, mentre per Prodi c'è, sottolinea Bonaiuti "un pesantissimo crollo di consensi".
Sulla legge elettorale Forza Italia non ha nessuna intenzione di compiere fughe in avanti e soprattutto non ha nessuna intenzione di muoversi in una direzione che non possa essere quella condivisa anche dalla Lega Nord.
Lo assicura Silvio Berlusconi, che al quotidiano della Lega La Padania ha spiegato: "Su tutte le cose di grande spessore io e Umberto decideremo sempre insieme".
Forza Italia è pronta a dare il suo contributo al tentativo di realizzare una vasta intesa parlamentare sulla riforma della legge elettorale.
A questo fine sono stati avviati incontri con rappresentanti di tutte le forze politiche presenti in Parlamento oltre che con il ministro per le riforme Chiti, nonché con il Comitato promotore del referendum.
Con questa iniziativa, Forza Italia aderisce al richiamo rivolto alle forze politiche dal presidente della Repubblica, nel messaggio di fine anno, per un approccio più collaborativo alle questioni che investono le comuni responsabilità verso il funzionamento della nostra democrazia.
Per il buon esito del tentativo, è necessario che la ricerca delle soluzioni sia finalizzata alla più vasta convergenza su una legge elettorale degna di una matura Repubblica dei cittadini.
Il modello elettorale possibile non può che aderire all'esigenza di rendere più forte ed efficiente la democrazia dell'alternanza, quale si è andata radicando nella coscienza dei cittadini dal 1994 in qua.
Sarebbe anche inammissibile una riforma in contrasto con lo spontaneo processo di aggregazione politica in atto in entrambi gli schieramenti. Fatto salvo, ben s'intende, il rispetto dovuto a identità politiche realmente rappresentative di parti della società nazionale, e quindi il rifiuto di inaccettabili penalizzazioni.
Il confronto sulla legge elettorale potrà andare a buon fine, a condizione che si mantenga sui binari della correttezza reciproca e del senso di una comune responsabilità nazionale.
Ogni deragliamento in squallide tattiche di logoramento, ai danni dell'opposizione o della stessa maggioranza parlamentare, ne segnerebbe il fallimento. Non avrebbero miglior sorte cedimenti alla tentazione di usare il confronto per imbrigliare l'iniziativa referendaria.
Forza Italia si attende dall'incontro con il ministro Chiti convincenti rassicurazioni sulla natura del suo mandato. Dev'essere chiaro che la ricerca di una migliore legge elettorale non deve essere strumentalizzata da un governo in debito d'ossigeno per stravolgere il risultato elettorale e assicurarsi bombole di scorta in segmenti dell'opposizione.
Tutto è possibile, nello spirito di lealtà istituzionale con cui Forza Italia si prepara ad avanzare le sue proposte di cambiamento.
In caso contrario, l'iniziativa referendaria seguirà il suo corso. Inarrestabile.
L'ambizioso progetto di Romano Prodi e degli altri organizzatori della "due giorni" di Caserta è di trarre dal conclave, o vertice, un'agenda condivisa delle cose da fare per consolidare la ripresa e far crescere il Paese. Più che un progetto, guardando realisticamente allo stato di disunione di governo e maggioranza, è una chimera, un sogno politico circondato da attenzioni mediatiche e teatrali rilevanti ma che, in ogni caso, non potranno conferire sostanza e peso all'evento.
Il conclave è un bluff e tale resterà, anche se magari produrrà un testo simile, per prolissità, vaghezza e ambiguità, al programma elettorale di 283 pagine dell'Unione.
Le riforme che potrebbero indicare una volontà di cambiamento, dopo la finanziaria di torchiatura tributaria, questo governo non può farle, a causa del ricatto continuo della sinistra radicale e massimalista. Fassino e Rutelli lo hanno capito, ma fanno finta che tutto vada per il meglio: la diplomazia di cui fanno sfoggio in questi ultimi giorni – dopo veri e propri attacchi a Romano Prodi e alla sinistra "antagonista"- dimostra che per il momento hanno perso la partita e lo spazio per i sedicenti riformisti nell'Unione si va riducendo sempre di più.
