Alcune mie
poesie scelte
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        • New York
        • Incorporeità
        • Lotta, ti dico
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New York
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Charlie ChaplinEcco, è il momento. Ti lascio per sempre
città dai mille strepiti. Urla, senza
ambulanza – senza assicurazione – un vecchio

nero malato e ubriaco. Urlano, senza
ritegno, angoscianti sirene dei
firemen, del pronto soccorso, della polizia.

Che significato ha lo splendore delle tue notti,
che significato ha la ricchezza del tuo 
manto fasullo, trapunto inutilmente

di luci multicolori? A Times Square,
più brillante che mai, sotto i posters
giganteschi, vi è anche atroce miseria.

È giovane, è vecchio quell’uomo
nero che dorme su una panchina
del Brooklyn Bridge. E anche

quello che giace su un lurido cartone
sotto la sopraelevata dell’East River.
Nere come scheletri affumicati appaiono

le scale sulle facciate di case nere
– fuliggine, smog di un intero secolo.
Nei sobborghi, uomini dalle scarse

speranze trascinano passi dolenti,
mentre Wall Street è annerita
dagli abiti dei bianchi sacerdoti

del dollaro che comanda il mondo.
Harlem ha colore rosso, come
le ferite della sua gente, o tinte

sgargianti, come i pennelli di Andrew 
che dipinge murales di protesta e il viso
di Martin Luther King sulla saracinesca

di uno store abbandonato. Salgono
imponenti scalinate milioni
di turisti ignari, con baedeker in mano;

senza riflettere consumano indifferentemente
opere d’arte nei musei, jeans di Macy’s,
pasti cinesi o vietnamiti, souvenirs

– Liberty Statues miniaturizzate, teste di gesso
di pellerossa massacrati in nome
di una nuova inciviltà. Ridono, scherzano,

si divertono... Non pensano? Che mondo 
è mai questo, in cui l’uomo, per se stesso, 
non è al centro dell’universo?

Ho respirato indifferenza e disprezzo
di un potere che tutto stritola,
che impone le sue leggi. Come all’alba

del mondo, sopravvive il più
forte. Troppi soccombenti. Vedo, 
la sera, afroamericani e cileni,

Per le strade di Harlem...messicani e indiani, esausti
per la fatica di essere uomini; hanno
appesi alle spalle grossi fagotti: le

mercanzie. Hanno rimediato, forse,
una pizza per la famiglia. Eppure,
cantano. Solo loro ho sentito

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cantare, e ho visto ridere, in compagnia,
in circolo. E ho risposto al loro saluto, fatto
con il palmo bianco della mano sventolante.

La middle class non ride e non canta:
visi compunti, occhiate preoccupate. L’alta
borghesia, vestita di scuro e con

ricercata, ridicola eleganza, esce
dagli scintillanti residence
dai portieri gallonati, la sera,

per la cena raffinata, il teatro,
il locale esclusivo dalle pareti fredde,
di cristallo. Una limousine europea

attende, al termine della passatoia.
No. A New York non sono omologati.
Forse per questo Lui ha amato 

questa città. Ma a che serve vivere
una divisione tanto lacerante, rigida
in classi sociali che genera il nulla?

Che non conduce cioè, in modo
fisiologico, naturale, a tentare, almeno,
di riscattare se stessi, cittadini,

figliastri, insieme, con forza intelligente,
da ingiustizie e diseguaglianze?
Di lottare, neppure un sentimento...


      Incorporeità

      Puoi conoscere, se lo vuoi, 
      la dolcezza di riscoprire talvolta
      che sul rissoso pianeta
      esiste gentilezza e amore, bontà e

      gentilezza. E ancora: puoi gioire d’esser
      sincero e perciò indifeso. Se lo vuoi,
      puoi non temere un mondo di egoismi,
      avido, volgare. O proporti, a chi esausto

      ti incontra su un sentiero nel deserto, 
      di dissetarlo. Non so 
      chi sei davvero, ora, né domani 
      voglio saperlo. Come in un incantesimo

      di luce intensa ti ho immaginato,
      compreso, amato. Nessuno può sapere
      se la magia ha un tramonto. Un giorno
      verrò da te, mi riconoscerai

      dagli occhi: avranno l’iridescenza
      della murena; avranno l’orgoglio 
      di un lampo tra nuvole grigie. Verrò da te
      per cogliere per un attimo il tuo sorriso 

      .
      vero. E allora, solo allora, scopriremo
      di non doverci nulla... fuorché un’emozione.
      Una solitaria primula sarà un intero universo, 
      quando, di nuovo, ritornerà primavera.

       

Lotta, ti dico

Sorridi, ti dico. Sorridi al futuro che attende, 
ancora non sai se a braccia aperte. Sorridi anche 
nel dolore, nella malinconia; riprendi il cammino... 
Sorridi alle offese, perdona le infamie di cuori crudeli. 

Indìgnati, dico. Indìgnati per l'uomo 
che affama ed umilia con cuore di gelida pietra 
altri esseri umani. Indìgnati per chi è calpestato. 
Urla con animo grande proteste e condanne. 

Scrivi, ti dico. Scrivi l'enorme ricchezza 
che hai dentro, perché il mondo intero 
possa goderne. Scrivi i tuoi pensieri, 
le tue intransigenze, le tue speranze, le tue utopie, 

i tuoi sogni, i tuoi palpiti, le tue carezze, 
i tuoi entusiasmi, i tuoi furori, i tuoi amori.
Scrivi e colpisci con la tua scrittura 
gli ignobili ingiusti, le odiate ed ipocrite voci.

Ama, ancora ti dico. Ama tutti e ciascuno 
tra coloro che nessun altro ama e rispetta. 
Ama i silenzi, i profumi, l'aria, le nuvole, i fiori.
Ama l'amore, gli amori. 
Ama la neve se resta, morbida coltre, 

a proteggere i raccolti delle stagioni future; per amore, 
libera la terra da quella neve che può trasformarsi
in mortale, gelida morsa. Ama il viandante 
e asciugalo, sfamalo. Rendigli meno pesante il mantello. 

Posa una mano sulla sua spalla. Confortalo. 
Consolalo per le sue, per le tue sofferenze 
e per le membra esauste: possa dolcemente posarle 
sulla madre terra quando la sua candela si spegnerà.

Lotta, infine, ti dico. Lotta anche per chi, 
stanco di sconfitte, non sa più lottare.



 
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S O M M A R I O
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