La sinistra radicale e massimalista non ha alcuna intenzione di rendere meno pesante, meno costoso e più attento alle reali esigenze dei cittadini il sistema di welfare. Questa sinistra costituisce l'unico vero e potente blocco conservatore che riporterà indietro il Paese.
Un blocco che conta e che condiziona Prodi e i riformisti. Per evitare scontri che avrebbero avuto un effetto dirompente, sotto l'attenzione dei media, è stato già deciso, ad esempio, che non si parlerà di riforma delle pensioni.
L'Ue teme che, se il governo cancellerà la riforma del centrodestra, quella dello "scalone", la spesa previdenziale finirà fuori controllo, ma la sinistra dei comunisti, dei verdi e dei "movimenti" ha posto il veto a qualsiasi ritocco. Quindi, sulle pensioni, argomento cruciale, nella reggia calerà il silenzio.
Sempre allo scopo di evitare contrasti che non sarebbe stato possibile tacere o nascondere, a Caserta non si parlerà di pubblica amministrazione. Il peso della burocrazia e i suoi bassi standard di produttività ed efficienza fanno parte degli ostacoli che il sistema Italia deve quotidianamente superare, ma non si discuterà di mobilità, meritocrazia, responsabilità.
La sinistra radicale non tollera che si mettano in discussione i privilegi corporativi di diversi settori del pubblico impiego.
E allora si tace e si rinvia. Il governo si confronterà col sindacato, poi si vedrà.
Alla vigilia del conclave una coltre di silenzio è caduta sull'espressione "fase due", che per i riformisti avrebbe dovuto conferire credibilità a un esecutivo il cui consenso è precipitato a minimi storici con straordinaria velocità. Fassino, che era stato fra gli artefici dell'ambizioso neologismo, non parla più né di mesi né di fasi.
Prima di andare a Caserta è andato a Canossa, ha avuto un incontro con i vertici di Rifondazione comunista. Ne è uscito un comunicato congiunto in cui si garantisce "coesione" alla coalizione, ma si ribadisce che le riforme possibili dovranno essere compatibili con l'"equità".
Quest'ultimo termine per il partito di Bertinotti significa pura e semplice conservazione dell'esistente.
Sempre per evitare scontri dannosi e per rivestire d'armonia apparente il conclave del nulla, a Caserta non si dovrebbe parlare dei Pacs e degli altri temi che si suole definire "eticamente sensibili".
Però, però… Ci sarà Marco Pannella, il quale giura che si comporterà bene, si asterrà da provocazioni e colpi di teatro, ma chiederà che il governo mantenga quel che ha promesso ai suoi elettori in materie di coppie di fatto. Anche Rosy Bindi vorrebbe parlare dei Pacs, ma soltanto per chiedere che la questione venga dichiarata non urgente e quindi insabbiata.
Anche la sinistra radicale vorrebbe che si discutesse dei Pacs, per sollecitarne il varo. Riusciranno i diplomatici dell'Unione a disinnescare questa mina?
Accantonati i temi importanti e tuttavia scottanti, cosa mai si potrà decidere a Caserta? Restano le cosiddette liberalizzazioni.
Quelle significative (reti energetiche, aziende di servizi del "socialismo municipale" realizzato in tante città e regioni) non si potranno nemmeno sfiorare perché la sinistra radicale è sorda quando si parla di liberalizzazioni.
E allora nelle sale della reggia si provvederà a partorire qualche topolino, la cui importanza sarà pari al provvedimento che fece sollevare tutti i tassisti d'Italia senza conseguire, peraltro, alcun risultato.
Caserta e i propositi di Prodi: "Provvedimenti concreti, che possano essere immediatamente percepiti dall'opinione pubblica". Tradotto dal politichese: ragazzi, voliamo basso e inventiamoci qualcosa immediatamente, perché le elezioni amministrative sono alle porte e rischiamo un bagno di sangue.
Nato come un summit per dare "una svolta all'azione di governo", pomposa definizione in linea con gli stucchi dorati e gli spazi regali pensati dal Vanvitelli, il vertice di governo ha rapidamente ridimensionato i suoi orizzonti e i suoi obiettivi attorno alla necessità, ben sintetizzata da Fassino, di evitare "un corto circuito con l'elettorato".
Propositi, quelli di Prodi e Fassino, espressi qualche giorno fa. L'ultimo sondaggio, che certifica il crollo dei consensi del governo e la parallela crescita di Forza Italia e dell'opposizione nel suo complesso, imporranno al premier di serrare ulteriormente le fila, di passare dal volo basso al volo rasente.
Ai ministri ha già chiesto di limitare le loro proposte alle rispettive sfere di competenza. Via dall'agenda, dunque, tutto ciò che può essere motivo di litigio e contrapposizione: di pensioni, legge Biagi, pacs, Tav, partito democratico, autostrade, privatizzazioni si parlerà, ma per rinviare ogni decisione.
"Non si va a Caserta per rompere, saremmo dei suicidi", dice Prodi. E l'unico modo per non rompere sarà quello di non approfondire nessuno di questi temi sui quali, c'è da giurarci, alla fine Prodi dirà che esistono intese di massima, che tutto va bene, madama la marchesa.
La punta di diamante di questa operazione, ridotta ormai a un modesto summit pre-elettorale, è costituita da Bersani e dalla sua valigia che, è stato annunciato, conterrà una "lenzuolata" di provvedimenti popolari (o populisti) destinati a gettare fumo negli occhi e una buona dose di anestetico sui dissensi di questo esercito di Franceschiello.
Ne abbiamo avuto un buon esempio con l'estemporanea uscita del ministro a Ballarò: "aboliremo i costi sulle ricariche dei cellulari". Dimenticandosi di dire agli italiani che, su sollecitazione di Bruxelles, l'Authority delle comunicazioni sta già prendendo provvedimenti. Così ha venduto merce vecchia, con il solo risultato di irritare Calabrò, qualche alleato, il mondo finanziario e alcuni milioni di azionisti Telecom, i cui titoli hanno subito una batosta.
Altra paccottiglia verrà spacciata per mercanzia di pregio: aiuti al Sud (d'obbligo, altrimenti perché andare a Caserta?), semplificazioni burocratiche, qualche sviolinata al cittadino-consumatore (finora spremuto dalle tasse della Finanziaria). Ma nulla di nulla sui nodi veri da sciogliere. Un lenzuolo e tutti a nanna. Le urne sono troppo vicine.
Per superare la progressiva e inesorabile mancanza di ossigeno denunciato dai sondaggi e dagli indici di gradimento, il governo ha dato incarico a Bersani di rimediare con una soluzione di rapido effetto. Un coup de théâtre capace di dare all'esecutivo una boccata d'aria con cui sopravvivere pur tra le mille difficoltà e divergenze della maggioranza.
E Bersani crede di far centro con un'idea nazional-popolare: eliminare il costo fisso sulle ricariche dei telefonini, una tassa che effettivamente non piace a nessuno. Un argomento di grande presa sulla stragrande maggioranza di cittadini amplificato dai soliti giornali amici. Peccato però che le parole di Bersani abbiano provocato una vera e propria valanga, che ha costretto il ministro a fare una mezza marcia indietro.
Il primo a reagire è stato il ministro Gentiloni, sostenuto da tutta la Margherita, che si è sentito esautorato di una sua competenza occupandosi lui delle Comunicazioni: uno sgarbo politico che mal si coniuga con la missione casertana di pacificare gli animi nella maggioranza.
L'invasione di campo da parte del ministro è stata denunciata anche dall'Authority con il sostegno di quanti affermano che un provvedimento governativo sulla materia creerebbe un precedente pericoloso di interferenza dell'esecutivo sul libero mercato e che rischierebbe di complicare il raggiungimento dell'obiettivo invece di facilitarlo.
Ma non basta: le frasi del ministro Bersani hanno pesato sui mercati finanziari con i titoli delle telecomunicazioni che ieri hanno subito una flessione. Telecom Italia per esempio ha perso più del 2% e con lei tutti gli azionisti.
Insomma, anche Bersani, la faccia più spendibile del governo Prodi, ha fatto la sua bella figuraccia: le intenzioni erano buone, ma in politica contano i fatti.
Da quando Prodi ha vinto (?) le elezioni ha ritenuto opportuno per la sua rissosa maggioranza riunirla in ben tre occasioni diverse, ma ha sempre avuto più risalto l'elemento della spettacolarità, del contorno, della curiosità che la sostanza stessa dell'evento. Del resto la premessa di Prodi comunicata ai cronisti la scorsa settimana era più che chiara: "Non tutti potranno essere accontentati, per cui al momento pare che la "rivoluzionaria" idea che verrà fuori, quella che darà un segnale di ripresa dell'economia nazionale sia quella dell'abolizione della tassa sulla ricarica dei cellulari…
In realtà sarà l'ennesimo momento d'incontro in cui non si deciderà nulla, ciascun ministro, così come richiesto dal premier, si presenterà con la sua emergenza ministeriale che verrà puntualmente annotata nell'agenda e che lì rimarrà.
Si perché, come le altre volte, saranno i soliti (Prodi-Bersani-Padoa Schioppa) a decidere il percorso dell'esecutivo in barba alle lamentele di tutti.
Quindi sarà ancora lo sfarzo della Reggia a far parlare di sé e non la mediocrità governativa dei suoi ospiti occasionali che, per avanzare le loro richieste avranno la parola per dieci minuti se ministri, sette se segretari di partito.
Come farà il ministro Damiano in dieci minuti a chiedere al governo di rispondere ad una domanda che ha come oggetto le pensioni? E sulle riforme? A chi toccherà porre la questione? Non certo ad Amato dopo la bufera scoppiata a causa della sua proposta di Convenzione taglia Prodi. Chi chiederà notizie sugli intenti del governo in merito al suo indice di gradimento sotto terra rilevato dai recenti sondaggi? E sui Pacs (nozze gay per la precisione) chi metterà a tacere la questione se sia una priorità degna di essere messa in agenda o meno? La questione della ricerca, dell'università, della fase due di Fassino, dell'emergenza ambiente di Pecoraro Scanio, in questo scenario inquisitorio solo le urla di Pannella (imbucatosi in sostituzione del segretario del suo partito) copriranno i bofonchiamenti di Prodi.
Insomma, gli elementi di litigiosità non mancano, su più versanti continueranno a venire a galla le contraddizioni (non solo sul piano delle riforme e dello stato sociale ma, come ha detto Amato in una recente intervista, anche sul piano etico il cui scoglio è ancora più grande) cui seguiranno delle prese di posizione più esasperate (vedi le reazioni offensive di certa sinistra contro il Papa), cui seguiranno richieste di chiarimenti con l'intervento di Prodi come paciere o garante (vedi Fassino quando dice: "o riforme o si muore, sia Prodi a dare un segnale!" ).
In questo caos di dichiarazioni e false promesse qualcuno ha pensato bene di andarsene sbattendo non solo la porta ma anche il suo dissenso sul Corsera (l'ex diesse Rossi), qualcun altro è stato tenuto fuori (come altri suoi colleghi) dal conclave anche se componente del Governo in carica, ovvero il Sottosegretario De Paoli della Lega Alleanza Lombarda, che nel ruolo magnificamente interpretato dell'utile idiota, visto il sostegno che continua a dare al Governo, critica da dietro i cancelli della Reggia la due giorni dichiarando che: "Questa passerella metterà ancora più difficoltà il Premier che non ha le spalle abbastanza larghe…penso che sia isolato più di me."
Non si capisce a quale titolo il portavoce dell'Amor nostro, Paolo Bonaiuti, si permetta di definire "capitale della sceneggiata" la città di Caserta, dove da oggi, si riunisce in conclave l'Unione. Un po' più di rispetto.
Manca un accordo sulla riforma elettorale, questo è vero, ma potrebbe essere il segno di un confronto vivo. Latita l'affinità sui pacs, anche questo è vero, ma non si può negare che tanto Bindi quanto Pollastrini abbiano idee brillanti.
Non c'è intesa sulle liberalizzaizoni, diciamo pure che è evidente, ma scagli la prima pietra chi è senza peccato. Non si vede armonia sulle pensioni, sul pubblico impiego, sulla mobilità, sulla legge Biagi, sulle prossime leadership, sul Partito democratico, sulle autostrade, sulle strade statali, sulle provinciali, si litiga sulle mulattiere sulla Tav, sull'indulto, su Israele (questo però di meno), sull'ambiente, sull'università, sulla cultura, sulla collocazione europea, su Chávez e Fidel Castro, sulle banche (questo però di più), su fase due, tre, quattro e sul concetto di accelerazione.
Tutto vero. Ma che l'esercito di Franceschiello si ritrovi in una Reggia, questo rimane fantastico.
Che il centrosinistra sia solo un'Unione di fatto era noto da tempo, ma l'avvio della discussione sui Pacs nella Commissione giustizia del Senato ha dimostrato che le divisioni sono molto più profonde del previsto. Non a caso sono ben cinque i disegni di legge da esaminare, tutti di diverso segno e presentati da altrettanti esponenti del centrosinistra. Il ministro Rosy Bindi non ha gradito l'accelerazione data ai lavori su un argomento così delicato e con implicazioni politiche che potrebbero avere ripercussioni sulla stessa tenuta dell'esecutivo. La sua posizione è apparsa distante da quella del presidente della commissione giustizia Cesare Salvi, il quale ha sposato la linea portata avanti dal ministro Pollastrini, tesa a fornire un riconoscimento pieno e pubblico delle unioni civili, paragonabile in tutto e per tutto alla legislazione vigente in Francia, dove è stato coniato il termine "Pacs".
Il governo, pertanto, dovrà trovare un punto di mediazione tra chi vuole i Pacs alla francese e l'ala teodem che frena disperatamente per non entrare in rotta di collisione con la Conferenza episcopale. I tempi che la commissione si è data sono molto ristretti (fine gennaio), ma nessuno veramente pensa di riuscire a quadrare il cerchio in una ventina di giorni: il tormentone andrà presumibilmente avanti per diversi mesi, e questo costituirà un altro perenne fattore di logoramento per Prodi e la sua maggioranza.
Non si sa se il vertice di Caserta si occuperà della spinosa questione. Anche perché non è affatto chiaro chi sia il ministro competente con cui dovrà confrontarsi il Parlamento: Rosy Bindi o la Pollastrini? Il problema non è di poco conto, visto che le loro posizioni sono esattamente opposte.
Le ricette del Governo Prodi in tema di politiche del lavoro sono destinate a generare una netta diminuzione di occupazione giovanile e non risolveranno affatto il precariato. Diversamente dal Governo Berlusconi, le controriforme delle sinistre non sono concepite per dare ai più giovani la capacità di affrontare i cambiamenti nella economia e nel lavoro cogliendone tutte le opportunità.
Scelte sciagurate come quelle di penalizzare l'apprendistato e di aumentare l'aliquota contributiva, hanno infatti un triplice effetto negativo: alleggeriscono la busta paga, illudono i ragazzi di aver diritto ad una pensione, quando in realtà continueranno a lavorare per garantire le pensioni alle attuali generazioni in uscita e aumentano le barriere d'ingresso nel mercato del lavoro, con il rischio di una crescita del sommerso.
La stabilità del lavoro non si ottiene contrastando la flessibilità ma garantendo la possibilità di mantenersi aggiornati e di aumentare le proprie competenze.
Per questo i giovani di Forza Italia chiedono con forza di proseguire lungo la strada delle riforme tracciata coraggiosamente dal Professor Marco Biagi, con regole che tendano ad unificare la disciplina per la cessazione del rapporto di lavoro che il Governo Berlusconi aveva avviato, ma che il sindacato ideologizzato ha contrastato e interrotto. La flessibilità infatti deve essere coltivata e regolata. Al mercato del lavoro italiano serve infatti una maggiore flessibilità, sia in entrata che in uscita.
Il diffuso ricorso al lavoro a tempo determinato da parte delle imprese è dettato spesso dalle rigidità presenti nel nostro sistema. Le pesanti tutele di pochi, fortemente difese dai sindacati, finiscono con il generare l'instabilità di molti, specie tra i più giovani. Per loro, al contrario, sono necessarie azioni capaci di produrre percorsi e strumenti che consentano la piena espressione delle loro capacità.